Arendil Velarish, il Vagabondo
"Ti accompagni a gente inusuale anche per le tue strane abitudini, Ach'eron", dico, scivolando fuori dalle ombre di una stanzetta adiacente, lasciando che le suole delle mie calzature risuonino sul rozzo pavimento.
Aspetto
Lo sgradevole suono della parlata umana mi raschia la gola, lasciandomi un sapore amaro, mentre mi costringo a soffocare il ritmo musicale della mia lingua natia, che parrebbe una nenia o una dolce musica alle orecchie degli altri presenti.
Mi soffermo un attimo a pensare ai diversi significati che la mia frase avrebbe tra le mura di Biel-Tan, poi cerco di imprimere l'unico senso che mi sembra presente secondo gli standard dei Mon-Keigh. Faccio il riflesso di un inchino, più per abitudine che per reale cortesia, e spiego, rivolto ai nuovi arrivati: "Sono io il collaboratore di cui parlava poc'anzi De Plano. Il mio nome è Arendil, ma potete, per semplicità, chiamarmi...", mi sorprendo a pensarci, arrestando la presentazione un millisecondo, "il Vagabondo.
Sì. Andrà bene. In fondo, è ciò che io adesso sono.
Un vagabondo".
Scosto la mano destra dal petto e percepisco le vibrazioni che scorrono lungo i tessuti di spettrosso, le mie sensazioni naturali sostituite dalla eco delle membrane psicoreattive.
Nascondo un sospiro: i Cantori hanno fatto un lavoro straordinario, che non mi meritavo e che mai saprò ripagare a dovere.
Ma almeno sto scontando la mia pena, in mezzo a questi barbari.