Vai al contenuto

greymatter

Concilio dei Wyrm
  • Conteggio contenuto

    1.253
  • Registrato

  • Ultima attività

  • Giorni vinti

    28

Tutti i contenuti di greymatter

  1. Segnalo questo video che è giunto alla mia attenzione.
  2. https://www.kickstarter.com/projects/545820095/rifts-for-savage-worlds?token=e38ccc40 Per chi non lo sapesse, Rifts è probabilmente il gioco di ruolo più famoso della Palladium. È il setting gonzo per eccellenza: amalgama elementi presi da praticamente qualunque genere. Del tipo vampiri spaziali mezzi cyborg e demoni ninja con otto braccia a bordo di robottoni. Nello stesso setting. Sto inventando ma non è così lontano dalla realtà.
  3. Questo di base lo puoi fare anche in DW. Se il ladro, grazie alla sua storia/al suo background, ha conoscenze di medicina, può attivare Spout Lore ("When you consult your accumulated knowledge about something, roll+Int." ... lui ha "accumulated knowledge", quindi per lui la mossa si innesca). Il monaco quella mossa non la potrà innescare perché di medicina non ne sa nulla . Però potrà attivare Spout Lore quando si parla di occultismo (che il ladro, viceversa, non potrà attivare perché ne sa a pacchi di medicina ma di occultismo non sa niente, quindi non attiva la mossa in fiction). Anche qui bisognerebbe fare esempi specifici. Dipende molto dalla situazione. Aspetta aspetta. Nel caso A, non si innescherebbe alcuna mossa. Il personaggio lo fa. Ok, siamo d'accordo. Nel caso B, la mossa potrebbe innescarsi, ma ci sono dei "ma". 1) manca un passaggio fondamentale: non basta dire "sfondo la porta", perché non è chiaro cosa sta succedendo in fiction. Come la sta sfondando? A spallate? Ad asciate? A testate? Perché quella porta è in legno massiccio. Puoi anche dirgli "no, non hai alcuna possibilità di sfondarla a testate" e in quel caso non si attiva alcuna mossa. 2) qual è il pericolo? Quando tiri per "sfidare il pericolo", dovrebbe essere chiaro qual è il pericolo che stai sfidando (spesso lo è, ma non è detto che lo sia). Questo perché la mossa si attiva in un contesto ben preciso: Quindi perché la mossa si attivi ci deve essere un pericolo o una minaccia incombente. Diciamo che il pericolo è farti del male o danneggiarti nel tentativo, e diciamo che la porta la sfonda ad asciate. Con 10+, tutto a posto: la sfonda e arriva dai compagni e inizia il massacro. Con 7-9, è fondamentalmente un successo, ma le cose non vanno proprio come sperava. "Con l'ascia riesci a fare breccia nella porta massiccia - dalla breccia riesci a intravedere i tuoi compagni che stanno combattendo, anche se non hai ancora finito di sfondare la porta del tutto. Uno dei goblin sta strisciando dietro il tuo compagno Pallemoscie, brandendo un pugnale acuminato. Hai una frazione di secondo: se vuoi puoi lanciare la tua ascia ADESSO e seccarlo prima che colpisca Pallemoscie, ma poi dovrai sfondare il resto della breccia in qualche altro modo. Che fai?" (sto offrendo una scelta difficile). Oppure: "hai sfondato la porta, e ti precipiti nella stanza, solo per scoprire che dietro ad essa c'erano due goblin ad aspettarti con le lame sguainate!". Con un 6-, puoi fare una mossa. "Far rimbalzare il barbaro che ruzzola a terra lasciando cadere l'ascia" è una possibilità, ma ti faccio notare che stai un po' rientrando nel binomio D&Desco "prova di abilità--> successo/fallimento", in cui in caso di fallimento la prova è fallita, stop, e non succede altro. Ci sono tante possibilità, come show signs of an approaching threat: "mentre sei lì che prendi ad asciate la porta per sfondarla, vedi un'ombra parartisi davanti. C'è qualcosa dietro di te. Che fai?" Inoltre, un 6- non implica necessariamente un fallimento, vuol dire solo che il DM decide cosa succede. (sicuramente @fenna o @Daniele Di Rubbo sanno fare meglio di così, ma ora ho mal di testa e non ho voglia di pensare - poi oh, io a DW c'ho giocato poco, quindi magari non c'ho capito nulla) Caso C: è un po' la stessa cosa, però puoi decidere che sfondare la porta a spallate semplicemente non ha alcuna possibilità di aprirla. Se il giocatore se ne frega della fiction e ci si lancia contro lo stesso, ti sta offrendo un'opportunità su un piatto d'argento: è il momento di fare una mossa come Infliggi danno. Anche sfondarla con l'ascia può non essere sufficiente. Se il giocatore la prende lo stesso ad asciate, magari l'ascia si scheggia. Cioè, se una porta è particolarmente resistente, è una porta particolarmente resistente. Non hai bisogno di rappresentarlo probabilisticamente, perché in DW non esistono le prove di abilità. Se una porta è particolarmente resistente, fallo vedere in fiction: vuol dire che aprirla sarà dura! Vuol dire che il giocatore non potrà dire semplicemente "la sfondo" o la "prendo ad asciate", perché non funzionerà. È una porta resistente, stop. Dovrà inventarsi qualcos'altro. Se nel vostro gruppo ha senso che un dirupo di 5 metri si possa saltare (cioè, siamo sempre nel reame del possibile) ci sono varie possibilità. Il giocatore ti fa: "voglio saltare questo dirupo" Se per te non sta innescando alcuna mossa, vuol dire che ti sta guardando per sapere cosa succede --> è un trigger per una delle tue mosse "Ok, però con quello scudo, quell'armatura e il tuo zaino non ce la fai di sicuro. Sei troppo pesante. Devi lasciare qualcosa qui. Vuoi farlo?" (Tell them the requirements or consequences and ask)
  4. La Kobold Press ai tempi della 3.5 era abbastanza nota, ma non mi esprimo circa la qualità di quei prodotti perché non li conosco. Forse dovrei menzionare che è la casa che ha prodotto per conto della WotC Hoard of the Dragon Queen, su cui ho una pessima opinione. Anche la Goodman Games è diventata famosa ai tempi della 3.5 (per le sue avventure old school); ha pubblicato alcune avventure per D&D 5E, che sono quelle in sconto, ma non hanno avuto grande successo per ora. La Sasquatch è quella che ha prodotto Princes of the Apocalypse per conto della WotC
  5. Sinceramente nessuno di questi due sistemi è particolarmente adatto alle vostre esigenze. Non che non possano essere adattati, ma la loro impostazione di default va in senso abbastanza contrario ai punti di cui sopra. In Dungeon World i personaggi, di default, sono decisamente eroi. Certo, non è detto che salvino per forza il mondo, e non è detto che vincano sempre: quello dipende dallo stile con cui fai il DM; se attraverso le mosse crei un modo molto "cattivo", crei situazioni difficili e impegnative e così via, volendo può diventare un gioco abbastanza punitivo. Dipende tutto dal DM. Vedi per esempio il Drago con 16 punti ferita. Però diciamo che di default i personaggi di DW sono eroi, non sono degli str*nzi qualunque. Riguardo al controllo narrativo dei giocatori, anche quello dipende, ma di default, i giocatori hanno abbastanza controllo narrativo. Per esempio, il gioco prevede che l'ambientazione sia creata collettivamente nella prima sessione di gioco - quanto e in che misura i giocatori possono contribuire dipende dalle domande che pone il DM. Per esempio, potrei domandare "Da dove vieni?", ma potrei anche domandare "Da dove vieni, e come mai solo nominare questo luogo incute timore in tutto il reame?" Capisci che la seconda domanda è molto più "indirizzata" e chiusa della prima. Volendo puoi anche saltare la parte della creazione dell'ambientazione, ma sinceramente non te lo consiglierei. Anche durante il gioco effettivo, il controllo narrativo dipende un po' dal DM: dipende da quante e quali domande scegli di fare. C'è un po' l'assunto che il GM accolga i contributi dei giocatori, ma sono poche le situazioni in cui questo contributo "deve" esserci. Per Fate valgono un po' le stesse cose. In Fate i personaggi sono decisamente individui molto competenti, e i personaggi sono pensati per essere dei protagonisti. Anche in Fate c'è una fase di creazione dell'ambientazione in cui tutti i giocatori contribuiscono. Anche in Fate i personaggi hanno un certo controllo narrativo durante il gioco, probabilmente più che in DW (es. i giocatori possono decidere quando complicarsi la vita "compellandosi" un aspetto da soli). Dubbi su Fate: La meccanica degli aspetti è estremamente elegante (forse una delle meccaniche più eleganti che mi siano capitate sotto mano), però secondo me è vero che non favorisce molto l'immersione e l'immedesimazione, almeno all'inizio quando devi un po' capire come funziona il gioco. Nella mia esperienza questo è un difetto di Fate, ma per te potrebbe non esserlo: ti consiglio di giocarci e vedere. Il fatto che sia piatto dal punto di vista meccanico è vero, ma quello non è un bug: è una feature. Diciamo che è vero, entro certi limiti il gioco ruota attorno alla questione: "quanta di questa meta-currency sono disposto a spendere per riuscire nell'azione?", però nella logica di Fate questo ha senso, perché in Fate il divertimento non è nel superare l'ostacolo a suon di +2, quanto nella storia che viene creata. Anche la piattezza meccanica deriva dal fatto che tutti i personaggi influenzano la storia allo stesso modo. Questa è una domanda un po' complicata. Ho una mia risposta, ma penso di non essere la persona più adatta a rispondere, quindi evoco @Daniele Di Rubbo. Dubbi su DW: Questo è vero, ma come ti dicevo prima, in parte dipende dal DM. Leggi la storiellina del drago con 16 hp per capire a cosa mi riferisco. Se il DM fa mosse "cattive", l'aspetto eroico del gioco può essere mitigato. Sì e no. I tiri di dado in DW non hanno niente a che fare con le prove di abilità di D&D - non esiste la prova di abilità alla D&D in DW. Per questo i tiri hanno tutti la stessa difficoltà. La difficoltà si gestisce a livello narrativo. Ne ho parlato anche qui. Ti consiglio di leggere anche questo e questo. DW è un gioco che funziona in modo molto molto diverso da D&D, e va capito. Lo leggi, pensi di averlo capito, ma in realtà no - non hai capito niente Io c'ho messo un po' a capire come funzionava davvero. La Beginner's guide mi ha aiutato molto. Anche questo è illuminante. In realtà non tanto. Cioè, io ho fatto solo campagne brevi o one shot in DW, quindi magari nel gioco avanzato succede più spesso, non lo so - nelle fasi iniziali del gioco, i 7-9 sono molto più frequenti di quello che potresti pensare. Anche lì dipende tutto dal DM (again, leggi il drago con 16 hp). Di base niente ti impedisce di inserire un nemico immortale o quasi in gioco, e poi lasciare che se la sbrighino loro. Sarebbe più utile un esempio concreto. Che vuol dire ladro medico? Fai un esempio di una situazione di gioco in cui si vede questa cosa. Tieni conto comunque che in DW le classi sono intenzionalmente stereotipate.
  6. @fenna wow, grazie per il report sul campo!
  7. Allora, io non ci ho mai giocato - ho solo letto il manuale della 2a edizione italiana tanti anni fa. Da quello che dicono gli appassionati, è sempre un gioco abbastanza denso in termini di regole, ma sembrano lo abbiano in generale "ripulito" (alcuni sono rimasti delusi perché speravano in un alleggerimento più consistente, à la D&D 5E). Il regolamento è stato reso più chiaro e scorrevole, e a quanto sembra il combattimento è stato cambiato abbastanza profondamente. Comunque mi sembra sia stato accolto in maniera largamente positiva.
  8. Com'è che nessuno dice niente? http://www.drivethrurpg.com/product/162759/Exalted-3rd-Edition?src=slider_view
  9. Non c'è "meglio" o "peggio": sono giochi diversi, ma entrambi validissimi, ed il migliore per te dipende dalle tue esigenze e dai tuoi gusti. Ti dico subito che io non sono imparziale: tra i due preferisco nettamente D&D 5E, che è peraltro il gioco di ruolo che ho giocato di più quest'anno. Per cui, se fossi indeciso, nel dubbio ti direi di andare con D&D 5E. A parte le mie preferenze personali, Pathfinder è un gioco complesso e con tante regole dettagliate. Prendilo in considerazione: * se l'idea di doverti studiare manuali complessi per giocare non ti spaventa; * se ti piace l'idea di costruirti il personaggio definendolo meccanicamente in ogni suo aspetto, con una marea di opzioni a disposizione; * e se ti piace l'idea di un gioco molto tattico, con molti numeri. D&D 5E è un gioco più snello, con meccaniche più semplici ed eleganti. Talvolta viene criticato perché "troppo semplice" - in realtà, è vero che relativamente a PF o D&D 3.5 è più semplice, ma in una scala assoluta è un gioco a media complessità. Anche la mancanza di opzioni per i personaggi è un aspetto che secondo me viene spesso esagerato: non ci sono tutte le opzioni che esistono in PF o D&D 3.5, ma le opzioni presenti sono più che sufficienti per la stragrande maggioranza dei giocatori.
  10. Bargle. Grandissimo figlio di p*ttana.
  11. Disclaimer: non ho esperienza con bambini di quella età. Ecco comunque i miei 0.02 euro: In realtà penso che i bambini di quell'età siano piuttosto maturi. Probabilmente fai bene ad andare con qualcosa di semplice, ma personalmente non mi darei troppo pensiero. Come idee: * C'è un oggetto da recuperare * C'è un oggetto che deve essere portato dal luogo A al luogo B (io consiglierei questa, probabilmente è quella che offre le maggiori opportunità per le varie cose che vuoi inserire) * C'è una persona da salvare * C'è una minaccia urgente da affrontare Mi assicurerei anche di aggiungere una buona dose di humor. Insomma, niente di troppo serio, penso che sia meglio andare con una cosa leggera. Come indovinello, questo è preso dal mio quaderno degli appunti del GM (mi spiace, non saprei dire se l'ho trovato da qualche parte o se è farina del mio sacco; più probabile che l'abbia trovato). Lo trovo piuttoso semplice senza essere banale: Soluzione: Comunque qualunque indovinello per bambini è probabilmente adeguato. Un ultimo punto: non so che sistema utilizzerai; tenderei a sconsigliarti robe più complicate di D&D 5E. Se usi D&D 5E (e a maggior ragione con 3.5) direi di fargli trovare personaggi pregenerati o comunque quasi pronti, e di esporlo il meno possibile alla complessità del sistema (cioè: lui dovrebbe solo dirti cosa vuole fare, e tu gli dici se e cosa deve tirare, con un approccio molto rilassato alle regole). Volendo ci sono comunque sistemi più o meno semplici (mi viene in mente questo hack fantasy di Lasers and Feelings le cui regole stanno in una pagina!) che a occhio potrebbero essere adatti ai bambini.
  12. l'UEFI è il male, non ci ho mai capito un c*zzo. Senza contare che risolve un problema che per me non esiste. Comunque ho un pc con windows 10, e uso Chrome; più tardi provo anche io per curiosità.
  13. Sì, è in beta, però ad essere sincero io non ho mai avuto problemi. A me funziona perfettamente, vedi immagine allegata (testato proprio ora con Chromium su Arch Linux). Che browser e OS stai usando?
  14. Non è *sempre* fonte di problemi, e certamente non è un reato. Sono d'accordo con te che, nell'ambito dei gdr, nessuna pratica vada demonizzata a priori purché avvenga con il consenso di tutti e produca divertimento. Tuttavia, alcune pratiche sono da censurare in alcuni contesti. Barare è una pratica malvista quando i giocatori non sanno che il DM bara, o lo sanno e non amano l'idea che lo faccia. In quest'ultimo caso è ovvio perché la pratica è malvista; nel primo caso, è scorretto perché il DM, barando all'insaputa dei giocatori, di fatto li sta ingannando. In un gioco ci dev'essere trasparenza - se in qualunque altro gioco uno dei partecipanti ingannasse sistematicamente gli altri, sarebbe buttato fuori. Molti giocatori hanno difficoltà a concepire questa cosa, perché danno per scontato che il DM ogni tanto possa barare. Cioè, danno per scontato che barare rientri tra le cose che può fare. Quello di cui non si rendono conto è che loro sono nella situazione "so che il DM bara e mi va bene"; però non tutti i giocatori sono in questa situazione. Sottolineo di nuovo, per esempio, che io certamente non vorrei che il DM ignorasse i tiri di dado, e se lo facesse a mia insaputa la considererei una scorrettezza, e per me toglierebbe una parte del divertimento. Ora, dato che io non vorrei che il DM barasse, sei d'accordo che se io giocassi con un DM che bara a mia insaputa, questa sarebbe una scorrettezza nei miei confronti?
  15. Io Arch Linux + Gnome Comunque sì, puoi esportare come jpg. Se ti interessa il software open source, dai un'occhiata anche a inkscape. Io mi ci trovo molto bene, prima di scoprire inkarnate usavo quello per le mappe.
  16. ciao e benvenuto A me piace molto Inkarnate, che non è open source come Gimp o Krita (usi Gnome o KDE? ), ma è gratuito e funziona molto bene. Io non sono un granché con i programmi di grafica (l'unico che so usare con una certa competenza è Inkscape), e per me Inkarnate raggiunge un ottimo compromesso tra complessità di uso e funzionalità; forse non è molto flessibile, ma permette di ottenere mappe gradevoli dal punto di vista estetico senza avere un PhD in Photoshop. Inoltre ha delle funzioni molto interessanti (es. crea automaticamente una griglia hex, comodissimo). Ulteriore punto a favore: non c'è da scaricare niente, funziona tutto con il browser.
  17. Come in altre situazioni, non c'è una regola precisa (che mi risulti); in linea di massima funziona come il DM decide di farlo funzionare. Tuttavia ci sono degli snippet di regole da cui puoi prendere ispirazione. Per esempio,
  18. Sì - però mi sembra che tu stia mancando un po' il punto. Quello che ho fatto era un esempio; il punto non è usare o meno degli incantesimi. Il punto è valorizzare le scelte dei giocatori. Nella campagna railroadata che ho tratteggiato (che è ovviamente un esempio un po' estremizzato) succede la stessa identica cosa indipendentemente da quello che i giocatori scelgono - quindi le loro scelte sono inutili. Decidere di muoversi con incantesimi, a cavallo o a piedi è la stessa cosa - per esigenze di storia, gli eventi non cambiano. A qualcuno può andare bene - a me, come giocatore, non andrebbe bene. Invece nell'altro modello, quello senza la storia predeterminata, le scelte dei giocatori *hanno* un impatto su quello che succede. Diciamo che io per sandbox, in senso lato, intendo quel tipo di gioco in cui le scelte dei giocatori contano. Questo per me è il sandbox in a nutshell. Assolutamente d'accordo. Ma infatti, come ho scritto anche nel post, Penso che @SilentWolf abbia compreso e reso molto bene quello che volevo dire: " il "mondo va avanti anche senza di me" esiste solo nel Sandbox, perchè per definizione così è. Dal punto di vista del gioco pratico, in realtà spesso le cose sono un po' più sfumate (...), ma se si considera la questione dal punto di vista delle definizioni in realtà le cose sono nettamente separate". Quelli che ho descritto sono due estremi teorici di uno spettro (la storia completamente predeterminata da una parte-nessuna storia predeterminata dall'altra), ma le campagne reali raramente si collocano agli estremi. Però, dal punto di vista della definizione, quando non stai giocando con una storia predeterminata, io dico che in quel momento stai giocando sandbox (in senso lato, ovviamente). In quel momento, stai facendo una cosa che appartiene al sandbox, anche se lo fai in un contesto di storia predeterminata. "Non barare" non implica che devi accettare qualunque cosa dai giocatori. Cioè, se uno dei giocatori dice "ok, io mi butto dalla finestra e inizio a volare", il DM è libero di dirti "no guarda, questo non puoi farlo, non ha alcun senso per le capacità del tuo personaggio - è impossibile". "Non barare" vuol dire solo questo: non barare. Non ignorare i tiri segretamente. Di solito quando si bara si fa per un motivo, ma quasi sempre ci sono soluzioni migliori per ottenere quello che vuoi. Nella situazione di cui sopra, mi sembra che il problema sia che il giocatore non ha ben compreso il tono del gioco (se ho capito bene quello che volevi dire). In questo caso, la soluzione migliore dipende un po' da come stanno le cose. Se uno o più dei giocatori hanno un'idea sul tono del gioco che contrasta con l'idea del GM, se ne parla un attimo e si chiarisce come stanno le cose e che aspettative ci devono essere. Se tutti i giocatori hanno l'aspettativa che il gioco sia leggero e umoristico, forse è il DM che dovrebbe rivedere le proprie aspettative; viceversa, se tutti vogliono fare la campagna seriosa e uno solo dei giocatori rovina l'atmosfera facendo il c*glione, è lui che dovrebbe adeguarsi. Parlarne è l'unica cosa che risolve il problema - dirgli di tirare la prova di Carisma e poi ignorare il tiro invece è una soluzione che cura il sintomo ma non la causa. Quello che intendevo non è tanto che il DM debba annunciare ogni volta che bara - è più una cosa tipo "i giocatori sanno che il DM ogni tanto può barare per favorire la storia e sono d'accordo", anche se non sanno esattamente quando. Come è esemplificato dalla tua frase iniziale ("Se il barare porta a risvolti inaspettatamente avvincenti e coerenti, allora per me barare cessa di rappresentare un problema"). Insomma, nel tuo caso va tutto bene. Se al tuo tavolo tutti i giocatori la pensano come te, e vi trovate bene così, non c'è niente di male se il DM bara. Ma questo perché voi siete d'accordo che il DM lo faccia e siete soddisfatti della situazione. Quello che viene criticato è il DM che bara di nascosto, facendo credere che non lo sta facendo - perché a qualcuno potrebbe dare fastidio. Tipo, io non vorrei. Però sono io. Accetto che altri possano vederla diversamente. Se ti capita di leggere il resto fammi sapere cosa ne pensi! (Comunque ho parlato anche di The Forge) Molto provocatoria! In un certo senso è vero, hai ragione. E per certi versi, nella mia esperienza, riconosco che effettivamente ci sono giocatori (soprattutto quelli più giovani) che si approcciano al gioco di ruolo più o meno come ci si approccerebbe ad un videogame (a livello di aspettative, modo di giocare etc). Tuttavia, rispondo a questa cosa come rispondo a quelli che osservano che il dungeon crawl non ha senso - " a quel punto, perché non giocare ad un boardgame?". Perché il boardgame o il videogioco non sono la stessa cosa di un gioco di ruolo. È vero, il video game ha delle caratteristiche che lo rendono un mezzo interessante per esperire una storia predeterminata vissuta in prima persona; però mancano altre cose. Manca, ad esempio, l'aspetto sociale. Oppure: alcuni giocatori potrebbero vedere come un pro il fatto che nel gioco di ruolo sei "costretto" ad immaginarti cose. Quindi sì, da una parte ti do ragione; dall'altra, riconosco che le motivazioni per giocare ad un gdr sono complesse, possono essere anche molto diverse dalle mie, e non è detto che un giocatore sarebbe ugualmente o maggiormente soddisfatto con un videogame. Senza contare che trovo "non ha senso giocare così ad un gdr, gioca a un videogame" un atteggiamento molto paternalistico e dismissive.
  19. greymatter

    Nuovi oggetti

    @Anderas II così mi fai arrossire... scherzi a parte, sono contento se hai tratto qualcosa di utile dalle mie supercazzole. Il post di cui parla Anderas è questo [su dragonslair / su wordpress], te lo linco perché dal titolo non è ovvio di cosa parli. Come tutti i miei post, è troppo lungo.
  20. Illusionismo vuol dire che il DM ha una trama predeterminata, in cui le tue scelte contano poco nulla, ma te la fa seguire facendoti credere che invece le tue scelte hanno un peso sullo sviluppo della stessa. Per esempio, è illusionismo quando il DM ha già deciso che, al fine di creare un combattimento finale drammatico e ricco di pathos, il gruppo arriverà alle rovine del tempio quando i cultisti saranno in procinto di completare il rituale, così che possano fermarli all’ultimo minuto. Quindi: * se i personaggi si teletrasportano e ci arrivano in 2 minuti, arrivano negli ultimi minuti prima del completamento del rituale; * se i personaggi ci vanno a cavallo e ci mettono due ore, arrivano lo stesso negli ultimi minuti prima del completamento del rituale. * se i personaggi ci vanno a piedi e ci mettono un giorno, arrivano lo stesso negli ultimi minuti prima del completamento del rituale * se i personaggi se la prendono comoda e ci vanno dopo una settimana, arrivano comunque negli ultimi minuti prima del completamento del rituale Le scelte dei giocatori non contano più nulla, ma i giocatori (in teoria) non lo sanno. "Oh no, ci siamo andati a cavallo e siamo arrivati appena in tempo! Avremmo dovuto teletrasportaci..." Se fossi uno dei giocatori di questo gruppo, a me una roba del genere farebbe girare le palle. E non esito a dire che questo, 9 volte su 10, non costituisce un buon modo di fare il GM. Però magari ci sono dei (rari) gruppi che *vogliono* una cosa del genere (cioè esperire la storia predeterminata sapendo che le loro scelte non avranno grande peso). Se hanno espresso una tale preferenza al GM, allora niente da ridire: ognuno si diverte come vuole. Io ne ho conosciuti pochissimi di giocatori così, però devo dire che ci sono. Per contrasto, in una campagna senza una storia predeterminata, il DM sa che il rituale inizia alle ore X e viene completato in 2 ore. I giocatori potrebbero arrivare prima che il rituale sia iniziato, durante il rituale, o a rituale completato. Questo tipo di campagna è difficile anche perché il DM deve avere un grande autocontrollo e rimanere imparziale e onesto. Se i giocatori arrivano prima che il rituale sia iniziato, quando i cultisti sono impreparati, probabilmente il combattimento sarà anticlimatico - qualunque DM sentirebbe la tentazione di farli arrivare a rituale iniziato per aggiungere un po' di pepe al combattimento (anche io sentirei la tentazione del lato oscuro). Però per preservare il peso delle scelte dei giocatori (che magari hanno speso migliaia di monete d'oro appositamente per potersi teletrasportare e arrivare rapidamente), devi essere onesto e accettare che il combattimento sarà, per questa volta, privo di pathos. Perché evidentemente seguivate volontariamente la storia. Come ho scritto nel post, alcuni chiamano questa dinamica di gruppo "partecipazionismo" - e va benissimo. Guarda che è nel sandbox che le cose si muovono a prescindere dalle tue mosse. È quando c'è la storia predeterminata che l'esercito degli orchi attaccherà il villaggio quando i giocatori arrivano giusto in tempo per fermarli (perché fa la storia migliore) - e finché non arrivano non si muove niente. Nel sandbox, l'esercito degli orchi attacca il villaggio al giorno X alle ore Y; se qualcuno li ferma prima, bene. Se però i giocatori arrivano tardi, trovano il villaggio bruciato. Ci sono delle pratiche che sono sbagliate a prescindere. Ingannare i giocatori è una di queste. La storia predeterminata non è sbagliata a prescindere se i giocatori hanno detto al DM che a loro va bene che ci sia una storia. Barare non è sbagliato a prescindere se i giocatori sanno che rientra tra le cose che può fare il DM, e sono d'accordo che ogni tanto lo faccia. È sbagliato quando il GM bara senza dire nulla a nessuno, o quando cerca di far credere che le scelte dei giocatori hanno un peso ma non è vero - perché li sta ingannando.
  21. @SilentWolf avevo tralasciato di rispondere ad alcune cose per mancanza di tempo, e ieri sera era la serata D&D Non credo che fossero in molti a pensare che i giochi non tradizionali (ti invito a non usare il termine giochi "forgiti", perché in realtà pochi gdr non tradizionali sono forgiti in senso stretto) avrebbero letteralmente sostituito i giochi tradizionali. Forse c'era anche qualche pazzo che lo pensava, non lo so; se c'era, si trattava di uno squilibrato che aveva evidentemente perso il senso della realtà. I giochi non tradizionali sono stati (e sono adesso) troppo di nicchia rispetto ai giochi tradizionali per pensare che potessero/possano sostituirli. Tuttavia ci sono un paio di appunti da fare. I giochi non tradizionali non hanno certamente *sostituito* i giochi tradizionali, però sono stati tutt'altro che irrilevanti. Idee introdotte o popolarizzate dai giochi non tradizionali si sono fatte strada nei giochi tradizionali. Quindi anche se non li hanno sostituiti, non pensare che non abbiano contato niente. Hanno avuto una notevole influenza nel settore. Se non vuoi, l'ispirazione in D&D 5E può essere vista come una meccanica vagamente forgita (molto alla lontana, ma considerando che stiamo parlando di D&D, non è poco). Nella DMG, nel capitolo mi pare 9 (il dungeon master's workshop insomma) ci sono parecchie regole opzionali che sono di palese ispirazione forgita (es i plot points). E indovina un po' chi scriveva su the forge nel 2002 con il nick mearls? Già, Mike Mearls. Allo stesso tempo, penso che la teoria forgita in senso stretto (cioè così come è formulata, con le tre creative agendas incompatibili tra loro e il gioco "fatto bene" che si concentra sul soddisfarne solo una) non rispecchi perfettamente il gioco reale. Cioè - penso che sia vero che le persone traggano il proprio divertimento da fonti diverse; questo rispecchia la mia esperienza di gioco. E penso anche che le tre CA siano buone approssimazioni per queste fonti di divertimento (anche questo rispecchia la mia esperienza). Quello che non rispecchia la mia esperienza è la loro incompatibilità, sia a livello di gruppo che di singolo giocatore. I giocatori reali che ho conosciuto privilegiavano magari la visione del gdr come esperienza di gioco, però non è che le altre fossero irrilevanti per loro. Cioè, magari il gdr per un giocatore era prevalentemente un'esperienza di gioco, però comunque gli poteva interessare, in minor parte, anche della storia (per dire); magari non era la sua priorità, però se non ci fosse stata l'avrebbe visto come una diminuzione della "completezza" dell'esperienza di gioco (un forgita mi risponderebbe che questo è irrilevante: "It’s like saying because you had lettuce in your hamburger, you were eating vegetarian" e io ri-rispondo: "ok, non abbiamo mangiato vegetariano, però ai miei giocatori l'hamburger senza la lattuga sarebbe piaciuto meno"). Anche a livello di gruppo più o meno valeva lo stesso - nel senso, essere tutti sulla stessa pagina è *fondamentale* per avere un'esperienza godibile (es. come tono del gioco, stile di gioco, etc etc), però nella mia esperienza non è così vero che tutti dobbiamo dare la priorità assoluta allo stesso aspetto del gioco altrimenti non ci divertiamo. Sì, poi c'è anche il giocatore che vuole la storia, e si annoia quando il tavolo si sofferma sugli aspetti più "giocosi" - come c'è quello che vuole solo giocare, e si annoia quando "non si combatte" - però, almeno nella mia esperienza, questi giocatori sono più l'eccezione che la regola. Tipo, al mio tavolo ci sono stati regolarmente giocatori dalle CA incompatibili, però quando es. capitava il combattimento emozionante, interessante dal punto di vista "giocoso", ci esaltavamo tutti; quando capitava, nel caos organizzato del sandbox, che venisse per caso fuori una storia emozionante, eravamo tutti contenti (me compreso, che pure della storia mi interessa il giusto). Non ho idea se il mio caso sia riconducibile alle teorie della forgia oppure no - per come l'ho capita io, no; magari però non le ho capite bene, non so. Io comunque penso che questa situazione sia molto diffusa. Per esempio, D&D 4E è (secondo molti e anche secondo me) un gioco di forte ispirazione forgita - è un gioco di impostazione super gamista, dove qualunque altro aspetto che non fosse funzionale alla visione "questo gdr è un gioco" fu eliminato. Non me ne vogliano gli appassionati, ma D&D 4E è un "gioco per computer su carta" (se mi concedi l'ossimoro). E infatti i forgiti parlano benissimo di D&D 4E (davvero!), perché secondo le teorie forgite è un gioco fatto bene. Eppure D&D 4E è stato anche un flop. Anche i giocatori più "gamisti" l'hanno odiato, a detta di molti perché gli mancava qualcosa: non sembrava più un gdr. Forse qualcuno direbbe che D&D 4E è odiato perché i giocatori tradizionali "mentono" e non sanno cosa vogliono (del resto noi poveri giocatori tradizionali facciamo solo finta di divertirci). Certo, si può discutere sul fatto che D&D 4E sia stato un flop anche perché era "troppo diverso" - sicuramente le cause del flop della 4E sono complesse e multifattoriali, alcune sono da ricondurre anche a un mismanagement che c'è stato da parte della WotC. Secondo me però è da ricollegare anche a questa cosa qui sopra. Detto questo, come ben sai, penso lo stesso che il regolamento di un gioco sia molto importante per favorire una certa esperienza di gioco. Quella di narrativismo è un po' diversa per come l'ho capita io, ma preferisco non parlare di cose che non so. Su quella di simulazionismo non sono sicuro di quale sia la definizione "giusta" (sebbene sia la CA in cui forse mi riconosco di più), però non credo che ci sia questa cosa dell'esplorazione del personaggio con le sue motivazioni - è più un discorso di esplorare una realtà fittizia o addirittura un genere (letterario, di cinema etc). Per esempio, magari la mia CA simulazionista ha a che fare con il simulare Tolkien: in questo caso io godo tantissimo se riesco a trovare un modo per simulare esattamente le atmosfere e i racconti di Tolkien nelle mie partite. Questa almeno è come l'ho capita io. Talvolta il simulazionismo ha a che fare con il realismo, ma non è detto. Poi boh, se sei curioso chiedi a qualcuno che ci capisce di queste cose Molto vero. Nell'ambito delle discussioni sembra che si parli di aria fritta, ma in realtà non è così. Al contrario, è tutto molto concreto. Per esempio, nell'ambito della forgia fu introdotto il concetto dell'actual play - per discutere dei giochi, è necessario riportare dei "log" del gioco effettivo, così che se ne possa parlare in concreto. Non sembra, ma molte delle discussioni che si facevano lì avevano le loro basi in fatti concreti - anzi, direi che le teorie della forgia sono nate *perché* loro hanno cercato di confrontarsi con il gioco effettivo, reale, invece che con un concetto idealizzato di gioco che non esisteva. Da un certo punto di vista, l'intero movimento di The Forge è nato perché un po' di gente ha notato che sul manuale di Vampire: The Masquerade c'era scritto che era un gioco dove contava la storia etc etc, e poi però giocavi *concretamente* e non era vero niente. E si è inc*zzata perché le aspettative non reggevano al gioco concreto, reale. Non so se mi segui. @Lord Delacroix Grazie. Faccio notare comunque che è verissimo che io ho consigliato talvolta di cambiare sistema, ma io consiglio di cambiare sistema quando penso che l'altra persona sarebbe più soddisfatta con l'altro sistema. Cioè, non è che consiglio di cambiare sistema per sport, o per il gusto di far smettere la gente di giocare al sistema X; lo faccio quando mi rendo conto che una persona vuole fare una cosa, ma sta usando un sistema con cui quella cosa non viene molto bene. E tante volte lo so per esperienza personale che La Cosa non viene bene perché l'ho provato. Tipo, io consiglio spessissimo Dread per i one shot horror - ma non è che lo consiglio a caso, lo consiglio perché ho provato diverse volte a fare le stesse cose con altri sistemi, ma con Dread mi è venuto meglio. Poi c'è quello che mi dice "eh ma con D&D viene bene uguale" - Ah sì? Hai provato a fare i one shot horror sia con D&D che con Dread? Perché io provato entrambi e nella mia esperienza non c'è paragone - per cui mi permetto di dissentire. E per la cronaca, ci sono state anche persone (anche su questo forum) che mi hanno ringraziato per avergli fatto conoscere dei giochi che erano più adatti a loro. Io da parte mia sono contento se sono riusciti a trovare giochi più affini ai loro gusti.
  22. Sì, questo è verissimo. Indubbiamente nell'ambito di The Forge storicamente c'è stata una grande cura nel definire una sorta di linguaggio tecnico a cui riferirsi, per assicurarsi di parlare tutti della stessa cosa. Allo stesso tempo, ironicamente, mentre mi leggevo roba varia per scrivere il post, ho notato che questo linguaggio tecnico talvolta ha creato confusione. Per esempio, la definizione di che cosa esattamente sia la creative agenda simulazionista apparentemente è cambiata più volte (cioè - la definizione secondo Edwards, che ha/aveva l'ultima parola su tutto); ed è talmente specifica che viene fuori che, uh, quasi nessuno gioca con questa agenda. Mmmmmh. Anche cosa voglia dire narrativismo apparentemente è stato molto spesso frainteso, perché sempre Ron Edwards ha una definizione estremamente specifica e restrittiva di cosa costituisca narrativismo. Un altro downside è che questo lessico tecnico può rendere difficile, per una persona non al corrente della terminologia in uso, capire di cosa si parla (es. ci sono certe discussioni in cui non si capisce veramente nulla se non sei familiare con i termini utilizzati). Sì. Anche se, dalla mia prospettiva (che è quella di un giocatore tradizionale) i flame tra tradizionalisti e forgiti che ci sono stati negli anni sono nati soprattutto per l'eccessiva aggressività di questi ultimi e l'atteggiamento da "missionario che deve portare la verità rivelata ai selvaggi" che spesso mostravano nelle discussioni online. Nel senso, se uno si va a leggere le teorie della forgia senza pregiudizi, è quasi tutta roba abbastanza condivisibile e applicabilissima ai giochi tradizionali. Il discorso è che la gente che ne parlava aveva certe preferenze, e quindi tendeva a parlarne in un certo modo e svilupparla in una certa direzione. Poi andava sui forum e cercava di convincerti che il tuo modo di giocare faceva schifo, e che se non giocavi a quest'altro gioco vuol dire che non capivi niente. Un commento che ho trovato su un blog secondo me rende benissimo il tenore di questo tipo di flame, che probabilmente molti degli utenti più giovani di questo forum non si ricordano: In realtà la teoria forgita in sé è meno talebana di quello che molti fanboy che ho visto in azione vorrebbero far credere. Per esempio, Edwards ha anche scritto: "Most role-players I encounter are tired, bitter, and frustrated. My goal in this writing is to provide vocabulary and perspective that enable people to articulate what they want and like out of the activity, and to understand what to look for both in other people and in game design to achieve their goals. The person who is entirely satisfied with his or her role-playing experiences is not my target audience." - che è un punto di vista perfettamente sensato, ma convenientemente dimenticato da molti proponenti dei giochi non tradizionali. Il Big Model è *uno* strumento a tua disposizione per analizzare il gioco di ruolo. Però devi anche ricordarti che non è l'unico, perché "per l'uomo che ha solo un martello, dopo un po' tutto inizia a sembrare un chiodo".
  23. (Questo post è tratto dal mio blog su wordpress 1 Hit Point Left. Ho aperto il blog su wordpress in modo da poter essere libero di parlare di argomenti diversi dai giochi di ruolo, ma riposterò quello che scrivo sui giochi di ruolo anche qui.) Link al post originale Ultimamente mi sono ritrovato a scrivere, in contesti diversi, di alcuni argomenti in apparenza disparati, ma che in realtà sono piuttosto legati l’uno all’altro. Questo potrebbe essere successo per caso, ma anche perché involontariamente tendevo a portare questi argomenti nelle discussioni. Sia come sia, ho deciso di scrivere un unico post coerente i miei pensieri su questa roba – riutilizzando in parte cose che ho già scritto (per fare prima). Warning: è LUNGO. Sommario La storia che non c’era Arriva la storia nei GdR Ma insomma, questa storia di cui parli… che roba è alla fine? Avere la storia già scritta Il railroading Barare L’altro approccio I giochi non tradizionali e il motivo per cui hanno tutte quelle regole bislacche The Forge oggi, e perché un sacco di gente ce l’ha ancora con quel dannato sito TL; DR La storia che non c’era Verso la metà degli anni ’70, due tizi chiamati Gary Gygax e Dave Arnesonmisero assieme le loro idee e crearono Dungeons & Dragons, il primo gioco di ruolo. Gygax contribuì attraverso le regole di Chainmail, un wargame medioevale con elementi fantasy (piuttosto inusuale per l’epoca) creato traendo ispirazione da idee che circolavano all’epoca tra gli appassionati di wargaming. Arneson fu quello che innestò il concetto di roleplaying vero e proprio sulle regole di Gygax, trasformando Chainmail nel primo gioco di ruolo in assoluto. Il successo di questo strano gioco innovativo fu enorme, e D&D si diffuse rapidamente negli USA attraverso il passaparola. In questi primi anni, il gioco di ruolo era in fase embrionale, e abbastanza diverso da come siamo abituati a pensarlo oggi. (Notare che io non ero nemmeno nato allora – queste note storiche sono una mia ricostruzione basata su fonti, non un resoconto della mia esperienza) Tanto per cominciare, era probabilmente giocato in modo simile a come oggi giocheremmo un boardgame. Il focus del gioco era il dungeon crawl o l’esplorazione di un’area: i personaggi tipicamente esploravano un dungeon con lo scopo di recuperare il tesoro, ammazzando o meno dei mostri nel processo. Poi c’erano parecchi più giocatori. Un documento affascinante è contenuto in questo PDF di 80 pagine, che dettaglia una campagna di D&D nei primi anni ’70, Rythlondar. Si può vedere che ciascuna spedizione nel dungeon aveva 7-12 giocatori, con tassi di mortalità altissimi per gli standard odierni. Inoltre il gioco aveva aspetti competitivi: c’erano ad esempio tornei di D&D, con vere e proprie condizioni di vittoria. C’era anche un rapporto diverso tra GM e giocatori, fatto più di antagonismo che di collaborazione. Questo rapporto era parzialmente basato sull’idea che il GM fosse una sorta di signore assoluto del gioco, e fosse quasi in competizione con i giocatori: All’epoca non c’era nemmeno l’idea che i personaggi fossero “eroi”/”protagonisti” di una storia, o che i combattimenti dovessero essere “bilanciati”, o altra roba che oggi è data abbastanza per scontata: i combattimenti erano brutali, mentre i personaggi erano spazzatura, non contavano niente, e morivano come mosche. (disclaimer: a me piace abbastanza questo stile di gioco) Venti anni più tardi sarebbe partito un movimento di player empowerment che avrebbe riequilibrato il rapporto GM-giocatori, promuovendo l’idea che i personaggi dei giocatori sono eroi/special snowflake/protagonisti di una storia. In certi casi questo riequilibrio si sarebbe spinto fino a strappare il controllo narrativo dalle mani del DM, per conferirlo ai giocatori. Le avventure del D&D degli anni ’70 seguivano questo modello di gioco. Partivano tutte da premesse simili (i personaggi sono avventurieri alla ricerca di fama e ricchezze/c’è un oggetto o una persona da recuperare/etc), e consistevano in luoghi da esplorare – dungeon o zone selvagge. Il concetto di una storia o una trama era sostanzialmente sconosciuto, e lo sarebbe stato fino alla fine degli anni ’70. Per esempio, la prima avventura vera e propria per D&D, Palace of the Vampire Queen (1976) era un megadungeon. Idem per molte avventure storiche di quegli anni: In Search of the Unknown (1978), Expedition to the Barrier Peaks(pubblicata nel 1980 ma concepita nel 1976), o The Lost Caverns of Tsojconth(concepita nel 1976 e poi pubblicata, in versione espansa, nel 1982). L’idea che in una avventura ci potesse essere una trama si è sviluppata gradualmente. Uno dei primi esempi è stato il ciclo di avventure iniziate con la serie G1: Steading of the Hill Giant Chief, G2: Glacial Rift of the Frost Giant Jarl, e G3: Hall of the Fire Giant King (1978), ripubblicate poi come G1-2-3: Against the Giants.In questi moduli ancora non c’era una storia: i singoli moduli erano sempre i soliti dungeon da esplorare, lo standard per i moduli dell’epoca; però c’era una sorta di trama di fondo che collegava i tre moduli tra loro e faceva da (esile) filo conduttore. Queste tre avventure furono poi ripubblicate, insieme ad altre, in un unico “supermodulo” (oggi diremmo: adventure path) col nome di GDQ1-7: Queen of the Spiders. Questo supermodulo univa la serie G1-2-3, la serie D (D1 Descent into the Depths of the Earth; D2: Shrine of the Kuo-Toa; D3 Vault of the Drow) e Q1: Queen of the Demonweb Pits. Questo ciclo di avventure comunque non era niente di rivoluzionario: c’era sì una trama rudimentale che collegava le varie avventure tra loro in modo che la loro successione avesse un senso, ma le avventure in sé erano sempre i soliti dungeon crawl. Notare che questo focus sul dungeon crawl non rendeva automaticamente le avventure brutte o noiose – GDQ1-7 è stata votata nel 2004 come la più bella avventura di D&D mai pubblicata. A breve, questo non sarebbe più stato vero. Arriva la storia nei GdR Entrano in scena Tracy e Laura Hickman. Tracy e Laura Hickman sono una coppia (Tracy è un uomo) famosa per i romanzi di Dragonlance e per alcune avventure, tra le quali la celeberrima I6: Ravenloft. I coniugi Hickman hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella storia dei giochi di ruolo: sono gli autori dei moduli originali di Dragonlance, il primo dei quali fu DL1: Dragons of Despair. Era il 1984, e da allora niente fu più la stessa cosa. L’elemento rivoluzionario che i moduli di Dragonlance introdussero, cambiando per sempre il modo in cui i giochi di ruolo erano visti, era in realtà molto semplice, e probabilmente sapete già di che si tratta. I moduli di Dragonlance avevano una storia. Intendo una trama vera e propria, come quella di un libro o un film. Questo elemento oggi non sembra niente di speciale, ma per l’epoca fu una rivoluzione. Immaginate giocatori di D&D per i quali “avventura” era stato fino a quel momento sinonimo di “dungeon crawl” – e immaginare di dare a questi giocatori un modulo che non riproponeva il solito dungeon, ma una storia emozionante, come quella di un libro. La gente rimase folgorata. I moduli di Dragonlance furono uno dei grossi punti di rottura nella storia di D&D e più in generale dei gdr: introdussero l’idea che ci potesse essere una trama in un gioco di ruolo. La seconda edizione di AD&D (1989) abbracciò completamente questa nuova prospettiva: le regole erano rimaste molto simili a quelle di AD&D 1e, ma nei manuali c’era una nuova enfasi sulla storia. Ci fu uno stacco molto forte tra le avventure pubblicate nell’era pre-AD&D 2e e quelle del periodo post-AD&D 2e, ricordate per le loro ricche trame, così come per l’imbarazzante railroading che promuovevano (ci torneremo dopo). Badate che questa non è archeologia – questo è un trend che continua tutt’ora. Devo dire che effettivamente, nella mia esperienza, i giocatori che tendono più facilmente a liquidare il dungeon crawl come un tipo di gioco “meno nobile” o “inferiore” sono proprio i giocatori figli degli anni ’80 e di AD&D 2e – che, allo stesso tempo, sono quelli che più frequentemente tendono a ritenere il railroading un metodo accettabile di fare il GM. Questo ovviamente è solo un aneddoto, e non pretendo di dimostrare niente. Tuttavia, non posso fare a meno di notare che in Italia D&D arriva nel 1985, quando Editrice Giochi pubblicò la prima traduzione italiana del Basic, a cura di Giovanni Ingellis. Sarò onesto: a dire il vero non fu tutta colpa di Dragonlance. C’era comunque aria di cambiamento in quegli anni. Per esempio, qualche anno prima di Dragonlance, nel 1981, fu pubblicato Call of Cthulhu, che contribuì a cambiare il modo in cui i giochi di ruolo erano visti. Non solo adattò il gdr ad un nuovo genere, quello dell’horror, ma fu anche un gioco che cambiava il classico concetto di avventura dall’esplorazione di un dungeon alla risoluzione di un mistero. Tra il 1980 ed il 1982 fu rilasciata la trilogia di Zork, uno dei primi giochi per computer con qualcosa che assomigliasse ad una storia (sebbene abbastanza rudimentale). Nel 1985 venne pubblicato Pendragon, un altro gioco di ruolo piuttosto story-focused per l’epoca. Insomma, le cose stavano cambiando, e probabilmente sarebbero cambiate lo stesso anche senza quei fatidici moduli dei coniugi Hickman. Vorrei anche sottolineare che questo cambiamento non è stato improvviso, come può forse sembrare leggendo questo post; l’introduzione della storia è stata un processo graduale. Il modulo I6: Ravenloft (1983) era sì un enorme dungeon, ma anche lì c’era una specie di storia che faceva da sfondo. Tuttavia, oggi ricordiamo i moduli di Dragonlance come lo spartiacque tra il vecchio modo di concepire il gdr, ed un nuovo modo, in cui la storia era in primo piano. A questo proposito, ci sono due gruppi di persone che arriveranno ad odiare questo nuovo modo di concepire il gdr, per ragioni opposte. Uno di questi due gruppi lo incontreremo più avanti, tra una quindicina d’anni (siamo sempre a metà degli anni ’80) – ma l’altro possiamo presentarlo adesso. Sto parlando dei fan del D&D delle origini, il D&D dei dungeon crawl senza storia. Questi fan vissero la nuova attenzione alla storia come un tradimento dello spirito originario di D&D, guardando i moduli di Dragonlance, il focus sulla storia, e le nuove edizioni di D&D con sospetto o aperto disprezzo. Questi giocatori talvolta si autodefinisconogrognard. Alcuni sono vecchi wargamer, mentre altri sono semplicemente giocatori appartenenti alla “vecchia guardia”: giocatori che continuano a ritenere le vecchie edizioni, e lo spirito originario del gioco che le contraddistingue, come l’epoca d’oro di D&D. Sono giocatori che rifiutano l’idea che si giochi di ruolo per raccontare una storia, in contrapposizione ai giocatori “new school”, e che spesso guardano con disprezzo certi elementi del fenomeno del player empowerment. Negli ultimi anni (soprattutto a partire dal 2008/2009) c’è stato un rinnovato interesse per il modo di giocare della “vecchia guardia”, che si è consolidato in un movimento/scuola di pensiero noto come OSR. L’acronimo è definito in maniera imprecisa, ma la maggior parte delle persone legate all’OSR vi diranno che sta per Old School Revival, oppure Old School Renaissance. In pratica, il termine è oggi utilizzato per indicare un gruppo abbastanza eterogeneo di gdr e la ‘scuola di pensiero’ ad essi collegata, il cui comune denominatore è il rifarsi, sia come regolamenti che come filosofia di gioco, alle vecchie edizioni di D&D. Ecco: nell’ambito dell’OSR, i moduli di Dragonlance sono visti come una disgrazia. Grognardia (fino al 2012 uno dei blog più influenti del movimento OSR),ricorda Dragonlance “as one of the key moments when D&D lost its soul“; in un altro post, James scrive: RPGPundit, un blogger abbastanza controverso e legato al movimento OSR,racconta di quando l’autore di un modulo OSR reagì piuttosto aspramente ad una sua recensione negativa: Ma insomma, questa “storia” di cui parli… che roba è alla fine? Questo è un momento buono come un altro per parlare un attimo di questa famosa “storia” che sarebbe entrata a far parte della cultura del gdr a partire dalla metà degli anni ’80. In effetti uno dei problemi nel parlare di questa roba è che “storia” è un termine impreciso, e persone diverse intendono cose diverse. Certo, certo, è vero – la storia, in senso lato, c’è sempre. È tutto ciò che succede in gioco. In senso lato, anche un dungeon crawl finisce in qualche modo per avere una storia. In un dungeon crawl succedono delle cose, e alla fine è possibile ricostruire una sequenza di eventi coerente. “Siamo scesi al secondo livello del dungeon, abbiamo ammazzato tre goblin, e Bob il Guerriero è stato fritto da una trappola”. Però in questo post, con storia, intendo qualcosa di più di una sequenza di eventi coerente – intendo una storia appassionante, cioè una storia in grado di appagare dal punto di vista drammatico; una sequenza di eventi in game in grado di essere appassionante e interessante, come le trame che si sviluppano nei libri, nei film o nei fumetti. Una storia di questo tipo solitamente ha una struttura o comunque un arco narrativo: un inizio (un problema, un conflitto, un dramma), uno svolgimento, e una conclusione. Probabilmente ha anche elementi in grado di farti venire voglia di vedere come va a finire (non so – colpi di scena, misteri che vengono svelati pian piano…). Ovviamente voi potreste intendere un’altra cosa ancora per “storia”, e va benissimo. Però in questo post quando parlo di storia, parlo di quella roba lì sopra. Quindi se per voi la storia è un’altra cosa, potreste non essere d’accordo con le mie considerazioni. Va benissimo. Ora, in un gioco di ruolo tradizionale, ci sono due modi fondamentali per avere una storia appassionante. Uno è avere la storia appassionante già scritta, e l’altro è improvvisarla. A prescindere dall’approccio che si preferisce, nei giochi tradizionali è tipicamente possibile un gioco di tipo immersivo, in cui il giocatore può vivere una storia in prima persona, esercitando una influenza sullo sviluppo della stessa paragonabile a quella che potrebbe esercitare una persona reale nello sviluppo della propria vita. In pratica, il giocatore ha controllo esclusivamente sulle azioni del proprio personaggio, ma non, ad esempio, sull’ambiente o su i PNG. Dopo vedremo quali sono i gdr “non tradizionali”, il cui approccio è molto diverso. Avere la storia già scritta L’approccio “storia appassionante già scritta” è quella che adottano molti moduli pubblicati a partire dall’era di AD&D 2e fino ad oggi (es. molti Adventure Path per Pathfinder). Il processo è più o meno lo stesso, sia che la storia appassionante venga tratta da un’avventura pubblicata, sia che la scriva il DM di sua mano: c’è una serie di eventi che si verificano in successione, in modo più o meno lineare. La storia è appassionante perché gli eventi prestabiliti fanno sì che lo sia. Esempio banale: un vecchio misterioso si avvicina ai personaggi e chiede loro di recuperare la Spada Infuocata dalla Tomba del Guerriero Misterioso prima che se ne impadronisca Lord Morte, il Necromante Oscuro. I personaggi accettano. I personaggi recuperano la Spada e tornano dal vecchio misterioso. Ma, attenzione! C’è un colpo di scena! Il vecchio misterioso è in realtà Lord Morte sotto mentite spoglie! Dopo un monologo ad effetto, Lord Morte fugge con la Spada. Nella prossima avventura i personaggi dovranno inseguirlo! Zan zan zan! Questa trama nella sua semplicità è interessante – c’è un colpo di scena. Mi immagino il DM che si sfrega le mani tutto soddisfatto, gongolando al pensiero della faccia che faranno i giocatori quando giocheranno alla sua fantastica storia. C’è però un grosso, grossissimo problema con questo approccio. In un libro, lo scrittore è in grado di produrre una storia interessante perché controlla contemporaneamente protagonisti, antagonisti, personaggi secondari e tutto quello che succede. In un gdr non funziona così. Non dovrebbe funzionare così. In un gdr, se il DM vuole produrre la storia interessante, ha un grosso ostacolo davanti a sé. Si ritrova a essere uno scrittore con le mani legate, che non controlla i protagonisti della sua storia. La storia di cui sopra è fragile, come quasi tutte le storie prestabilite a tavolino. Cosa succede se i personaggi decidono di tenersi la Spada Infuocata, o di venderla, invece di riportarla al vecchio misterioso? Cosa succede se uno dei giocatori in qualche modo scopre, per esempio, che il vecchio misterioso ha un allineamento malvagio e si insospettisce? Ve lo dico io: la storia salta. Tutta la bellissima storia concepita dal DM a casa sua, dopo ore di faticosa preparazione, crolla come un castello di carte. C’è un modo di dire nella comunità dei gdr che più o meno recita: “no plan survives first contact with the players“. Allude al fatto che qualunque trama predisposta a tavolino dal DM finirà per crollare rovinosamente una volta arrivata al tavolo, perché i giocatori faranno qualcosa al di fuori dei suoi piani. Il povero DM quindi si trova ad avere un problema. Vuole inserire la sua storia appassionante nella campagna; ma la sua storia, essendo predeterminata, non reggerà mai al tavolo di gioco, a causa dell’imprevedibilità legata alla libertà d’azione dei giocatori. (Notare che questo problema è direttamente o indirettamente la conseguenza di idee che risalgono alla metà-fine degli anni ’80, quando Dragonlance ha messo in testa alla gente l’idea sciagurata che per fare bene il DM uno deve raccontare una storia interessante come quella di un film o un libro.) Come rispondere a questo problema? Ci sono diverse reazioni possibili. Alcune di queste reazioni sono sane, altre sono patologiche. Le risposte patologiche più comuni sono barare e railroadare i giocatori. Il Railroading Il railroading (da railroads, che letteralmente sono i binari del treno) è un fenomeno che avviene quando un evento del gioco ha un outcome predeterminato – cioè un esito stabilito a priori, a prescindere delle azioni dei giocatori. Il DM annulla la libertà d’azione dei giocatori, forzando quello che succede nel gioco, al fine di far andare le cose come vuole lui. Che vuol dire in pratica? Diciamo che in gioco si verifica una situazione X. Per esempio: i personaggi sono nella principale cittadina del regno, e per andare avanti con la storia, devono parlare con il Re che si trova nel palazzo reale. Questa di per sé è una situazione aperta: la storia preparata dal DM prevede che i giocatori parlino col Re, ma i giocatori potrebbero fare potenzialmente qualunque cosa, incluso non parlarci affatto. Il railroading avviene quando il DM ha stabilito come questa situazione andrà a finire, e impone l’esito da lui deciso a prescindere da cosa fanno o non fanno i giocatori. Qualcuno potrebbe dire “eh vabbé, ma questo DM è un pivellino! Un bravo DM asseconda il giocatore e trova il modo di farlo parlare lo stesso con il re.” Per esempio: Ecco: qui c’è un equivoco. Non c’è molta differenza tra il railroading spudorato del primo esempio e il railroading occulto del secondo esempio (talvolta chiamatoillusionismo). Non è che quello del secondo esempio è un DM più bravo, o un DM più esperto. Il DM qui ha solo riaggiustato la sua trama lineare (evento A -> evento B -> evento C) in modo da dare l’impressione che l’avventura non sia sui binari, ma è un cambiamento cosmetico. In realtà è più o meno la stessa cosa: il DM ha deciso che le cose devono andare in un certo modo, e qualunque cosa voglia fare il giocatore, il DM trova il modo di far succedere le cose che voleva. L’unica differenza è che che se va tutto bene il giocatore non se ne accorge. E i giocatori si accorgono di questi trucchetti molto più spesso di quanto il DM pensi. Diciamo che ci sono tre percorsi che conducono dal Luogo A al Luogo B. Se i tre percorsi sono esattamente uguali, ed i personaggi subiscono la stessa imboscata indipendentemente dal percorso preso, con gli stessi mostri, etc. etc… beh, non è molto diverso dalla situazione in cui c’è un solo percorso obbligato. Dai l’illusione della scelta, ma è solo una finzione. Il railroading (spudorato od occulto) è in genere malvisto perché annulla la libertà d’azione e di scelta dei giocatori, visto che quello che fanno o non fanno non ha più alcuna conseguenza né alcun impatto su quello che succede. Se rimuovi la libertà d’azione togli una delle cose fondamentali che distinguono il gdr da altre forme passive di intrattenimento (cinema, teatro, libri, fumetto, etc): la capacità di influenzare ciò che succede. Il gioco di ruolo diventa un’esperienza passiva, dove il fruitore esperisce una storia predeterminata da altri. A quel punto, tanto vale rimettere i dadi nello zaino e stare a sentire il GM che ti legge un racconto scritto da lui, no? Tuttavia, se è vero che il railroading è generalmente malvisto, ci sono dei casi in cui può funzionare e può essere desiderabile – cioè quando è funzionale al divertimento del gruppo. In generale, quando si gioca di ruolo la priorità è divertirsi – finché uno si diverte, sta giocando bene. Se uno gioca di ruolo senza divertirsi, fategli i complimenti: è riuscito a scoprire l’unico vero modo per farlo male! Ecco, alcuni giocatori preferiscono avere una storia da cui farsi guidare. Magari vogliono esperire una storia appassionante predeterminata in modo semi-passivo, senza dover fare troppe scelte. Si aspettano una storia, e fanno del loro meglio per seguirla; quando non la seguono, si aspettano che il DM li rimetta sulla strada. Questo è talvolta chiamato partecipazionismo, nel senso che i giocatori partecipano volontariamente alla storia creata dal DM (anziché subirla). C’è partecipazionismo, se vogliamo usare questo termine, quando i giocatori: a) sono consapevoli che c’è una storia prestabilita da seguire; sono d’accordo che ci sia questa storia; c) riconoscono che gestire la storia è responsabilità del DM; e infine d) sono d’accordo che il DM faccia il necessario per far sì che la storia vada avanti. Questo, se ci pensate, è quello che succede, per esempio, quando i personaggi accettano il lavoro proposto loro dallo straniero misterioso alla locanda. Non c’è alcun motivo sensato per cui delle persone sane di mente debbano accettare un incarico da un tizio mai visto e conosciuto – però in genere i personaggi accettano il lavoro senza tante storie, perché sanno che l’avventura “è da quella parte”. Ora, questa situazione va bene. La situazione che viene criticata è quando il DM pensa di sapere cos’è meglio per il divertimento del gruppo senza consultarsi prima con i giocatori, per cui decide autonomamente di scrivere la storia predeterminata senza che nessuno glielo abbia chiesto. Se invece i giocatori esprimono il desiderio di avere la storia predeterminata, è un altro paio di maniche. In certi gruppi storici, che giocano insieme da anni e anni, questo consenso può essere implicito: il DM ormai conosce i giocatori e sa cosa li diverte, mentre i giocatori conoscono il DM e sono d’accordo con il suo stile. Tuttavia, a meno che non rientriate in questo caso, è meglio se questi aspetti vengono decisi dall’intero gruppo prima dell’inizio della campagna (“ragazzi, avevo in mente una campagna con una storia ambientata in X che sarà così e cosà, vi va bene?”). Barare Barare non ha bisogno di molta discussione: stai barando quando ignori arbitrariamente una regola, o il risultato di un dado, perché non ti piace la situazione a cui quella regola o quel tiro di dado ti porterebbero. La maggior parte dei DM che barano lo fanno con buone intenzioni: salvare personaggi che morirebbero per tiri sfortunati, non penalizzare serate sfortunate con i dadi, ignorare tiri non utili alla storia o al divertimento, far sì che il combattimento con il boss non finisca in un solo round, e così via. In generale, nella maggior parte dei casi i DM che barano lo fanno per esigenze di storia. Ma questo non vuol dire che sia una buona abitudine. Se hai bisogno di barare per ottenere quello che vuoi da un sistema, c’è qualche problema di fondo – evidentemente vuoi fare qualcosa, ma le regole ti remano contro e portano a risultati che non ti piacciono. E se non ti piace un risultato, perché usare delle regole che ti portano a quel risultato? Le risposte sane a questa situazione sono a) adattare le tue aspettative al sistema; modificare il sistema in modo che venga incontro alle tue aspettative (= house rules); c) se il compito precedente è troppo laborioso, al limite cambiare sistema. Barare è una risposta al problema forse più semplice, ma è patologica perché implica ingannare gli altri giocatori (sì, se tiri dei dadi e poi ignori il risultato, li stai ingannando). Se ignori i tiri di dado quando ti fa comodo, non capisco come mai stai tirando dei dadi. “Se faccio >10 col dado accetto il risultato, se faccio meno non è funzionale alla storia per cui facciamo finta di aver fatto >10 lo stesso.” Il dado diventa una cosa cosmetica – tanto se le cose non vanno come avevi pianificato, lo ignori. In generale, secondo me non dovresti tirare se non sei pronto ad accettare il risultato del dado. Fare diversamente mi sembra un comportamento un po’ schizofrenico. Come il railroading, anche il barare è generalmente malvisto, però ci sono situazioni in cui barare è ok. Più o meno sono le stesse situazioni in cui il railroading è ok: cioè quando i giocatori sono consapevoli che il barare rientra tra le cose che il DM potrebbe fare, e sono d’accordo. In questo caso nessuno viene ingannato, dunque non c’è nessun problema. Questo consenso dovrebbe sempre essere esplicito, con l’eccezione dei gruppi molto rodati che giocano insieme con soddisfazione da parecchi anni, in cui questo consenso può essere implicito. Di nuovo, ciò che viene generalmente criticato è il DM che si arroga il diritto di decidere per conto suo cosa è meglio per il divertimento del gruppo, perché è un atteggiamento paternalistico. Alcuni giocatori potrebbero non apprezzare l’idea che il DM bari per salvarli o per mandare avanti la storia in una certa direzione (io per esempio mi opporrei a una cosa del genere), quindi hanno il diritto di essere informati se questa è una cosa che può succedere. L’altro approccio L’altro approccio per avere la storia appassionante in un gioco tradizionale èrinunciare a raccontare la storia appagante, e lasciare che una qualche storia si crei da sola come fenomeno emergente. I sistemi tradizionali hanno regole strutturate in modo più o meno esplicitamente simulativo. Con questo intendo dire che le regole, piuttosto che cercare di riprodurre una certa struttura narrativa, si prefiggono solo di rappresentare in modo coerente la realtà del gioco – una realtà di gioco che può essere anche molto diversa dalla nostra. Per esempio, in un gioco tradizionale in cui i personaggi possono volare, le regole potrebbero limitarsi a dirti quanto veloce un personaggio può volare, quanto a lungo, quanto in alto, e così via. Non so se mi spiego. Ecco, in questi giochi l’approccio più naturale è usare le regole per lo scopo per cui sono state create – simulare una certa realtà fittizia – e fermarsi lì. Il DMabbandona l’idea di intervenire sulla storia, spingendola in una direzione piuttosto che in un’altra, e lascia che questa emerga naturalmente dalla realtà fittizia creata dalle regole e dalle azioni dei giocatori. Come funziona in pratica? In questo tipo di gioco, il GM delinea un’ambiente o una situazione, magari offrendo alcuni spunti per avventure e/o luoghi da esplorare; i giocatori poi possono fare quello che vogliono e decidere le proprie avventure. Sono i giocatori il motore di quello che succede – il GM ha un ruolo passivo, e si limita a reagire alle scelte dei giocatori; il suo compito è semplicemente quello di realizzare in gioco le conseguenze delle loro azioni (di solito improvvisando). Questo tipo di gioco è noto anche come sandbox. L’esempio più antico di questo tipo di gioco è l’hexcrawl, un tipo di campagna di esplorazione pura molto popolare negli anni ’70 e primi anni ’80, e ritornata di recente in voga grazie all’OSR. Qualcosa di simile, molto di moda qualche anno fa, sono le West Marches (diretta ispirazione per una campagna omonima nell’ambito dello show online RollPlay). Un tipo di campagna più “story-oriented” potrebbe essere creato elaborando situazioni in cui ci sono fazioni, forze e/o png con motivazioni, obiettivi e interessi in conflitto tra loro e con quelli dei personaggi, di modo da creare una rete più o meno complessa di relazioni. I personaggi, con le loro azioni, andranno ad influenzare una o più di queste relazioni, provocando delle reazioni. Il resto si evolverà naturalmente. Chi è interessato alle campagne sandbox probabilmente vorrà dare un’occhiataai giochi della Sine Nomine Publishing, specialmente Stars Without Number che è gratuito. Contengono ottimi suggerimenti e strumenti per creare campagne di questo tipo, che sono un po’ il marchio di fabbrica della SNP. Qual è lo svantaggio della campagna sandbox? Sicuramente che è pesante per il GM, che deve passare un certo tempo a prepararsi prima delle sessioni, e soprattutto essere bravo a improvvisare; e poi che richiede ovviamente giocatori proattivi. Dal punto di vista dell’ottenimento di una storia drammaticamente appagante, lo svantaggio della campagna sandbox con il gioco tradizionale è che è inaffidabile. Sicuramente si verrà a creare una qualche storia, ma non è detto sia appassionante – e lo dico per esperienza. Se lasciate veramente libertà ai giocatori, è possibilissimo che emerga naturalmente una storia appassionante (nata dall’improvvisazione), ma questa sarà il risultato di uno o tutti questi fattori 1) un bravo GM; 2) bravi giocatori 3) il caso. In una sandbox autentica può venire fuori la storia emozionante, ma può anche venire fuori una storia mediocre dal punto di vista drammatico, o addirittura una storia che si interrompe in modo anticlimatico (esempio: total party kill intempestivo ad opera di mostri insignificanti). Inoltre, la storia emergerà a posteriori – dopo la sessione, ci guarderemo indietro e ricostruiremo una trama. Naturalmente, una campagna sandbox può essere comunque divertente anche senza la storia emozionante – dipende da quali elementi i vostri giocatori traggono il loro divertimento. Le sopracitate West Marches sembrano divertentissime, eppure non c’è alcun tentativo di creare una storia. E, dal mio punto di vista, uno dei take home messages di questo articolo è un po’ questo: non avete necessariamente bisogno della storia appassionante per divertirvi. C’è stata, negli anni, una tendenza a far credere ai giocatori che il buon gdr produce necessariamente la bella storia, ma non è così. Il gdr può essere divertente e ben riuscito anche quando la storia è di per sé deludente. E come sempre, finché la gente si diverte, va tutto bene. Una cosa che vorrei chiarire è che la stragrande maggioranza delle campagne adottano in realtà un approccio ibrido tra i due che ho presentato. Cioè, pochissime campagne sono o del tutto sandbox, o del tutto composte da una storia completamente pianificata. Le campagne che la gente gioca nella vita reale spesso presentano elementi di entrambi gli approcci, anche se solitamente uno dei due prevale sull’altro. Vale a dire: alcune campagne sono tendenzialmente sandbox, altre tendenzialmente storia-predeterminata. Molte campagne possono oscillare tra questi due poli nel corso del gioco; per esempio, nel corso degli anni diverse mie campagne sono partite con un abbozzo di storia predeterminata (in pratica, un aggancio per l’avventura, seguito da quello che, a grandi linee, mi aspettavo che sarebbe successo); ma quando i giocatori si sono allontanati da ciò che mi aspettavo, o comunque quando hanno cambiato le carte in tavola con le loro azioni, queste campagne sono ben presto deviate verso il sanbox: a quel punto ho iniziato ad improvvisare e far reagire PNG/fazioni/mostri/l’ambientazione in maniera coerente rispetto alle azioni dei giocatori, abbandonando qualunque idea avessi circa lo sviluppo della campagna. I giochi non tradizionali e il motivo per cui hanno tutte quelle regole bislacche Abbiamo visto che in un gioco di ruolo tradizionale ci sono due modi fondamentali per avere una storia appassionante. Uno è avere la storia appassionante già scritta, che per definizione è un sistema molto affidabile (è già scritta!). Tuttavia, questo approccio ha dei grossi problemi, e di fatto può essere mantenuto solo utilizzando strategie spesso non desiderate dai giocatori. Più raramente (almeno nella mia esperienza) i giocatori richiedono la presenza di una storia già scritta, ed accettano che il DM faccia il possibile per mantenerla: in quest’ultimo caso, finché tutti si divertono e sono d’accordo, va tutto bene. L’approccio concettualmente opposto è dare completa libertà d’azione ai giocatori, e lasciare che la storia si crei da sola in modo naturale. Questo approccio mantiene la libertà dei giocatori e tende a risultare più accettabile. Tuttavia, non funziona molto bene con giocatori passivi ed ha, tra le altre cose, il grosso svantaggio di non essere in grado di produrre affidabilmente una storia appassionante. A volte si creerà, a volte no. So it goes. Proseguiamo adesso con la nostra storia. La nuova enfasi sulla storia si diffuse rapidamente anche al di là di D&D: nel 1991, due anni dopo AD&D 2e, sarebbe stato pubblicato Vampire: The Masquerade, forse il gioco più iconico degli anni ’90. Vampire, almeno in teoria, era un gioco che si compiaceva del proprio focus sulla storia, sulla narrazione, sull’intrigo, e sull’introspezione personale – autodefinendosi “a game of personal horror” (in it. “un gioco di intimo orrore“). Gli anni ’90 passano. Vampire: the Masquerade è giocatissimo. AD&D 2e sforna degli storici Campaign Settings piuttosto focalizzati sull’elemento storia (vedi Planescape). I videogame di Final Fantasy, caratterizzati da storie complesse e coinvolgenti, si diffondono rapidamente in occidente. Insomma, tutti vogliono storia, storia, storia. Negli anni ’90 si inizia anche a sperimentare – per esempio, nel 1991 esce Amber Diceless, il primo gioco di ruolo a non utilizzare dadi; nel 1999 uscirà Nobilis, altro gioco diceless piuttosto, uh, cerebrale (i giocatori interpretano concetti astratti personificati. No, davvero. …WTF?!). Gli anni ’90 sono però anche un periodo di profonda crisi per il gdr cartaceo, minacciato dal diffondersi dei giochi per computer, sempre più elaborati, e dal successo dei giochi di carte collezionabili (come Magic: The Gathering). C’è un’aria tesa nell’industria dei gdr, costretta ad assecondare i capricci del mercato e inventarsele di tutte pur di rimanere a galla: gli anni ’90 sono anche il decennio degli splatbooks. Arriviamo quindi alla fine degli anni ’90, e facciamo la conoscenza di Ron Edwards, PhD. Edwards era un insegnante di biologia e dottorando all’Università della Florida, e nel tempo libero scriveva giochi di ruolo. L’intero movimento legato ai giochi “indie” (indipendenti) come lo conosciamo oggi nacque perché Edwards divenne disilluso nei confronti dell’industria editoriale commerciale per diverse ragioni. I contratti tra autori e case editrici tendevano a dare molto controllo sul prodotto alla casa editrice – per esempio, la casa editrice poteva decidere unilateralmente di produrre una nuova edizione di un gioco, che l’autore fosse d’accordo o no. Tanto per parlare di un gioco che tutti conosciamo, D&D è ora alla sua quinta edizione. Ecco, se domani la WotC decidesse di pubblicare la sesta edizione di D&D, e Mike Mearls non fosse d’accordo, non sarebbe certo lui ad avere l’ultima parola. “Indie”, quindi, significa solo questo: giochi che sono autopubblicati, in modo tale che l’autore mantenga il controllo sul proprio prodotto. Spinto dalla propria insoddisfazione, più o meno nel 1999 Edwards avviò un sito dedicato ai giochi pubblicati da autori indipendenti, che allora non erano molti. Quel sito qualche tempo dopo (nel 2001) sarebbe stato ribattezzato The Forge. Su quel sito poteva discutere chi era interessato ai giochi indie (autori o meno), e tra le altre cose si parlava anche di teoria e game design. È in questo contesto che Edwards avrebbe sviluppato la Teoria GNS, che più tardi sarebbe stata incorporata in un framwork teorico più ampio, il Big Model. A partire dal 1999, Edwards iniziò a pubblicare alcuni articoli di teoria: questo è uno dei più importanti. Io sinceramente dell’impianto teorico di cui si discuteva su The Forge ne so il giusto. A causa del gergo astruso non mi sono mai veramente addentrato nei suoi meandri. Ammetto che molte cose le ho imparate nelle ultime due settimane, quando facevo ricerche per questo articolo, in modo da non scrivere baggianate; per questo motivo eviterò di parlare in dettaglio di questa roba. Per chi fosse interessato ad una analisi più approfondita su The Forge, le sue teorie, e quello che ha rappresentato per la scena dei giochi di ruolo, consiglio fortementequesto post, che è una delle retrospettive più complete ed equilibrate che abbia trovato sull’argomento, e si allinea abbastanza alla mia visione della cosa. L’articolo di Edwards comunque è comprensibile anche senza sapere niente di teoria GNS. In pratica, il nocciolo della sua argomentazione (spiegato con parole mie) è che la gente, in un gdr, trae il proprio divertimento attraverso la soddisfazione di “appetiti” diversi, che non sempre sono compatibili tra loro. Un gioco di ruolo progettato per assecondare un appetito specifico è meglio di un gioco che tenta di soddisfarli tutti, o che è progettato senza una chiara idea di quale appetito stia cercando di soddisfare. Questo perché il gioco che tenta di soddisfarli tutti non ne soddisferà pienamente nessuno: ogni tipo di giocatore troverà qualcosa del sistema che gli piace, ma anche qualcosa che lo disturba. Invece, il gioco che tenta di soddisfare un tipo specifico di appetito soddisferà una sola tipologia di giocatore, ma almeno la soddisferà pienamente. Edwards nell’articolo individua tre forme principali di appetito autoescludentisi, o “creative agendas” (intenti creativi) nel gergo forgita: gamista (= il gdr visto come esperienza di gioco, in cui il divertimento consiste nel superare delle sfide), simulazionista (= il gdr visto come strumento per esplorare una particolare realtà o un genere), e narrativista (= il gdr visto come occasione per raccontare una storia, anche se in realtà questa definizione è imprecisa). Si può essere o meno d’accordo con questa visione delle cose; comunque l’articolo è ben argomentato ed è molto interessante, per cui consiglio di leggerlo con una mentalità aperta, a prescindere dalle proprie idee. Per quanto riguarda me, sono d’accordo in linea generale su alcune argomentazioni (es. che il sistema è importante per favorire una certa esperienza di gioco), ma meno su altre (es. che questi intenti si escludano tra loro). Sia come sia, Edwards non ha mai fatto mistero di essere uno che giocava per raccontare una storia, e di essere insoddisfatto dei giochi che promettevano ai giocatori la capacità di raccontare grandi storie, senza che il regolamento facilitasse questo compito. Ecco perché molte persone che hanno abbracciato la visione forgita odiano Vampire: The Masquerade e, in minor misura, AD&D 2e. Erano due giochi molto popolari che promettevano grandi storie, ma non mantenevano le loro promesse. Ed ecco perché i designer associati a The Forge tentarono di rimediare a questa mancanza con giochi dalle regole non convenzionali, concepite per facilitare la creazione di specifiche storie, strutturate in modo preciso. Gli individui collegati a vario titolo a The Forge furono quindi il secondo gruppo di persone che giunse ad odiare la nuova attenzione alla storia dei gdr tradizionali, poiché vissero il tutto come una menzogna o una promessa non mantenuta. (Il primo, ricordiamolo, sono i grognard old school, che hanno visto questa attenzione alla storia come un tradimento dello spirito originale del gioco.) (tra parentesi: notare che Edwards e compagnia bella non sostenevano che fosse impossibile raccontare una storia con i giochi tradizionali, tutt’altro – si lamentavano però che il regolamento non facilitasse od ostacolasse questo compito) (altra parentesi: dovrei precisare che la storia come la intende Edwards è diversa dalla storia come l’ho definita io un po’ di righe fa – Edwards ha una sua definizione particolare di cosa costituisce una storia nell’ambito di un gioco narrativista, che è molto più restrittiva della mia definizione). Dicevamo. I frequentatori della Forgia furono molto influenzati dalle idee di Edwards, e iniziarono a progettare giochi seguendo la stessa logica. Dato che la stragrande degli utenti del forum giocavano per raccontare storie, i giochi che vennero prodotti erano story-focused, e vennero associati a quello stile. Con il tempo, gioco indie divenne (impropriamente) sinonimo di “gioco non tradizionale fatto per raccontare storie”. In realtà gioco indie vuol dire semplicemente gioco di ruolo autopubblicato in cui l’autore mantiene il controllo della propria creazione. Stop. I giochi sfornati dalla forgia erano anche indie, ma non tutti i giochi indie sono forgiti o narrativisti. Per esempio, molti giochi OSR sono indie, ma assolutamente tradizionali e per niente narrativisti. Inoltre, c’è anche da fare chiarezza su un equivoco di fondo che circonda questi giochi: in realtà solo *pochi gdr* furono progettati seguendo strettamente le teorie forgite; la maggior parte dei giochi non tradizionali prodotti negli anni sono stati progettati senza seguire alcuna teoria particolare. Per esempio, Dungeon World o Apocalypse World sono indie, e possono essere considerati story-focused (nel senso che hanno meccaniche che manipolano direttamente la storia), ma hanno molto poco a che fare con the Forge, e sono giochi tutto sommato abbastanza tradizionali. Ad ogni modo, la definizione probabilmente più corretta per questi giochi è “non-tradizionali”, il che li contrappone ai giochi “tradizionali”. Si caratterizzano infatti per meccaniche non convenzionali, più o meno sperimentali, che scardinano alcuni degli assunti dei giochi tradizionali – es. dando maggiore controllo narrativo ai giocatori, progettando meccaniche senza logiche simulative, eliminando parti del gioco considerate fondamentali nel gdr tradizionale (come la presenza di un GM), etc. etc. In altre parole, il motivo per cui i giochi non tradizionali hanno tutte quelle regole bislacche è perché sono giochi progettati seguendo una logica del tutto diversa rispetto ai giochi tradizionali: le regole non sono concepite per simulare una realtà, bensì manipolano direttamente la storia; in alcuni casi, possono essere concepite in modo da facilitare la produzione affidabile di storie particolari, specifiche, e strutturate in un certo modo (per es. con un inizio, uno svolgimento e una fine), spesso in un contesto tematico ben preciso (esempio tipico: Polaris). Le storie prodotte da questi giochi sono prodotte “live” (story now), mentre si gioca, e non decise a priori o ricostruite retrospettivamente quando si esamina cos’è successo durante la sessione di gioco. Un altro esempio tipico è My Life with Master, tradotto come La Mia Vita col Padrone, uno dei primi giochi indie a diffondersi apprezzabilmente in Italia (almeno, che mi ricordi – era il 2008 o il 2009). Un esempio di gioco forse più abbordabile è Dogs in the Vineyard (Cani nella Vigna), anche questo divenuto un classico. Alcuni (tra cui me!) tendono a non amare molto questo tipo di meccaniche, perché possono spezzare l’immersione nel gioco (parlo soprattutto delle meccaniche che forniscono controllo narrativo al giocatore). C’è qualcuno che vorrebbe farvi credere che se non vi piacciono questi giochi siete delle brutte persone. Ovviamente non è vero. È solo questione di preferenze personali. Potrebbero esserci molte ragioni per cui non vi piacciono. Potrebbe essere perché magari per voi la storia non è così importante come credevate. Per voi potrebbe essere più importante l’immersione, che è una cosa diversa, o la simulazione (di un mondo fittizio o di un particolare genere di fiction). Oppure potrebbe essere perché preferite giocare seguendo una storia predeterminata e scritta da qualcun altro. O magari vedete il gioco di ruolo principalmente come un’esperienza di gioco, e della storia non ve ne può fregare di meno. The Forge oggi, e perché un sacco di gente ce l’ha ancora con quel dannato sito Il sito The Forge è stato chiuso da Edwards, perché riteneva che avesse esaurito il suo scopo (in pratica, dimostrare che era possibile l’autopubblicazione di un gdr così come l’autore lo intendeva, senza dover obbedire a esigenze di mercato, mode, o altri principi che non fossero il suo gusto). Una sezione del forum venne chiusa nel 2005, e poi il resto del sito fu chiuso definitivamente nel 2012; esiste ancora, ma solo come archivio. Oggi, nel 2016, il Big Model e le teorie forgite sono pressoché irrilevanti per chiunque, nel senso che ormai non se ne discute praticamente più. L’unico che forse continua a prenderle sul serio è Ron Edwards – personaggio caduto un po’ nel dimenticatoio. Neppure a Vincent Baker frega più una mazza del big model e della teoria GNS. C’è ancora qualcuno che ne parla, ma sinceramente fa molto 2008 (o 2010 se vivi in Italia, da noi arriva tutto dopo). Se il Big Model ed in generale The Forge sono ormai storia, molti giochi nati nel contesto della forgia hanno avuto una grossa influenza nell’industria dei giochi di ruolo. Alcune idee sviluppate in quel contesto sono entrate a far parte del bagaglio culturale generale, ed incorporate in giochi per altri versi tradizionali (vedi per esempio 13th Age, e lo stesso D&D 5E con l’Ispirazione). Direi che la distinzione giochi tradizionali/giochi non tradizionali è un po’ sfumata negli ultimi anni, e probabilmente non è più molto utile. Fate è tradizionale o non tradizionale? I pbta (giochi derivati da Apocalypse World) sono tradizionali o non tradizionali? Personalmente non saprei rispondere: sì, sono giochi non tradizionali per alcuni aspetti, ma allo stesso tempo vicini come impostazione ai giochi tradizionali. Quello che è importante capire è che le varie teorie forgite erano teorie concepite per analizzare il gdr secondo l’ottica di una persona insoddisfatta e infelice del proprio gioco, che non riusciva a ottenere quello che voleva dal gioco, e non capiva bene né perché, né come risolvere i suoi problemi. Oggi questo non è più vero – The Forge ha vinto la sua battaglia; ha cambiato la cultura del gdr. Oggi esistono centinaia o forse migliaia di giochi diversi, per tutti i gusti; giochi tradizionali, giochi non tradizionali, giochi con il GM, giochi senza il GM, giochi con i dadi, giochi senza dadi, giochi con i tarocchi, giochi così sperimentali che esiterei a definirli giochi di ruolo. C’è anche, in generale, più consapevolezza sul fatto che le persone che giocano di ruolo possono avere motivazioni diverse per giocare, e dunque esigenze diverse; che non tutti i giocatori traggono il proprio divertimento dalle stesse fonti; e c’è più consapevolezza circa i problemi (sociali e non) che possono far sì che il gioco vada storto e la gente non si diverta. Nonostante abbia ormai fatto il suo tempo, a distanza di anni dalla sua scomparsa ci sono ancora tantissimi forum dove anche solo nominare The Forge fa subito scaldare gli animi. Il fatto è che c’è un sacco di gente a cui The Forge ha dato molto fastidio. Nella stragrande maggioranza dei casi, questo è dipeso non tanto da The Forge in sé, ma dai suoi fanboy, che all’epoca di massima popolarità della forgia, andavano in giro per i forum a promuovere, anche molto aggressivamente, i giochi e le teorie forgite. Questo veniva spesso fatto criticando con una certa acredine i giocatori ed i giochi tradizioanli – scatenando regolarmente flame e polemiche. Quello che dava fastidio (almeno, a me) era 1) il fervore quasi religioso con cui certi concetti venivano spinti;2) l’atteggiamento spocchioso/elitario/snob, per cui pareva che ci fossero gdr giusti e gdr sbagliati, così come modi giusti di divertirsi e modi sbagliati; 3) la tendenza a criticare aggressivamente i giochi tradizionali e i giocatori tradizionali,trattati talora come deficienti solo per il fatto di apprezzare un certo tipo di gioco. A questo bisogna aggiungere il gergo forgita, composto anche di espressioni francamente offensive, che non è che facessero molto per nascondere il disprezzo verso chi giocava ai giochi tradizionali: vedi il termine brain damage, o il nostranoparpuzio (coniato da un utente di cui non faccio il nome, ma che incorpora perfettamente le caratteristiche di cui sopra). Purtroppo raramente si vedevano le persone più moderate prendere le distanze da questi eccessi vergognosi (“no aspetta, ma che c*zzo stai dicendo?”). Per come la vedo io, la diffidenza e l’astio nei confronti della Forgia è soprattutto frutto di questo tono da missionario-inquisitore e dall’integralismo di certi utenti che ancora oggi bazzicano in, uhm, certi forum. Che ne penso io della Forgia e dei giochi non tradizionali? In generale, non tollero il fanboy forgita prepotente – quello aggressivo, invadente, polemico, che non riesce a parlare dei giochi che gli piacciono senza parlare male dei giochi che piacciono agli altri. E non dovreste tollerarlo neanche voi, a prescindere dalle vostre preferenze. Riguardo The Forge ed i giochi non tradizionali in sé: alcune parti delle teorie della forgia sono interessanti e anche condivisibili, altre non mi trovano d’accordo. Penso tuttavia che l’esistenza di The Forge sia stata utile perché: 1) ha catalizzato la creazione di un sacco di giochi innovativi. Alcuni mi piacciono, altri no, altri mi lasciano indifferente. Ma va bene: non sono giochi che magari sono interessato a giocare personalmente, ma sono contento che esistano. Sono contento se rispondono agli appetiti di qualcuno. E comunque alcune idee nate da questi giochi hanno contribuito ad innovare anche nell’ambito dei giochi tradizionali. 2) hanno promosso la creazione di giochi che servivano un tipo di giocatore fino a quel momento bistrattato dall’industria – il giocatore che giocava per la storia. Sono dell’opinione che ci siano giochi adatti e giochi meno adatti alle preferenze delle singole persone. Sono contento di vedere giocatori soddisfatti con i giochi non tradizionali, piuttosto che vederli lamentarsi sui forum perché non riescono a ottenere quello che vogliono con D&D o PF o che ne so. Ognuno fa i suoi giochi in pace, e tutti siamo felici. Win-win. 3) ha spinto all’autoriflessione e all’autocritica su un sacco di temi (l’autorità del DM, rapporti disfunzionali tra giocatori, la necessità di riconoscere le motivazioni delle persone, etc), e penso che da questa riflessione e autocritica ne abbia tratto beneficio anche il gioco tradizionale. TL; DR A partire dalla metà degli anni ’80, il gioco di ruolo si allontana dalle proprie radici introducendo l’idea di giocare per raccontare una storia. Dal punto di vista della storia, le campagne giocate con giochi tradizionali sono tipicamente comprese all’interno di uno spettro: ad un estremo dello spettro troviamo la campagna con la storia predeterminata che sarà seguita durante il gioco effettivo; all’altro estremo troviamo la campagna priva di qualunque storia predeterminata, che invece emerge naturalmente, sul momento, durante il gioco. Entrambi questi approcci hanno pro e contro, e in linea di massima nessuno dei due è intrinsecamente sbagliato, purché i giocatori diano il proprio consenso informato e si divertano; tuttavia, l’approccio “storia predeterminata” è spesso imposto a giocatori che non lo desiderano, e come tale è generalmente malvisto. Alla fine degli anni ’90 iniziano ad emergere giochi non-tradizionali, che adottano un approccio nuovo: le loro meccaniche facilitano in vario modo la creazione di storie. Questi giochi esplodono anche grazie a The Forge, una community ora defunta che fece da punto di raccolta per autori e giocatori insoddisfatti del proprio gioco. Parecchie idee nate nel contesto della Forgia hanno influenzato lo sviluppo di molti giochi recenti, per altri versi tradizionali, e hanno cambiato la cultura dei gdr in generale. Qual è il take-home message? Non tutti i giocatori hanno necessariamente bisogno di una storia appassionante per divertirsi, che è un’idea che non è sempre stata intrinseca al gioco di ruolo (vedi il sandbox play, che generalmente è divertente pur essendo incapace di produrre affidabilmente storie degne di nota). Ai vostri giocatori potrebbe andare bene di giocare una storia predeterminata, e potrebbero anche accettare un po’ di railroading pur di rimanere sui binari; però non datelo per scontato! Prima di farlo, parlate con loro e chiarite le vostre aspettative reciproche. In caso di dubbio, l’approccio più safe è rinunciare alla propria storia predeterminata per non annullare la libertà d’azione dei vostri giocatori, e far reagire l’ambientazione alle loro scelte. Più o meno è la stessa roba per barare – ai vostri giocatori potrebbe andare bene che il DM modifichi i tiri di nascosto per esigenze di storia, ma potrebbero anche non gradire l’idea. Prima di farlo, parlatene con loro. Se non vogliono, trovate un’altra soluzione. Se siete insoddisfatti del vostro gioco, prendete in considerazione l’idea che forse state usando il sistema di gioco per scopi diversi da quelli per cui è stato concepito. Forse le vostre aspettative non si allineano bene a quelle del gioco. Tenete presente che ci sono tanti giochi di ruolo a vostra disposizione, e magari uno di questi potrebbe esservi più congeniale. Se per voi la storia è davvero importante, e ritenete che D&D o Pathfinder non vi soddisfino, ci sono molti giochi che sono stati progettati per produrre storie. Se è la vostra idea di divertimento, funzionano.
  24. Ora non ho tempo di elaborare una risposta più articolata, ma quello che vuoi fare tu è aumentare il gameplay riservato al viaggio. Questo post del mio blog è pertinente, può darti un'idea di come ottenere quello che vuoi.
  25. Dipende dallo scopo con cui crei la tua ambientazione. In particolare, dipende molto se ti interessa un eventuale ritorno economico (es. tramite autopubblicazione) oppure se lo fai per giocarci con i tuoi amici. Se lo fai per tuo uso, puoi fare quello che ti pare. Se al tuo tavolo si gioca ancora a D&D 3.5, ha perfettamente senso creare il tuo setting per D&D 3.5. Tanto lo dovete usare voi. In caso contrario, le considerazioni sono diverse. Sistema generico/Sistema non generico ma adattato vs Sistema scritto con l'ambientazione in mente Un sistema generico è progettato con l'idea di essere utilizzabile per qualunque genere ed ambientazione, o quasi; uno potrebbe avere la necessità di adattarlo un minimo al setting o al genere, ma il lavoro spesso è abbastanza limitato. Lo stesso discorso vale per un sistema non generico, con la differenza che a seconda dei casi adattarlo può essere più complicato. Notare, tra parentesi, che D&D *non è* un sistema generico - D&D è un sistema concepito con il fantasy in mente; e nemmeno tutto il fantasy, ma uno specifico tipo di fantasy (fantasy eroico/supereroico); se lo vuoi usare per qualcosa di diverso, devi fare un lavoro di adattamento che può essere più o meno importante a seconda di quanto il setting che hai in mente si distanzia dalle premesse di base di D&D. Lo svantaggio è che il sistema generico o il sistema adattato può non rendere bene il feel dell'ambientazione. In alcuni casi, può essere anche poco compatibile con il setting - e quindi potrebbe richiedere dei rimaneggiamenti vistosi prima di essere utilizzabile. Per esempio, Fate è una pessima scelta per il genere horror (secondo me eh, poi c'è anche chi lo nega ostinatamente). Magari anche dopo gli adattamenti si continua a "sentire" che non è un sistema pensato con il setting in mente. Scrivere il sistema con l'ambientazione in mente è un lavoraccio, ma potenzialmente ti permette di trasmettere esattamente il tipo di esperienza che vuoi trasmettere con quel particolare setting. Un esempio che faccio spesso è The One Ring (L'unico Anello in trad. it), il cui sistema rende benissimo le atmosfere di Tolkien; si vede che è stato scritto con i libri in mente. Creare il sistema da zero vs Usarne uno già fatto In generale, creare il proprio sistema da zero è una strada che non consiglierei a meno che non si abbia idea di che cosa si sta facendo. Il che, in pratica, vuol dire avere una buona conoscenza dell'industria dei gdr, sapere quali sono le idee ed i sistemi "trendy" del momento, cosa è stato fatto in passato e cosa no. Se non hai una chiara idea di quello che stai facendo, ci sono grosse probabilità che i tuoi sforzi creativi producano un "fantasy heartbreaker". Non so se hai mai sentito questa espressione - un fantasy heartbreaker è il gioco che viene tipicamente prodotto da un designer principiante, che ha giocato solo a D&D. È un gioco che ti "spezza il cuore" perché magari ha idee originali e meritevoli, che però si perdono in un mare di elementi ripresi acriticamente da D&D, senza prendere atto delle innovazioni dei sistemi odierni. Tieni conto che D&D 3.x è un gioco che sarebbe stato innovativo nei tardi anni 80/primi anni '90... oggi, nel 2016, non solo va contro le tendenze più recenti (visto che ora vanno di moda i sistemi leggeri), ma è davvero molto datato sotto praticamente tutti gli aspetti. Di nuovo: se scrivi un sistema per supportare la tua ambientazione per tuo uso privato, puoi fare quello che ti pare - e ti invito a farlo se l'idea ti piace e ti diverte. Se invece, come dicevo più su, hai una mezza idea di pubblicarlo, io eviterei di scrivere il mio sistema, a meno che tu non sia al corrente dei recenti trend in termini di design di gdr. Probabilmente ti conviene scegliere in prima istanza uno dei sistemi generici "trendy" del momento (come Fate o Savage Worlds), o D&D 5E (ha il vantaggio di avere un bacino di utenza più ampio, visto che la 3.5 e la 4e hanno terminato il loro ciclo vitale, ed il pool di giocatori è destinato a ridursi). In vista di una eventuale pubblicazione, personalmente ti consiglierei caldamente di dare un'occhiata a Fate, in parte perché è un sistema molto elegante ed elastico, ma soprattutto perché va molto di moda. Tieni conto che ora come ora, come scrivevo più su, vanno di moda i sistemi leggeri. I sistemi pesanti come D&D 3.5, Pathfinder, o GURPS sono molto out of touch con le tendenze di adesso. Inoltre, dipende un po' dall'ambientazione. Per esempio, un ambientazione high fantasy molto over-the-top e cinematica probabilmente verrebbe bene con Savage Worlds, mentre GURPS sarebbe forse poco adatto (se la tua ambientazione è un po' stile wuxia, probabilmente vuoi azioni cinematiche e spettacolari - quindi un sistema di risoluzione semplice e veloce; non vuoi avere un fantastiliardo di modificatori ogni volta che vuoi saltare da un fosso, mi spiego?). Un sistema low fantasy abbastanza crudo e realistico verrebbe "di default" meglio con GURPS che con SW. (anche se con GURPS avresti il problema della licenza )
×
×
  • Crea nuovo...