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Riporto su questo vecchio topic in quanto la situazione dadi-sfiga ha visto un'evoluzione... stanco dei dadi sfigati li ho regalati al master (aia) dicendogli di farne buon uso... il fatto è che aia, dopo aver tirato tre volte il d20 ed aver collezionato un 9, un 1 ed un 3 ha messo da parte i dadi... dicendo che sicuramente verranno usati, ma IN FUTURO (Muahahaha... è oggettivo, portano sfiga...). Un d20 che invece presi all'apertura del giocoliere nella nuova sede e che fu nell'occasione trattato da Joram (ha detto che gli ha lanciato addosso la sfiga, MAH?) ha appena compiuto un'impresa epica... in un dungeon il mio pg respira una polvere nera che lo trasporta in un altro piano di esistenza, dove un piacevole masso cerca di schiacciarlo... a qsto punto aia mi fa tirare i tiri salvezza su tempra per non venire schiacciato (e morire)... aia: tira tre volte il d20, devi farmi tre tiri salvezza... *Strike roll il dado di Joram* 20 aia: "ritira!" *Strike reroll* 20 aia: *Strike rolla per la terza volta* * *aia, vedendo che stava arrivando il terzo 20 prende il dado al volo, esasperato* "Bon dai basta, li hai passati tutti, grrrrr " Strike: Ps Joram, non è che potresti portarmi un po' di sfiga anche agli altri dadi? Ehehehehehehehehe
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Primo Racconto Fantasy (spostato)
Strikeiron ha risposto alla discussione di Strikeiron in Prosa e Poesia
Ed il terzo... sappiatemi dire se vi piacciono in qto dipendentemente andrò avanti... 3.Fratelli elfi Il cavallo affondava sempre di più nella neve fresca ed ansimava in modo orribile, quasi stesse per cadere per terra sfiancato. Cercò di tranquillizzare l’animale accarezzando il fitto manto e quindi, con una veloce stretta alle briglie, gli girò intorno per tornare indietro. Era stato pressoché un miracolo se fino a quel momento era riuscito ad evitare gli spessi e scivolosi lastroni di ghiaccio che stavano percorrendo. Sul margine sinistro si innalzava la parete liscia della montagna mentre alla sua destra si apriva uno stretto crepaccio, ma non abbastanza stretto da non far passare un cavaliere con la sua cavalcatura. Ad ovest il tramonto gettava gli ultimi bagliori rossastri sulle più alte cime dell’Ister. Dietro di loro, tanto vicino da credere di poterlo toccare, l'altissima vetta del Lifir si accese all’improvviso, avvampando nell’ultima luce rossastra del giorno, spargendo in un attimo il suo bagliore nelle valli sottostanti e sui rilievi vicini. Quando la luce si spense nel crepuscolo, anche il Lifir scomparve tornando a confondersi colle altre cime innevate. Eppure riusciva ancora ad indovinare il profilo delle pareti scoscese e liscie come il vetro, tanto liscie che nessuno di quelli che avesse osato sfidarle aveva mai fatto ritorno per raccontarlo. Lama di fuoco, ecco cosa significava il suo nome nell’idioma elfico e veramente, in quei brevi istanti del tramonto, la montagna assumeva le sembianze di una fiamma levata al cielo. Una fiamma gelida però, estranea ed irraggiungibile. Tallein inghiottì a fatica, sia preso dall’emozione che dalla preoccupazione di quel viaggio insensato che li esponeva tutti a mille pericoli: non avrebbero dovuto trovarsi lì, soprattutto con dei cavalli, dato che quella strada era più adatta ai muli. Tra poco il buio avrebbe sorpreso la loro piccola comitiva ancora su quello stretto sentiero di montagna, costringendoli tutti a fermarsi per passare la notte esattamente dove si trovavano, lontani dal passo. Strinse gli occhi perplesso, in un’espressione che accentuò ancora di più i tratti del suo volto: occhi allungati a mandorla e sopracciglia appena accennate, naso sottile, occhi e capelli scuri su orecchie vistosamente appuntite. Presto sarebbe diventato a tutti gli effetti un cittadino ed avrebbe potuto sostenere la Cerimonia dell’autunno per diventare cavaliere, se solo avesse voluto. Ma questo ora era soltanto un piccolo problema insignificante. Non mollando un istante la presa sulla briglia ripercorse a ritroso la strada dalla quale era appena venuto, osservando attentamente se vi fosse un luogo più adatto dove accamparsi con l’animale per la notte, ma non ne trovò. Mentre raggiungeva il fondo della fila gli altri elfi lo degnarono appena di uno sguardo, per lo più ignorandolo apertamente. Fece finta di nulla, come sempre, nonostante non fosse facile vivere così: dover fare il doppio di quanto facessero gli altri per venire considerato appena con sufficienza, ma mai completamente accettato. Sentì qualcuno caracollare precipitosamente giù per lo stretto sentiero dietro di lui,accompagnato dalle proteste di quanti erano stati quasi tra volti nel suo passaggio. «Ehi tu! Perché ti sei fermato? C’è ancora strada prima di arrivare in fondo a questa lunga comitiva di imbranati!» Tallein si girò e rispose, riconoscendo immediatamente la voce, senza nemmeno guardare: «Bene, allora vai avanti e mettiti al tuo posto con gli altri, Critas.» L’altro ricambiò la battuta con un sorriso beffardo. Vicino a loro nessuno sembrò prestare attenzione a quanto aveva appena detto. «Lo farei se sapessimo dove andare. Ma a quanto pare l’esperto in cima alla fila ha troppo freddo persino per pensare. Non che abbia mai dubitato che ne fosse capace!». Critas accennò con un gesto del capo nella direzione dalla quale era appena arrivato. «Quindi ci fermiamo qui!» protestò Tallein, esasperato. «Così pare al momento. Un buon posto per slavine, valanghe, frane e soprattutto per congelarsi i piedi.». Questa volta Tallein non riuscì a trattenersi e rise apertamente: «Non sembri essere molto contento di questa piccola gita all’aperto, chissà che direbbe tuo padre!» «Nostro padre, vorrai dire, Tallein. E di sicuro avrebbe un sacco di consigli da darci in un momento come questo.» «Non penso che ci darebbe soltanto consigli…». Si guardarono di sottecchi per un istante, prima di scoppiare a ridere sonoramente al pensiero di ciò che avrebbe detto. Tallein gli fu grato per questo: Critas era l’unica persona che non gli stesse lontana, l’unico a considerarlo come un fratello, nonostante così non fosse. In realtà lui soltanto era il figlio legittimo, riconosciuto e rispettato e non sapeva cosa potesse significare essere degli illegittimi, portare addosso dalla nascita una colpa che non avrebbe mai potuto essere ignorata, in nessun caso. «Io torno indietro. Hai qualcosa da riferire personalmente al nostro comune amico Dreint?» «Nulla che tu poi possa ripetere.» scherzò Tallein. «Bene. Vedo che su certe cose la pensiamo allo stesso modo.- e dicendo questo Critas sogghignò- Vedi di tenerti ben stretto alla parete e dormi bene stanotte.» «Anche tu, grazie.» gli rispose. Tallein fece scattare bruscamente il cavallo mentre si chiedeva con stupore come Dreint potesse essersi addossato la responsabilità di quella pericolosa comitiva. Personalmente lo considerava un idiota senza cervello, ma questo di per sé non poteva sufficientemente spiegare la situazione nella quale si erano cacciati. Erano tutti troppo giovani ed inesperti per una simile spedizione. Possibile che gli Osteller, non lo sapessero? Perché rischiare tutte le loro vite? Non prestavano alcuna attenzione alle voci che circolavano negli ultimi mesi? Abitanti di interi villaggi che scomparivano dal giorno alla notte senza lasciare traccia alcuna, viandanti che riferivano di essere stati inseguiti e talvolta anche attaccati da strane presenze nelle foreste più a sud. Dapprima nelle regioni degli uomini, ma ultimamente sempre più spesso a nord, ai confini con le regioni degli Elfi. I racconti passavano di bocca in bocca mutando e deformandosi in miti, leggende, o talvolta soltanto storielle prive di significato. E forse era questo il motivo per cui gli Osteller non vi avevano dato troppo credito. Ma se anche una sola di quelle storie fosse stata vera? Nel buio qualcuno intimò l’alt e l’intera colonna si arrestò improvvisamente in silenzio. Qualcuno in cima alla fila alzò improvvisamente la voce in un acceso diverbio e Tallein sorrise, riconoscendola. Critas stava già litigando con Dreint. Non si potevano accampare in un posto del genere per la notte, meglio sarebbe stato mandare avanti degli esploratori, assicurarsi se non vi fosse lì vicino un altipiano o comunque un posto migliore dove fermarsi. Ma Tallein conosceva già la risposta: ormai era troppo tardi. Già gli elfi preparavano dei fuochi con la legna raccolta durante il cammino. Alcuni montavano dei giacigli improvvisati, altri assicuravano gli animali alla parete rocciosa, in modo che non potessero fare male a sè stessi od ad altri. Nel buio si montavano già i primi turni di guardia. Tallein si preparò come gli altri, fiducioso che l’indomani sarebbero finalmente arrivati ad Olnemain, ovvero al sicuro. Ripensò alla sua casa, alle alte guglie cristalline di Laivor e provò una fitta di nostalgia. Olnemain sarebbe stata egualmente bella? Era una città di uomini, ma ciò nonostante, dicevano, possedeva una sua grazia e forza. Si chiese se avrebbe potuto essere la sua nuova casa, mentre fissava le stelle che si stagliavano nel cielo limpido ed incredibilmente profondo. Si sarebbe sentito meglio di quanto si sentisse a Laivor, guardato da tutti come un figlio bastardo e non meritevole? «A cosa pensi, fratellino?» Critas era tornato indietro e lui, completamente assorto nei propri pensieri non l’aveva neppure sentito avvicinarsi. «Nulla. Le solite cose. Cosa ti ha detto Dreint?» gli chiese. «Che conta di essere ad Olnemai al più tardi entro domani sera. Ma io ho espresso i miei dubbi, come forse hai sentito...» rispose con un sorriso beffardo. «Sì. Lo sanno tutti qui: basterebbe una bufera a fermarci. Qui il tempo potrebbe cambiare in fretta e non ci troviamo in una posizione molto felice.». L’altro annuì con un cenno del capo ed entrambi rimasero in silenzio, condividendo per un istante le medesime preoccupazioni. «Inutile starci troppo a pensare- sbottò quasi Critas- dopo una buona dormita tutto si sistemerà, vedrai.» e senza dire altro gli voltò le spalle e se ne andò bruscamente. Tallein sorrise nel buio, capendo che il fratellastro era tutto tranne che tranquillo, ma ciò nonostante non voleva rendere del tutto palese il suo nervosismo e la sua irritazione. Guardò di nuovo in cielo: non una nuvola sembrava offuscare le stelle. Lentamente sul campo scese il più assoluto silenzio, solo pochi mormorii degli elfi di guardia, con le palpebre pesanti per la lunga giornata faticosa. Il tempo passava quieto, assieme ad un impaziente vento gelido che spazzava ogni cosa e faceva rabbrividire gli elfi immersi nel sonno. Tallein aprì improvvisamente gli occhi nel buio: non un suono... tutto nel più perfetto e terribile silenzio. Nulla era cambiato da prima, per cui potevano essere passati pochi minuti come alcune ore, impossibile dirlo. Tese il suo udito al di là dell’oscurità, cercando un segnale di pericolo, ma non sentì nessun rumore. E poi capì cosa l’avesse allarmato così tanto: non sentiva le sentinelle. Rimase immobile pensando di essersi sbagliato. Ma non era così: era come se nessuno stesse facendo la guardia in quell’istante. Dormivano forse? C'era solo silenzio tutt’attorno a lui, come se una coltre di ovatta fosse scesa ad intrappolare ogni cosa. Fece per alzarsi e correre per avvertire qualcuno, ma prima che potesse muovere un solo muscolo il silenzio fu interrotto da sibili. Non appena li udì si lanciò a terra sulla neve gelida e con un colpo improvviso e soffocato una freccia si piantò nella neve nel punto in cui un attimo prima si trovava la sua testa, mentre da ogni parte altri sibili ed altri tonfi seminavano morte... Qualcuno urlò nel per dare l’allarme, ma era già troppo tardi. Le frecce ora colpivano senza pietà, decimando qualsiasi cosa si muovesse, animali imbizzarriti od elfi. Ai confini di quell’accampamento provvisorio non si sentiva rumore di armi, ma solo gemiti agghiaccianti ed urla di morenti. Tallein chiuse gli occhi con forza e rimase immobile. Non era possibile, stava sognando! Ma i gemiti si avvicinavano sempre più, rendendo ogni ribellione inutile in quella sorta di trappola. Nessuno di loro poteva scappare: potevano soltanto attendere la propria morte nel buio. Ma lui non voleva finire così, riaprì gli occhi e faticosamente prese a strisciare sulla neve gelida, tra i corpi dei compagni morenti e feriti. Ma il freddo per terra era troppo intenso: non aveva più la sensibilità per osservare ciò che accadeva lì vicino. Sapeva soltanto di dover continuare a strisciare, anche se non aveva la minima idea della direzione nella quale fosse diretto. Poi toccò con le mani intorpidite l’orlo tagliente del dirupo, al di là il nulla... nessuna via d’uscita. Ma almeno lì non era sotto la luce e pertanto neppure un bersaglio visibile per le frecce. Faticosamente si alzò in ginocchio e sguainò lentamente la propria spada. Se non c’era più speranza nella fuga, almeno avrebbe lottato contro quel nemico implacabile, fino alla morte. Ciò nonostante i gemiti si stavano allontanando da lui ora, lasciando dietro di sè uno strano silenzio di morte. Poi il nemico arrivò nel buio davanti a lui. Vedeva tutto rallentato ora, anche quella strana figura contorta che gli si avvicinava; poi si accorse di conoscere quel respiro, anche se ora era affannoso. Abbassò la spada e lo chiamò, sussurrando: «Critas! Sei salvo!» Le mani del suo fratellastro si strinsero attorno al suo braccio con una dolorosa fitta, sul viso macchiato di sangue un’espressione folle: «Scappa, subito! Non c’è altro da fare qui!». Lo trascinò via di peso appena in tempo. I pochi cavalli imbizzarriti rimasti in vita scaraventavano gli altri elfi fuori dal sentiero nel ghiaccio infido, giù nel vuoto. «Lasciami! Voglio combattere!» gridò Tallein e si scosse, ma fu come se avesse parlato al vento. Non aveva paura: sarebbe rimasto lì fino all’ultimo se le mani forti dell'altro non l’avessero spinto a tradimento nel crepaccio. Urlò di disperazione contro Critas e l’ultima cosa che vide fu il suo volto contorto da un’espressione di dolore. Per un istante le sue mani si aggrapparono freneticamente all’orlo di ghiaccio liscio come il vetro per scivolare al di là, verso il vuoto. Chiuse gli occhi mentre cadeva rapidamente nell’oscurità verso una morte orrenda. Ed invece nell'oscurità l’acqua gelida e scura gli frustò la schiena e si richiuse dietro di lui, premendo sui polmoni con la sua stretta gelida. Riemerse a fatica nella corrente vigorosa e riaprì gli occhi per vedere davanti a sè una strana luce. Nuotò, lottando verso di essa per lunghi istanti, verso l’aria calda, il corpo già dolorante che scattava per sopravvivere ai morsi dell’acqua gelida. Ancora pochi secondi e la corrente l’avrebbe riportato giù intorpidito, verso la morte. Ed una mano l’afferrò con vigore e lo trasse a riva proprio mentre stava perdendo le ultime forze. «Accidenti giovane amico. Non mi sembra la notte giusta per una nuotata questa. Cosa ti è passato per la testa? Mica sarai piovuto dal cielo?». Tallein riconobbe a fatica la sagoma di un nano accanto al fuoco caldo: «Lassù... lì stanno uccidendo tutti... devi aiutarmi.» mormorò e scosse la testa, senza fiato, i vestiti fradici ed insieme pesanti sugli arti intorpiditi. Una strana sonnolenza si stava impadronendo di lui...aveva freddo… Il nano lo scosse vigorosamente, togliendogli di dosso i vestiti bagnati ed avvolgendolo in una coperta asciutta: «Stai sveglio ancora un istante, non addormentarti!- il tono di voce era pressante- Bevi adesso! Ci penseremo domani ai tuoi amici.» sussurrò, seccato, porgendogli una fiaschetta. Subito dopo aver bevuto Tallein tossì rumorosamente, mentre una specie di fuoco liquido gli scendeva nelle viscere, dopodichè crollò addormentato. Quando si svegliò era ormai l’alba. Era ancora avvolto strettamente in una rozza coperta, mentre il nano che l'aveva recuperato dal fiume se ne stava ancora con la testa a ciondoloni dal sonno sulle ceneri ormai fumanti del fuoco, cercando ancora di tenersi sveglio. Tallein riconobbe in quel nano la sagoma confusa che aveva intravisto poche ore prima e ricordò tutto. Doveva sbrigarsi e subito. Non appena si mosse il nano scattò in piedi lì accanto, sospirando e stiracchiandosi, come se avesse appena fatto una sana dormita. La sua faccia placida era uno strano accostamento con l’ascia grande almeno il doppio di lui che portava a tracolla. «Buongiorno giovane elfo, ti senti meglio stamattina?» «Un po’ impacciato da questa coperta, ma bene. Vorrei i miei vestiti però e subito.» gli rispose. «Ehm sì certo naturalmente- il nano tossicchiò leggermente, quindi gli porse un fagotto asciutto- Questi sono i tuoi vestiti, puzzeranno un po’ di fumo, ma per lo meno sono ben asciutti.» Liberandosi a malapena dall’intrico delle coperte ed indossando velocemente i vestiti sgualciti Tallein si rese conto che il nano indossava una pesante tenuta da guardiacaccia. Ma cosa ci faceva lì da solo sulle montagne? «Il mio nome è Tallein ed il tuo?» gli chiese. «Pantekor, gli amici mi chiamano Pan- rispose il nano sorridendo- Ed ora che ci siamo presentati mi vuoi dire cosa diavolo...» «Devo arrivare lassù.» lo interruppe il giovane elfo che aveva già finito rapidamente di vestirsi e si rimise in piedi, guardandosi attorno. «Ecco appunto. Mi vuoi dire da dove sbuchi fuori? Questa notte sei arrivato dal cielo...hai fatto un bel volo tra l’altro se non m’inganno e deliravi che erano morti tutti. Mi vuoi dire per che accidenti di motivo ti sei buttato nel fiume? Volevi morire?» Tallein non lo considerò nemmeno, ma con la maggior rapidità che gli fosse consentita individuò il sentiero che si inerpicava sulla parete rocciosa. Doveva assolutamente tornare indietro e subito. «Tu non vai da nessuna parte, mio caro amico. Non senza di me almeno.» Il nano, indovinando le sue intenzioni, gli si era piantato davanti maneggiando con grazia l’enorme ascia bipenne che faceva roteare come un fuscello. Tallein si fermò terrorizzato: per ogni istante perduto potevano esservi altri suoi compagni morti lassù, se ancora vi fosse stata la flebile speranza che qualcuno si fosse salvato. «Senti Pantekor, questa cosa non ti riguarda. Ti ringrazio per avermi tirato fuori dall’acqua stanotte, ma non posso rimanere qui, quindi lasciami passare.» Il nano pensò che quell’espressione fosse dettata dal timore della sua arma e sorrise sarcasticamente, senza muoversi di un millimetro: «Bla, bla, bla. Tutta chiacchera. Tu di qui non ti muovi senza di me.» lo sfidò. «D’accordo - si rassegnò Tallein, sospirando rassegnato- vieni con me.» Pantekor sorrise: «Così andiamo bene giovane elfo- rimarcò-fammi strada.». Insieme si inerpicarono sulla rupe scoscesa che formava uno dei pendii in fondo al quale scorreva impetuoso il ruscello. Tallein cercò di orientarsi e capì presto di essere stato tratto in salvo sulla riva opposta rispetto a quella dalla quale era caduto. Si fermò incerto ed allora fu la volta di Pantekor di mostrargli la strada; rapidamente lo guidò ad un passaggio roccioso ed insieme ritrovarono il proseguimento della strada che Tallein ed i suoi compagni non erano riusciti a percorrere. Contrariamente a quanto l’elfo avesse potuto pensare non si allargava, bensì si restringeva a formare quasi un collo di bottiglia. Dopo quasi un’ora che camminavano il sentiero cominciò quindi ad innalzarsi sempre di più, allontanandosi bruscamente dall’acqua. Ma per quanto tempo era stato trascinato dalla corrente? Ricordava vagamente ora quello che era appena successo quella notte, vaghi frammenti separati che lo riempivano di angoscia. Le rocce si coprirono di ghiaccio e neve, eppure il nano sembrava essere perfettamente nel suo elemento. Tallein faticava a stargli dietro. Poi li vide. Larghe ombre nere nel cielo che vorticavano su un punto là, poco sopra di loro. I corvi planavano gracchiando in cerchi sempre più piccoli. Improvvisamente sia il nano che l’elfo accelerarono il passo, capendo di essere prossimi alla loro meta. Lo stretto budello si aprì improvvisamente davanti a loro e Tallein riconobbe a fatica il luogo dove si erano accampati la notte prima. I corpi straziati erano sparsi dappertutto sulla neve vermiglia. Chiunque fosse stato il loro assassino si era divertito bestialmente a straziare i corpi; perfino i cavalli non erano stati risparmiati. Alcuni dei cadaveri orribilmente straziati erano ormai irriconoscibili. Pantekor cacciò i corvi con un’espressione nauseata e Tallein capì in quel momento: non vi erano sopravvissuti. Ciò nonostante cominciò a camminare lentamente tra i corpi straziati. Cercava Critas. Ma per quanto si facesse forza non lo riconobbe in nessuna di quelle figure. Lentamente, sopraffatto da un tale orrore, si mise a piangere. Le lacrime gli velarono gli occhi, impedendogli di osservare più a lungo quell’orrore. Inconsciamente li aveva contati, passando tra loro: capì in un solo istante di essere rimasto l’unico superstite. Aveva odiato quelle persone soltanto poche ore prima ed ora odiava sè stesso per non essere morto con loro. Critas gli aveva salvato la vita. “Giovane elfo! Guarda qui!» lo richiamò improvvisamente Pantekor. Aveva raccolto qualcosa da terra e la stava esaminando con interesse. Tallein si avvicinò, guardando stupito nella neve davanti a lui, notando qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, ma che la sua mente faticava ancora a comprendere. Pantekor lo guardò seriamente mentre gli allungava l’oggetto che teneva tra le mani: era una freccia. «La riconosci?» gli chiese. Tallein fece cenno di no. Non aveva mai visto una freccia del genere. «Uomini- brontolò il nano- ma non comuni. Non uomini delle montagne. Queste frecce vengono dalla pianura... sono le armi dell’esercito di Olnemain.» Tallein faticò a comprendere: «Uomini?- chiese- Ma perchè mai?» «Appunto, per quale motivo avrebbero dovuto spingersi fin qua? E poi guarda questo...» si accucciò a terra, indicando con la mano una porzione di terreno in ombra, dove ancora la neve non si era del tutto scongelata. «Non mi risulta che gli uomini abbiano artigli.» aggiunse, preoccupato. Tallein guardò con attenzione, quelle avrebbero potuto essere tracce fresche, di qualche animale passato di là dopo che era già successo tutto. Ma nella neve fresca si riconosceva ancora l’impronta di un piede...dotato di lunghi e spessi artigli. Niente di umano poteva aver compiuto quella strage ed allora Tallein ricordò: i sibili tutt’attorno a loro delle frecce nell’oscurità, ma anche le urla di terrore. Per cosa? Cosa poteva esserci di tanto orribile?... Tranne qualcosa che si muovesse rapidamente nel buio, senza essere visto nè sentito. Nell’oscurità rivide l’espressione folle del fratellastro, il volto sporco di sangue, poco dopo aver udito quei terribili gemiti. Perchè Critas lo aveva spinto nel precipizio? Il nano osservò con attenzione il lieve cenno che Tallein faceva con la testa, soprappensiero. No, non poteva essere possibile. -
Primo Racconto Fantasy (spostato)
Strikeiron ha risposto alla discussione di Strikeiron in Prosa e Poesia
Beh, non tanto a breve... ma ecco il secondo capitolo: 2.Nella foresta… Passò un lungo istante di oscurità prima che nuove immagini e sensazioni emergessero dal vuoto della sua coscienza. Ciò che ora le importava era inebriarsi di quell’illusione, dimenticare chi fosse e cosa stesse facendo…e tutto era così naturale ed invitante, che non avrebbe mai voluto tornare indietro. Camminava nell’erba alta, ora; attorno a lei un bosco immenso sulle pendici delle colline catturava la luce del sole mattutino colle fitte chiome verdi. Alcuni piccoli animali guizzarono via nei loro nascondigli, al suo passaggio. I suoi piedi affondavano leggermente nel suolo umido, in leggera pendenza, che portava verso il limitare dei primi alberi attorno alla radura. Uno scoiattolo le sfrecciò velocemente accanto, fermandosi poi a guardarla con curiosità a qualche metro di distanza. Rimase immobile a guardarlo, mentre la strana sensazione di aver già vissuto quell’esperienza la sconvolse. La bestiola la fissava, irrigidita dalla paura, pronta a scattare al minimo segno di pericolo. In un battibaleno salì sull’albero più vicino e scomparve, per riapparire più su, tra il fitto fogliame, fissandola con curiosità. Poi scomparve di nuovo, indaffarato nelle sue attività. Lara si rese conto di non sentire più alcuna paura in quel luogo; guardò l’invitante tappeto di foglie secche sul sottobosco che l’invitava a stendersi e riposare un attimo. Lì non aveva nulla da temere, tanto più che era soltanto un sogno, dal quale però non si voleva ancora svegliare. Si sdraiò per terra e respirò il profumo di resina e legno secco che veniva da alcuni grossi pini lì vicino: com’era tutto tranquillo! Chiuse gli occhi e sentì che il terreno sotto di lei era stranamente morbido e secco; dov’erano finite le foglie? Spalancò gli occhi all’improvviso e per un terribile istante si trovò immersa nel buio, allora annaspò nel panico al ricordo della luce che l’avvolgeva e si levò a sedere sul letto. Dov’era finita? Era morta? Si accorse che uno strano odore di resina le pizzicava il naso, l’aria era fresca ed umida…si chiese se stesse ancora sognando. Ma man mano che i suoi occhi si abituavano a quella strana penombra, cominciò a rendersi conto di trovarsi in una stanza, accanto ad una rozza parete in legno. Si girò nel letto morbido, disturbata dal prurito sul corpo di quella che poteva essere un’enorme coperta di lana. Per il momento non riusciva a vedere tutte le pareti della stanza, ma lì vicino indovinò la forma di un tavolo ed alcune sedia, poco più in là un’enorme cassa sulla quale era stato appoggiato il suo zaino. Decisamente per essere un sogno quello cominciava ad essere un po’ troppo realistico. Com’era arrivata fin lì? Quanto tempo aveva dormito? Non aveva ancora provato ad alzarsi dal letto quando una porta su una delle pareti della stanza venne semplicemente spalancata, lasciando entrare l'aria fresca del mattino, assieme ad una pallida luce. All’istante Lara si ficcò sotto la coperta, spaventata. Poi, nel silenzio, la curiosità ebbe la meglio e sollevò un lembo del suo nascondiglio per guardare. Ferma sulla soglia una figura incappucciata stava ancora frugando in un sacco, alla ricerca di qualcosa; non appena l’ebbe trovata richiuse la porta dietro di sé, gettando di nuovo la stanza nella semioscurità. Lara si nascose di nuovo, impaurita. Al buio l’estraneo si diresse con sicurezza verso il tavolo, vi appoggiò sopra qualcosa di pesante e subito dopo si sentì uno sfrigolio ed il rumore di una sedia trascinata sul pavimento. Poi più nulla. Da sotto la calda coperta Lara si arrischiò a sbirciare fuori e si accorse che c’era luce ora. Una lampada ad olio illuminava tutta la stanza, compresa la persona seduta al tavolo: ora aveva il cappuccio calato sulle spalle a scoprire il volto. E Lara rimase intontita a fissarla: era una donna! I corti capelli grigi incorniciavano il viso piccolo ma dai lineamenti decisi, ma quello che era più strano in assoluto erano i vestiti che indossava. Lara non aveva mai visto nulla di simile, almeno non qualcosa di paragonabile a quel grande mantello grigio che l'avvolgva interamente, ricadendo quasi fino all’orlo degli stivali in cuoio. Quando loro sguardi si incrociarono la ragazza rabbrividì per un istante davanti a quegli occhi grigi e severi che conferivano al volto un’espressione leale ed aperta, ma al tempo stesso determinata. Si rituffò sotto la coperta, impaurita. «Se ti alzi forse potresti mangiare qualcosa. Dovresti avere una bella fame ormai.» disse la donna. Poi, non ricevendo risposta continuò: «Mi chiamo Vartenia. Sbrigati ora, non c’è rimasto molto tempo.». Lara capiva le parole che pronunciava quella donna, ma c'era qualcosa di strano, allo stesso tempo, come se la lingua nella quale erano state pronunciate le fosse estranea: cautamente riemerse dal proprio nascondiglio. Cosa voleva da lei? Chi era? Ma soprattutto… «Tempo per cosa?» le chiese, indispettita quasi. « Prima vestiti e dopo ti giuro che risponderò a tutte le tue domande che vorrai farmi. I tuoi vestiti sono sul letto. Sbrigati.». Questa volta il tono di voce non ammetteva repliche: Lara riemerse dalla spessa coperta in lana e scoprì di avere addosso soltanto una specie di vestaglia. Ma in che razza di posto era capitata? Prese i vestiti sul letto e spalancò la bocca, cercando di protestare. Quelli non erano i suoi vestiti! Li osservò a lungo sotto la luce fioca della lampada e constatò che probabilmente assomigliavano a quelli che indossava la donna. Come aveva detto di chiamarsi? Vartenia? Che razza di nome era quello? E chi poteva ancora vestire in quel modo? Usando goffamente la coperta a mò di paravento indossò tutto quello che aveva trovato sul letto: una maglia in stoffa, un paio di calzoni, calze pesanti, un mantello molto lungo ed un paio di robuste calzature in pelle. Erano un po' strette, ma non si lamentò ad alta voce, anche se la stoffa grezza sulla pelle nuda le dava fastidio. Ma tutto il resto le calzava alla perfezione; strano pensò, senza darci al momento troppo peso. «Sciacquati il viso. C’è un catino d’acqua pulita vicino alla porta.» aggiunse Vartenia. Lara si alzò con prudenza, temendo di cadere per un capogiro. Si sentiva debole ora e capiva di non essere più in un sogno, ma forse in una trappola. E se fosse stata rapita da qualcuno? E se fosse stata tutta una sceneggiata per osservare le sue reazioni? Si impose di stare calma e l’acqua gelida cancellò in lei le ultime tracce di sonno, mentre nella sua mente si affollavano mille domande. Perché restavano chiuse lì dentro se fuori c’era la luce? Chi era quella strana donna e cosa voleva da lei? «Ora mangia. Parleremo dopo.» la voce di Vartenia la fece sobbalzare. Ebbe l’impressione che quella donna potesse leggerle nel pensiero, ma evidentemente non poteva essere possibile. Più probabilmente avrebbe dovuto nascondere meglio le proprie reazioni se quella donna poteva così facilmente prevenirla. Almeno il cibo che c’era ora sul tavolo non sembrava nascondere nulla…anzi. Riconobbe pane, miele, latte e perfino dei biscotti. Le vennero i crampi allo stomaco per la fame; da quanto tempo non mangiava? Sotto lo sguardo impassibile di Vartenia divorò ogni cosa , incurante del fatto che il latte non fosse dentro una semplice tazza di ceramica, ma in una scodella di legno e gustando quei deliziosi biscotti come non le era mai capitato di fare in vita sua… «Sono contenta che ti piacciano.» disse improvvisamente Vartenia. Lara si vergognò di sé stessa e rimase allo stesso tempo sbalordita: quella donna in qualche modo sapeva realmente leggerle nel pensiero. «Scusami, non volevo spaventarti. Ma è evidente che quei biscotti ti piacciono e molto anche..» aggiunse con noncuranza Vartenia, indicando con sarcasmo il piatto vuoto davanti a Lara. La ragazza rimase col boccone di traverso nella gola ed arrossì violentemente: in qualche modo Vartenia era capace di leggerle nel pensiero… lo inghiottì violentemente e decise di partire all'attacco: «Puoi dirmi dove mi trovo? Perché stiamo chiuse qui dentro?» «Siamo al sicuro per il momento.- disse la donna- Siamo chiuse qui per proteggerti da tutto quello che c’è là fuori e soprattutto da te stessa.» Lara la guardò senza capire e Vartenia riprese: «Quali sono le ultime cose che ricordi?». Esitò un attimo. Cosa doveva raccontarle? Se le avesse descritto il mostro che l’aveva inseguita nel vicolo l’avrebbe presa per pazza e per il resto era ancora troppo sconvolta per essere in grado di fidarsi di una perfetta estranea. La donna sembrò comprendere al volo i suoi dubbi: «Se proprio vuoi saperlo ti ho trovata là fuori nel bel mezzo della notte. Dormivi profondamente ed eri molto pallida. I tuoi vestiti erano laceri, come se qualcuno o qualcosa ti avesse aggredita; allora ti ho portata qua dentro, pensando che tu fossi in pericolo. A questo punto se avessi voluto farti del male l’avrei già fatto, no?». Lara la guardò impaurita: non riusciva ancora a farsi una ragione di quello che le era successo ed ora doveva spiegarle tutto? Però aveva ragione: se avesse voluto farle del male non sarebbe stato difficile. Cosa aveva voluto dire però con “proteggerla da là fuori”? C’erano altri di quei mostri? Provò a parlare, ma era come se le sue stupide paure le serrassero la bocca. «Capisco che per te possa essere difficile, ma devi dirmi tutto se vuoi che io ti possa aiutare.» il tono di Vartenia era conciliante ora, ma per Lara era altrettanto difficile superare la propria diffidenza. Le lacrime le salirono prontamente agli occhi, ma non perché fosse triste… semplicemente perché si vergognava di sé stessa. Ed all’improvviso fu come se si fosse rotta una diga. Le sue paure si gettarono inutilmente sulla breccia, cercando di ricacciare indietro le parole che avrebbe potuto dire, ricordandole l’odio e l’indifferenza che aveva provato. Ma questa volta le barriere si sbriciolarono completamente, lasciandola libera di raccontare fin da quando era uscita dalla porta di casa. Non sapeva più come tenere a freno le proprie emozioni, ma man mano che andava avanti nel racconto si accorse che Vartenia la stava ascoltando con una profonda tristezza negli occhi. E questo la spinse a continuare, oltre ogni confine, in quel racconto folle. Ma quando arrivò a parlarle del mostro e della voce nel vicolo ed alzò lo sguardo, convinta di trovare incredulità nei suoi occhi, scoprì che non ve ne era traccia: le credeva! Allora non era stato un incubo, non se l'era immaginato: era stato reale! Vartenia rimase un attimo in silenzio quando ebbe finito il suo racconto, quasi soppesando ciò che doveva dirle ora: «Quella luce ha fatto qualcosa di più che salvarti la vita, Lara. Ti ha trascinata via dal mondo in cui vivevi. Ed ora sei qui.» le disse. «Qui dove?» chiese Lara, terrorizzata. «Le foreste delle terre alte, a Solnem.» le rispose. Lara rimase a bocca aperta, ma non ebbe il tempo di replicare. «Ti accorgerai che questo è un mondo primitivo, con poche regole. Ma qui esistono anche cose che non sei mai stata preparata ad affrontare, cose delle quali hai soltanto sentito parlare nelle leggende del mondo dal quale provieni. Ma qui sono reali. Per questo dovrai imparare poco alla volta ad affrontarle e non dimenticare mai che questo non è il mondo delle favole, ma dei mostri che ti hanno aggredito. Non sarà facile per te ritornare al tuo mondo e dovrai essere forte per farlo. Ricordatelo sempre, questo. Anche nei momenti più disperati. Ed ora prendi le tue cose, dobbiamo andare via da qui il più in fretta possibile». Detto questo Vartenia si alzò in piedi, spense la lampada ed afferratala uscì fuori dalla stanza. Lara rimase perfettamente immobile, incapace di comprendere il significato delle parole che aveva appena sentito. Cosa intendeva quella donna con “mondo delle favole”? Seguendo il corso dei propri pensieri Lara guardò fuori dalla stanza, attraverso l’uscio rimasto aperto. Là avrebbe dovuto esserci sicuramente una via fatiscente, circondata da case od almeno un paesaggio di campagna con un traliccio solitario della corrente elettrica. Ma non c’erano case là fuori, solo alberi su un terreno reso nerastro dall’humus, coperto da un groviglio di grosse radici ed innumerevoli foglie secche. Si precipitò fuori ed allora le ritornò in mente il sogno che aveva fatto. Alberi in tutte le direzioni. Coprivano con le loro spesse ombre la piccola casupola in legno, filtrando qua e là tra le chiome rossastre i raggi del sole mattutino. Cadde a terra sulle ginocchia, incredula: od in una sola notte l’estate si era mutata in autunno, oppure quello era veramente un altro mondo. Davanti alla capanna c’era la traccia fievole di un sentiero che si inoltrava nel sottobosco… «Non stare lì impalata, sbrigati!», Vartenia, stanca di aspettare era tornata sui propri passi. Lara si alzò da terra e tornò precipitosamente dentro la capanna, cercando a tentoni il suo zaino. Lo ritrovò facilmente, ma non appena lo prese tra le mani si accorse che alcuni grossi squarci lo attraversavano da parte a parte. Lo svuotò velocemente sul tavolo con un brivido: i vestiti che si era portata appresso erano inutilizzabili, anch’essi ridotti a brandelli. I soldi c’erano ancora tutti, ma le sarebbero serviti? Ne infilò solo una piccola parte nelle tasche del mantello. D’istinto controllò che tutto fosse ancora al suo posto: all’estremità dello spaghetto di gomma il ciondolo che portava attorno al collo dondolava ancora rassicurante. Non c’era molto altro che potesse portarsi dietro: uscì in tutta fretta e raggiunse Vartenia in mezzo agli alberi. Subito si incamminarono lungo il sentiero stretto e tortuoso, spesso interrotto dalla vegetazione troppo fitta. Non ci voleva molto per capire che quella via era stata abbandonata da tempo e la foresta rivendicava ogni pezzo usurpatole, sbarrando continuamente il passo alle due intruse e costringendole ad aggirare sempre nuovi ostacoli con un grande dispendio di tempo. Ma Vartenia procedeva con passo spedito, costringendo Lara ad arrancarle dietro. Il sole era già alto in cielo e la donna considerava con sempre maggiore preoccupazione il poco tempo che rimaneva loro prima del tramonto. Quella ragazzina non era sicuramente abituata a quel passo di marcia, ma non poteva farci nulla: il tempo era fin troppo prezioso ormai. Sperò soltanto che cedesse il più tardi possibile. Per questo e per l'assoluta mancanza di fiato, non una parola fu scambiata tra loro, durante tutto il percorso. Finchè, entrate in una piccola radura, si fermarono a riposare. Lara si lasciò scivolare a terra con una smorfia di dolore. Non era abituata a camminare così tanto e le nuove calzature, seppur comode, le facevano già male. Senza riflettere slacciò le stringhe in cuoio per togliersele. «Non farlo. Se ti togli adesso le scarpe dopo non sarai più in grado di rimetterle ai piedi.» Lara alzò lo sguardo su Vartenia per capire cosa dovesse fare allora, ma non ebbe altre spiegazioni. Improvvisamente si sentì presa in giro. Per quanto ancora avrebbero dovuto camminare? «Dove stiamo andando?» le domandò. Vartenia indugiò un attimo, prima di rispondere: «A qualche ora di cammino da qui c’è una grossa città fortificata, governata da un kissal e da un Consiglio. Devo portarti da loro.» «Cos’è il kissal?» Vartenia rispose, sorridendo: «Già vero: tu non puoi sapere cosa sia un kissal. Vediamo se riesco a fartelo capire: più o meno è come una persona che si occupi di tutti coloro che abitano nella città. Regola la loro vita ed i loro affari ed è responsabile delle proprie azioni davanti al Consiglio…» «Più o meno come un re?» la interruppe Lara. «Non conosco il significato della parola "re", ma suppongo di sì. Adesso basta con le domande, dobbiamo ripartire in fretta da qui se vogliamo arrivare in città prima che sia buio.- E detto questo le porse un fagottino di stoffa ed una borraccia di pelle- Mangia qualcosa o non riuscirai a tenermi dietro.». Lara non perse tempo: svolse il fagottino e dentro vi trovò un pezzo di carne rinsecchita, forse essicata. Ma in che razza di mondo era finita? Provò a metterla in bocca, sicura che l’avrebbe disgustata e sarebbe stata costretta a sputarla. Invece il sapore non era male. La mangiò tutta e placò la sete con l’acqua fresca nella borraccia. «Bene, possiamo andare ora.» disse Vartenia e si incamminò velocemente sul sentiero, strappando a Lara un inutile gemito di protesta, che la donna fece finta di non aver sentito. Camminarono ancora più veloci di prima, ma per fortuna la breve pausa sembrava aver accantonato per un po’ il dolore ai piedi. Lara cominciò a pensare a quello che era avvenuto nelle ultime settimane. Odiava ancora sua madre? Scoprì di non provare più nulla, non odio, ma neppure riconoscenza nei suoi confronti. Si vergognò per questo, ma se ora si trovava veramente in un mondo diverso, allora forse sarebbe passato molto tempo prima che si potessero rivedere. Forse avrebbe avuto la possibilità di districarsi da quel groviglio di sensazioni e paure nelle quali era rimasta intrappolata. Ripensò al panico che l’aveva attanagliata per settimane e scoprì che ora era quasi completamente scomparso, lontano anni luce da lei. Il ricordo della cosa che l’aveva aggredita le si riaffacciò alla mente. Verrai da me, non puoi scappare. Rabbrividì, guardandosi alle spalle. C’erano solo alberi lì attorno a lei, ma Vartenia si era improvvisamente fermata e la stava fissando. «Qualcosa non va? Hai sentito qualcosa?» «No, no. Tutto bene.» mentì prontamente, convincendosi di essersi solo suggestionata. «Forza allora, seguimi.». Probabilmente sua madre a quest’ora la stava già cercando; speriamo soltanto che non si preoccupi troppo, pensò. Tutto quanto lì attorno le sembrava ancora tutto troppo irreale: quella foresta infinita, nella quale stavano camminando da ore cominciava ad opprimerla e non le era certo d’aiuto quella donna taciturna ed imprevedibile, tanto quanto le sue affermazioni. Era forse impazzita d’un tratto, senza essere più capace di distinguere tra sogno e realtà? E se dopotutto non lo fosse stata? Erano state le sue paure la causa di quella situazione assurda? Si disse che le persone normali non hanno la capacità di addormentarsi in un mondo e svegliarsi in un altro e lei di certo non poteva fare eccezione. Se veramente si trovava in un altro mondo, come mai Vartenia parlava la sua stessa lingua? Scosse la testa, confusa da quei pensieri inconcludenti e decise che col tempo, forse, avrebbe trovato le risposte che cercava, ma non adesso. Non ora che doveva arrancare per non perdere terreno rispetto a Vartenia. Dopo non molto la traccia del sentiero divenne meno chiara, fino a perdersi nel folto della foresta e sparire. Vartenia però non sembrava prestare la minima attenzione al sentiero; era come se conoscesse il percorso nella sua testa e non stesse facendo altro che avanzare spinta dalla propria memoria. Questo rallentò notevolmente la loro marcia. Per quanto la donna potesse procedere spedita, ora il terreno meno battuto si era fatto progressivamente più infido e difficile da percorrere, soprattutto per Lara. Aveva l’impressione che quella foresta non avesse mai fine, mentre il passare inesorabile del tempo gettava le prime ombre sugli alberi. Proprio quando fu al limite delle forze Vartenia le fece segno di fermarsi: «Siamo quasi arrivate. Al di là di questi alberi finisce la foresta e c’è una grande pianura: al centro di essa c’è la città della quale ti ho parlato prima: Olnemain. Dobbiamo sbrigarci però perchè le porte sono aperte soltanto fino al tramonto. Dopo diventerebbe assai difficile entrare senza attirare l’attenzione su di te e questo è precisamente quello che non voglio che accada. Dovrai seguirmi da vicino e tenere la testa bassa. Hai capito bene tutto?». Lara annuì con un cenno del capo. «Bene allora, copriti la testa col cappuccio e stammi vicina.». Veramente quella foresta si sarebbe interrotta poco più in là? Mentre camminava cogli occhi fissi sui piedi di Vartenia, per assicurarsi di essere capace di seguirla senza guardarsi troppo in giro, sentiva la stanchezza intorpidirle le membra, eppure la forza di volontà la costringeva ad andare avanti. Sollevò lo sguardo preoccupata e vide la traccia di un sentiero ricomparire nel sottobosco ingombro di foglie secche. Davanti a lei la sagoma della sua accompagnatrice procedeva spedita. Chi era Vartenia? Lara realizzò di non esserselo mai chiesto prima di allora: aveva semplicemente eseguito quello che le era stato detto come un automa. E soprattutto non sapeva assolutamente nulla di lei. La seguiva, facendosi guidare verso una città ignota, colla promessa che l’avrebbe aiutata a tornare indietro. Ma c’era qualcosa di strano anche in quelle promesse: perché la stava aiutando e soprattutto perché tutta quella fretta? Ancora domande alle quali non sapeva e non poteva rispondere. Soprappensiero non vide una grossa radice che attraversava il sentiero. Fu un attimo per lei perdere l’equilibrio e trovarsi dolorante a terra. Trattenne il fiato per il dolore: così non riusciva più ad andare avanti. Una mano la afferrò saldamente per la spalla rimettendola in piedi. «Siamo quasi arrivate ormai. Guarda laggiù, quella è Olnemain. Siamo quasi arrivate.» Lara seguì collo sguardo la mano di Vartenia che indicava un punto laggiù tra gli alberi: incorniciata tra i possenti tronchi al limitare della foresta la sfera incandescente del sole sembrava quasi in procinto di spegnersi nella linea piatta di terreno spoglio. Il riflesso della luce sembrava avvampare le mura grigie di una città, interrotte ad intervalli regolari da enormi bastioni. Come incastrate in esse i tetti delle case e dei palazzi si vedevano sopraelevati, quasi che all’interno delle cinte murarie vi fosse un innalzamento naturale del terreno, contenuto dalle mura stesse. Alla base di queste ultime invece il sole rifletteva in un corso d’acqua che a guisa di lama tagliava da una parte all’altra l'immensa pianura. «Su, dobbiamo sbrigarci ora.» Vartenia non aspettò di vedere se Lara la stesse seguendo, ma riprese la sua andatura, inoltrandosi tra gli ultimi alberi. In breve tempo si trovarono a camminare su un largo stradone rozzamente lastricato, circondate da altri gruppi di viaggiatori. Lara tenne tutto il tempo lo sguardo fisso sulle pietre sconnesse, il viso nascosto dall’orlo abbondante del mantello. Ma ognuno di essi camminava con circospezione, scuotendo leggermente i larghi mantelli autunnali, senza dare alcun segno di interesse esterno alle proprie personalissime attività. Fortunatamente nessuno sembrò fare troppo caso a quella ragazzina, quando si fermò ad osservare le mura, stupita della loro imponenza. Vartenia le scoccò un’occhiata allarmata e la ragazza subito riportò il volto dietro il riparo del mantello e si affrettò a superare dietro alla sua guida severa l’ampia arcata del ponte in pietra che introduceva nella città. Superate le mura , si separarono dal resto della folla infilandosi subito in un dedalo di strette viuzze. Vartenia avanzava instancabile, impegnata in una personale corsa contro il tempo che ora volgeva all’imbrunire, mentre Lara proseguiva ormai solo colla forza di volontà. Procedevano in silenzio nelle vie sempre più buie, badando ad acquattarsi velocemente contro una parete quando la porta di un’osteria veniva aperta improvvisamente davanti a loro, riversando in strada fumi di vino e schiamazzi. Ormai Lara non sapeva nemmeno più da quanto tempo stessero camminando in quel labirinto. Infine sbucarono in un largo piazzale: in fondo ad esso due fuochi illuminavano a giorno uno strano portale. Vartenia vi si diresse con decisione, prendendola per mano e guidandola verso la luce. «Stammi vicina.» le sussurrò e quindi, muovendo le mani nell’aria pronunciò qualcosa di simile ad una cantilena. Lara sbattè gli occhi assonnati, crededendo per un attimo di aver visto male. L’aria intorno a loro sembrava tremolare come attorno ad una fiammella mentre passavano davanti alle sentinelle. Quando fu capace nuovamente di mettere a fuoco i contorni degli oggetti riconobbe i contorni di una stanza buia con in mezzo un letto a baldacchino. Qualcuno, Vartenia forse, l’aiutò rudemente a svestirsi e la distese sotto il letto. «Ci vediamo dopo. Intanto approfittane per dormire» le disse prima di uscire in fretta dalla stanza, ma già molto prima di scivolare sotto le coperte Lara si era addormentata profondamente, esausta. -
Io fino ad ora nn ho ancora visto Il mio vicino Totoro, la tomba delle lucciole e qualcosina d'altro... (per es Lupin ed il castello di Cagliostro l'ho visto ma taaaanto tempo fa) ho votato La Principessa Mononoke, sia per la storia, che per la finezza sbalorditiva dei disegni...
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Che bestemmia!!!
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Mi dispiace, ma nella lista mancano cartoni animati come Anna dai capelli rossi...
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Mi sono appena accorto che mancava un topic di questo straordinario autore... lungi dal comprendere tutta l'opera (ho provato a guardare sulla rete ed è immensa) quale preferite?
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Grazie, corro a vedere...
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Il pg mi aveva detto prima di entrare che avrebbe nascosto degli oggetti e qdo la guardia al controllo gli ha chiesto se avesse qualcosa oltre a quello che aveva già consegnato ha bleffato... io ho fatto il sense motive contrapposto al bluff...Svelto di Mano com'è tradotto in inglese?
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Non era quello, mi spiace.... il tuo ha fatto un miracoloso 18 qdo ho fatto il master....della serie, faccio entrare i pg nell'ufficio di un vecchio saggio ed all'ingresso li faccio perquisire dalle guardie perchè lascino tutte le armi... pg ladro: io mi tengo il pugnale e gli arnesi da scasso! Io: fai un tiro di bluff *tira il dado* 5+6...11 *tiro io il dado per sense motive...18 * Io: okkei non solo ti sgamma, ma ti sequestra tutto, compreso le limette per le unghie....
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L'ultima sessione con un certo master cannavo tutti i tiri salvezza su reflex contro fulmine e matematicamente avrò lanciato il dado fuori dalla porta, nel corridoio (in cui c'è linoleum), tre volte... ogni volta andando a recuperare il dado urlavo "Bast***o ha fatto 18!"... Ma la cosa più bella è che gli altri che giocavano con me credevano che stessi facendo sul serio... non sapevo se trattenermi più dal ridere a vedere le loro facce o quella del master....
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Direi che gli sta proprio bene...
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Io spero di non assumere MAI tali atteggiamenti...
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Concerto di Vasco 11 settembre 2004 a Trieste
Strikeiron ha risposto alla discussione di Strikeiron in Cinema, TV e musica
Ah no? -
Conosci il mio master? Ne hai dato una descrizione perfetta!!
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Concerto di Vasco 11 settembre 2004 a Trieste
Strikeiron ha risposto alla discussione di Strikeiron in Cinema, TV e musica
A Trieste dai 30 ai 32 euri -
Non potresti aprire un topic apposito nella sezione OT?
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Concerto di Vasco 11 settembre 2004 a Trieste
Strikeiron ha risposto alla discussione di Strikeiron in Cinema, TV e musica
Sì perchè? -
Concerto di Vasco 11 settembre 2004 a Trieste
Strikeiron ha inviato una discussione in Cinema, TV e musica
Qualcuno ha intenzione di andare a vederlo (ovviamente tra coloro ai quali piace la sua musica...) -
Bellissimo ed il magico duo? Per kordian: è un albo di Rat-man che si chiama così...
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Qualcuno ha letto l'album degli ex-man?
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-Fossi in te piccolo kender, rimetterei quel sestante esattamente dove l'hai trovato!- la voce del capitano del Manto di Luce era chiara, secca e gli occhi limpidi e freddi, nonostante il sorriso stampato sul volto. Nell'insieme era decisamente minaccioso. Garfuss fece come un sobbalzo, poi però si riprese: -Ecco, veramente. Stavo per restituirlo. E' il suo no? No, perchè pensavo... chi mai potrebbe lasciare un oggetto del genere in bella vista sul ponte di una nave. Perchè questa è una nave no? Sa che io non ne ho mai vista una?- il kender salì verso il capitano, sul cassero, tirando fuori il sestante dalla borsa mentre parlava. -Era questo no?- gli domandò, tirando fuori una replica esatta del sestante che aveva appena insaccato alcuni istanti prima, ma di colore diverso... leggermente brunito e rovinato. Il capitano, leggermente spaesato, strabuzzò gli occhi: -Cosa hai fatto al mio...- Garfuss lo interruppe: -Ah, no, mi dispiace mi sono sbagliato, non è questo... ma allora ne avevo un'altro qui dentro. Prima o poi dovrei decidermi a fare un'inventario...- e dicendo questo prese a svuotare la sua sacca ai piedi del capitano, cominciando ad affiancare un bel po' di oggetti sull'impiantito del cassero. Il capitano continuò ad osservarlo, sempre più sorpreso, la tinta del volto però che virava decisamente sul paonazzo. Un attimo prima che esplodesse Garfuss estrasse il sestante, appena appena impolverato, visto che era a contatto con un sacchetto contenente una strana polvere. Uno scarpone, una bussola, diversi anelli, sacchettini di spezie o borsellini e perfino una piccola sfera nera come l'ebano erano già ammassati attorno ai piedi del capitano del Manto di Luce. -Dammi qua, razza di..- esclamò il capitano, strappando di mano al kender il sestante, con un movimento un po' troppo brusco. Troppo brusco. Involontariamente urtò la piccola sfera nera che cominciò a rotolare sul cassero e di qui cadde con tonfi sordi sugli scalini di accesso al cassero. Garfuss si girò e cominciò a correrle dietro. Ariaston e Perenor, ormai sulla passerella che conduceva sul ponte osservavano la scena con terrore... qualcosa non tornava in quella piccola sfera. Ricordava loro qualcosa. I marinai sul ponte e sull'albero ridacchiavano, evidentemente sorpresi dalla piccola scena che aveva avuto luogo. La sfera rotolò poco lontano dalle murate...Garfuss la afferrò appena in tempo. -Allora che facciamo?- mormorò Aixela che era sopraggiunta con gli altri alle spalle di Perenor ed Ariaston. Perenor guardò il capitano: era sceso dal cassero e si era avviato verso di loro. -Buongiorno stranieri. Il mio nome è Paltron e sono il capitano di questa nave... desiderate qualcosa? Ovviamente non appena mi sarò liberato di questo piccolo insignificante impiccio..- e così dicendo scoccò un'occhiata velenosa in direzione del kender il quale stava allegramente intrattenendo alcuni marinai con i suoi racconti. Perenor gli sorrise: -Certo. Potremmo metterci d'accordo su come liberarla dalla presenza del kender... anche perchè suppongo che le sarà difficile liberarsene senza il nostro aiuto!- e dicendo questo sollevò lo sguardo verso l'alto. Paltron lo guardò astutamente, ma senza capire del tutto, allora con espressione corrucciata si girò e guardò nella stessa direzione del giovane chierico. Garfuss era salito lestamente sulla sommità dell'albero maestro.. -Iuuuhhuuu che bello da quassù! Spero che il viaggio sia lungooooooo!!!!- urlò Garfuss, la voce leggermente distorta, forse dal fatto che stava in bilico tra la vedetta e le funi appena allacciate alla sommità delle vele...
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Appena mi libero dai avori di trasloco posto...un po' di pazienza e facciamo salpare la nave...
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Il kender corse avanti rispetto agli altri. Principalmente perchè era curioso. Ed inoltre aveva sognato quella nave durante la notte.... aveva dormito più del solito, rispetto alle notti precedenti. Ma questo forse era dovuto al fatto che gli altri non avevano voluto stare ad ascoltare quello che aveva da dire. Chissà poi perchè, si chiese il kender. Ma l'idea che potessero essere stanchi non lo sfiorò neppure. Semplicemente volò correndo verso la nave, sicuro che fosse quella giusta. Il nome, dipinto sulla fiancata in una strana scritta attorcigliata, non lasciava adito a dubbio alcuno: Manto di Luce. Garfuss guardò verso l'alto sull'albero dove alcuni marinai stavano accuratamente piegando le vele nel riflesso delle prime ore del giorno... e capì perchè la nave avesse dovuto chiamarsi in quel modo. Le vele, per quanto piegate avevano come un colore strano, sfolgorante sotto il diretto contatto col sole... forse avrebbero avuto un riflesso abbacinante quando spiegate al vento in alto mare. Strano, questa era una cosa che non aveva sognato quella notte... Ma il sogno che aveva fatto più che essere accentrato sulla nave in sè probabilmente era riferito al fatto che lui stava correndo sul ponte, inseguito da mezza ciurma. Chissà poi perchè doveva fare sempre quei sogni agitati... Quasi inosservato Garfuss mise piede sul ponte e per prima cosa notò il timone della nave dai pomoli luccicanti in argento... chissà se fosse riuscito a spostare quell'enorme ruota? Sempre inosservato il kender salì una rampa di scale, diretto verso un grosso sestante. Chissà poi perchè nel sogno lo avevano inseguito; proprio lui che era una persona così civile! Con le mani sollevò il sestante dal ripiano dove era appoggiato... chissà perchè lo avevano lasciato lì, alla portata di chiunque dove avrebbe potuto rovinarsi. E soprattutto chissà se quello stupendo oggetto stava dentro la sua borsa, così avrebbe potuto restituirlo al comandante quando lo avesse trovato. Perchè sicuramente il capitano doveva esserselo dimenticato, non c'era altra spiegazione. Velocemente il kender inserì il sestante nella borsa che portava con sè. Ma questa volta passò quasi inosservato... -Ehm, Ehm!!- esclamò qualcuno dietro di lui. Era il capitano. Joram puoi continuare tu con la descrizione, io riporto su il topic per continuare