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Bille Boo

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  1. La tua domanda è come collegare le singole avventure tra loro per fare una campagna?
  2. Non ho detto che quello era il significato originario. Ho detto che era il significato in cui @Loot and Roll aveva usato il termine nel porre la domanda. E non è l'unico a usarlo così. Comunque, ammetto che non sono un esperto del gergo specialistico di teoria del gioco di ruolo e se ho usato termini impropri me ne scuso. Ritengo però che fissarci sulla questione semantica (cosa è "davvero" un railroad, cosa è "davvero" un sandbox, e qual è il termine giusto da usare in questo o quest'altro caso che non ricadono nella "definizione esatta" né dell'uno né dell'altro), per quanto la discussione sia interessante, potrebbe non essere il modo migliore di aiutare @Loot and Roll. Per cui, permettetemi di riproporre il mio punto senza usare affatto né l'uno né l'altro termine. Esiste una miriade di stili di gioco e qualunque tentativo di schematizzarli in 2, 3 o N categorie sarà per forza di cose una semplificazione (il che non vuol dire che sia inutile). Esistono però secondo me alcune caratteristiche comuni (o ragionevolmente comuni) a tutte le esperienze di gdr soddisfacenti, e sono: Deve esserci una storia. Una storia si ha quando i PG hanno un obiettivo da raggiungere e un conflitto od ostacolo si frappone tra loro e l'obiettivo. Deve esserci agency, cioè i PG devono avere la possibilità di fare scelte significative che hanno conseguenze appropriate. Ora, esiste un modo molto estremo di impostare il gioco (a cui non daremo un nome) in cui tutto è così rigidamente preordinato dal master che non c'è agency. Chiaramente risulterà poco soddisfacente. Esiste anche un altro modo estremo di impostare il gioco in cui il master è così convinto di doversi astenere dalla narrativa e di dover creare solo un ambiente in cui i personaggi possono fare quello che vogliono che non c'è storia, ma solo un andare in giro a esplorare senza meta, che all'inizio è anche divertente ma diventa rapidamente ripetitivo. Chiaramente anche questo sarà poco soddisfacente. Esclusi questi estremi, esistono varie sfumature intermedie che possiamo, grossolanamente e con inevitabili semplificazioni, approssimare in questi due modi senza nome: Il master definisce l'obiettivo finale della storia, e quindi l'oggetto della "trama principale", se così vogliamo chiamarla. Naturalmente dovrà presentarlo ai PG e far sì che siano adeguatamente motivati a perseguirlo. Naturalmente questo funziona se i giocatori accettano il presupposto iniziale (cioè, che sia il DM a definire l'obiettivo principale) e costruiscono dei PG adeguati per tale obiettivo. Il master definisce uno scenario, più o meno grande, e i PG (magari subito, magari dopo averlo esplorato un po') si danno da soli un obiettivo, che diventerà l'obiettivo principale della loro storia. Naturalmente questo funziona se il master è aperto a lasciare che succeda e se i giocatori collaborano in modo da: (a) scegliersi un obiettivo comune (non tutti obiettivi diversi e magari conflittuali) e (b) scegliersi un obiettivo appropriato al genere/tono del gioco e che il master sia in grado di gestire. Notare che in nessuno dei due casi ci sono vincoli circa la natura dell'obiettivo, cioè non è detto che nel caso 1 si ripresenti per forza la storia degli eroi che salvano il mondo dal signore del male, e non è detto che nel caso 2 si finisca per forza con un gruppo di avidi cinici antieroi che pensano a far soldi. Il vantaggio dell'approccio 1 è che generalmente il master ha tempo e modo di concentrarsi di più sulla trama, intesa non come sequenza preordinata di situazioni obbligate per i PG ma come tutto l'insieme degli avvenimenti (nemici, rischi, colpi di scena eccetera) in cui i PG, con una loro traiettoria più o meno autonoma, andranno a muoversi. Quindi questo approccio tende a produrre delle storie più coese e coinvolgenti. Il vantaggio dell'approccio 2 è che generalmente il master si concentra di più sullo scenario, sul mondo, intenso come l'insieme di luoghi, PNG, culture, fazioni, intrighi politici e così via che popola il mondo di gioco, e con cui i PG potrebbero andare ad interagire nel loro percorso. Quindi questo approccio tende a produrre mondi di gioco più immersivi e verosimili. Ma è importante notare che, qualunque sia l'approccio scelto (1, 2 o un mix), una volta scelto l'obiettivo fa parte dei compiti del master creare la storia, non nel senso di definire cosa i PG dovranno fare e come, ma nel senso di frapporre tra i PG e l'obiettivo uno o più ostacoli o conflitti che abbiano un senso narrativo (una logica, una consistenza, un ritmo, un climax) e che siano ben tarati, cioè impegnativi al punto giusto, "sfidanti" ma comunque superabili. E magari procurare una conclusione memorabile che dia soddisfazione (se i PG trionfano, il che non è garantito ovviamente). E questo è in ogni caso il grosso (e la parte cruciale) del lavoro del master, sia nell'approccio 1 che nell'approccio 2, e qualunque termine si voglia usare per definire il proprio modo di gestire la campagna o l'ambientazione.
  3. Grazie dei complimenti 🥰 Dipende dall'accezione in cui si usano railroad e sandbox. Come i post precedenti confermano, hanno molte accezioni diverse e quindi vogliono dire tutto e il contrario di tutto. Quello che volevo dire io è: Tu, master, puoi definire una trama con un obiettivo e proporla ai PG, e loro accettare di seguirla. Oppure i PG possono scegliere un obiettivo a cui tu non avevi pensato, e da quel momento la trama (dell'avventura) diventa la trama della storia che porta a quell'obiettivo. In entrambi i casi sei libero di autodefinire la tua campagna un railroad, un sandbox, un mix o nessuna delle due. Perché in realtà al di là della semantica non fa nessuna differenza sostanziale. Nell'articolo lo spiego molto meglio di così 😉
  4. Esiste l'uso della parola railroad in questa accezione (il master che pretende di dettare o predeterminare le azioni dei PG = cosa negativa). Ultimamente sta diventando il suo uso principale. Ma esiste anche l'uso per indicare lo stile di gioco contrapposto al sandbox, un po' come un videogioco lineare alla Tomb Raider si contrappone a un videogioco open world. Ho sentito usare più volte la parola railroad sia con l'una che con l'altra accezione, e trattandosi di un gergo informale penso che sia difficile stabilire qual è l'uso "giusto" e qual è l'uso "sbagliato". L'utente che ha posto la domanda ha chiarito in che accezione la stava usando quindi seguirei quella. Tutto questo è molto bello in teoria. In pratica dire che la trama è indipendente dai PG e che i PG sono i protagonisti della storia rischia di diventare una contraddizione in termini se non si chiarisce cosa si intende con trama e cosa si intende con storia. Nell'articolo che ho linkato sopra dico una cosa che è molto simile a quello che dici tu, e cioè: una volta che si è scelto l'obiettivo (a seconda del "contratto di gioco" o dello "stile di gioco" lo può scegliere il master o lo può lasciar scegliere ai giocatori) la trama è la storia che porta a quell'obiettivo, e a quel punto non c'è più nessuna sostanziale differenza tra uno stile e l'altro, tra railroad e sandbox, e nemmeno (perdonami) tra Apocalypse World e D&D e ogni altro gioco di ruolo. Dal punto di vista della gestione della storia, naturalmente, poi ci saranno mille differenze di sistema di gioco.
  5. Combinazione, un mesetto fa ho scritto un articolo sull'argomento sul mio blog: https://dietroschermo.wordpress.com/2020/04/20/ferrovie-e-scatole-di-sabbia-progetta-le-tue-avventure-episodio-3/ Riassumo: la differenza essenziale per me è che nel primo caso l'obiettivo della storia (dell'avventura, o dell'intera campagna) viene proposto dal master, nel secondo caso viene proposto dai giocatori. Ma una volta che l'obiettivo è stato scelto non c'è una gran differenza (c'è ma è soprattutto apparente).
  6. Comunque sarei curioso di sapere quale dei dati si avvicina meglio alla realtà. Giusto per curiosità personale. Se qualcuno nel forum avesse delle fonti terze... 🙂
  7. Ciao @aedan, come hai già notato, le differenze di taglia in 5e non sono normate in modo dettagliato e formale come in 3 / 3.5 (vedi anche quest'altra discussione ad esempio: Sì, penso che si vada a discrezione del DM. Non sono un esperto di 5e, perciò ti chiedo: di base l'ogre aveva / avrebbe una qualche arma con cui attaccare? Anche solo una clava o simili? Se sì, direi che fintanto che quello che i PG gli danno è meno efficace dell'arma "di default" dell'ogre (a parità di mani utilizzate) non è necessario star lì ad aggiungere ulteriori penalità, tanto è uno svantaggio comunque. Per quanto riguarda lo scudo, non saprei. Sarei abbastanza propenso a dire che uno scudo da umano funziona male per un ogre (diciamo che funziona come un buckler, alla meglio).
  8. Se è coerente con quello che ha fatto il PNG che all'inizio lo possiede, ok. Ma ricordiamoci che bisogna anche spiegare come faceva lui a cavarsela. Non credo che lui abbia ucciso personalmente con incantesimi tutta la gente che ha animato, o sì? Visto che sei il DM e controlli l'accesso ai cadaveri dovrebbe esserti abbastanza semplice far sì che i PG non si creino un'armata gigante. Non conosco bene i Forgotten Realms. Non so come funzionino dal punto di vista morale i non morti, e non so cosa ci sia di preciso nell'Avernus. In molte ambientazioni creature come demoni e diavoli scompaiono dopo essere state uccise, quindi non lasciano un cadavere utilizzabile per farci un non morto. Se così non fosse, e quindi i PG potessero ricavare cadaveri da tutti i nemici uccisi, sarebbe un problema in effetti. Un'altra possibilità è che controllare molti non morti alla volta ti renda progressivamente pazzo. Cioè, l'artefatto di per sé non mette limiti a quanti non morti puoi controllare, ma ogni giorno devi fare un TS su Sag, con CD tanto più alta quanto più alto è il numero di non morti che controlli, per evitare una perdita di Sag e/o una qualche condizione negativa che rappresenti la pazzia. E magari il PNG è proprio diventato pazzo, o è immune a questo effetto essendo già pazzo di suo (non lo so, non lo conosco).
  9. Così a naso non penso che sia OP, credo che i pro vadano bene. Alcune proposte di bilanciamento in ordine sparso. Quanto è grosso? Se fosse particolarmente pesante o ingombrante, quindi difficile da trasportare, sarebbe molto utile al nemico che ha una "base" stabile ma un po' scomodo per dei PG vaganti. Nel mondo in cui si svolge la campagna qual è la connotazione morale dell'atto di creare non morti? In molte ambientazioni è un'azione malvagia. Compiere ripetutamente azioni malvagie significa in pratica diventare malvagi, cosa che non tutti i PG potrebbero essere disposti a fare. È necessario l'intervento di un possessore per creare non morti, o il meteorite avrebbe generato l'orda di non morti invasori anche da solo? Questa seconda ipotesi può essere interessante. Fai pure che alla mezzanotte l'artefatto recupera tutte le cariche. Prima, però, tenta autonomamente di usare tutte le cariche inutilizzate per animare cadaveri a caso entro un raggio di 1 km. I non morti animati in questo modo non sono sotto il controllo del possessore, anzi sono potenzialmente ostili. In questo modo l'artefatto in pratica ti obbliga a creare 10 non morti al giorno se non vuoi ritrovarti dei nemici inaspettati. Volendo si può introdurre una cosa più di lungo termine che è una meccanica di corruzione: se usato a lungo da una creatura vivente l'artefatto assorbe lentamente la sua vitalità. La si può rendere in vari modi, ad esempio con una riduzione dei punti ferita totali o con livelli di affaticamento permanenti che si accumulano; in entrambi i casi, arrivando da ultimo alla morte e alla resurrezione come non morto molto potente. La progressione di questo fenomeno potrebbe essere ad ogni luna nuova o ad ogni settimana. Potrebbe prevedere un tiro salvezza su Cos per rimandare il peggioramento, oppure no. Se si vuole che questo effetto scoraggi in qualche modo l'uso, si può fare che la progressione è di base molto lenta ma accelera quanto più usi l'artefatto. Essendo l'artefatto molto potente attirerà l'attenzione di entità potenti, anche extraplanari. Ogni tanto potrebbe apparire un gruppo di demoni, diavoli o altre creature extraplanari che combattono per impadronirsene. Potrebbe essere una cosa "a livello costante" oppure una sorta di escalation, in cui sono sempre più potenti. Se si vuole che questo effetto scoraggi in qualche modo l'uso si può fare una cosa del tipo: ogni notte, se durante la giornata l'artefatto è stato usato poco c'è una probabilità del 10% che appaiano questi esseri; se è stato usato molto sale al 25%. La prima volta sono 1d4 immondi, la seconda 1d6, la terza 1d8 e così via. Non potenti al punto da essere una minaccia seria (finché sono pochi), ma abbastanza da essere un fastidio.
  10. Ciao, non conosco quel modulo e non so di preciso cosa dovrebbe fare quell'artefatto. Ma se gli dai degli svantaggi tali da compensare i vantaggi non dovrebbe certo rendere le cose troppo facili. Mi è capitato, in passato, di dare artefatti a personaggi anche di basso livello. In genere i miei giocatori (che conoscono bene le mie campagne) si guardano bene dall'abusarne perché terrorizzati dagli effetti collaterali. Avevo un PG ladro (ok, questo di alto livello) con una chiave artefatto magica, in grado di aprire qualsiasi cosa; si sforzava sempre di non usarla se non quando ne andava della sopravvivenza del gruppo. Ecco, secondo me l'artefatto ideale induce questo comportamento qui 😉
  11. Per chiarire il mio punto di vista: Sono d'accordo con l'ultima affermazione, attaccare è diverso da toccare e sarebbe sbagliato porre limiti irragionevoli all'azione di curare un alleato. Quindi, ben venga qualsiasi espediente narrativo (se necessario) per giustificare la facilità di cura con le regole attuali. Quello con cui non sono d'accordo è che sia possibile immaginare in modo coerente una battaglia in D&D come una battaglia in formazione serrata, con gli alleati adiacenti che sono di fatto spalla a spalla o scudo a scudo, come appunto in una falange o in una vera formazione di fanteria antica. Sono d'accordo che: (a) lo spazio individuale di 1.5 metri è un'astrazione, (b) si assume che il personaggio si muova continuamente avanti e indietro, da una parte e dall'altra entro il suo quadretto, e (c) attaccare in mischia richiederà comunque dei movimenti di avvicinamento e allontanamento, sporgendosi probabilmente anche molto nello spazio del nemico. Tuttavia è mia convinzione che lo schema di combattimento di D&D (e le regole di combattimento in D&D) siano pensate proprio per essere antitetiche al combattimento in formazione serrata, che è realistico e storicamente accurato ma poco divertente e cinematico, e per favorire invece la mischia sparsa con tanti duelli separati, come si vede spesso nei film, assai poco realistica ma molto più cinematica. (In effetti la chiave di questo è... Se comincio a dire che 3 personaggi adiacenti sono, nella fiction, in formazione serrata (scudo a scudo, o mano sulla spalla etc), e passo sopra al fatto che occupino di fatto 4.5 metri che è un pezzo bello lungo (dicendo magari che si muovono molto a destra e a sinistra?) come me la cavo quando ho 10 personaggi adiacenti? Una formazione compatta gomito a gomito di 10 uomini non dovrebbe occupare più di 5 o 6 metri, invece ne occuperebbe 15. È perché "oscilla" continuamente di 10 metri a destra e a sinistra? Mi sembrerebbe molto una forzatura. Io preferisco dire che il combattimento in D&D non ha niente di storicamente accurato ed è invece cinematico, con personaggi e nemici che non hanno mai una formazione serrata e si muovono liberamente in uno spazio ampio. A tal punto che, le rare volte in cui voglio davvero rappresentare nel mio gioco una formazione compatta di soldati, ricorro a delle regole ad hoc in cui il loro spazio occupato si "compatta" notevolmente.
  12. Confliggerebbe un po' con il fatto che in base alla griglia sono a un metro e mezzo di distanza... (quasi un protocollo da fase 2 in effetti! 😁) Comunque, scherzi a parte, sono d'accordo con l'approccio proposto. La cosa più semplice è immaginarsi che la cura non richieda un contatto preciso ma anche solo un "gesto di avvicinamento" entro 1 metro e mezzo.
  13. Ciao, non mi intendo molto di 5e ma mi sembrano proposte ragionevoli. Per le armi, da quello che ho capito l'assunzione di base di 5e è che non esistano armi "formato halfling" e armi "formato umano": le armi sono tutte "formato umano", l'halfling usa le armi da umano (tranne quelle troppo grosse) con qualche difficoltà in più (se non sbaglio, una spada lunga da umano deve tenerla a due mani?). Era anche il metodo delle edizioni di D&D vecchie (almeno della 2), mi pare di ricordare. Sono sempre stato indeciso tra i due sistemi. Dover specificare per che taglia è forgiato un certo equipaggiamento, e modificarne i dati di conseguenza, è un po' noioso per il DM. Però è anche vero che avere una regola generale aiuta, ad esempio, nel caso di ingrandimenti o rimpicciolimenti magici. Tutto sommato l'approccio 3.5 è più robusto.
  14. Un artefatto per definizione è un oggetto unico, un "extra" rispetto alle regole normali. Non c'è un modo sicuro per identificare o analizzare un qualsiasi artefatto. Ma ognuno potrebbe avere metodi specifici. In generale, quello che permetterei è di fare delle prove o delle ricerche (biblioteche, saggi eccetera) allo scopo di scoprire/ricordare la storia dell'artefatto.
  15. Così su due piedi mi concentrerei su illusioni e controllo mentale. Mi sembra che riflettano bene da un lato il suo essere ingannevole e sfuggente (attacchi dei PG che andranno a sprecarsi contro le illusioni) e dall'altro lato il suo essere schiavista. Mettere gli stessi PG l'uno contro l'altro con una magia mentale sarebbe il massimo del subdolo. Edit: non sono un esperto di 5e ma se il livello dei PG è così alto temo che ci sia un forte rischio, secondo come girano i dadi, che qualunque "boss" singolo per quanto potente venga fatto fuori molto in fretta. Per mitigare il rischio direi di assegnargli azioni leggendarie e resistenze leggendarie (o come si chiama; non ricordo, comunque è come hai detto tu giustamente: capacità di superare automaticamente i tiri salvezza alcune volte). Ma raccomanderei caldamente anche di non farlo incontrare da solo: una bella barriera di servitori, anche di basso GS, che rallenti i PG quanto basta da permettergli di lanciare incantesimi sarebbe opportuna.
  16. Interessante. Un solo appunto marginale: il ferro meteoritico veniva usato nell'antichità non perché fosse di qualità particolarmente buona (in effetti è inferiore a quella dell'acciaio temprato delle epoche successive) ma perché era facile da lavorare essendo già "pronto", mentre il ferro di origine terrestre in genere è legato ad altri elementi in minerali complessi da cui deve essere estratto con fusione ad altissima temperatura.
  17. Se vuoi fare questo mi sentirei di dare un paio di raccomandazioni: Decidi anche un rimedio nel caso il fattaccio avvenga, e un rimedio che non sia troppo cervellotico. Altrimenti si tratterebbe in pratica di un insta-kill (a meno che l'intera campagna non si svolga nel dungeon e uscire sia quindi pleonastico). In assenza di magia può essere complicato, ma potrebbero esistere delle erbe o altri trattamenti adeguati per "curare" il fenomeno, quando è ancora abbastanza recente. Assicurati che i PG abbiano modo di essere consapevoli della cosa. Voglio dire, di conoscere l'esistenza del rischio prima di sperimentarlo di persona. Magari parlando con chi è già nel dungeon, o trovando antiche iscrizioni, o simili. In questo modo avranno di fronte una scelta. Per il resto, grazie di aver condiviso l'idea della comunità sotterranea, la ruberò sicuramente! 🙂
  18. È una domanda a cui solo tu puoi rispondere. Se è comunemente nota tra la gente di quella regione la presenza dei briganti, essa sarà parte di X. In effetti, come tu dici, dubito che gli oggetti in loro possesso siano invece comunemente noti.
  19. Il mio consiglio prescinde dall'esistenza da una trama predefinita e dall'avere sessioni già in mente. Poi naturalmente sei libero di non seguirlo. Teoricamente dovresti dare da subito ai giocatori tutte le informazioni che i PG è "naturale" che sappiano essendo gente che vive in quel mondo. Teoricamente. In pratica questo rischia di diventare un bel malloppo, con la conseguenza che non lo leggerebbero. Quindi, detto X l'insieme di tutte le informazioni che un personaggio che vive lì è "naturale" che sappia, direi di usare uno di questi due approcci: da X seleziona 3 o 4 informazioni al massimo (di 1-2 righe l'una, non di più), magari le più importanti, e dalle ai giocatori; oppure per ogni PG seleziona 2 o 3 informazioni da X (di 1-2 righe l'una, non di più) e dalle al giocatore corrispondente; per quelle molto importanti ammetti una ridondanza (cioè, di dare la stessa a due PG), per la maggior parte no. In ogni caso, tieni da parte X e non appena i PG si imbattono in un certo tema sii pronto a dare "proattivamente" le informazioni di X su quel tema, anche senza bisogno che i giocatori facciano domande o i loro PG intraprendano azioni per procurarsele. Considerale cose che i PG già sanno, semplicemente non sono state ancora menzionate fino a quel momento.
  20. C'è chi è più bravo a improvvisare e chi no. Io senza preparazione mi perdo 😅 Comunque una cosa non esclude l'altra: si può essere preparati alla maggior parte delle domande e comunque lasciarsi la libertà di improvvisare quando accade l'imprevisto. È ovvio che la lista non deve essere una gabbia ma un aiuto.
  21. Certo, me ne rendo conto. Ma la tua domanda originaria era: In risposta a questa tua domanda, il mio consiglio è: non usare tabelle casuali, non lasciare ai dadi il flusso delle informazioni. Il rischio è che per pura sfortuna venga a mancare un'informazione essenziale senza motivo. Invece, fornisci le informazioni in modo sicuro (deterministico) a patto che i PG facciano qualcosa di appropriato per procurarsele. Dove "qualcosa di appropriato" naturalmente varierà a seconda dell'informazione (chiedere in giro, consultare un esperto o una biblioteca, usare una divinazione, interrogare un prigioniero...), ma non dovrebbe comprendere prove o tiri di dado. Dopodiché è naturale che spetterà ai giocatori decidere che cosa fare con quelle informazioni, nessuno li obbligherà a "seguire la traccia". Se può tornarti utile ti suggerisco un metodo: Dividi le informazioni per argomento (ne hai già citati alcuni: il re, i briganti etc). Per ogni argomento, se è il caso, suddividi ulteriormente le informazioni a seconda se sono comuni (note più o meno da tutti in giro), rare (note solo a quelle persone che per ragioni geografiche o di mestiere sono più "vicine" al tema trattato) od oscure (note solo a pochissimi, procurarsele in generale sarà di per sé una quest). Quando i PG cercano informazioni su uno specifico argomento, valuta se il loro approccio è appropriato e, se sì, fornisci le informazioni fino al livello di rarità appropriato.
  22. Ciao @Percio, personalmente penso che in un'investigazione l'elemento di casualità (dadi, tabelle) sia da limitare al minimo, come ha detto anche @The Stroy. Capisco che questo possa sembrare un po' contrario all'approccio sandbox puro, ma funziona molto meglio. In particolare, la cosa che funziona meglio è che ogni indizio o informazione sia reperibile (con sicurezza, senza casualità) se i PG compiono determinate scelte o fanno determinate cose. Consiglierei anche di far sì che ci sia più di un modo per procurare ogni indizio. Sul mio blog ho scritto di recente un articolo proprio sul progettare un'avventura investigativa. Trovi il link nella firma, ma se vuoi puoi scrivermi in privato e ti mando il link diretto a quell'articolo. Edit: ecco il link, https://dietroschermo.wordpress.com/2020/05/01/qa-elementale-watson-costruire-uninvestigazione-domanda-di-giu/ A margine, un commento abbastanza off-topic:
  23. È vero. È anche vero che se si legge a fondo l'opera si nota che "niente è malvagio sin dal principio, neppure Sauron lo era..." 😉. Qui ho dovuto semplificare, poi concordo che sulla visione morale di Tolkien ci sarebbero da spendere milioni di pagine...
  24. Wow, gente, la faccenda qui si è fatta seria. Una cosa che mi fa piacere (commento OT sull'OT) è: Ora, mi terrò lontano dalla questione generica "politically correct" e "minoranze sui mass media", pur avendo le mie idee a riguardo. Vorrei invece concentrarmi su un solo aspetto che mi pare particolarmente interessante e più on topic, che è: come è lecito rappresentare il conflitto tra bene e male in un mondo fantasy, o in un gioco fantasy. È stato detto, giustamente, che certe particolari forme del male (stupro, infanticidio, pedofilia) sono perlopiù escluse da D&D e alla maggior parte dei tavoli di gioco. Lo sono anche al mio tavolo. Non sono convinto che siano escluse perché sono cose che avvengono nella vita reale: altre forme di male che pure hanno questa caratteristica, come l'omicidio, la guerra, la schiavitù e talvolta la stessa discriminazione trovano tranquillamente spazio (mi è capitato di mettere in scena, o di veder mettere in scena, società razziste o sessiste nel gioco). Cos'hanno allora quelle forme di male che non va? Non ne sono sicuro e non saprei descriverlo. Quello che è certo e che sono escluse perché fanno sentire profondamente a disagio le persone che giocano (sul perché si può dibattere; ma probabilmente non serve, lo prenderei come dato di fatto). E questo è un elemento importante perché ci fa capire che è "dovere" del gioco, dal master e anche dei giocatori, fare attenzione a non varcare quei labili confini oltre cui la legittima rappresentazione del male, che è catartica ed è parte essenziale di ogni bella storia, diventa motivo di disagio per qualcuno. In questo senso è importante che prendiamo atto del disagio che certe persone hanno di fronte a certe rappresentazioni di certe razze, e ci interroghiamo se non si sia (con tali razze) varcato quei confini e non sia quindi il caso di correggersi. Questo discorso si può estendere non solo a come rappresentiamo la manifestazione del male (gli atti che il male compie) ma anche a come ne rappresentiamo l'origine, la natura. Qui si va molto nella filosofia. Nel mondo di gioco esistono individui o esseri associati al male, o esistono solo atti associati al male? (La risposta a questa domanda nel mondo reale è puramente speculativa per cui non rilevante, ma nel mondo di gioco possiamo rispondere.) Senza dubbio agli albori di un certo fantasy (quello della Terra di Mezzo o di Narnia) c'era una forte connotazione morale che impregnava l'intero mondo fantastico e metteva in scena incarnazioni fisiche, chiare e certe, del male (gli orchi, Sauron...) e del bene, insieme comunque anche a persone "grigie" combattute tra l'uno e l'altro (basti pensare a Boromir). È una cosa che oggi può o deve metterci a disagio? È qualcosa che ci può condizionare (come ha detto qualcuno), anche a livello subliminale, ad avere pregiudizi, a pensare che esistano persone e/o intere razze interamente buone o malvagie anche nel nostro mondo? Onestamente non credo. Per inclinazione personale adoro questo tipo di storie e le preferisco addirittura a quelle a "morale grigia" alla Game of Thrones che vanno di moda oggi. Ovviamente bisogna prenderle nel modo giusto: si tratta (come spesso nelle storie fantastiche) di metafore. Le razze o persone puramente buone e le razze e persone puramente malvagie non rappresentano razze, persone, nazionalità o idee specifiche del mondo reale, quanto piuttosto la parte di bene e di male dentro ognuno di noi. Non che non esistesse, anche in passato, un altro filone fantasy in cui la componente morale è molto meno presente e molto più fumosa. Nel mondo di Conan, ad esempio, sebbene si abbia ha la sensazione che esistano "esseri" malefici e forme di magia oscura, essi sono più che altro alieni e incomprensibili, e l'eroe che li sconfigge lo fa per sopravvivere più che per difendere un bene cosmico che di fatto non esiste. È senz'altro possibile rappresentare nel gioco di D&D un mondo fantasy in cui possono esistere azioni positive o negative, ma non esistono esseri o individui che incarnano con certezza il bene o il male. Chi vuole mettere in scena qualcosa del genere potrebbe avere ottime ragioni di eliminare anche il concetto di allineamento, che rappresenta in qualche modo un'esistenza oggettiva, "misurabile" del bene e del male negli individui, e va quindi in contrasto con l'idea che l'individuo buono e quello malvagio non esistano. Potrebbe anche voler rappresentare i mostri come esseri feroci e incomprensibili, ma non obiettivamente malvagi. In casi estremi potrebbe perfino voler abolire le incarnazioni degli esterni buoni e malvagi (angeli, demoni...) ritenendole troppo morali per natura, o potrebbe volerle reinterpretare come componenti di un ordine cosmico in qualche modo non morale. Questo approccio è, secondo me, molto più vicino alla sensibilità moderna. Non è tuttavia esente da sfide. Una delle motivazioni per rendere "obiettivo e trasparente" il conflitto bene/male in un gioco di ruolo, in effetti, è permettere ai giocatori (almeno, a quei giocatori che lo desiderano) di sentirsi... beh, buoni. Il che, permettetemi, può essere difficile in un gioco in cui ammazzare (diciamoci la verità) è cosa che succede praticamente di continuo. Esistono giocatori che non hanno problemi a incarnare un "grigio antieroe" che in un mondo selvaggio uccide per autodifesa il bravo e coraggioso orco che lo sta assalendo, pur sapendo che quel bravo e coraggioso orco in fondo non è cattivo, è come lui e si sta battendo per ragioni simili alle sue. Questi giocatori apprezzeranno il realismo della cosa. Esistono tuttavia anche giocatori (io, lo ammetto, sarei tra quelli) che in una situazione del genere si troverebbero... beh, a disagio. Comprensibilmente, perché chi di noi nel mondo reale non si sentirebbe a disagio all'idea di uccidere una persona come lui, senza ragioni oggettive per poter dire di avere moralmente ragione? E siccome abbiamo detto all'inizio che bisogna farsi carico del disagio che qualcuno può provare di fronte a temi come la razza, beh, anche quest'altro tipo di disagio merita rispetto e comprensione. Una delle funzioni (non l'unica) dell'allineamento in effetti è attribuire a certi nemici un "tag" che permette ai giocatori di ucciderli senza troppi rimorsi. Rimorsi che altrimenti finirebbero per far virare il gioco verso aspetti che sono anche quelli molto realistici, ma poco avvincenti da giocare: pensate che noia se la campagna diventasse un lungo dibattito filosofico sui diritti civili dei nemici e dei mostri, e se si affermasse il diritto alla vita di ogni essere intelligente. Molto giusto, intendiamoci, ma che noia. Se vogliamo invece costruire un mondo fantasy in cui bene e male abbiano le loro incarnazioni fisiche, cioè in cui esistano esseri e individui buoni e malvagi, resta da stabilire come vogliamo giustificare in-game questo fatto. L'avere "il male nel sangue" come caratteristica di certe razze è un possibile approccio, ma non l'unico. Si potrebbe anche attribuire al male un'origine puramente culturale. E qui si tratta anche di vedere quanto i concetti di razza e di cultura siano effettivamente separati nella propria ambientazione di gioco. Già il Manuale dei Mostri 3.5 attribuisce agli orchi la dicitura "generalmente caotico malvagio". Generalmente: quindi non intrinsecamente, per natura. La maggior parte degli orchi è CM ma ne esistono anche di altri allineamenti, quindi possono essere buoni. Si potrebbe quindi impostare il discorso sulla cultura, dicendo che la gran parte degli orchi cresce in una società violenta in cui fare del male a persone innocenti per proprio vantaggio (se questa è la definizione di male; è quella che uso io, se ne può avere un'altra, ma per il momento non entriamo in questi dettagli, il discorso rimane valido nel complesso anche se la modifichiamo) è considerato normale e "giusto". Ma se un orco fosse allevato da elfi dolci e gentili potrebbe diventare dolce e gentile. In effetti, l'esistenza di società malvagie associate a certe razze permette due cose. Primo, di mettere in scena pregiudizi in cui le qualità di quella società vengono attribuite per impropria estensione a tutta la razza (tu sei un orco quindi sei malvagio!), rendendoli per l'appunto pregiudizi, cioè errati, e permettendo ai giocatori di contestarli. Secondo, di rendere i personaggi di quella razza "speciali" nella misura in cui devono confrontarsi non solo con il pregiudizio, ma anche con la consapevolezza di essere obiettivamente diversi da come la loro società di origine li vorrebbe. Non si può negare che il fascino di molti personaggi, tra cui un certo elfo drow reietto, derivi proprio da questo. D'altro canto, questo ripiego è accettabile? Oppure anche l'esistenza di società malvagie crea, o creerà in futuro, disagio a certi giocatori che chiederanno di abbandonarlo? È una cosa che scopriremo con il tempo. Da un lato sono contento che certe legittime rivendicazioni sociali si facciano sentire in tutti gli ambiti compresi i giochi. Dall'altro devo ammettere di avere il timore che in futuro questa pressione ci spinga ad accantonare molte di quelle risorse che contribuiscono a rendere il mondo di gioco davvero fantastico e davvero interessante. Sarebbe un peccato se il mondo reale "invadesse" quello immaginario troppo profondamente. Nel mio mondo di D&D gli orchi possono avere qualsiasi allineamento. Tuttavia, le società orchesche che metto in scena sono perlopiù società malvagie e violente. E non solo: gli orchi nascono con una certa innata propensione alla violenza (come i nani all'avidità). Lo metto molto in chiaro lasciando comunque piena libertà ai giocatori per i loro PG. Ho visto nascere in questo modo personaggi bidimensionali, certo, ma anche personaggi conflittuali che proprio dal bisogno (e dalla capacità) di dominare questa loro innata pulsione traevano il loro eroismo. Così come mi è capitato di rappresentare società classiste o maschiliste. Permettendo ai giocatori di creare personaggi che lottassero per liberarsi dai vincoli oppressivi che queste società infliggevano loro. Voglio dirlo chiaramente, in conclusione: uno dei pregi dell'allineamento è che permette di rappresentare il male nel mondo di gioco identificandolo ("taggandolo") esplicitamente come tale, quindi chiarendo che quella che si sta rappresentando è una cosa "sbagliata" contro cui è giusto e legittimo battersi.
  25. Per quel poco che ho visto (ma è davvero poco) Pathfinder 2 è carino. Non sono del tutto d'accordo sul fatto che D&D 5e sia più divertente per i master, trovo anzi che sia parecchio player-centrico, cioè incentrato sul massimizzare il divertimento dei giocatori. Però il divertimento che si ha giocando. Mentre molte parti di creazione e customizzazione del personaggio sono state rese enormemente scarne e lineari. Dipende quindi dal concetto di divertimento. Esiste anche il divertimento del farsi il personaggio, del "giocare con i pezzi da assemblare" e del realizzare una combinazione particolare che senti come tua e unica. Sotto questo punto di vista sì, devo ammettere che D&D 5e è carente, l'avevo notato anche io. Pathfinder 2 è sicuramente più in linea con questo tipo di divertimento. Prima di poterlo raccomandare, o sconsigliare, devo ancora capire un paio di cose, in particolare la questione delle proficiency e il funzionamento degli incantesimi. Però quello che ho letto qua e là sembra fatto decentemente.
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