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Bille Boo

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  1. Se abbandoniamo il pregiudizio che per ruolare si debba avere in testa un’idea a priori del proprio PG, per poi “recitarla”, non rischiamo di avere personaggi incoerenti o banali? Ecco perché no. Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo Guida all'Interpretazione #2: Psicosofia del Ruolare Articolo di Bille Boo del 09 marzo 2021 Nella scorsa puntata, che era il cuore di tutto, abbiamo visto come funziona davvero il meccanismo del “ruolare”. Ma ci siamo lasciati con una domanda: evitare di aderire a una personalità definita a priori (carattere, modo di fare, storia passata, allineamento…) non rischia di farci interpretare personaggi scialbi, anonimi o incoerenti? Ebbene, cos’è davvero la coerenza? Quand’è che la riconosciamo in una persona, o un personaggio una storia? E noi, tutti noi, quando e perché siamo coerenti? Coerenza, questa sconosciuta Di solito quando diciamo che una persona, o un personaggio, è coerente intendiamo due cose. Che c’è concordanza tra quello che pensa e quello che fa. Cioè, che il suo agire è conforme al suo modo di pensare, ai suoi valori, ai suoi desideri, alla sua mentalità eccetera. Che c’è costanza e logica nei suoi comportamenti. Cioè, che il suo agire in un certo momento non contraddice il suo agire precedente, a meno che nel frattempo non gli sia successo qualcosa che giustifichi il cambiamento. Naturalmente esiste anche un altro significato di coerenza, che è la coerenza tra parole e azioni, tra quello che il soggetto dice e quello che fa in pratica: il contrario dell’ipocrisia, insomma. Ma quello non ci interessa al momento perché non è qualcosa che ricerchiamo in generale in qualunque personaggio: potrebbe benissimo esistere un PG ipocrita, magari sarebbe pure divertente da giocare. Concentriamoci invece su ciò che è valido per tutti. Nel seguito dell’articolo metterò da parte questo significato e userò la parola “coerenza” solo nelle due accezioni elencate sopra. Teorema I matematici fanno questa cosa intrigante: le dimostrazioni per assurdo. Se avete fatto un liceo o un corso di matematica potreste averne un ricordo (bello o traumatico che sia). In questo articolo andrò a fare qualcosa di simile. Nello specifico, intendo dimostrare che: Questa formulazione è semplice, ma un po’ incompleta. Quella completa, ancorché ampollosa, è la seguente: E lo andrò a dimostrare, in un certo senso, per assurdo, cioè supponendo che il nostro giocatore-esempio non si curi affatto della coerenza e non faccia nessuno sforzo per rendere il suo personaggio coerente. Purché non faccia dell’incoerenza un fine: altrimenti si ricade nell’eccezione di cui sopra. Da dove viene la coerenza? Ma noi, perché siamo (perlopiù) coerenti? Intendo noi esseri umani reali. Nella bozza di questo articolo mi sono accorto che stavo buttando giù un mezzo trattato di psicologia o sociologia, noiosissimo e pesantissimo, senza averne le competenze. Quindi ho, giustamente, cancellato tutto e ho deciso di farla breve e brutale. Cos’è che ci fa comportare in modo coerente, e percepire come coerenti dalle altre persone? Ci sono delle cose che vogliamo, desideriamo, che ci fanno stare bene o di cui abbiamo bisogno. Quindi cerchiamo, in generale, di raggiungerle, ieri come oggi come domani. Dalle nostre esperienze passate abbiamo tratto insegnamenti e modelli di comportamento che tendiamo ad applicare ora e in futuro. Abbiamo dei valori, dei princìpi o delle credenze a cui cerchiamo di attenerci. Non sempre riuscendoci. Come si riconosce la coerenza? Usciamo dal mondo reale ed entriamo nel mondo delle storie, dei racconti, dei film, della finzione. La coerenza sembra essere uno dei criteri principali per cui apprezziamo un personaggio immaginario. Ma come facciamo a riconoscerla? Che cos’è che apprezziamo in realtà? Esistono storie altamente introspettive che ci mostrano quello che pensa un certo personaggio, e/o ci fanno vedere le cose dal suo punto di vista. In tal caso possiamo apprezzare che ci sia un chiaro legame tra i suoi pensieri e il suo agire. Ma un tipico personaggio immaginario non pensa, nel senso che i suoi pensieri non sono esplicitati come parte della fiction. In quel caso resta solo la seconda parte dei significati di coerenza che ho dato all’inizio: apprezziamo che il suo agire nella storia segua una logica, che si capisca perché fa quello che fa e dice quello che dice. A quel punto possiamo immaginare che abbia pensieri, valori, desideri che supportano quel comportamento. I personaggi di D&D ricadono in questa seconda categoria. (Certo, un giocatore potrebbe dire agli altri giocatori cosa sta pensando il suo PG. In primo luogo non è detto che succeda, e qui stiamo facendo un discorso generale. In secondo luogo, se lo fa lascia il tempo che trova, perché noi esseri umani siamo molto più bravi a descrivere l’agire di altri esseri umani che il loro pensare. Poi se con il vostro gruppo vi diverte violare spesso lo “show, don’t tell” buon per voi, sia chiaro.) D&D e la coerenza emergente Spostiamoci adesso nel contesto a cui è dedicato questo blog, cioè D&D, e procediamo con la dimostrazione. Visto che nello scorso articolo ho usato come esempio un giocatore maschio con un personaggio maschio, per la parità questa volta consideriamo una giocatrice, che chiameremo Renza. Il suo personaggio è la paladina Romualda. Come si è detto sopra, Renza non si cura affatto della coerenza del suo personaggio, ma intende comunque giocare al gioco di ruolo (non ha lo scopo deliberato di “romperlo”). La bussola degli obiettivi Come ho detto molte volte, ogni avventura o campagna di D&D è una storia, in cui i PG hanno un obiettivo per raggiungere il quale devono superare certi ostacoli / conflitti. Ogni PG come si deve dovrebbe avere almeno un obiettivo, nel mondo di gioco. Tra l’altro, gli obiettivi comuni sono un ottimo (in effetti, secondo me, l’unico) fattore unificante di un gruppo di PG. E gli obiettivi sono una delle uniche due cose davvero importanti del background. Tutto questo per dire che Romualda ha un obiettivo: salvare il principe Celestino tenuto in ostaggio da una mummia. È stato compito di Renza scegliere una motivazione (un sacro giuramento al servizio della Corona) che spingesse Romualda verso quell’obiettivo. E sarà compito di Renza, come giocatrice, prendere le varie decisioni per Romualda nel tentativo di farglielo raggiungere. Sembra niente, ma questa è già una buona parte (diciamo un 60%) della coerenza. In ogni situazione, infatti, Renza (e quindi Romualda) non sceglierà a caso: sceglierà per la salvezza del principe. Potrà sbagliare, potrà fallire, ma le sue azioni avranno questa potente costante, una chiara direzione. Il che significa che avranno una logica e un perché. Lo abbiamo visto anche quando ho parlato del mondo reale: le cose che vogliamo (punto 1) sono uno dei fattori della nostra coerenza. Notare che Renza non fa nessuno sforzo attivo per ottenere coerenza: non gliene importa niente, quello che vuole è salvare il principe (cioè “vincere” la giocata); ma la coerenza viene di conseguenza (e scusate la rima). Azione e retroazione Non finisce qui: ogni volta che Renza fa prendere a Romualda una decisione in gioco, deve affrontarne le conseguenze. E qui entra in gioco il Diemme, che interpreta appunto il mondo di gioco, e quindi anche queste conseguenze. In breve tempo, Renza / Romualda si formerà un bagaglio di esperienze relative a come il mondo di gioco ha reagito alle sue azioni. E, a meno che Renza non sia del tutto stupida, non potrà non tenere conto di questo bagaglio ogni volta che prenderà una nuova decisione. Non per la volontà precisa di sembrare coerente, ma semplicemente perché vuole “vincere” (arrivare all’obiettivo, liberare il principe), e imparare dai successi e dagli errori passati è il modo più efficace per farlo; evitare gli ostacoli noti, sfruttare le risorse note e così via. Anche questo l’ho detto già a proposito del mondo reale (punto 2), giusto? A seconda di come ogni PNG si è relazionato con la paladina (l’ha ostacolata o aiutata? è stato utile o inutile?) lei si comporterà con lui di conseguenza, nei loro futuri incontri. Non per ragioni sentimentali o altro, solo perché vuole vincere. Ma appare come coerenza. Più certe scelte si sono rivelate vincenti (usare certe tattiche in battaglia, appoggiare una certa fazione, spendere i soldi su certe risorse… o anche semplicemente cercare trappole prima di aprire una porta!) più tenderà a ripeterle se si ripresentasse una situazione simile. Mentre cercherà di evitare di ripetere gli errori. Di nuovo, solo perché vuole vincere. Ma appare come coerenza. Tra il PG e il mondo di gioco c’è un meccanismo di retroazione (feedback): Romualda agisce, il mondo risponde agendo su Romualda, Romualda risponde di rimando e così via. Le azioni di lei modificano il mondo di gioco, ma le conseguenze modificano lei, nel senso del suo comportamento. Questo meccanismo porta rapidamente, nel giro di poche sessioni, tutto il contributo restante (circa un 40%, avevamo detto, no?) perché il PG appaia pienamente coerente. Valori aggiunti E i valori, i princìpi, le idee? Nel mondo reale abbiamo menzionato anche quelli (punto 3). Valgono, e servono, anche per un PG di D&D? Risposta: sono utili, ma non indispensabili. Un PG può apparire (anzi: apparirà) pienamente coerente anche senza dei valori di riferimento. Anzi, alcuni PG (come d’altronde alcuni personaggi immaginari di altri media) fanno dell’assenza (più o meno autentica) di valori la loro cifra caratteristica. D’altro canto, far comportare un PG in modo conforme a certi valori senz’altro può irrobustire la sensazione di coerenza che dà. Il giocatore può attribuire volutamente un certo valore di riferimento al suo PG, e tenerne conto quando fa le sue scelte, il che non è niente di male (ma neppure obbligatorio). Questo, però, implica che il giocatore voglia realizzare una specifica idea di personaggio. La nostra Renza non farà questo, perché non è interessata al personaggio in sé. Vuol dire che la paladina Romualda non avrà valori? No, potrebbe averli comunque. In tre maniere. Potrebbero essere un riflesso dei valori di Renza. Molte persone tendono, più o meno incosciamente, a rispettare almeno una parte dei loro princìpi e a non oltrepassare le loro più importanti “linee rosse” anche quando giocano di ruolo. Potrebbero essere un mezzo per giungere a un fine. Il mondo di gioco, infatti, potrebbe legare l’ottenimento di certi vantaggi, strumenti, opportunità al rispetto di un valore. Nelle edizioni passate di D&D questo era addirittura nelle regole: se Romualda fosse una paladina di 2a o 3a edizione dovrebbe essere legale buona e rispettare un dettagliato codice di condotta, per mantenere i suoi poteri. Nella 5a edizione ai paladini è rimasto solo un codice molto elastico e vago, ma in certe ambientazioni potrebbe essere più marcato. E, anche senza tirare in ballo la classe, aderire a certi valori potrebbe garantire il sostegno di certi alleati, l’uso di certi oggetti magici e così via. Ultimo, ma non per importanza: il mondo di gioco potrebbe mettere Romualda di fronte a delle scelte di carattere etico / morale, nel compiere le quali inevitabilmente finirà per rivelare i suoi valori, o per darsi dei valori se non ne aveva. Infatti, anche nella realtà, i valori spesso nascono quando ci si trova a dover prendere una decisione e ci si chiede cosa sarebbe più giusto. Certo, molti dei nostri princìpi derivano dall’educazione ricevuta, ma altri si formano dalle nostre scelte di vita. Se ci pensate bene, già la scelta dell’obiettivo e della motivazione del PG potrebbe configurarsi come scelta etico-morale e implicare dei valori: Romualda è fedele alla Corona, non è in un certo senso un valore? Ognuna di queste cose, se succede, fa sviluppare dei valori al PG e ne potenzia la sensazione di coerenza. Tuttavia, come abbiamo visto prima, è del tutto naturale arrivare a un 100% di coerenza anche senza che il PG segua alcun valore. Conclusione Il risultato di questa analisi si può riassumere così: “Emergente” significa che è una conseguenza spontanea, diciamo un effetto collaterale, del modo in cui funziona il gioco: non c’è bisogno di sforzarsi attivamente di ottenerla. Questo se si intende la coerenza come l’ho definita, e non se si pretende di vedere per forza una coerenza tra una definizione a priori del PG e quello che il PG risulta essere in gioco (sarebbe un approccio parecchio recitazionista!). E la personalità? E l’originalità? A questo punto mi si potrebbe dire: d’accordo sulla coerenza, ma senza una personalità definita a priori non rischiamo che il personaggio abbia sempre una personalità simile alla nostra, o comunque piatta, non originale? Beh, anche se fosse, non sarebbe una tragedia: abbiamo visto di recente che nella Vecchia Scuola il PG come mero “avatar” del giocatore va per la maggiore, e ci si diverte lo stesso. Comunque non è affatto detto che sia così. Anzi, potrei ripetere anche per la personalità, l’identità, l’originalità e qualunque altra qualità con l’accento sulla a, un discorso sostanzialmente simile a quello che ho fatto per la coerenza. Che cos’è davvero la personalità? Tu hai mai visto la personalità di un’altra persona? La puoi misurare, la puoi toccare? No, al limite puoi cercare di dedurla basandoti su come agisce. E, in effetti, così come la nostra personalità contribuisce a determinare le nostre azioni, le conseguenze delle nostre azioni (e, in generale, gli eventi che attraversiamo nella nostra vita) contribuiscono a plasmare a nostra personalità: quindi pure qui c’è un meccanismo di retroazione. Anche se non facciamo alcuno sforzo per dare intenzionalmente al nostro PG una personalità diversa dalla nostra, il solo fatto che viva in un mondo diverso, che abbia un obiettivo diverso e che gli succedano cose diverse finirà inevitabilmente per conferirgli una nuova identità, tutta sua. Fidatevi. Provare per credere. Con questo non voglio dire che sia sbagliato che un giocatore confezioni a priori una determinata personalità per il proprio PG: è un metodo come un altro, né migliore né peggiore, e ognuno deve fare come si trova meglio; l’ho detto già tante volte in questa serie ma è bene ripeterlo. Basta non credere che sia necessario. Per chi ci tiene molto a dare sin dall’inizio un tocco di originalità al carattere del proprio PG, faccio mio un suggerimento di The Angry GM: anziché definire una dettagliata architettura psicologica, prova a scrivere una singola, brevissima frase o “etichetta” che gli si addica, e attieniti a quella. Vedrai che il resto della personalità si evolverà rapidamente da lì, come una pianta che cresce da un seme, e sorprenderà anche te. (L’articolo in questione è qui, è in inglese, e come al solito dovrete fare i conti con lo stile prolisso e un po’ “da bullo” dell’autore, ma il contenuto merita.) Nella prossima puntata Nel prossimo articolo della serie parleremo di una questione che genera sempre accesi dibattiti: il rapporto tra i punteggi di caratteristica mentale del personaggio e la sua interpretazione di ruolo. Link all'articolo originale: https://dietroschermo.wordpress.com/2021/03/29/renza-co-guida-allinterpretazione-episodio-3/ View full articolo
  2. Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo Guida all'Interpretazione #2: Psicosofia del Ruolare Articolo di Bille Boo del 09 marzo 2021 Nella scorsa puntata, che era il cuore di tutto, abbiamo visto come funziona davvero il meccanismo del “ruolare”. Ma ci siamo lasciati con una domanda: evitare di aderire a una personalità definita a priori (carattere, modo di fare, storia passata, allineamento…) non rischia di farci interpretare personaggi scialbi, anonimi o incoerenti? Ebbene, cos’è davvero la coerenza? Quand’è che la riconosciamo in una persona, o un personaggio una storia? E noi, tutti noi, quando e perché siamo coerenti? Coerenza, questa sconosciuta Di solito quando diciamo che una persona, o un personaggio, è coerente intendiamo due cose. Che c’è concordanza tra quello che pensa e quello che fa. Cioè, che il suo agire è conforme al suo modo di pensare, ai suoi valori, ai suoi desideri, alla sua mentalità eccetera. Che c’è costanza e logica nei suoi comportamenti. Cioè, che il suo agire in un certo momento non contraddice il suo agire precedente, a meno che nel frattempo non gli sia successo qualcosa che giustifichi il cambiamento. Naturalmente esiste anche un altro significato di coerenza, che è la coerenza tra parole e azioni, tra quello che il soggetto dice e quello che fa in pratica: il contrario dell’ipocrisia, insomma. Ma quello non ci interessa al momento perché non è qualcosa che ricerchiamo in generale in qualunque personaggio: potrebbe benissimo esistere un PG ipocrita, magari sarebbe pure divertente da giocare. Concentriamoci invece su ciò che è valido per tutti. Nel seguito dell’articolo metterò da parte questo significato e userò la parola “coerenza” solo nelle due accezioni elencate sopra. Teorema I matematici fanno questa cosa intrigante: le dimostrazioni per assurdo. Se avete fatto un liceo o un corso di matematica potreste averne un ricordo (bello o traumatico che sia). In questo articolo andrò a fare qualcosa di simile. Nello specifico, intendo dimostrare che: Questa formulazione è semplice, ma un po’ incompleta. Quella completa, ancorché ampollosa, è la seguente: E lo andrò a dimostrare, in un certo senso, per assurdo, cioè supponendo che il nostro giocatore-esempio non si curi affatto della coerenza e non faccia nessuno sforzo per rendere il suo personaggio coerente. Purché non faccia dell’incoerenza un fine: altrimenti si ricade nell’eccezione di cui sopra. Da dove viene la coerenza? Ma noi, perché siamo (perlopiù) coerenti? Intendo noi esseri umani reali. Nella bozza di questo articolo mi sono accorto che stavo buttando giù un mezzo trattato di psicologia o sociologia, noiosissimo e pesantissimo, senza averne le competenze. Quindi ho, giustamente, cancellato tutto e ho deciso di farla breve e brutale. Cos’è che ci fa comportare in modo coerente, e percepire come coerenti dalle altre persone? Ci sono delle cose che vogliamo, desideriamo, che ci fanno stare bene o di cui abbiamo bisogno. Quindi cerchiamo, in generale, di raggiungerle, ieri come oggi come domani. Dalle nostre esperienze passate abbiamo tratto insegnamenti e modelli di comportamento che tendiamo ad applicare ora e in futuro. Abbiamo dei valori, dei princìpi o delle credenze a cui cerchiamo di attenerci. Non sempre riuscendoci. Come si riconosce la coerenza? Usciamo dal mondo reale ed entriamo nel mondo delle storie, dei racconti, dei film, della finzione. La coerenza sembra essere uno dei criteri principali per cui apprezziamo un personaggio immaginario. Ma come facciamo a riconoscerla? Che cos’è che apprezziamo in realtà? Esistono storie altamente introspettive che ci mostrano quello che pensa un certo personaggio, e/o ci fanno vedere le cose dal suo punto di vista. In tal caso possiamo apprezzare che ci sia un chiaro legame tra i suoi pensieri e il suo agire. Ma un tipico personaggio immaginario non pensa, nel senso che i suoi pensieri non sono esplicitati come parte della fiction. In quel caso resta solo la seconda parte dei significati di coerenza che ho dato all’inizio: apprezziamo che il suo agire nella storia segua una logica, che si capisca perché fa quello che fa e dice quello che dice. A quel punto possiamo immaginare che abbia pensieri, valori, desideri che supportano quel comportamento. I personaggi di D&D ricadono in questa seconda categoria. (Certo, un giocatore potrebbe dire agli altri giocatori cosa sta pensando il suo PG. In primo luogo non è detto che succeda, e qui stiamo facendo un discorso generale. In secondo luogo, se lo fa lascia il tempo che trova, perché noi esseri umani siamo molto più bravi a descrivere l’agire di altri esseri umani che il loro pensare. Poi se con il vostro gruppo vi diverte violare spesso lo “show, don’t tell” buon per voi, sia chiaro.) D&D e la coerenza emergente Spostiamoci adesso nel contesto a cui è dedicato questo blog, cioè D&D, e procediamo con la dimostrazione. Visto che nello scorso articolo ho usato come esempio un giocatore maschio con un personaggio maschio, per la parità questa volta consideriamo una giocatrice, che chiameremo Renza. Il suo personaggio è la paladina Romualda. Come si è detto sopra, Renza non si cura affatto della coerenza del suo personaggio, ma intende comunque giocare al gioco di ruolo (non ha lo scopo deliberato di “romperlo”). La bussola degli obiettivi Come ho detto molte volte, ogni avventura o campagna di D&D è una storia, in cui i PG hanno un obiettivo per raggiungere il quale devono superare certi ostacoli / conflitti. Ogni PG come si deve dovrebbe avere almeno un obiettivo, nel mondo di gioco. Tra l’altro, gli obiettivi comuni sono un ottimo (in effetti, secondo me, l’unico) fattore unificante di un gruppo di PG. E gli obiettivi sono una delle uniche due cose davvero importanti del background. Tutto questo per dire che Romualda ha un obiettivo: salvare il principe Celestino tenuto in ostaggio da una mummia. È stato compito di Renza scegliere una motivazione (un sacro giuramento al servizio della Corona) che spingesse Romualda verso quell’obiettivo. E sarà compito di Renza, come giocatrice, prendere le varie decisioni per Romualda nel tentativo di farglielo raggiungere. Sembra niente, ma questa è già una buona parte (diciamo un 60%) della coerenza. In ogni situazione, infatti, Renza (e quindi Romualda) non sceglierà a caso: sceglierà per la salvezza del principe. Potrà sbagliare, potrà fallire, ma le sue azioni avranno questa potente costante, una chiara direzione. Il che significa che avranno una logica e un perché. Lo abbiamo visto anche quando ho parlato del mondo reale: le cose che vogliamo (punto 1) sono uno dei fattori della nostra coerenza. Notare che Renza non fa nessuno sforzo attivo per ottenere coerenza: non gliene importa niente, quello che vuole è salvare il principe (cioè “vincere” la giocata); ma la coerenza viene di conseguenza (e scusate la rima). Azione e retroazione Non finisce qui: ogni volta che Renza fa prendere a Romualda una decisione in gioco, deve affrontarne le conseguenze. E qui entra in gioco il Diemme, che interpreta appunto il mondo di gioco, e quindi anche queste conseguenze. In breve tempo, Renza / Romualda si formerà un bagaglio di esperienze relative a come il mondo di gioco ha reagito alle sue azioni. E, a meno che Renza non sia del tutto stupida, non potrà non tenere conto di questo bagaglio ogni volta che prenderà una nuova decisione. Non per la volontà precisa di sembrare coerente, ma semplicemente perché vuole “vincere” (arrivare all’obiettivo, liberare il principe), e imparare dai successi e dagli errori passati è il modo più efficace per farlo; evitare gli ostacoli noti, sfruttare le risorse note e così via. Anche questo l’ho detto già a proposito del mondo reale (punto 2), giusto? A seconda di come ogni PNG si è relazionato con la paladina (l’ha ostacolata o aiutata? è stato utile o inutile?) lei si comporterà con lui di conseguenza, nei loro futuri incontri. Non per ragioni sentimentali o altro, solo perché vuole vincere. Ma appare come coerenza. Più certe scelte si sono rivelate vincenti (usare certe tattiche in battaglia, appoggiare una certa fazione, spendere i soldi su certe risorse… o anche semplicemente cercare trappole prima di aprire una porta!) più tenderà a ripeterle se si ripresentasse una situazione simile. Mentre cercherà di evitare di ripetere gli errori. Di nuovo, solo perché vuole vincere. Ma appare come coerenza. Tra il PG e il mondo di gioco c’è un meccanismo di retroazione (feedback): Romualda agisce, il mondo risponde agendo su Romualda, Romualda risponde di rimando e così via. Le azioni di lei modificano il mondo di gioco, ma le conseguenze modificano lei, nel senso del suo comportamento. Questo meccanismo porta rapidamente, nel giro di poche sessioni, tutto il contributo restante (circa un 40%, avevamo detto, no?) perché il PG appaia pienamente coerente. Valori aggiunti E i valori, i princìpi, le idee? Nel mondo reale abbiamo menzionato anche quelli (punto 3). Valgono, e servono, anche per un PG di D&D? Risposta: sono utili, ma non indispensabili. Un PG può apparire (anzi: apparirà) pienamente coerente anche senza dei valori di riferimento. Anzi, alcuni PG (come d’altronde alcuni personaggi immaginari di altri media) fanno dell’assenza (più o meno autentica) di valori la loro cifra caratteristica. D’altro canto, far comportare un PG in modo conforme a certi valori senz’altro può irrobustire la sensazione di coerenza che dà. Il giocatore può attribuire volutamente un certo valore di riferimento al suo PG, e tenerne conto quando fa le sue scelte, il che non è niente di male (ma neppure obbligatorio). Questo, però, implica che il giocatore voglia realizzare una specifica idea di personaggio. La nostra Renza non farà questo, perché non è interessata al personaggio in sé. Vuol dire che la paladina Romualda non avrà valori? No, potrebbe averli comunque. In tre maniere. Potrebbero essere un riflesso dei valori di Renza. Molte persone tendono, più o meno incosciamente, a rispettare almeno una parte dei loro princìpi e a non oltrepassare le loro più importanti “linee rosse” anche quando giocano di ruolo. Potrebbero essere un mezzo per giungere a un fine. Il mondo di gioco, infatti, potrebbe legare l’ottenimento di certi vantaggi, strumenti, opportunità al rispetto di un valore. Nelle edizioni passate di D&D questo era addirittura nelle regole: se Romualda fosse una paladina di 2a o 3a edizione dovrebbe essere legale buona e rispettare un dettagliato codice di condotta, per mantenere i suoi poteri. Nella 5a edizione ai paladini è rimasto solo un codice molto elastico e vago, ma in certe ambientazioni potrebbe essere più marcato. E, anche senza tirare in ballo la classe, aderire a certi valori potrebbe garantire il sostegno di certi alleati, l’uso di certi oggetti magici e così via. Ultimo, ma non per importanza: il mondo di gioco potrebbe mettere Romualda di fronte a delle scelte di carattere etico / morale, nel compiere le quali inevitabilmente finirà per rivelare i suoi valori, o per darsi dei valori se non ne aveva. Infatti, anche nella realtà, i valori spesso nascono quando ci si trova a dover prendere una decisione e ci si chiede cosa sarebbe più giusto. Certo, molti dei nostri princìpi derivano dall’educazione ricevuta, ma altri si formano dalle nostre scelte di vita. Se ci pensate bene, già la scelta dell’obiettivo e della motivazione del PG potrebbe configurarsi come scelta etico-morale e implicare dei valori: Romualda è fedele alla Corona, non è in un certo senso un valore? Ognuna di queste cose, se succede, fa sviluppare dei valori al PG e ne potenzia la sensazione di coerenza. Tuttavia, come abbiamo visto prima, è del tutto naturale arrivare a un 100% di coerenza anche senza che il PG segua alcun valore. Conclusione Il risultato di questa analisi si può riassumere così: “Emergente” significa che è una conseguenza spontanea, diciamo un effetto collaterale, del modo in cui funziona il gioco: non c’è bisogno di sforzarsi attivamente di ottenerla. Questo se si intende la coerenza come l’ho definita, e non se si pretende di vedere per forza una coerenza tra una definizione a priori del PG e quello che il PG risulta essere in gioco (sarebbe un approccio parecchio recitazionista!). E la personalità? E l’originalità? A questo punto mi si potrebbe dire: d’accordo sulla coerenza, ma senza una personalità definita a priori non rischiamo che il personaggio abbia sempre una personalità simile alla nostra, o comunque piatta, non originale? Beh, anche se fosse, non sarebbe una tragedia: abbiamo visto di recente che nella Vecchia Scuola il PG come mero “avatar” del giocatore va per la maggiore, e ci si diverte lo stesso. Comunque non è affatto detto che sia così. Anzi, potrei ripetere anche per la personalità, l’identità, l’originalità e qualunque altra qualità con l’accento sulla a, un discorso sostanzialmente simile a quello che ho fatto per la coerenza. Che cos’è davvero la personalità? Tu hai mai visto la personalità di un’altra persona? La puoi misurare, la puoi toccare? No, al limite puoi cercare di dedurla basandoti su come agisce. E, in effetti, così come la nostra personalità contribuisce a determinare le nostre azioni, le conseguenze delle nostre azioni (e, in generale, gli eventi che attraversiamo nella nostra vita) contribuiscono a plasmare a nostra personalità: quindi pure qui c’è un meccanismo di retroazione. Anche se non facciamo alcuno sforzo per dare intenzionalmente al nostro PG una personalità diversa dalla nostra, il solo fatto che viva in un mondo diverso, che abbia un obiettivo diverso e che gli succedano cose diverse finirà inevitabilmente per conferirgli una nuova identità, tutta sua. Fidatevi. Provare per credere. Con questo non voglio dire che sia sbagliato che un giocatore confezioni a priori una determinata personalità per il proprio PG: è un metodo come un altro, né migliore né peggiore, e ognuno deve fare come si trova meglio; l’ho detto già tante volte in questa serie ma è bene ripeterlo. Basta non credere che sia necessario. Per chi ci tiene molto a dare sin dall’inizio un tocco di originalità al carattere del proprio PG, faccio mio un suggerimento di The Angry GM: anziché definire una dettagliata architettura psicologica, prova a scrivere una singola, brevissima frase o “etichetta” che gli si addica, e attieniti a quella. Vedrai che il resto della personalità si evolverà rapidamente da lì, come una pianta che cresce da un seme, e sorprenderà anche te. (L’articolo in questione è qui, è in inglese, e come al solito dovrete fare i conti con lo stile prolisso e un po’ “da bullo” dell’autore, ma il contenuto merita.) Nella prossima puntata Nel prossimo articolo della serie parleremo di una questione che genera sempre accesi dibattiti: il rapporto tra i punteggi di caratteristica mentale del personaggio e la sua interpretazione di ruolo. Link all'articolo originale: https://dietroschermo.wordpress.com/2021/03/29/renza-co-guida-allinterpretazione-episodio-3/
  3. La mia posizione rimane: le ritengo due cose non contrapposte, e penso che in caso di "malo gioco" le cause siano quasi sempre da ricercarsi altrove (e attribuire la "colpa" all'ottimizzazione spesso, nella mia esperienza, è un modo inconscio per non approfondire quell'altrove).
  4. Alcuni link che potrebbero essere utili: Stormwind Fallacy (ENG) What is the Stormwind Fallacy? (ENG) Interpretazione VS Ottimizzazione (ITA - by Nerdcoledì)
  5. Forse potresti fare che gli occhi si chiudono o si rovesciano una volta premuti, a quel punto l'allusione alla "cecità" potrebbe essere un modo velato per far intendere che bisogna appunto premerli ("accecarli") tutti.
  6. @Faelion ovviamente se si finisce per litigare e non si riesce a instaurare un dialogo costruttivo c'è un problema sociale al di là del gioco, su questo sono d'accordo con te. E, altrettanto ovviamente, se uno dei due convince l'altro il problema è risolto, e fine. Ma mettiamo che il dialogo costruttivo ci sia, pacato, senza litigi. E ci sia semplicemente un'onesta divergenza di vedute sulla questione specifica (quel personaggio farebbe quella cosa o no?). Opinioni diverse in buona fede. Ma nessuno dei due riesce a convincere l'altro. Che si fa? Secondo me (è la mia personale convinzione) l'ultima parola spetta al giocatore, e si va avanti. Se invece pensiamo che non si può andare avanti a meno che uno dei due non convinca l'altro, e quindi convincersi a vicenda è un requisito irrinunciabile per poter proseguire il gioco... beh, non sono d'accordo, e mi sembra poco funzionale. Edit:
  7. @Casa sì, concordo: il famoso "è quello che farebbe il mio PG" usato come giustificazione per dare fastidio alle persone (le persone vere con cui si gioca) è un grande classico tra le disfunzionalità. Non ho voluto usarlo come argomentazione perché mi sembrava troppo scontata. Ma è un'altra dimostrazione del fatto che alla fine è sempre il giocatore a prendere le decisioni e ad essere responsabile delle decisioni che prende: il personaggio come identità astratta ed autonoma, a priori, non esiste. Conviene vedere il gioco come giocatori (persone vere) che prendono decisioni su una situazione immaginaria.
  8. @Faelion certo che fare una domanda non è la fine del mondo o del gioco, nessuno ha detto che lo sia. Però, ti posso chiedere una cosa? Se alla domanda "sei sicuro che il tuo personaggio lo farebbe?" quello risponde "sì", che succede? Perché io mica ho mai contestato il fare la domanda, eh. Quella che io contestavo era una affermazione: "il tuo personaggio non farebbe così"; tradotto: a meno che non lo giustifichi in modo convincente per il DM, non puoi farlo, punto. Allora sì che finisce il gioco (a meno che uno dei due non ceda - e non credo che debba essere il giocatore a cedere). Che ne pensi?
  9. @Casa penso che siamo d'accordo: fintanto che segui le meccaniche di gioco e quelle in modo "naturale" ti portano a immaginare certe cose, va tutto bene, è il gioco che sta funzionando. Il mio punto non è che non bisogna mai immaginare niente, nemmeno quando ci viene spontaneo o quando il gioco lo richiede. Il mio punto è che "ruolare" consiste, appunto, in questo, nel seguire (anche con l'immaginazione) il funzionamento del gioco. Quello che critico è il pensiero che sia essenziale, per ruolare, formarsi a priori un'idea completa del personaggio, anche per cose che il funzionamento del gioco non richiede (l'esempio tipico è chi si scrive paginate di backstory drammatica), e meno fai questo meno stai "ruolando davvero". Se con il tuo guerriero, un bel giorno, non vai in mischia per spaccare teste ma provi, che so, a dialogare pur avendo Carisma 8, perché in quel momento ti pare una buona idea, magari stai sbagliando tattica, ma non è che non stai ruolando o stai ruolando male. Tutto qui. @Faelion gli esempi non mi chiariscono molto le idee, comunque ho il sospetto che l'azione "sconsiderata" susciti discussioni proprio perché è, appunto, "sconsiderata", cioè rischia di mettere il gruppo nei guai; mi sembra una cosa che prescinde dall'interpretazione. Personalmente, troverei giusto discutere (in modo rispettoso e amichevole) un'azione "sconsiderata" sia se la ritenessi pienamente "in linea" con l'idea che mi ero fatto del personaggio, sia se non fosse così. Voglio dire che non hai torto ma ho il sospetto che stiamo parlando di cose diverse. L'articolo, ridotto brutalmente all'osso, parla del pregiudizio che esista un "vero ruolare" basato sull'attenersi a una "parte" preesistente e predefinita. Non è che penso che sia sbagliato dire a un altro giocatore (amichevolmente) che sta facendo una cavolata. Penso che non sia corretto, e non sia utile, declinarla come "non stai interpretando correttamente la tua parte".
  10. Forse non mi sono espresso chiaramente. "Per potere avere i vantaggi del paladino devi comportarti in questo modo" non è quello che intendevo con meccanica prescrittiva (anche se ovviamente contiene una prescrizione). Io parlavo di definizione prescrittiva/descrittiva dell'allineamento. Minuzie, comunque, ci siamo intesi. Ti è mai successa di persona questa situazione? Se sì, mi faresti un esempio? (Nota - Escluderei il caso in cui il giocatore "si è stufato" di usare il personaggio: in quel caso certo che bisogna fermare il gioco e parlarne, ma del fatto che un giocatore si sia stufato, è quello il problema; sarebbe uguale anche se qualcuno si fosse stufato, che so, dell'ambientazione o del luogo in cui si svolgono le sessioni; non è una questione di roleplay ma di rispetto reciproco. - Mi interesserebbe invece un esempio in cui il giocatore non si è stufato, e non ci sono problematiche sociali o personali di nessun tipo, semplicemente lui vuole che il personaggio faccia una cosa, e gli altri ci vedono un cambiamento di approccio e glielo fanno notare.)
  11. L'allineamento, quando ha effetto meccanico, è una meccanica di gioco a tutti gli effetti. Secondo me funziona quando è descrittivo, non prescrittivo (cioè: hai fatto la tal cosa ergo sei caotico; e non: sei legale ergo non puoi fare la tal cosa), quindi rimane in linea con quanto detto. Ma sicuramente per usarlo occorrono definizioni condivise, chiare a tutti, e molto migliori di quelle che si trovano tipicamente sui manuali: hai del tutto ragione su questo. Questa è una meccanica di gioco: è rispetto delle regole, non c'entra con l'immaginare una personalità predefinita diversa dalla propria. Se il giocatore se ne frega succederanno le conseguenze previste dalle regole, esattamente come se decide di tuffarsi in un lago di lava. E, in entrambi i casi, il DM fa assolutamente bene a chiedere: "sei sicuro? lo sai che le conseguenze saranno queste, vero?" (come diceva anche @Pippomaster92). Ma non decidere di tuffarsi nel lago di lava perché consapevoli delle conseguenze è un normale comportamento da gioco da tavolo: non richiede di immaginare una personalità o identità diversa dalla propria. Per le 2 ore di studio al giorno, e per gli altri esempi che hai fatto, vale lo stesso discorso. Studierai 2 ore al giorno perché le regole ti dicono di farlo (o meglio, per evitare le conseguenze previste dalle regole se non lo fai), ergo ne nascerà probabilmente (a posteriori) un PG studioso che non se la spassa in taverna. La personalità / identità del PG è un risultato, non un requisito.
  12. Cosa vuol dire, davvero, "interpretare un personaggio" in un gioco di ruolo? Come funziona in pratica? In materia ci sono tante idee diverse ma anche un bel po' di confusione. Proviamo a ridurre tutto all'essenziale. Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo Articolo di Bille Boo del 12 febbraio 2021 Nella parte precedente di questa nuova serie, oltre a fare un po’ di necessaria polemica, ho iniziato ad esplorare la questione dell’interpretazione dei personaggi. Quello di oggi è l’episodio più teorico: che cosa intendo, nel mio D&D, quando dico "interpretare"? Premessa A livello fondamentale, un gioco di ruolo come D&D, ridotto all’osso, funziona così: C’è un mondo immaginario, dove ogni giocatore ha un personaggio. Il Diemme descrive una situazione. Il giocatore decide cosa vuole fare il suo personaggio. In base alle regole si stabilisce se ce la fa. Il Diemme narra le conseguenze e chiede di nuovo di prendere una decisione, e così via. Parti in causa Supponiamo di essere a un tavolo di D&D con un Diemme e quattro giocatori. Concentriamoci sul giocatore di nome Gino. Il suo personaggio è il guerriero Cutie Headcutter (il che ci fa dedurre che sia un po’ bimbominkia, ma non lo giudichiamo). Ora, Gino avrà una sua testa (sembra strano ma anche i giocatori ce l’hanno 😉), dove stanno i suoi pensieri e quello che immagina per conto suo. Poi ci sarà un immaginario condiviso, che è quello che emerge al tavolo di gioco: le cose che avvengono al tavolo durante il gioco, infatti, sono dati di fatto oggettivi a cui ognuno deve “adeguare” la propria immaginazione se vuole continuare a giocare. (In effetti mi hanno giustamente fatto notare che sarebbe più corretto parlare di "spazio immaginato condiviso".) E poi ci sarà la parte meccanica del gioco, vale a dire schede, manuali, dadi, tutto quello che è strutturato per dare degli strumenti e delle regole. Cutie Headcutter esiste in tutte e tre queste aree: nella testa di Gino, ma anche nello spazio immaginario condiviso, e anche nella meccanica (la sua scheda). Solo, in modi diversi. Vediamo come. Come si interpreta: a valle Come abbiamo detto poco fa, in ogni situazione il giocatore deve decidere cosa vuole fare il PG: è questo il suo compito fondamentale nel gioco. Per Cutie Headcutter, quindi, questa decisione avviene nella testa di Gino. Andrà poi comunicata al Diemme e al resto del tavolo, naturalmente. A questo punto, il Diemme potrebbe ricorrere alle meccaniche di gioco per stabilire l’esito di quella decisione. Ho evidenziato “potrebbe” perché non è obbligato: questo passaggio serve solo se l’esito è in qualche modo incerto (vedi tutto il discorso sul flusso di gioco). Non sempre c’è da tirare un dado. Se Gino decide che il suo personaggio apre una porta (che non è chiusa a chiave), sale le scale, o urla “al ladro!”… beh, lo fa e basta. Dopodiché l’azione scelta, con i suoi risultati e le sue conseguenze, prende forma nel mondo di gioco: diventa un avvenimento (un qualcosa che è effettivamente accaduto). In genere è il Diemme che si occupa di descriverlo. Tutti i giocatori al tavolo (non solo Gino) lo ascoltano e ne prendono atto. Fin qui tutto okay, come evidenziato, nell’immagine, dalla faccina sorridente e dal pollice in su di un bel verde brillante. Come si interpreta: a monte Ma come ha fatto Gino ad arrivare a quella decisione per il suo PG? Ci sarà stato un qualche procedimento, nella sua testa, che lo ha portato lì. Ha pensato a qualcosa? Ha immaginato qualcosa? Ci interessa tutto ciò? La risposta è: essenzialmente no, non ci interessa. Come simboleggiato dalla faccina indifferente a lato. Il gioco ha solo bisogno che Gino prenda la decisione per Cutie Headcutter. Non c’è niente che stabilisca o regoli la modalità con cui la prende. Il che è molto saggio da parte degli sviluppatori del gioco, perché tanto non ci sarebbe modo di verificare se quella modalità è stata seguita o no: né gli altri giocatori né il Diemme sanno come pensa Gino; è probabile che non lo sappia del tutto nemmeno Gino. C’è un solo aspetto importante da considerare: per prendere la sua decisione Gino ha diritto a informazioni su cui basarsi. Per la precisione, ha diritto a sapere tutto quello che ragionevolmente dovrebbe sapere Cutie Headcutter. Ha diritto a conoscere la situazione nel mondo di gioco, infatti il Diemme si sarà premurato di descrivergliela. E ha diritto a conoscere le regole del gioco e la meccanica particolare del suo PG; avrà quindi accesso ai manuali e alla scheda. Qualunque sia il procedimento decisionale che avviene nella testa di Gino (ripeto, non possiamo conoscerlo) avrà a disposizione queste informazioni, come mostrato nello schema. Assicurarsene è responsabilità del Diemme, che infatti controlla e sovrintende questo flusso di informazioni, come schematizzato dalle frecce dorate tratteggiate. È importante prendere sul serio questa responsabilità. Se il Diemme ha anche solo il sospetto che qualcosa sia stato frainteso o dimenticato, non inchioderà Gino mani e piedi alla sua decisione disinformata, ma si premurerà di evidenziare l’informazione mancante e chiedere di nuovo. Ad esempio: “Hai solo For 8 e un’armatura pesante, che ti svantaggerebbe molto: sei sicuro di volerti gettare nel fiume?”. Oppure: “Se ti muovi per ingaggiare in mischia il mago nemico provochi attacco di opportunità da parte delle due guardie del corpo, l’hai considerato?”. O ancora: “Hai detto di voler saltare il crepaccio, ma è largo 9 metri, sai bene che a meno di un miracolo non riusciresti mai a farcela”. Su questa cosa, magari, torneremo in futuro. L’indifferente mondo delle idee private C’è un concetto che viene spesso assunto come scontato quando si gioca di ruolo, specialmente oggigiorno (la "Vecchia Scuola" era meno sensibile alla questione), ed è che l’interpretazione di un personaggio richieda di immaginarselo, a priori, come figura / persona diversa da sé. Secondo questo approccio, Gino si è già costruito nella sua testa un’idea di Cutie Headcutter (la sua storia, la sua personalità, i suoi sentimenti eccetera). E prenderà la sua decisione basandosi su quell’idea, immedesimandosi in quel personaggio (oltre a tenere conto delle informazioni a disposizione come spiegato sopra, ovviamente). Fare questo è sbagliato? No, non è sbagliato. Fare questo è necessario? No, non è necessario. (Anche se lo fosse, non vi sarebbe modo di verificare se è avvenuto.) Quindi la cosa ci è indifferente, come indica la faccina nell’immagine. So che qualcuno di voi sarà tentato di pensare cose come “se Gino non fa così, sbaglia” oppure “se Gino vuole davvero giocare di ruolo deve fare questo“. Resistete a questa tentazione: Gino può usare qualunque procedimento per giungere alla sua decisione. Se questo procedimento coinvolge un’identità immaginaria precostruita, perché si trova bene così, buon per lui, ma sono affari suoi. Il velenoso mondo delle idee condivise Ora veniamo ai problemi. Come sapete, il mio approccio in queste faccende è strettamente pragmatico, quindi quando dico che qualcosa è sbagliato è perché non funziona, o funziona male, lasciando da parte (per carità!) i giudizi morali. Ecco, quindi, alcuni concetti che ritengo potenzialmente non funzionali per il gioco di ruolo e in particolare per D&D. Il primo concetto nocivo è che l’identità del personaggio sia qualcosa di oggettivo che è in qualche modo al di fuori della testa di Gino: qualcosa che è noto a tutto il tavolo, e che appartiene all’immaginario condiviso della giocata. Spesso ci si pone in questa situazione involontariamente, condividendo la backstory dei propri PG e “raccontandoseli” a vicenda prima del gioco. Male, molto male, come indicato dal diavoletto e dal pollice in giù. È l’anticamera di un sacco di brutte cose: giudizi su se Gino stia interpretando bene o no, obiezioni alle decisioni di Gino e relative discussioni, e altro ancora. E c’è un concetto ancora peggiore: quello che il Diemme debba in qualche modo regolare, sovrintendere, assicurare che le decisioni di Gino siano effettivamente coerenti con l’idea astratta del personaggio. A cosa serve, se non a rimproveri del tipo “No, il tuo personaggio non farebbe questo” (che è pressappoco la cosa peggiore che un Diemme possa dire a un giocatore)? Lo voglio affermare con forza: il principio dell’idea di personaggio condivisa, e/o che l’interpretazione di un giocatore sia tanto migliore quanto più è aderente a un’idea di personaggio preesistente, è inutile (quando va bene) o foriero di guai (quando va male). Abbandoniamolo. Nell’immaginario condiviso, Cutie Headcutter è ciò che Cutie Headcutter effettivamente dice e fa. Niente di più, niente di meno. Sulla base di questo, ognuno (il Diemme, gli altri giocatori, perfino Gino stesso) è libero di farsi una propria idea dell’identità di Cutie Headcutter, di chi lui sia veramente. Ma è un’idea che discende dai fatti, e che potrà sempre cambiare in futuro se i fatti cambiassero. Esattamente come avviene per le persone reali: non si può mai dire di conoscere del tutto una persona, non si può mai dire di conoscere del tutto un PG. Conclusione Abbiamo visto in cosa consiste, nella sua essenza, l'interpretazione di un PG: nel prendere decisioni per lui, sulla base di informazioni legate al gioco, a prescindere dal procedimento mentale con cui si arriva a tali decisioni, e a prescindere dall’esistenza o meno di un’identità immaginata a priori per quel PG. Se vi siete riconosciuti in qualcuno degli approcci che ritengo problematici, vi invito a fare l’esperimento di giocare senza. Vi assicuro che la qualità del vostro gioco, e la profondità delle vostre storie, non ne risentirà per niente. Anzi, potrebbe migliorare. Se smettete di preoccuparvi del meccanismo che porta i giocatori (voi e gli altri) alle decisioni, e vi limitate a prenderne atto e a vivere la storia che spontaneamente ne deriva, sarete molto più liberi di apprezzare la giocata. Provare per credere! Però… Una tipica obiezione che mi viene fatta a questo punto è: ma così non vengono fuori solo personaggi piatti, stereotipati, senza personalità? Oppure, personaggi del tutto incoerenti? La risposta è: no, decisamente no. E lo vedremo per bene nella parte successiva di questa guida. Link all'articolo originale: https://dietroschermo.wordpress.com/2021/02/12/psicosofia-del-ruolare-guida-allinterpretazione-episodio-2/ Visualizza articolo completo
  13. Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo Articolo di Bille Boo del 12 febbraio 2021 Nella parte precedente di questa nuova serie, oltre a fare un po’ di necessaria polemica, ho iniziato ad esplorare la questione dell’interpretazione dei personaggi. Quello di oggi è l’episodio più teorico: che cosa intendo, nel mio D&D, quando dico "interpretare"? Premessa A livello fondamentale, un gioco di ruolo come D&D, ridotto all’osso, funziona così: C’è un mondo immaginario, dove ogni giocatore ha un personaggio. Il Diemme descrive una situazione. Il giocatore decide cosa vuole fare il suo personaggio. In base alle regole si stabilisce se ce la fa. Il Diemme narra le conseguenze e chiede di nuovo di prendere una decisione, e così via. Parti in causa Supponiamo di essere a un tavolo di D&D con un Diemme e quattro giocatori. Concentriamoci sul giocatore di nome Gino. Il suo personaggio è il guerriero Cutie Headcutter (il che ci fa dedurre che sia un po’ bimbominkia, ma non lo giudichiamo). Ora, Gino avrà una sua testa (sembra strano ma anche i giocatori ce l’hanno 😉), dove stanno i suoi pensieri e quello che immagina per conto suo. Poi ci sarà un immaginario condiviso, che è quello che emerge al tavolo di gioco: le cose che avvengono al tavolo durante il gioco, infatti, sono dati di fatto oggettivi a cui ognuno deve “adeguare” la propria immaginazione se vuole continuare a giocare. (In effetti mi hanno giustamente fatto notare che sarebbe più corretto parlare di "spazio immaginato condiviso".) E poi ci sarà la parte meccanica del gioco, vale a dire schede, manuali, dadi, tutto quello che è strutturato per dare degli strumenti e delle regole. Cutie Headcutter esiste in tutte e tre queste aree: nella testa di Gino, ma anche nello spazio immaginario condiviso, e anche nella meccanica (la sua scheda). Solo, in modi diversi. Vediamo come. Come si interpreta: a valle Come abbiamo detto poco fa, in ogni situazione il giocatore deve decidere cosa vuole fare il PG: è questo il suo compito fondamentale nel gioco. Per Cutie Headcutter, quindi, questa decisione avviene nella testa di Gino. Andrà poi comunicata al Diemme e al resto del tavolo, naturalmente. A questo punto, il Diemme potrebbe ricorrere alle meccaniche di gioco per stabilire l’esito di quella decisione. Ho evidenziato “potrebbe” perché non è obbligato: questo passaggio serve solo se l’esito è in qualche modo incerto (vedi tutto il discorso sul flusso di gioco). Non sempre c’è da tirare un dado. Se Gino decide che il suo personaggio apre una porta (che non è chiusa a chiave), sale le scale, o urla “al ladro!”… beh, lo fa e basta. Dopodiché l’azione scelta, con i suoi risultati e le sue conseguenze, prende forma nel mondo di gioco: diventa un avvenimento (un qualcosa che è effettivamente accaduto). In genere è il Diemme che si occupa di descriverlo. Tutti i giocatori al tavolo (non solo Gino) lo ascoltano e ne prendono atto. Fin qui tutto okay, come evidenziato, nell’immagine, dalla faccina sorridente e dal pollice in su di un bel verde brillante. Come si interpreta: a monte Ma come ha fatto Gino ad arrivare a quella decisione per il suo PG? Ci sarà stato un qualche procedimento, nella sua testa, che lo ha portato lì. Ha pensato a qualcosa? Ha immaginato qualcosa? Ci interessa tutto ciò? La risposta è: essenzialmente no, non ci interessa. Come simboleggiato dalla faccina indifferente a lato. Il gioco ha solo bisogno che Gino prenda la decisione per Cutie Headcutter. Non c’è niente che stabilisca o regoli la modalità con cui la prende. Il che è molto saggio da parte degli sviluppatori del gioco, perché tanto non ci sarebbe modo di verificare se quella modalità è stata seguita o no: né gli altri giocatori né il Diemme sanno come pensa Gino; è probabile che non lo sappia del tutto nemmeno Gino. C’è un solo aspetto importante da considerare: per prendere la sua decisione Gino ha diritto a informazioni su cui basarsi. Per la precisione, ha diritto a sapere tutto quello che ragionevolmente dovrebbe sapere Cutie Headcutter. Ha diritto a conoscere la situazione nel mondo di gioco, infatti il Diemme si sarà premurato di descrivergliela. E ha diritto a conoscere le regole del gioco e la meccanica particolare del suo PG; avrà quindi accesso ai manuali e alla scheda. Qualunque sia il procedimento decisionale che avviene nella testa di Gino (ripeto, non possiamo conoscerlo) avrà a disposizione queste informazioni, come mostrato nello schema. Assicurarsene è responsabilità del Diemme, che infatti controlla e sovrintende questo flusso di informazioni, come schematizzato dalle frecce dorate tratteggiate. È importante prendere sul serio questa responsabilità. Se il Diemme ha anche solo il sospetto che qualcosa sia stato frainteso o dimenticato, non inchioderà Gino mani e piedi alla sua decisione disinformata, ma si premurerà di evidenziare l’informazione mancante e chiedere di nuovo. Ad esempio: “Hai solo For 8 e un’armatura pesante, che ti svantaggerebbe molto: sei sicuro di volerti gettare nel fiume?”. Oppure: “Se ti muovi per ingaggiare in mischia il mago nemico provochi attacco di opportunità da parte delle due guardie del corpo, l’hai considerato?”. O ancora: “Hai detto di voler saltare il crepaccio, ma è largo 9 metri, sai bene che a meno di un miracolo non riusciresti mai a farcela”. Su questa cosa, magari, torneremo in futuro. L’indifferente mondo delle idee private C’è un concetto che viene spesso assunto come scontato quando si gioca di ruolo, specialmente oggigiorno (la "Vecchia Scuola" era meno sensibile alla questione), ed è che l’interpretazione di un personaggio richieda di immaginarselo, a priori, come figura / persona diversa da sé. Secondo questo approccio, Gino si è già costruito nella sua testa un’idea di Cutie Headcutter (la sua storia, la sua personalità, i suoi sentimenti eccetera). E prenderà la sua decisione basandosi su quell’idea, immedesimandosi in quel personaggio (oltre a tenere conto delle informazioni a disposizione come spiegato sopra, ovviamente). Fare questo è sbagliato? No, non è sbagliato. Fare questo è necessario? No, non è necessario. (Anche se lo fosse, non vi sarebbe modo di verificare se è avvenuto.) Quindi la cosa ci è indifferente, come indica la faccina nell’immagine. So che qualcuno di voi sarà tentato di pensare cose come “se Gino non fa così, sbaglia” oppure “se Gino vuole davvero giocare di ruolo deve fare questo“. Resistete a questa tentazione: Gino può usare qualunque procedimento per giungere alla sua decisione. Se questo procedimento coinvolge un’identità immaginaria precostruita, perché si trova bene così, buon per lui, ma sono affari suoi. Il velenoso mondo delle idee condivise Ora veniamo ai problemi. Come sapete, il mio approccio in queste faccende è strettamente pragmatico, quindi quando dico che qualcosa è sbagliato è perché non funziona, o funziona male, lasciando da parte (per carità!) i giudizi morali. Ecco, quindi, alcuni concetti che ritengo potenzialmente non funzionali per il gioco di ruolo e in particolare per D&D. Il primo concetto nocivo è che l’identità del personaggio sia qualcosa di oggettivo che è in qualche modo al di fuori della testa di Gino: qualcosa che è noto a tutto il tavolo, e che appartiene all’immaginario condiviso della giocata. Spesso ci si pone in questa situazione involontariamente, condividendo la backstory dei propri PG e “raccontandoseli” a vicenda prima del gioco. Male, molto male, come indicato dal diavoletto e dal pollice in giù. È l’anticamera di un sacco di brutte cose: giudizi su se Gino stia interpretando bene o no, obiezioni alle decisioni di Gino e relative discussioni, e altro ancora. E c’è un concetto ancora peggiore: quello che il Diemme debba in qualche modo regolare, sovrintendere, assicurare che le decisioni di Gino siano effettivamente coerenti con l’idea astratta del personaggio. A cosa serve, se non a rimproveri del tipo “No, il tuo personaggio non farebbe questo” (che è pressappoco la cosa peggiore che un Diemme possa dire a un giocatore)? Lo voglio affermare con forza: il principio dell’idea di personaggio condivisa, e/o che l’interpretazione di un giocatore sia tanto migliore quanto più è aderente a un’idea di personaggio preesistente, è inutile (quando va bene) o foriero di guai (quando va male). Abbandoniamolo. Nell’immaginario condiviso, Cutie Headcutter è ciò che Cutie Headcutter effettivamente dice e fa. Niente di più, niente di meno. Sulla base di questo, ognuno (il Diemme, gli altri giocatori, perfino Gino stesso) è libero di farsi una propria idea dell’identità di Cutie Headcutter, di chi lui sia veramente. Ma è un’idea che discende dai fatti, e che potrà sempre cambiare in futuro se i fatti cambiassero. Esattamente come avviene per le persone reali: non si può mai dire di conoscere del tutto una persona, non si può mai dire di conoscere del tutto un PG. Conclusione Abbiamo visto in cosa consiste, nella sua essenza, l'interpretazione di un PG: nel prendere decisioni per lui, sulla base di informazioni legate al gioco, a prescindere dal procedimento mentale con cui si arriva a tali decisioni, e a prescindere dall’esistenza o meno di un’identità immaginata a priori per quel PG. Se vi siete riconosciuti in qualcuno degli approcci che ritengo problematici, vi invito a fare l’esperimento di giocare senza. Vi assicuro che la qualità del vostro gioco, e la profondità delle vostre storie, non ne risentirà per niente. Anzi, potrebbe migliorare. Se smettete di preoccuparvi del meccanismo che porta i giocatori (voi e gli altri) alle decisioni, e vi limitate a prenderne atto e a vivere la storia che spontaneamente ne deriva, sarete molto più liberi di apprezzare la giocata. Provare per credere! Però… Una tipica obiezione che mi viene fatta a questo punto è: ma così non vengono fuori solo personaggi piatti, stereotipati, senza personalità? Oppure, personaggi del tutto incoerenti? La risposta è: no, decisamente no. E lo vedremo per bene nella parte successiva di questa guida. Link all'articolo originale: https://dietroschermo.wordpress.com/2021/02/12/psicosofia-del-ruolare-guida-allinterpretazione-episodio-2/
  14. Concordo. La tua idea sulle perle è molto carina. Se vuoi considerare un'alternativa più generale, io da tempo ho adottato questo approccio: ogni volta che il mostro usa una resistenza leggendaria, il suo pool di azioni leggendarie per round diminuisce di 1 (ovviamente inizio da un pool lievemente più alto). In questo modo l'attacco ha comunque avuto un impatto sul nemico, anche se l'effetto principale è stato negato.