Questo scritto nasce da una collaborazione con la corporazione dei lettori. Ognuno ha scritto una storia indipendente partendo da un incipit comune proposto da raemar. I racconti di altri partecipanti (postati finora) a questo "esperimento" sono questi:
Negazione (Prologo) di raemar
Sogno di doria
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Una bocca da sfamare
La pioggia costante rendeva la strada difficilmente praticabile, come non fosse bastato il peso del corpo che trasportavo ad affaticare la mia andatura. Eppure, non potevo non considerare la pienezza di quella situazione. L'autunno, i suoi venti, i suoi odori, i suoi differenti umori, il sole pallido, la pioggia fine, le diverse gradazioni di bagnato. Mentre mi dirigevo verso la locanda, i capelli appiccicati alla fronte fino a oscurarmi in parte la visuale, mi era impossibile non percepire l'odore dell'erba fradicia, del fango solcato dalle ruote di un carro, del fumo delle abitazioni che portava in strada magri sapori. Il rumore dell'acqua contro la pietra e la terra, l'occasionale pestare di piedi incerti al margine della strada, il vociare confuso oltre le porte sprangate.
Ammiravo la nuvola di vapore che si formava di fronte alla mia bocca a ogni affanno. Ero vivo. Ero sopravvissuto.
Quando giunsi di fronte all'ingresso della Pietra Miliare, trassi un respiro più profondo e lo sputai fuori con la poca forza che mi era rimasta. Entrai e per un attimo il mondo si fermò. Vidi le facce dei presenti, quasi tutti cacciatori, osservarmi stupite. Gunnar, il capitano, era in piedi presso un tavolo ingombro di strumenti da pesa, e squadrava il mio fardello, incredulo. Dietro di lui dozzine di pelli di lupo erano in mostra, appese a una corda lungo il muro.
Stremato, lasciai cadere il corpo dalle spalle al tavolo più vicino e mi accasciai a terra. La stanza si rianimò delle voci dei presenti e, contemporaneamente, tutto divenne buio.
Quando aprii gli occhi, Anna, la locandiera, mi teneva la testa sollevata e mi faceva bere da una ciotola di legno. Il brodo speziato mi restituì un po’ di calore.
I cacciatori erano raccolti intorno a me, ma la loro attenzione era rivolta alla preda, sul tavolo. Potevo distinguere la voce di ciascuno di loro, odorare il vino nel loro fiato. E oltre a questo, riconoscevo qualcosa che prima non avevo mai compreso: il loro sudore freddo, l’odore della paura.
– E' la bestia più grande che ho mai visto.
– Guarda le zanne.
– Questo è il diavolo che ha sbranato i figli del Governatore.
Mi misi seduto, appoggiando le mani sul pavimento gelido. Gunnar si accovacciò davanti a me. Piegò la testa da un lato, rivolgendomi una smorfia disgustata.
– Ragazzo, non vorrai farci credere che l'hai ucciso tu?
Dovevo concentrarmi, ricordare, ma la confusione intorno me lo impediva.
– Non parli? – mi incalzò lui. – Ce l’hai almeno un nome?
– Si chiama Hans – rispose Anna – è il figlio di Frederik.
– Puah! – disse Gunnar. – Sei il figlio di un buono a nulla.
Con l’aiuto di Anna, mi sfilai il mantello fradicio; sentii una fitta di dolore mentre piegavo il busto in avanti.
– Rispondi, idiota! – continuò il capitano. – Dove hai trovato questo lupo?
Alzò il braccio e mi schiaffeggiò con il rovescio della mano. Non feci nulla per evitarlo.
– Hans – Anna accarezzò la guancia offesa – dov'è tuo padre? Eravate nei boschi? E' tornato con te?
Seguii lo sguardo della locandiera fino alla spada che tenevo legata alla cintura. Una spada decorativa, da parata, non una vera arma da uomo. Mio padre la teneva con sé giorno e notte, fin dagli anni in cui aveva prestato servizio nella guardia reale, prima di cadere in disgrazia ed essere cacciato. Quello del soldato era l’unico mestiere che conoscesse. Fu costretto ad arrangiarsi, ma le cose andarono sempre peggio. Infine dovette ridursi a mendicare. Non si separò mai dalla sua spada, ma rinunciò alla dignità piuttosto che condannare suo figlio piccolo a morire di fame. Io, una bocca in più da sfamare. Lo raccontava spesso, ma taceva sempre il motivo per cui l'avevano bandito; ed era meglio non chiedere.
Pensare a Frederik mi fece ricordare ogni cosa.
Il giorno precedente, all’alba, mio padre uscì di casa per dirigersi nei boschi, come sempre da solo. Mi ordinò di aspettarlo, sarebbe tornato l'indomani. Ma prima che il sole fosse alto, io mi decisi a seguire le sue tracce. Avevo troppi sospetti.
Mancava poco al tramonto, quando iniziò a piovere. Avevo perduto l'orientamento, e non trovavo più segni del suo passaggio, che fino a poco prima erano stati fin troppo evidenti. Ma fu lui a trovare me. Sbucò dagli alberi alle mie spalle. Sembrava arrabbiato, ma mi accorsi che stava fingendo; in realtà credo fosse solo rassegnato. Mi intimò di tornare a casa e io mi rifiutai.
Stava per fare buio, allora disse che avrei dovuto cavarmela da solo; alzò quella sua spada effeminata, come per trafiggermi. Invece la piantò nel terreno in mezzo ai miei piedi. Mi rivolse uno sguardo folle, ma i suoi occhi sembravano sul punto di piangere. Si voltò e corse via nel folto degli alberi.
Non attesi a lungo. Il cielo a ponente era ancora velato di rosso quando il lupo mi raggiunse. Ululò e prese a girarmi intorno più volte, a distanza; potevo solo intravvederlo correre nel sottobosco. Le mie mani tremavano, mentre attendevo l’assalto. Infine uscì allo scoperto, puntò verso di me e spiccò un balzo. Chiusi gli occhi e protesi la spada; il lupo schivò e mi attaccò al fianco destro. Gli sferrai un colpo sul dorso, trapassandolo come burro; quindi mi mancarono le forze e svenni. Quella spada di foggia ridicola, di cui mi ero sempre vergognato, era stata la mia salvezza.
Alzai lo sguardo verso Gunnar, e ruppi il silenzio.
– Frederik non tornerà. Ho ucciso io il lupo, la ricompensa spetta a me.
I cacciatori si guardarono, senza una parola. Gunnar s’infuriò.
– Tu, mentecatto! Credi che siamo stupidi?
Dai cacciatori si levarono frasi d'approvazione. Erano settimane che tentavano di prendere quel mostro.
– Pensi che siamo disposti a cedere la ricompensa a un ragazzino? Non l’hai ucciso tu, non ne sei capace! E come? Con questa?
I cacciatori risero, mentre il capitano Gunnar mi strappava la spada dalla cintura. La puntò sulle pietre del pavimento, ci mise sopra un piede e facendo leva con le braccia la spezzò. Raccolse i frammenti e li sollevò per mostrarli a tutti.
– Ecco l'eredità che suo padre gli ha lasciato – disse, e li scagliò nel focolare. Il fragore del metallo sulla pietra non riuscì a coprire quello delle risa dei cacciatori.
– Ben fatto!
– Non avrà la nostra ricompensa!
– Donna – riprese Gunnar – dagli un po’ di zuppa calda, per ringraziarlo di aver riportato il lupo che noi abbiamo ucciso.
Gunnar mi afferrò per i capelli e mi costrinse a guardarlo dritto in faccia. – Mangia e tornatene nella tua baracca. Se non ti farai più vedere, forse dimenticherò la tua insolenza.
Detto questo, mi spinse a terra e mi voltò le spalle, imitato dagli altri.
Digrignando i denti per il dolore, mi misi in piedi.
– Hans – disse Anna – Non devi alzarti con quella ferita.
Il sangue sgorgava dal mio fianco destro, dove erano affondati i denti del lupo.
– Anna – bisbigliai alla locandiera – prometti di fare una cosa per me, senza domande. – Lei annuì, affranta. – Esci dalla locanda, subito. E spranga dall'esterno.
La vidi esitare. Ci guardammo negli occhi, poi lei si voltò verso il tavolo con la carcassa riversa sopra. Anche da morto, quel lupo incuteva timore: un pelo ispido ricopriva il corpo e la testa nera; le orecchie erano come corna di un demonio; la mascella formidabile lasciava sporgere denti incrostati di sangue e bava secca. Entro le orbite rotonde dell'animale, era orribile riconoscere l'occhio dell'uomo.
Anna impallidì, perché forse cominciava a sospettare, e si affrettò ad andare.
Gli altri non badarono a lei, né a me. Erano intenti a preparare la bilancia, e affilavano i coltelli, per ridurre a un trofeo quella che ormai consideravano la loro preda.
Guardai fuori dalla finestra. La pioggia persisteva, il sole giaceva sulla linea che separa il giorno dalla notte. Sentii le mie ossa scricchiolare, la pelle tendersi, il cuore stringersi e battere più veloce.
Mi avvicinai al focolare e raccolsi la spada infranta, inservibile, poi mi voltai verso il centro della sala per fronteggiare i cacciatori. La mia ombra, animata dalle fiamme, li sovrastava e si agitava sul muro in fondo, tra le pelli di lupo. Gunnar e gli altri finalmente tacquero, allarmati, e sfoderarono le loro armi di vile acciaio. Allargai le narici e mi ubriacai del profumo della loro paura. Mostrai la spada d'argento di Frederik.
– Non è solo questa l'eredità di mio padre – ringhiai, mentre la ragione lasciava campo al nudo istinto e alla fame.
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