Shen Yun-Chow
Ľapprossimarsi di un signore anziano, che nasconde abilmente la sua età dietro un atteggiamento ancora profondamente sicuro ed un portamento che potrebbe sostenere il peso di una montagna, mi distrae dai miei (sciocchi?) pensieri.
Trovo un poco inquietante, in effetti, che il cervello innaturale di questa nostra casa-grotta di metallo riesca ad intuire le mie inespresse necessità, laddove vorrei tanto dissipare gli irritanti e servizievoli spiriti cangianti che ci circondano... ma poi guardo la struttura innegabilmente, sinceramente sintetica del mio braccio e mi costringo a ricompormi. La vanità della sciocchezza.
Il ragazzo tutto vestito di nero che il soldato (è un soldato, no? Disciplina, autorità, compostezza) ha interpellato assieme a me mostra deferenza e rispetto, con una straordinaria energia e convinzione.
Continuano, ahimè, a sfuggirmi ruoli sociali e gerarchie, catene di comando e legami.
Anche i rudimenti della socialità più civile, ad essere onesti, scansano con costanza ed abilità le mie frequentazioni.
"Sì, signore. Ho anch'io un nome, anche se non ho mai avuto la fortuna di sceglierlo", rispondo.
"D'altronde, parmi che un nome sia peggio di un vestito, che almeno serve a proteggere dal freddo o dal caldo. Al contrario, un nome mi è sempre sembrato una semplice arma di cui gli altri possano fare uso.
Non trovate?".