Dopo tanto tempo che non scrivevo ho partecipato (ovviamente senza esito... Gh!) ad un concorso. Posto qui il racconto:
Una lama per una vendetta
C'era uno strano rapporto tra lui e quel coltello: anche per questo lo aveva lucidato fino a far risplendere la lama come uno specchio. Amava saggiarne il peso e la consistenza, sfiorare la punta e percepirne la minaccia, ma soprattutto incidere leggermente le palme delle mani sulla lama affilata e sentire il dolore che accompagnava questo, capire di poterci convivere assieme. Dopodichè afferrò l'impugnatura rivestita di cuoio e nonostante il sangue che scorrendogli tra le dita gli indeboliva la presa, sentì in quegli istanti di avere veramente il potere tra le proprie mani.
Punta
Si svegliò con la sensazione di essersi appena addormentato e di aver sacrificato le ore migliori della notte ad un agitato stato d’insonnia. Soltanto dopo aver sorseggiato mezza tazza di caffè bollente si ricordò, come in un sogno fatto da un'altra persona, di aver lasciato il coltello appoggiato sul comodino e distendendo la mano, sentì la fitta dolorosa della ferita appena rimarginata. Per lui il dolore era il simbolo di una prova che riusciva a superare costantemente. Non ne aveva paura. Perché mai avrebbe dovuto? Altre erano le cose che lo preoccupavano e al momento e tra queste c’era la vendetta.
Era iniziato tutto l’anno prima, quando si era fatto ingannare da una donna. Aveva creduto di essere amato, aveva pensato di poter vivere assieme a lei, di costruirsi una vita fatta di intese e di silenzi sottintesi. All’inizio lei aveva accettato e l’aveva realmente amato. Erano addirittura andati a vivere insieme, almeno finché qualcosa non si era incrinato nel loro rapporto. Lei non era unica: era soltanto un’illusione. Questo più di molte altre cose l’aveva profondamente ferito. I primi tempi aveva pensato di poterla cambiare, di poter correggere i suoi difetti insieme, di convincerla che gli altri, i suoi amici ed i suoi parenti, dicevano cose dettate esclusivamente dall’invidia. Quelli non sapevano nulla del loro amore e non conoscevano la purezza dei suoi sentimenti. Volevano soltanto privarli della felicità.
Alla fine lei si era lasciata convincere ed era scappata: lo aveva lasciato. Non aveva più voluto vederlo. A nulla erano serviti i suoi regali, le sue insistenze, i suoi tentativi di riallacciare il loro rapporto. Lei aveva buttato tutto nel fango, come se fosse stato privo d’importanza ed in questo modo l’aveva profondamente umiliato. Per questo e per molto altro ora voleva vendicarsi.
Finì di sorseggiare il caffè amaro che avanzava nella tazza ed assaporò il piacere delle proprie fantasie. Quando ebbe finito si alzò, la mente lucida e sgombra da ogni dubbio ed un vago sapore metallico sul fondo del palato e ritornò in camera da letto. Qui raccolse il pugnale sul comodino e strinse l’impugnatura con la mano ferita. Era incurante del dolore: non significava nulla. Lei aveva cambiato città e lavoro per sfuggirgli, ma ora lui sapeva esattamente dove trovarla. Adesso nulla era più importante della vendetta: per ottenerla avrebbe dovuto attendere soltanto poche ore. Con calma ultimò i preparativi per uscire.
Lama
La sveglia suonò con il suo solito cicalino irritante. Soltanto che non era il suono familiare al quale era abituata. Per questo scattò fuori dal letto come una molla, annaspando insieme aria e coperte aggrovigliate nel sonno agitato. Non ricordava nulla dei sogni che aveva fatto, ma di qualsiasi tipo essi fossero, le avevano lasciato la vaga e sgradevole sensazione di un sonno inquieto che non l’aveva fatta riposare appieno. Si lasciò catturare dalla banalità dei gesti quotidiani del risveglio: l’acqua fredda sul viso, il sapore aspro ed acidulo del succo d’arancia fresco ed il contrasto con il dentifricio alla menta subito dopo. Faceva le cose in maniera meccanica, come se il rito dei piccoli gesti quotidiani potesse aiutarla a tirare avanti. Come se lei vivesse nella vita di qualcun’altra. In effetti quel pensiero non era poi molto lontano dal vero. Solo negli ultimi giorni si stava pian piano rendendo conto di che cosa significasse vivere: non molti mesi prima, era esistita in lei una ragazza profondamente diversa, forse anche troppo ingenua. Ripensandoci si rese conto che la ragazza che era stata si era persa quasi del tutto e nel momento in cui si era svegliata da quell’incubo la persona che era esistita prima era scomparsa. Dopo aver perso una parte enorme di sé aveva dovuto sperare che quel poco rimasto sarebbe stato sufficiente a ricostruire almeno una brutta copia di quella ragazza solare, con quasi la sua stessa faccia e le medesime occhiaie lucide, che osservava ora allo specchio. Beh, pensò, forse una volta le occhiaie erano meno pronunciate e di questo sorrise rigidamente alla propria immagine riflessa. Fu quel sorriso tirato a ricordarle, come un flusso incalzante di marea, cosa l’avesse portata fino a quel punto: il destino, forse. Si sentiva una sopravvissuta da quando aveva riacquistato prepotentemente la voglia di prendere in mano la propria vita.
Tutto era iniziato con quel ragazzo. Gli aveva voluto molto bene all’inizio, nonostante i suoi genitori non fossero d’accordo e le amiche la invitassero a stare attenta tra sorrisi forzati di circostanza. All’inizio non ci aveva badato molto: i sentimenti avevano coperto tutto, anche le impressioni sgradevoli, come una coperta soffocante che calando dall’alto l’avesse chiusa in un bozzolo nel quale si era pian piano abituata ad ignorare le note dolenti insinuatesi presto nel vivere quotidiano. All’inizio erano state delle scenate di gelosia: per quando lei doveva uscire, per come si era vestita e per quello che gli raccontava delle conversazioni avute durante il giorno a lavoro.
Poi erano iniziati i piccoli dispetti, le porte chiuse a chiave, le minacce ed infine le botte. Lui le ripeteva ogni volta di volerle bene, dopo. Quanto spesso se l’era ripetuto in quello stanzino buio della casa, convincendosi che la sua vita fosse normale al di là della porta chiusa a chiave per evitare le botte? Là, dove lui, piangente ed urlante, era pronto a scusarsi all’infinito per schiaffi e pugni?
Anche pensandoci ora le sembrava irreale, come una pellicola cinematografica dalla trama banale. Eppure con l’aiuto delle persone che le avevano realmente voluto bene ne era uscita; aveva capito come liberarsi da lui e lo aveva fatto. All’inizio lui l’aveva inseguita: aveva detto di amarla ancora ed aveva mescolato promesse a minacce.
Ma così facendo le aveva fatto capire di averla persa.
Allora era iniziato l’incubo: lui aveva cominciato a farle squillare il telefonino a notte fonda, a seguirla mentre si recava a lavoro, a perseguitarla con regali assurdi che lei non voleva da uno come lui. Ogni volta che aveva cambiato il numero di cellulare od il percorso per andare a lavoro la mattina, lui era riuscito a trovarla. Era incredibile come potesse carpire da quelli vicini a lei, anche solo conoscenti, informazioni necessarie a ripresentarsi all’angolo di una strada o vicino alla sua macchina parcheggiata. Dopo i continui rifiuti di vederlo o parlargli ancora i giorni successivi erano diventati un inferno di minacce e di appostamenti. Finché non era andata a denunciarlo ai carabinieri. Allora quei giorni vissuti quasi correndo lungo il filo di una lama sottile erano finiti. Lui non si era più fatto né sentire né vedere e lei, per essere più sicura di non trovarselo nuovamente davanti, aveva cambiato lavoro e città.
Aveva iniziato una nuova vita, anche se il solo respirare le sembrava ancora un miracolo; un piccolo grande dono prezioso del quale non si era mai resa conto prima, dandolo per scontato. Dall’altra stanza la sveglia ricominciò a suonare ricordandole che doveva sbrigarsi per arrivare in orario a lavoro. Pronta o non pronta che fosse, prese al volo le chiavi e si precipitò fuori.
Impugnatura
L’attesa era stata lunga ed estenuante, con il coltello assicurato al fianco dalla cintura. Il posto dove lei lavorava l’aveva individuato subito, ma non si era fatto vedere. Piuttosto aveva camminato a lungo attraverso i quartieri lì attorno solo per rendersi conto di quali avrebbero potuto essere le vie di fuga, nel caso improbabile che qualcosa andasse storto. Tutto era tranquillo, ma dopo aver finito il giro di dell’isolato lo scorrere delle ore nell’attesa lo stava snervando. Le mani sudavano ed i suoi movimenti erano diventati quasi febbrili. Nonostante faticasse ad ammetterlo era agitato, ma non perché fosse nervoso. Quello no.
Semplicemente era impaziente, desideroso di assaporare finalmente la vendetta che aveva tanto atteso. Cautamente si assicurò con la mano che l’impugnatura del pugnale si trovasse ancora nello stesso posto, ben celata e quasi invisibile sotto le pieghe dei vestiti. Ormai era tardo pomeriggio e lei sarebbe uscita tra poco, alla fine del turno di lavoro. Sorrise, compiaciuto della propria abilità: lei non si aspettava di trovarlo lì. Le avrebbe fatto vedere che non si poteva lasciare così impunemente: l’unico prezzo sufficiente a saldare un simile affronto sarebbe stata la sua vita. Quel che sarebbe successo dopo non gli importava. Avrebbe anche potuto volgere la lama contro di sé, se ne avesse avuto il coraggio. In qualsiasi modo fosse andata sarebbe stato felice dopo averlo fatto.
Eccola.
Il rumore dei suoi passi sull’asfalto, inconfondibile. Quante volte lo aveva sentito pedinandola a distanza di notte, lungo i vicoli che portavano verso il centro, assicurandosi che arrivasse a casa sana e salva? Lei non si era mai accorta di nulla.
Non poteva sbagliarsi. Senza farsi notare attraversò la strada e si avvicinò alle sue spalle, sistemandosi la cintura per essere in grado di sfilare velocemente il coltello. Anche da quella distanza, a pochi passi, sentiva il profumo inebriante dei suoi capelli, lo stesso che aveva accompagnato tante delle loro notti insieme e che non avrebbe mai più potuto avere tra le sue mani. La cosa lo fece impazzire di bramosia. Lei continuava a camminare con passo spedito, immersa nei propri pensieri. Accelerò il passo per trovarsi immediatamente dietro di lei. Con un movimento fluido estrasse il pugnale dai vestiti e velocemente portò il braccio verso l’alto, impugnando con forza: sarebbe stato un unico arco che da dietro l’avrebbe presa al cuore. Perfetto e rapido: senza appello.
Ma nel mezzo del percorso della lama intervenne il caso.
Un accartocciarsi improvviso di lamiere dopo una frenata improvvisa la fece voltare di scatto, spaventata dal rumore di un incidente appena avvenuto sulla strada lì accanto ed il braccio attraversò la traiettoria del pugnale. L’osso fermò la lama con un suono sgradevole, ma le coprì il petto.
L’aveva soltanto ferita. Di sicuro il braccio non avrebbe potuto fermare le rapide staffilate successive, ma lei ebbe una maggiore prontezza di riflessi. Nell’istante in cui si era girata non aveva ancora compreso cosa stesse accadendo, ma la pugnalata di dolore le aveva attraversato il braccio, fulminea. Reagì istintivamente, aggrappandosi ad un’esile speranza.
Perché non era giusto che finisse in quel modo.
Perdeva molto sangue ma, come se fosse stata insensibile a questo, si voltò e scappò rapidamente, attraverso la porta del primo negozio alla sua sinistra, cercando aiuto. Lui si rese conto di aver aspettato un istante di troppo, dandole così l’occasione di sfuggirgli. Si guardò intorno, assicurandosi che per il momento nessuno dei passanti intervenisse. In genere le persone imparano a farsi i fatti loro in casi del genere, ma non si può mai sapere. Doveva finire in fretta quello che aveva iniziato. La fuga che aveva preventivato non era più possibile. La seguì con freddezza e determinazione dentro il negozio e quasi gli venne da ridere mentre stringeva la lama sporca di sangue. Non gli era scappata, non del tutto: aveva soltanto rimandato l’inevitabile.
Il negozio sembrava deserto, con scansie piene di banali oggetti per la casa: in basso vasi di vetro dai riflessi colorati, in alto caffettiere e piccoli elettrodomestici, fuori portata lassù in alto rastrelliere di coltelli da carne. La paccottiglia arrivava fino al soffitto impedendo la visuale. Amareggiato e contrariato si rese conto che avrebbe dovuto cercarla corsia per corsia; ma il sangue per terra era fortunatamente una traccia più che sufficiente. Lei si era nascosta in fondo, dietro l’ultima scansia del negozio apparentemente deserto, il respiro mozzato dal dolore che la attanagliava. Ma perché mai non c’era nessuno là dentro? Stava impazzendo dalla disperazione nel comprendere che non c’era alcuna via d’uscita, non da lì, non ora.
«Vieni fuori! Non voglio farti del male. Solo parlarti.» disse lui, con tono mellifluo, seguendo la traccia scarlatta sul pavimento.
Il fiato le uscì dai polmoni dal terrore quando notò l’ombra distorta dai vetri colorati che passava appena due corsie più in là. Il coltello che luccicava attraverso i riflessi del vetro. Avrebbe avuto la vendetta che desiderava, nonostante il piccolo imprevisto. La vide: una sagoma dietro l’ultimo scaffale in fondo e si avvicinò con calma.
Si appoggiò alla scaffalatura, indebolita: gli scaffali erano troppo alti e lei stava svenendo per tutto il sangue perso e quello che ancora colava dal braccio ferito. Lo scaffale oscillò facendola ritrarre spaventata. Lui aveva sentito e la stava raggiungendo. Era sicuro di sé. Stava aggirando l’ultimo corridoio.
A lei era rimasta solo la disperazione e la voglia di vivere; pensò che non poteva accadere ora ed in quel modo. E mentre lui si avvicinava lei si appoggiò a peso morto, con tutta la forza della disperazione e tutto il coraggio di chi vuole avere ancora un’altra occasione. Nonostante fosse debole la spinta fu sufficiente a far oscillare lo scaffale pericolosamente al di fuori dal proprio baricentro. Allora spinse più forte.
Lui si rese conto troppo tardi della trappola micidiale che gli stava calando addosso: aveva solo un coltello ed una vendetta da compiere. Lei, invece, aveva appena trovato più lame di quante lui avrebbe mai potuto immaginare. Gli calarono addosso tutte assieme, in un frastuono di pesante vetro infranto.
Quando non lo sentì più gemere là sotto le rimasero soltanto le forze per sedersi sullo scaffale rovesciato, sperando che il suo peso gli impedisse di strisciare di nuovo fuori nella sua vita. Ed i soccorritori la trovarono ancora così, piena di sangue e lacrime, seduta su quella montagna di lame improvvisate dal destino.