Sandrine Alamaire
Stivali di pelle nera da amazzone, alti fino al ginocchio.
Brache anch'esse nere, strette in vita da una cintura con fibbia in argento sbalzato con placcatura.
Camicia bianca con maniche e colletto a sbuffo, in pizzo ricamato.
Gilet in seta azzurra, a nove bottoni fascianti.
Redingote bianca, a doppio petto, bordata ďoro.
Cappello a falda larga, bianco, con un piumaggio sul lato.
Niente trucco. Solo una linea di contorno lungo la sagoma degli occhi. Il viola. Sempre il viola.
Conto i gradini i passi i gradini i passi le porte mentre scendo e affogo nella tenebra.
Nero Gomez. Pirata. Codardo. Manipolatore. Prigioniero. Nostromo... nostromo?
Vedremo.
L'ironia nella decisione di Kerberos non è passata inosservata. Mi domando se voglia anche mettermi alla prova.
Ho trascorso la giornata di ieri leggendo, scrivendo, suonando, apprendendo, annotando, cantando. Pasti veloci, una passeggiata, l'orecchio teso lungo le vie, una gonna a balze, trini, merletti, quadriglie, rondò e walzer dopocena.
Sono pronta. Feccia.
I tacchi risuonano a dovere. La Contessa di Zefiro non può mai entrare senza fare girare tutte le teste.
Fulmino le guardie troppo poco zelanti verso il dovere e troppe curiose riguardo la forma del mio sedere: per gli dei, almeno che dissimulino!
Apro la porta della stanza dove ozia Gomez, senza bussare né annunciarmi.
Feccia.
Potrei quasi scommettere che sa già della mia presenza, ma quantomeno non voglio concedergli il lusso della privacy.
"Non ti sei ancora attaccato alla trave con la cintura, Gomez?
No, certo. Per fortuna, no. Perché togliermi questo piacere? Potrei quasi essertene riconoscente...
Oggi hai visite. Non ti ci abituare".
'Beh, tutto sommato, mi sono controllata...
Sarà un lungo anno.
Cominciamo bene '.