Bon, ho voglia di scrivere in questo periodo...non sono particolarmente bravo a scrivere racconti ma, come si dice, senza la sconfitta non si apprezza la vittoria..
Ecco il primo..
Ormai da tempo il vento di quella gelida mattina non lo disturbava più. Poche ore prima aveva odiato la decisione di uscire di casa prima dell’alba ancora una volta, seguendo una delle sue tante passioni, ma ora che le nuvole erano più chiare e un timido sole iniziava a scaldargli le ossa, non avrebbe voluto trovarsi in un altro luogo.
La settimana che aveva preceduto quell’ unica giornata di svago era stata più impegnativa del solito: i suoi due figli iniziavano a diventare grandi e il maggiore si allontanava sempre più dal suo abbraccio apparentemente freddo, mentre il secondo genito era ancora troppo piccolo per seguirlo, suo malgrado.
I pensieri continuavano a correre in quello che, lo riconosceva, era un momento di debolezza. Uno dei tanti, forse, che lo raggiungevano quando era da solo: la sua situazione non era facile, le sue giornate passavano spesso tra il lavoro e poco altro, sperando di non essere troppo stanco o innervosito, alla sera, per poter giocare anche solo dieci minuti con i due bambini.
Adesso rimpiangeva di non passare abbastanza tempo con loro, di non conoscerli abbastanza e di non far capire a loro, ancora ragazzi, che erano la sua gioia più grande; ma era fatto così, era il suo carattere e non lo avrebbe potuto cambiare a quasi 50 anni.
50 anni..
Guardò le mani che reggevano la sua carabina, un regalo che risaliva a ormai parecchi anni prima, e restò qualche istante a osservare le lievi rughe che si formavano sulle sue nocche robuste, le vecchie cicatrici di un uomo cui raramente piaceva restare in città e una leggera tristezza si impadronì di lui in un istante: era cresciuto e lo aveva fatto fin troppo in fretta. Non rimpiangeva di essere diventato l’uomo che era, nè di aver fatto le proprie scelte, per quanto in quei momenti sembrassero sbagliate e sconvenienti per la sua carriera; ma aveva seguito il proprio cuore e il proprio istinto e sapeva che era la cosa giusta da fare.
Ricordare la propria gioventù e vedersi ora, invecchiato quasi all’improvviso, tuttavia lo riempiva di un’ inequivocabile consapevolezza di ciò che la vita è.
Per alcuni minuti stette lì, lo sguardo fisso su se stesso, cercando di dare un senso a ciò che la sua mente non aveva voluto ancora accettare ma che, in fin dei conti, era inevitabile. Non ci riuscì subito: dopo qualche istante le sue mani presero a tremare lievemente, quasi il corpo tramutasse in realtà ciò che la suggestione comandava e in un attimo fu panico: gli occhi si fecero lucidi e un insolito caldo gli fece sudare leggermente la fronte, a dispetto del vento che, inconsapevole, non smetteva di soffiare gelido. “Cos’era stato della sua vita?” si chiedeva incessantemente; “dov’era la sua giovinezza, la sua vivacità? E i suoi grandiosi progetti, che fine avevano fatto?”
La vita aveva preso una piega inaspettatamente triste, guardandola da quella prospettiva, eppure ricordava che da ragazzo non faceva che pensare che sarebbe stato un grande, sarebbe stato qualcuno di importante, un uomo senza problemi di soldi...qualcuno che non avrebbe dovuto contare le bottiglie di vino che comprava o i fiori che avrebbe offerto alla moglie o i giochi che avrebbe comprato ai propri figli. E poi? Sembrava quasi che la vita gli fosse passata davanti, così, come una macchina che distrattamente sorpassa un autostoppista.
Gli alberi avevano nel frattempo smesso di muoversi, non più scossi dalla brezza del Nord e le nuvole iniziavano nuovamente ad addensarsi sopra il vasto campo alberato, minacciando una furiosa pioggia. Ancora non erano le undici di mattina, ma l’uomo era già stanco, questa volta: per quel giorno aveva perso l’interesse a ciò che stava facendo e a quel punto non gli restava che riporre l’arma e prendere il sentiero di casa. Distrattamente i suoi occhi si spostarono verso i piedi, vicino ai quali era caduta una vecchia cuffia di lana marrone chiaro, un’abitudine ereditata dal suo defunto padre. Le rughe sottili che contornavano i suoi occhi, resi più chiari dal sole d’estate durante le lunghe giornate passate in barca, si accentuarono per qualche istante in un’espressione rapìta, per poi distendersi in un lieve sorriso mentre per la seconda volta una lacrima si estingueva scivolando lungo la sua guancia; si chinò lentamente per prendere il copricapo e risollevandosi, lo rimise in testa. Ancora un attimo di esitazione e il suo fucile sarebbe stato scarico, pronto per essere riposto.
L’arma non era per intero dentro la sua custodia quando da lontano si sentirono muovere delle frasche con violenza e i cani abbaiare; l’uomo sollevò d’istinto lo sguardo ma, disinteressato, tornò ai suoi preparativi, anche se per pochi secondi. Mentre chiudeva la cerniera del fodero, prese a correre davanti a lui la sua preda: una delle bestie più grosse che avesse mai visto nella sua isola correva a poco più di dieci metri di distanza, quasi sfilandogli davanti, sebbene a velocità sostenuta. Il campo sembrava ora immenso, silenzioso nonostante i latrati dei cani e le urla degli altri cacciatori che incitavano il tiro, ma l’uomo non era pronto, il fucile era ormai riposto e le cartucce in tasca: aveva perso un’occasione d’oro. Un’altra occasione perfetta.
Il suo lungo sospiro risultò in una nuvola di vapore che si disperse rapidamente, mentre l’uomo sembrava ormai deciso ad allontanarsi. Poi, in un istante, la mente smise di elaborare i pensieri, lasciando il posto al puro istinto: il cuore prese a battere con più fretta e la sua vista non sarebbe potuta essere più chiara, persino il sudore sulla fronte sembrava essere sparito in quel momento e la mano aveva smesso il suo fastidioso tremolio. L’uomo si accorse che il fucile era già fuori dalla sua custodia prima ancora di sollevare lo sguardo per guardare la bestia che si allontanava velocemente, con la sua imponente massa, verso un muretto a valle. Ora sentiva solo i propri movimenti e i pesanti respiri dell’animale furioso; il resto, i cani, il rumore lontano dei tuoni accompagnato da un accenno di pioggia che batteva sulla canna, le urla di disapprovazione dei propri compagni che vedevano solo un’occasione sprecata, erano solo un vago ronzio.
La mano, rapida, aveva afferrato le cartucce e le aveva caricate, mentre gli occhi si spostavano verso la preda che, ormai, era a più di sessanta metri da lui e correva verso la propria salvezza attraverso un campo alberato; con un rapido movimento la prima cartuccia fu in canna e il fucile sulla spalla. Il cuore dell’uomo batteva velocemente, con un rumore somigliante ad un orologio avvolto nell’ovatta, mentre con l’estremità della canna seguiva il lesto movimento del cinghiale. Poi fu l’attimo perfetto: gli alberi erano più radi e l’animale correva di traverso, ma con un’andatura regolare: non era ferito; l’uomo trattenne il respiro, chiuse per un istante l’occhio sinistro.
Un colpo solo e la bestia percorse qualche altro metro di slancio, prima di cozzare contro un arbusto e crollare miseramente a terra.
Il colpo rimbombò tra le rocce, zittendo ogni altro rumore e ammutolendo i pochi uomini che, increduli, avevano assistito alla scena. L’uomo, con calma, si posò il fucile sulle spalle, avviandosi verso la preda che giaceva immobile mentre un sangue scuro fluiva dalla ferita alla spalla. Arrivato a pochi centimetri dalla carcassa sfilò lentamente il coltello che fu di suo padre e incise il petto per prendere il cuore, posandolo poi nel punto nel quale il colpo lo aveva raggiunto e coprendolo con poche foglie secche.
“Sei libero...” mormorò distrattamente. “E anche io..” disse poi, sorridendo felice, ricordando a stento i pensieri che pochi istanti prima lo stringevano in una scura morsa.
“Cacciapescatore...” sussurrò infine fra sè e sè, prima di scoppiare a ridere.
A papà.