Grande Eastwood, mai banale negli argomenti che tratta. L'unica pecca è che il film è un po' lento e le opinioni possono non essere condivisibili, però il buon Clint è capace di trattare argomenti spinosi senza cadere nel luogo comune (e per un film americano non è un merito da poco). E' un bel film. Lo consiglio.
Una recensione per farvi un'idea...
CHE grande, struggente, magnifico film è Million Dollar Baby. Negli Usa ha incassato poco e i moralisti gli hanno lanciato contro una campagna per un tema - l'eutanasia - che va bene quando se ne occupano gli altri ("Mare dentro" è in gara come migliore film straniero), molto meno se la produzione è americana. Però a Eastwood, che è un moralista vero, non interessa affatto fare un film a tesi: dall'interno di una squallida palestra di boxe, ci racconta una storia di solitudine e affetti, di conti col passato, di rispetto di se stessi; roba fuori moda, ma che è anche l'unica a contare davvero.
Il vecchio allenatore Frankie Gunn ne sa qualcosa. Scrive lettere a una figlia che non risponde mai, discute col prete sul senso delle cose, legge Yeats e ha un solo amico: l'inserviente del club, un anziano monocolo (Freeman) che presta la voce narrante al film. In questo iperrealistico universo di "perdenti" entra Maggie (Swank), che fa la cameriera e vuole tirare di boxe. Motivata dal sogno impossibile di farsi amare dalla sua ripugnante famiglia d'origine, la donna vince le riluttanze di Frankie, si rivela dotatissima e intraprende un'irresistibile ascesa nel campionato femminile di boxe. Finché il Fato non interviene, con tutta la sua crudeltà, a spezzare la storia d'amore tra i due.
Perché, dal racconto di F. X. Toole, Eastwood ha tratto a tutti gli effetti una storia d'amore: non nel senso materiale inteso dalla volgare madre di Maggie; di paternità vicaria, se si preferisce; d'amore comunque, come unico, ancorché effimero, lenitivo alla solitudine e al nonsenso. Clint ci parla di gente vera, che non cerca un posto al sole ma si accontenterebbe di un posto nel mondo. Un'autentica lezione d'economia poetica, dove la macchina da presa (degna di John Ford) indugia su quel che vuole mostrare esattamente per il tempo necessario; non un istante di più. Del personaggio di Frankie, basta dire che non poteva interpretarlo altri che Clint; Freeman è la migliore delle spalle. Quanto a Swank, se non le danno l'Oscar siamo già pronti alla protesta civile.