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Pretzel Jack

Circolo degli Antichi
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Informazioni su Pretzel Jack

  • Compleanno 06/02/1988

Informazioni Profilo

  • Sesso
    Maschio
  • Località
    Grossetano
  • GdR preferiti
    Dungeon World, D&d 5ed
  • Occupazione
    Consulente

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Obiettivi di Pretzel Jack

Prescelto

Prescelto (7/15)

  • Dedito alla community Rara
  • Pronto alle reazioni Rara
  • 5 anni con noi Rara
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72

Punti Esperienza

  1. Se qualcuno di vuoi puo disincantare e aprire tenterei , sennò va da se che ci ributtiamo dalla parte opposta
  2. Varian Darevic - Cavaliere errante ( Iracondo Invulnerabile), seguace del Caos Il cavaliere si gira per coprire la retrovia al gruppo. La sensazione inquietante che siano appena finiti nuovamente bloccati.
  3. Enarion Amar di Bosco Grigio - Aerlindir - Divinatore da Battaglia Alba del 12 Mustering 420 [Sereno – Foschia leggera tra i pini, l’aria profuma di resina e terra umida] L’alba strisciava attraverso la valle come un predatore in caccia, senza rumore, senza pietà. La bruma copriva ancora il terreno come un sudario trasparente, e i raggi del sole s’infiltravano tra i rami dei pini, proiettando lame di luce nell’aria sospesa. Il gruppo si risvegliava lentamente, ma Enarion non aveva dormito. Quando i primi raggi di sole tinsero di oro il bordo della cupola magica ormai dissolta, lui era in piedi su un piccolo rialzo del terreno, il mantello ancora rigido per la brina. Aveva vegliato come fanno gli esploratori e i maghi da guerra: occhi attenti, corpo immobile, mente in moto costante. Ora, era tempo di cercare risposte. Non avrebbero marciato alla cieca. Si inginocchiò su un tratto di terra battuta che discendeva fino alla vicina foresta e con gesti misurati estrasse una piccola custodia di cuoio rigido, sormontata da simboli elfici incisi con precisione. La aprì, e da essa trasse una manciata di perle nere. Sfere di potere levigati dal tempo e dalla magia, ognuna incastonata con minuscole rune che solo gli iniziati dei Divinatori da Battaglia erano autorizzati a conoscere. Le fece roteare lentamente tra le dita, come sfere celesti in un firmamento oscuro, mormorando parole nel linguaggio arcano degli elfi. “Foresta. Passaggio. Silenzio. Pericolo. Cammino.” Ogni parola era una chiave. Ogni pensiero, una porta. Le perle presero a vibrare nella sua mano, poi si disposero a raggiera nella terra davanti a lui. Una formazione imperfetta, sbilanciata. Un segno chiaro per lui da leggere. Enarion osservò le rune brillare per un istante, poi svanire. Le raccolse in silenzio, il viso scolpito nel consueto gelo. Ma la vera risposta, quella che bramava, non sarebbe venuta dalle perle di potere. Sarebbe venuta da lei. L’ombra che cammina nei suoi sogni. L’essere che lo aveva scelto. Forse per caso. Forse per crudeltà. Forse per un capriccio antico quanto le guerre degli dèi. Ancara. Enarion si tolse i guanti, posò il grimorio accanto a sé con delicatezza e tracciò un cerchio rituale nella terra umida, riempiendolo con incenso lunare, polvere d’argento e una piuma scura come l’inchiostro della notte: una reliquia recuperata nel cuore morente di Bosco Grigio, nei resti carbonizzati di una creatura mai identificata. Si sedette in ginocchio. Chiuse gli occhi. E discese. Il mondo svanì. La luce scomparve. Il tempo si arrestò. Nel buio profondo, una ragnatela di fili d’ombra si tese attorno a lui. Silenziosa. Pulsante. Ogni filo vibrava con il canto sordo delle profondità del mondo. E da quel centro… venne lei. Ancara. Alta, sottile, elfica eppure più antica della razza degli elfi. Un volto coperto da un velo nero che si sollevava appena, mostrando occhi come pozzi senza fondo ed un volto di una bellezza predatoria e divina. Una voce che non si udiva con le orecchie, ma nella carne e nelle ossa. Capelli lunghissimi, fluttuanti come fumo scuro nel vuoto. Enarion non si inchinò. Ma sentì il gelo scendere lungo la schiena. Sempre, quando lei appariva, la temperatura nel sogno si abbassava. I sensi si facevano acuti. Il cuore rallentava. Non era paura. Era consapevolezza. Era rispetto per qualcosa che non si poteva comprendere appieno. La prima volta che l’aveva vista, era ancora un allievo alla Torre Bianca. Aveva sognato Bosco Grigio. Il suolo ridotto in cenere, le foglie bruciate sospese nel vento come ceneri votive. Lei era apparsa nel cuore di quel sogno. Aveva pronunciato il suo nome: Aerlindir. E da quel giorno, ogni incantesimo di divinazione lanciato da lui sembrava toccare la sua sfera. Perché lui? Perché ora? Perché proprio lei? Nessuna risposta. Mai. Solo presagi. Solo visioni. Solo l’ombra. Oggi, però, parlò per primo. «Mostrami come raggiungere la tomba evitando il drago.» Una domanda. Diretta. Nuda. Come la verità che cercava. La figura non rispose subito. Una ragnatela si tese attorno a lui. Una scia di sangue solcava un lago immobile. Una montagna si spaccava in silenzio. Un battito d’ali in lontananza. Poi, finalmente, la voce: Le parole musicali in un elfico antico gli diedero la risposta che cercava forse. Il sorriso di lei ed il bacio che li diede sulla fronte il permesso di andare. La visione svanì. Enarion aprì gli occhi. Il fumo dell’incenso si era consumato, e la brina della notte si era oramai ritirata sotto il sole giovane. Si alzò senza dire una parola. Sistemò gli strumenti rituali, strinse il mantello calando il cappuccio sul volto immortale e tornò verso il campo. Ancora una volta, il Mostra Via aveva interrogato le ombre. E le ombre avevano parlato. Ora doveva solo guidare il gruppo.
  4. Varian Darevic - Cavaliere Pantera Varian fermò i suoi passi appena entrato, lasciando che lo sguardo si adattasse lentamente all’atmosfera della taverna. L'aria era pesante, calda, carica del profumo di birra, di legno consumato e di voci che si sovrapponevano una all’altra in un coro disordinato. La stanchezza gli gravava ancora sulle spalle, eredità inevitabile dello scontro recente con gli uomini-bestia, ma la sua figura rimaneva imponente, severa come le pietre della grande cattedrale di Ulric. I suoi occhi chiari e attenti scivolarono brevemente sul giovane uomo che si era appena presentato, Ludwig von Shtupp. Varian ne percepiva chiaramente la timidezza, il lieve disagio davanti alla sua presenza, reazione frequente che ormai conosceva fin troppo bene. Con un movimento lento del capo ricambiò il saluto, un gesto misurato ma rispettoso. «Sir Varian Darevic, Cavaliere dell'Ordine della Pantera», rispose con tono pacato e profondo. La sua voce, bassa ma chiara, sembrò attraversare senza sforzo il brusio confuso della taverna. Avanzando lentamente verso il tavolo indicato da Djmitri, il cavaliere percepiva ogni sguardo su di sé. Aveva imparato ormai da tempo ad abituarsi a quel misto di rispetto, timore e curiosità che accompagnava sempre il suo ingresso in un luogo pubblico, soprattutto in una città come Middenheim, dove i cavalieri erano visti come custodi severi e implacabili contro le minacce che lambivano costantemente i confini. Si liberò con gesti precisi del pesante mantello blu scuro, lasciandolo ricadere dietro lo schienale della sedia con una fluidità maturata negli anni. Il medaglione con lo stemma del suo casato e il piccolo simbolo d’argento con inciso il nome di Sigmar tintinnarono lievemente, una nota quasi impercettibile che si perse tra le voci della taverna. Sedendosi, notò gli occhi incuriositi del giovane Ludwig fermarsi brevemente sulla sua spada. "Giuramento del Nord" brillava appena nella penombra, l'incisione visibile anche al debole chiarore delle torce. Un cimelo austero e solenne, lungo quanto bastava per infrangere armature coriacee, un’eredità che da generazioni passava di padre in figlio come promessa e monito. Osservò il pirata, Jacob, e il suo mazzo di carte colorate, intuendo vagamente il senso di quella scena; in un'altra vita avrebbe forse sorriso alla spavalderia spensierata di quell’uomo. Adesso però era soltanto un'ombra distante, qualcosa da guardare con un certo distacco. Poi il cavaliere volse appena lo sguardo su Djmitri, il mago d'ombra che lo aveva accompagnato. Lo vedeva rilassato, capace di muoversi in quel contesto con una naturalezza e una disinvoltura quasi inquietanti. Djmitri parlava con Jacob con un tono che Varian riconobbe subito: la lingua melodica e marittima di Marienburg. Varian comprese ogni parola, ogni sfumatura, grazie ai lunghi mesi trascorsi al fianco di cavalieri provenienti da quelle terre lontane. Marienburg. Era una città strana, diversa in tutto e per tutto da Middenheim o dalle terre fredde del Nord da cui proveniva. Un luogo in cui le regole erano più labili, gli scambi più veloci, il denaro più importante dell'onore. Eppure, per qualche motivo che non avrebbe saputo spiegare, Varian aveva sempre provato un'inspiegabile curiosità verso quella città portuale, i suoi mercanti, le sue navi che promettevano libertà e avventura. Mentre la conversazione al tavolo riprendeva a fluire, Varian incrociò brevemente gli occhi del giovane Ludwig, che ancora lo osservava con rispetto. Gli rivolse un cenno di rassicurazione, prima di ordinare qualcosa da bere con un tono asciutto e breve, lasciando che i pensieri su Marienburg tornassero lentamente a dissolversi nella sua mente. Ora era a Middenheim, e Middenheim era un luogo fatto di guerra e responsabilità. Le strade della libertà e dell'avventura avrebbero dovuto attendere, almeno per il momento. Concluse quell'elucubrare finendo a guardare l'unica donna seduta al tavolo, che ancora non si era presentata.
  5. Elenion
  6. Elenion
  7. Varian Darevic - Cavaliere Pantera Ritorno a Middenheim Il grande portale di Middenheim appariva come una bocca spalancata nella pietra, severa e oscura, con le mura massicce che sussurravano di guerre antiche e resistenze disperate. Il cavaliere avanzava lentamente, il passo cadenzato del suo destriero grigio, Galahad, risuonava come il battito lontano di un tamburo. Accanto a lui cavalcava Dijmitri, il mago d'ombra incontrato lungo la strada quando erano stati assaliti da un branco feroce di Uomini Bestia. La lotta fianco a fianco aveva creato un'alleanza silenziosa e provvisoria, nata sul filo della morte e che solo il tempo avrebbe potuto cementare con la fiducia. Mentre si avvicinava al portale, sentiva un nodo formarsi alla base della gola. I ricordi tornarono vividi: la prima volta che aveva attraversato quella stessa soglia era poco più che un ragazzo, scudiero inesperto carico delle armi e dei simboli del suo mentore, Sir Dieter Krauss. Il peso di quegli oggetti era stato opprimente come colpe mai commesse, il freddo pungente dell'aria aveva accompagnato ogni suo passo fino al cuore della città. Allora tutto era sembrato immenso ed estraneo, lontano dal brutale calore familiare dell’Ostland. Strinse leggermente le redini, sfiorando con le dita la pelle ruvida del giaguaro delle nevi sotto la sella. L'armatura, spessa ma segnata dalle battaglie, brillava debolmente alla luce della sera, avvolta nel pesante mantello blu scuro, colore del suo ordine. Sul petto portava due piccoli medaglioni, uno con il simbolo del suo casato e l'altro inciso con il nome di Sigmar. Lo scudo, decorato con l'emblema dell'Ordine Pantera, era agganciato saldamente alla sella accanto all'elmo sormontato dall'effigie minacciosa di un uomo bestia, come voleva la tradizione. Anche la sua spada, un cimelio di famiglia leggermente più lunga delle normali lame da soldato, era fissata con cura al fianco della sella. La sua impugnatura permetteva di utilizzarla ad una o due mani. Il suo peso di affondare l'arma anche nelle armature piu' coriacee. Di foggia semplice ma elegante, aveva un incisione sulla lama. Giuramento del Nord. Il cavaliere appariva imponente, una figura dalla bellezza austera, severa e solenne. I capelli lunghi ricordavano quelli dei cavallieri delle ballate. La barba incolta quella di chi passava molto tempo nelle terre selvagge. Al suo passaggio sotto il portale, le guardie cittadine sollevarono le lance in segno di rispetto, salutando silenziosamente il suo ritorno. L’Ordine Pantera godeva di grande prestigio, e i soldati riconoscevano la forza e l'onore di coloro che combattevano instancabilmente contro le minacce dell'Impero. La città si apriva davanti a lui, le luci già brillavano nelle prime ore della sera, promettendo riposo. Con una strana, dolce amarezza, comprese che nonostante oramai vivesse li da tempo, non riusciva ancora a sentirla casa, ma soltanto l'ennesima pausa fra una battaglia e l'altra. Il carnevale era alle porte, e questo si poteva respirare sia nel clima che nel variopinto assortimento di persone da ogni parte dell'impero. Accogliendo la proposta del suo compagno, lo segui' all'interno di una taverna. Non fecero in tempo a superare la soglia che Dijmitri venne accolto da una voce che parlava la lingua di Marienburg. Varian riconobbe immediatamente quel dialetto familiare, avendo servito fianco a fianco con cavalieri provenienti da quelle terre. Ripensò brevemente a Marienburg, una città di opportunità e pericoli, ambizioni e tradimenti; un luogo che, come Middenheim, rappresentava un incrocio tra il destino e le scelte personali.
  8. Enarion Amar di Bosco Grigio - Aerlindir - Divinatore da Battaglia Il fuoco bruciava lento, consumando la legna secca e lasciando dietro di sé solo spire di fumo sottile che si perdevano nel velo notturno. Sotto la cupola magica, i volti attorno al bivacco erano rischiarati dalla luce tremolante, ognuno perso nei propri pensieri. Enarion ascoltò senza interrompere. Valutò. Pesò ogni parola. Lainadan aveva confermato che si trovavano nella valle giusta, o almeno in quella più probabile. Questo significava che la loro strada era già tracciata. Ma significava anche che non erano soli. Un drago rosso.Le parole gli lasciarono un sapore amaro sulla lingua. Gli esploratori elfici non affrontavano i draghi. Li evitavano. Si aggiravano nelle loro ombre, studiavano le loro abitudini, ne carpivano i movimenti senza mai osare provocare la loro furia. I draghi non erano solo bestie. Erano intelligenze antiche, predatori perfetti, entità capaci di trasformare un esercito in cenere nel tempo di un respiro. Ma se davvero quel portale si trovava nella tomba custodita da un drago, allora la sfida non era più solo trovare la via. Era arrivare vivi. Gromnir propose di attraversare il bosco, il che aveva senso. La foresta era copertura. Era ombra. Era anonimato. Ma era anche un rischio. Se il drago era attivo nella zona, cacciava. E se cacciava, i suoi sensi erano acuiti, la sua attenzione sveglia. Muoversi tra gli alberi avrebbe garantito protezione da occhi mortali, ma non da quelli di un antico essere che dominava i cieli. Enarion non parlò subito. Lasciò che il silenzio si allungasse un attimo oltre il necessario. Poi, con calma misurata, prese un piccolo pezzo di carbone dalla cenere e tracciò una linea accanto a quella già segnata da Gromnir. «Attraversare il bosco è la scelta più sicura… se il drago è addormentato o distante.» Spostò il carbone di qualche centimetro. «Se invece è attivo, se la sua tana è vicina, muoverci tra gli alberi potrebbe esporci più di quanto immaginiamo. Soprattutto se ha marcato il territorio. Se c’è qualcosa che vive in quelle fronde, lo sapremo presto. O lo saprà lui.» Lasciò cadere il carbone e si voltò verso Seldanna, il volto privo di espressione. «Preparazione, dici?» Fece un cenno vago con il capo. «Dimmi, quanti incantesimi conosci in grado di annullare il soffio infuocato di un drago antico?» Non c’era sarcasmo nella sua voce. Solo pragmatismo. «Possiamo prepararci quanto vogliamo, ma la conoscenza è l’unica arma reale che abbiamo. Dobbiamo sapere dove si trova, quali sono le sue abitudini, se caccia di notte o all’alba. Solo allora potremo scegliere la via migliore.» Il primo passo verso la morte è l’arroganza. Il secondo è l’ignoranza. Non commettiamo nessuno dei due. Penso. Fece un respiro profondo, come se stesse valutando la decisione che stava per prendere. «Userò la mia magia per cercarlo. Domani. Se i tuoi metodi divinatori possono aiutare fai lo stesse mastro nano.» Si voltò verso Seldanna, prendendo dal suo fianco un libro avvolto in una custodia di pelle rinforzata. Lo sfilò con un gesto fluido e lo porse all’elfa. «Visto che hai sete di conoscenza, puoi dare un’occhiata mentre io mi preparo per il primo turno di guardia.» Il tomo non era un libro qualsiasi. La copertina era di cuoio scuro, quasi nero, ma la superficie sembrava mutare sotto la luce, come se vene d’argento liquido scorressero sotto lo strato superficiale, scrivendo rune e parole elfiche. Non un semplice grimorio, ma un artefatto forgiato per la guerra. Il sigillo del casato Amar era impresso al centro: un corvo nero su uno sfondo bianco argenteo. Non più un simbolo di potere nobiliare, ma un monito. Una reliquia di un nome che non aveva più un regno da proteggere. Le pagine non erano di semplice pergamena. Sottili come seta, resistenti come ferro. Impermeabili all’acqua e al tempo. Erano state scritte in condizioni estreme: sotto la pioggia battente, alla luce di un fuoco morente, con la spada ancora insanguinata appoggiata accanto. Questo non era un libro di studio. Era un libro di battaglia. Ogni formula era annotata con strategie, con considerazioni tattiche, con possibili applicazioni in guerra. Era un grimorio da esploratore, da assassino, da veggente della notte. Una reliquia della Torre Bianca, adattata a chi aveva imparato a combattere nel fango e nella cenere. «Non è solo inchiostro e carta.» Seldanna, la prima bibliotecaria di Tor Leah, avrebbe capito. Non era un libro da esporre in una teca. Era un’arma, forgiata con parole invece che con il ferro.
  9. Elenion Valenar - Cavaliere errante, paladino di Hoar.
  10. Enarion Amar di Bosco Grigio - Aerlindir - Divinatore da Battaglia Enarion alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo, lasciando che la mente si sintonizzasse sulla geografia del luogo. Il campo di battaglia era davanti a loro, invisibile agli occhi di chi non sapeva dove guardare. Non c’era bisogno di scrutare le stelle o di evocare antiche profezie per sapere che la strada sbagliata significava morte. Si accovacciò vicino al fuoco, tracciando con un dito la forma della valle nella terra umida. Il suo tono era quello di un comandante che non aveva bisogno di chiedere il permesso per parlare. «Abbiamo quattro direttrici.» Prese una manciata di cenere dal bordo del focolare e la lasciò cadere sulla mappa improvvisata. «A nord e a est, la foresta si estende fino all’orizzonte. Il sottobosco potrebbe darci copertura, ma ci costringerebbe a muoverci più lentamente e ci esporrebbe al rischio di imboscate. Se qualcosa si nasconde in questa valle—indigeni, predoni o creature legate al portale—questa è la strada che consiglierei loro per tendere un’imboscata.» Spinse un piccolo sasso a ovest. «A ovest, la pianura. Terreno aperto. Troppo esposta, troppo visibile. Se il nostro passaggio è già stato notato, sarebbe il miglior modo per finire sotto gli occhi di chiunque voglia seguirci. Ma se volessimo velocità, questa sarebbe la via più rapida.» Con il dorso della mano, spazzò via un po’ di terra a sud, come se volesse cancellare qualcosa. «A sud abbiamo le montagne, le stesse che abbiamo attraversato per arrivare fin qui. Strada difficile, irregolare, e tornare indietro senza informazioni precise è una perdita di tempo. Ma se dovessimo eludere eventuali inseguitori, potremmo sfruttarle per nasconderci e costringerli a cercarci in un terreno difficile.» Fece una pausa, lasciando che il silenzio parlasse più delle sue parole. Non era un dibattito. Era una valutazione. «Non sappiamo chi o cosa potrebbe essere già sulle nostre tracce, ma se noi siamo arrivati fin qui, allora anche altri potrebbero.» Il suo sguardo freddo si posò su Gromnir. «Dite che nessuno conosce la posizione esatta del portale. Io non ci conterei.» Era una regola della guerra: se una reliquia era rimasta nascosta per secoli, non significava che nessun altro la cercasse. Significava solo che chi la voleva davvero, sapeva nascondere le proprie tracce. Si alzò lentamente, ripulendo il guanto dalla polvere accumulata. «Se vogliamo arrivare alla tomba prima di altri, la velocità è essenziale. Ma se vogliamo arrivarci vivi, la cautela lo è ancora di più.» Si voltò verso Seldanna e Hrólfr, poi su Lainadan e Gromnir. «Dobbiamo scegliere. Un sentiero veloce, ma esposto. Un sentiero sicuro, ma lento. O una via di mezzo, che potrebbe nascondere più insidie di quante ne vediamo ora. » Fece una pausa, socchiudendo gli occhi, riflettendo su un’altra possibilità. La magia era un’arma. La divinazione, un ponte tra il presente e il futuro. Se volevano guadagnare tempo, potevano usare entrambi. «C’è un’altra via. Più rischiosa, ma più veloce.» I suoi occhi si spostarono su Seldanna. Lei sapeva dove stava andando con quel pensiero. «Potremmo usare la divinazione per individuare un punto più vicino al portale, un luogo sicuro abbastanza da servire come ancoraggio per un teletrasporto. Se riusciamo a trovare un punto d’approdo affidabile, possiamo ridurre il nostro viaggio a pochi battiti di cuore.» Vi erano molte magie di teletrasporto, o di trasporto rapido e forse la Prima Blibliotecaria della Torre Bianca aveva un incantesimo dalla sua che faceva al caso loro. Passò lo sguardo su tutti loro, valutandoli. Non era una magia priva di rischi. «Ma se il portale è sorvegliato da altri maghi, o se la sua energia influenza lo spazio attorno a sé, potremmo finire nel posto sbagliato. O peggio, essere intercettati.» Nella guerra, ogni vantaggio aveva un prezzo. «Possiamo rischiare di tagliare la distanza e forse risparmiare giorni di viaggio… ma se qualcuno sta aspettando, potremmo cadere dritti in una trappola.» Si voltò di nuovo verso il fuoco. La scelta spettava al gruppo, ma lui aveva posto le carte sul tavolo. Qualunque via scegliessero, lui avrebbe servito la missione per cui era stato chiamato a servire. Forse per la prima volta da quando si conoscevano, Seldanna e Hrólfr, comprendevano perche' il suo soprannome fra gli esploratori elfici era Aerlindir, il mostra via.
  11. Varian Darevic - Cavaliere errante ( Iracondo Invulnerabile), seguace del Caos Il cavaliere errante e' restio ad evitare uno scontro, ma accosente di seguire il gruppo, per ora. La magia della strega dal volto coperto e' sinistra e pericolosa se puo' cosi' facilmente mettere a dormire un segugio innaturale. Non c'e' da fidarsi, pensa, mentre prosegue oltre la bestia addormentata.
  12. Varian Darevic - Cavaliere errante ( Iracondo Invulnerabile), seguace del Caos Il cavaliere segue l'insospettabile gruppo. Osserva gli altri con curiosita', mentre rigira nelle sue mani la spada maledetta. Le parole di Kirin non arrivano dove forse lui sperava. Varian distoglie lo sguardo per portarlo sull'animale inconsapevole, pronto a prendersi anche la sua di vita se si mettera' sul suo cammino. Ma pazienta. Ascolta le parole misteriose ed arcane Mevrah, ritirandosi istintivamente.
  13. Enarion Amar di Bosco Grigio - Aerlindir - Divinatore da Battaglia Il fuoco scoppiettava ancora, inghiottendo la legna secca con schiocchi secchi e improvvisi. La cupola di magia evocata da Seldanna li avvolgeva, soffocando il respiro della notte e lasciando che solo le fiamme danzassero sulle loro armature, sui loro volti, sulle ombre che proiettavano sul terreno. Enarion osservava. Pesava. Valutava. Lainadan. Sorriso facile, spavaldo nei modi. Parlava con la disinvoltura di chi non aveva mai sentito sulle costole il fiato di chi uccide per sopravvivere. Troppo giovane, troppo sicuro. Uno come lui era utile finché l’illusione della fortuna durava, poi diventava solo un problema. Gromnir. L’uomo aveva un’aria diversa, di chi si portava addosso una storia di cicatrici, di chi aveva dovuto imparare quando colpire e quando trattenersi. Aveva dato le prime informazioni, ma a suo modo aveva chiesto qualcosa in cambio. Era uno che trattava, non uno che dava. Bene. Enarion preferiva gli uomini così: più facili da prevedere. Hrólfr. Il nano era un’altra questione. Non un estraneo, non del tutto. Aveva vissuto nella Torre Bianca per anni, si era guadagnato rispetto tra gli studiosi, persino fiducia tra alcuni. Per Enarion, fidarsi era una parola vuota, ma sapeva riconoscere qualcuno che aveva già fatto il suo cammino tra gli elfi senza farsi nemici. Il che significava due cose: o era più scaltro di quanto non sembrasse, o era davvero così testardamente ligio ai suoi principi. Seldanna. Lei era una costante. Dove lui si era fatto ombra e vendetta, lei aveva sempre trovato il modo di restare in equilibrio su quella linea sottile tra saggezza e perseveranza. Aveva sempre saputo come spingere, come smussare, come intrecciare fili che non volevano essere legati. Eppure anche lei giocava la sua partita. Quando parlò, lo fece con la pesantezza di chi sa che le parole sono una lama da affilare. «Il portale è la nostra meta. E se le vostre ricerche vi hanno condotto qui, significa che la convergenza è reale. Potrebbe aver senso continuare insieme e non "pestarci i piedi"» Non era un giuramento. Non era una promessa. Era un dato di fatto, un’osservazione fredda e priva di emozione. Un uomo in viaggio nella tempesta poteva scegliere se camminare accanto ad altri o morire solo. Non aveva mai amato la diplomazia. La diplomazia era il preludio alle menzogne. «Ma la conoscenza è nulla senza il contesto.» La voce era più bassa, quasi un sussurro che si intrecciava con il crepitare delle fiamme. «Chi altri sa del portale? Sapete se altri si muovono in questa terra per trovarlo? Perche' se non siamo gli unici, stiamo gia' perdendo tempo.» Non era paura, non era sospetto. Era calcolo. Questa terra non era Bosco Grigio. Qui il cielo non aveva la stessa tonalità plumbea, il vento non portava con sé l’odore di alberi bruciati e carne marcita. Qui la guerra non aveva ancora scavato solchi profondi nei villaggi, nei cuori, nelle menti. Qui, la guerra era ancora un’idea. Non una certezza. Bosco Grigio era un cimitero di illusioni, una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Qui, invece, il terreno era morbido, fertile per lo spargimento di sangue futuro. Le strategie che aveva affinato nelle ombre del suo regno perduto non si sarebbero applicate nello stesso modo. Niente foreste fitte per nascondere le trappole. Niente rovine che avrebbero parlato con la lingua muta dei fantasmi. Qui, il combattimento sarebbe stato diverso. Più scoperto. Più diretto. Più pericoloso. Sollevò lo sguardo. Fino a quando non avesse avuto tutte le risposte, sarebbe rimasto. Fino a quando il destino non avesse rivelato il suo gioco. Per ora, avrebbe camminato accanto a loro. Per ora.
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