In un periodo non proprio felice devo ringraziare questa canzone con un significato così forte per me. Non è solo un'infatuazione per un brano, è anche sentire nella musica e nelle parole del testo una forte emozione. Non è solo una canzone orecchiabile, ma è sentirsi meno soli nella propria quotidianità: le tue stesse emozioni le condividi con altri. Il testo della canzone è di Elisa, si tratta dell'ultimo brano della sua (recente) raccolta dal nome "Qualcosa che non c'è". I diritti del testo della canzone sono ovviamente riservati all'autrice.
QUALCOSA CHE NON C'E'
C'era una volta una principessa, pensò e nel buio nel quale si trovava non poteva neppure vedersi le mani. Né tantomeno poteva guardare le pareti della sua cella invisibile. Ciò nonostante anche in quel buco oscuro, poteva immaginarle, avvolte da uno spesso strato di materiale fonoassorbente. Sapeva che c'erano anche in quell'oscurità perché le aveva già viste in realtà, molte, troppe volte. Da parecchio tempo aveva smesso di chiedersi cosa ci fosse al di là. Forse era successo lo stesso giorno in cui il suo carceriere non l'aveva più vista alzare lo sguardo ed aveva rinunciato con rammarico al piacere sottile di spiare la sua prigionia.
Era successo un giorno nel quale la speranza di scappare le era come morta dentro.
All'inizio aveva urlato, sperando che qualcuno la sentisse ed accorresse in suo aiuto: non era possibile che una persona come lei scomparisse così, dalla faccia della terra, senza che nessuno si ponesse il problema, senza che la cercassero. Ma i rumori sembravano non poter uscire da quella prigione: potevano soltanto entrare. Quando anche le urla non erano bastate lo aveva implorato, senza più voce quasi.
Le aveva risposto all'improvviso una risata sadica e senza rimpianti di un folle. Quella persona silenziosa che ancora entrava nella sua stanza approfittando del suo sonno per portarle da mangiare e da bere, od anche talvolta per cambiarsi o lavarsi, era come impermeabile a qualsiasi forma di comunicazione.
Era uno psicopatico.
Quella prima ed unica volta che aveva urlato, aveva aspettato che fosse esausta dalla stanchezza e dalla disperazione. In silenzio e nel buio si era introdotto nella stanza e l'aveva riempita di botte. Non una sola parola era stata scambiata tra la vittima ed il suo carceriere: i ruoli erano stati chiariti. A lei era rimasto quell'angolo dove priva di sensi e di speranza si era resa conto con terrore che se lui soltanto lo avesse desiderato quel giorno avrebbe potuto spegnere la sua vita come una fiammella. Se non quel giorno domani, chissà…
Nell'oscurità le giunse ora il rumore di una radio accesa: una canzone, la melodia impercettibile e le parole ridotte quasi ad un sussurro, attraverso le pareti. Parole che stridevano con i suoi pensieri e che si aggiungevano alla sua tristezza.
Tutto questo tempo a chiedermi Cos'è che non mi lascia in pace Tutti questi anni a chiedermi Se vado veramente bene Così Come sono Così.
Forse era lui. Si divertiva a tentarla, a farle capire che al di fuori da quel buco nero esisteva ancora una vita piena che lei non poteva più avere. Lui era diventato il custode di tutto: della sua esistenza, dei suoi desideri. Della stessa aria che respirava.
Così un giorno Ho scritto sul quaderno Io farò sognare il mondo con la musica Non molto tempo Dopo quando mi bastava Fare un salto per Raggiungere la felicità E la verità è…
La musica si spense perdendosi in lontananza. Non doveva essere tardi ormai. Nonostante non possedesse più alcun riferimento per il tempo che scorreva si era abituata all'intercalare dei giorni dettato dall'invisibile volontà del suo carceriere. La notte la stanza era immersa nella più assoluta oscurità mentre di giorno veniva accesa una luce artificiale. All'inizio aveva tenuto il conto di quei giorni artificiali, aggrappandosi almeno a quel riferimento. Poi aveva cominciato a sospettare che quell'alternanza fosse falsa. Poteva darsi che lui facesse apposta e che ci si divertisse pure nel farle credere che quel tempo alterato fosse reale. Per questo aveva lasciato perdere: notte o giorno per lei non facevano più alcuna differenza.
Era prigioniera. Sola nella stanza allestita da un maniaco. Con l'unica compagnia di una branda, un piccolo tavolino inchiodato al pavimento ed una sedia imbottita. Nient'altro.
Da allora quasi casualmente il rituale susseguirsi delle luci e del buio si era fatto più regolare e cadenzato. Forse lui si era accorto di come la sua vittima avesse perso anche quella speranza ed aveva lasciato perdere. Da allora, quasi inconsciamente, le era venuto in mente che potesse esserci un temporizzatore a regolare l'accensione delle luci. Sì, ripensandoci, poteva essere proprio così.
Ho aspettato a lungo Qualcosa che non c'è Invece di guardare il sole sorgere.
La musica. Le mancava là dentro. Immensamente. Come una voce amica che potesse ancora dirle qualcosa.
*Click*
Il rumore improvviso la fece sobbalzare. A volte lo psicopatico si divertiva ad introdursi silenziosamente nella stanza e lei lo sentiva soltanto all'ultimo momento. Dopo quel primo giorno non l'aveva mai più toccata. Ma non c'era bisogno che lo facesse. Non era quello che voleva. Lui aspirava a qualcosa di più grande ed ambizioso. Lui voleva farle perdere totalmente il senno. Ma lei era ancora vigile, in guardia. Apparentemente piegata sì, ma non spezzata. Trattenne il fiato aspettandosi di sentire il rumore del suo respiro…
La luce che sfavillò nella stanza, indecisa se accendersi del tutto, la fece sobbalzare con il cuore in gola. Fu un fastidioso lampeggiare di luce bianca ed accecante prima che tornasse l'oscurità. Ecco tutto.
Nel silenzio si mise a ridere. Una risata sciocca e di derisione per sé stessa. Quanto era stata sciocca.
Era la prima volta che collegava quel suono al funzionamento di un temporizzatore. Allora c'era in effetti un meccanismo che accendeva la luce ad un'ora prestabilita. Solo che oggi la luce si era fulminata: alla notte sarebbe seguita un'altra notte. Interminabile.
La principessa era rimasta al buio per sempre.
Non si sentiva alcun suono: né musica, né voce, né brusio. Probabilmente lo psicopatico era andato via. Ma non era vero che lei era rimasta nell'oscurità più profonda: in un angolo filtrava una piccola lama di luce. Giusto un accenno, quasi una promessa. Incapace di credere ai propri occhi la guardò avidamente: poteva sempre essere un altro dei suoi trucchi. Si spostò cercando a tentoni di non urtare nulla e di non fare rumore, non abbandonò per un istante quel segno. Rimase a fissarlo finché non le lasciò un pallido segno sulla retina, anche quando chiuse gli occhi, credendo ancora di sognare. Quella era luce del sole. La luce della realtà dal di fuori dell'incubo.
Lentamente e silenziosamente si avvicinò a quella cosa e la osservò meglio: sembrava un profilo, come una scollatura nel rivestimento che lasciasse filtrare qualcosa. Cautamente allungò la mano, aspettandosi da un momento all'altro che accadesse qualcosa. Qualcosa di molto brutto. Sapeva che avrebbe dovuto essere punita per questo, ciò nonostante decise di correre il rischio.
Niente. Soltanto il calore della luce solare su una superficie liscia. Fece scorrere la mano sotto la fessura e toccò qualcosa di rigido e duro. Avrebbe potuto fermarsi ora. Era ancora in tempo. Ma la mano scivolò sotto il pannello come guidata da una volontà ed una disperazione sue proprie. E la fessura si allargò. Il suo corpo si tese all'inverosimile nello spasmo di una scoperta così temeraria. Ormai l'intera mano era scivolata sotto al pannello e quest'ultimo sollevandosi faceva filtrare ancora un po' di luce. Indovinò la forma delle lastre al di sotto del rivestimento e poi…
No, non poteva essere.
Si ritrasse all'improvviso, spaventata ed incredula da quella beffa.
Aveva toccato il chiavistello di una finestra.
Ormai il pannello si era scollato quasi del tutto, facendo intravedere il profilo del serramento. Il corpo le tremava mentre avvicinava la mano al chiavistello, sotto i pannelli. Chiuse gli occhi, incapace di fermare l'incontrollabile tremore dell'eccitazione. Sapeva che lo avrebbe trovato inchiodato. La mano scivolò maldestramente incontrando resistenza in un primo momento. Ebbe un tuffo al cuore e desiderò tornare indietro, arrendersi, ma la sua mano non le diede retta ed insistette con più forza.
Con uno scatto improvviso il chiavistello cedette ed il serramento si spalancò trascinando con sé 'intero pannello di rivestimento. Per un soffio non trascinò anche lei con sé. Là fuori. L'imposta oscillava maldestramente su un solo cardine.
Ebbe un capogiro: lì davanti a lei la fessura era diventata un riquadro di luce calda ed abbacinante. Si affacciò: da sotto venivano i rumori della strada. La gente che camminava indaffarata per andare a lavoro. Le macchine che correvano a velocità sostenuta. Tutti che guardavano per terra. Nessuno in alto, al cielo, al sole che li osservava tutti muoversi come burattini.
Questo è sempre stato un modo Per fermare il tempo E la velocità I passi svelti della gente La disattenzione Le parole dette Senza umiltà Senza cuore così Solo per far rumore Ho aspettato a lungo Qualcosa che non c'è Invece di guardare Il sole sorgere.
Da sotto era solo un'altra testa di ragazza sporta ad una finestra di un edificio semiabbandonato. Il viso era smunto e pallido, i capelli scuri in disordine e soprattutto lei non credeva ai suoi occhi. E se fosse stata un'illusione? Se avesse gridato avrebbero potuto sentirla laggiù, in quel mondo di persone normali che nemmeno avrebbero mai potuto immaginare cosa sia assistere alla propria vita che si spegne giorno per giorno? Un odio tremendo la pervase. Stava per richiudere la lastra e ritornare dentro, nell'odio oscuro del suo carceriere, quando la sua mano afferrò la lastra e la scosse. Con tutta quanta la forza cha aveva, con tutta la disperazione che ancora possedeva.
La lastra si staccò di netto e rimase sospesa a mezz'aria per alcuni istanti prima che la lasciasse andare. Solo allora si rese conto che avrebbe potuto uccidere qualcuno là sotto, come una ghigliottina cruenta e casuale. Il vetro si infranse in strada con un frastuono che sfiorò appena un passante. Alcuni urlarono.
E miracolosamente non Ho smesso di sognare E miracolosamente Non riesco a non sperare E se c'è un segreto E' fare tutto come Se vedessi solo il sole
Solo dopo realizzò che era lei stessa ad urlare. La porta interna venne scossa… lo psicopatico stava arrivando. Forse era nella stanza accanto, oppure era in strada e si era precipitato su per fermarla. La ragazza sentì la porta dietro di sé che si spalancava con violenza ed allora smise di pensare. In un batter d'occhio attraversò il riquadro e si lanciò fuori.
Non aveva pensato un istante a quanto potesse essere in alto. Per miracolo riuscì ad aggrapparsi su uno stretto cornicione e scivolò lungo di esso. Verso le vertigini e verso la salvezza.
Fu da lì che lo vide. Vide la sua frustrazione ed il suo terrore. Il suo braccio che cercava inutilmente di ghermirla e risucchiarla indietro nel suo mondo malato. Non poteva più arrivare a lei ora. Seppe di essere libera.
Libera, ma accovacciata sull'orlo di un cornicione ad alcuni metri da terra. Eppure non avrebbe voluto trovarsi in qualsiasi altro posto della terra. La gente là sotto la indicava ora: alcuni che si erano fermati e guardavano con curiosità, alcuni altri con terrore, altri ancora con ignoranza. Vide lo psicopatico che, tornato in strada cercava di scappare, mescolandosi alla folla.
Per uno strano scherzo del destino da sotto venivano anche le note di una musica familiare, coperte appena dall'arrivo di lontane sirene. Ne poteva ancora distinguere a malapena le parole:
Un segreto è fare tutto Come se Fare tutto Come se Vedessi solo il sole Vedessi solo il sole Vedessi solo il sole E non Qualcosa che non c'è.
Nonostante tutto, pensò, io l'ho visto.