La pioggia pesante rendeva la strada difficilmente praticabile, come non fosse bastato il peso trasportato ad affaticare la mia andatura. Eppure, non potevo non considerare la pienezza di quella situazione. L’autunno, i suoi venti, i suoi odori, i suoi differenti umori, il sole pallido, la pioggia fine, le diverse gradazioni di bagnato. Mentre mi dirigevo verso la locanda, i capelli appiccicati fastidiosamente alla fronte fino a oscurarmi in parte la visuale, mi era impossibile non percepire l'odore dell'erba fradicia, del fango solcato dalle ruote di un carro, del fumo delle abitazioni che portava in strada diversi sapori. Il rumore dell'acqua contro la pietra e la terra, il pestare di piedi incerti al margine della strada, il vociare soffuso oltre le porte chiuse. Perfino la quasi invisibile nuvola di vapore che si formava di fronte alla mia bocca a ogni respiro affannato era motivo di immensa gioia per il cuore. Quando giunsi di fronte all'ingresso della Pietra miliare, trassi un respiro più profondo e lo sputai fuori con tutta la poca forza che mi era rimasta dalla sera precedente. Entrai e per un momento il mondo si fermò. Mentre chiunque fosse nella sala mi osservava incerto, lasciai scivolare il corpo dalle spalle al tavolo libero più vicino in un unico movimento che sapevo il mio corpo non avrebbe sopportato. Stremato, caddi a terra. E la stanza, improvvisamente, si rianimò, divenendo contemporaneamente buia.
***
Tossii sforzandomi, il respiro ancora affaticato per la brama con cui avevo ingollato il bicchiere che l’uomo mi aveva portato. Mi guardai intorno, dovevo rappresentare una sorta di attrazione per le persone riunite in locanda. I loro visi, perlopiù una via di mezzo tra l’assonnato e l’incuriosito, rimandavano l’immagine di un individuo che non avrebbe dovuto trovarsi lì.
“Come ti senti, ragazzo? Va meglio ora? Vuoi qualcosa da mangiare?”
Risposi con un laconico “Sì”, senza associarlo a nessuna delle questioni che mi erano state poste in particolare. Diedi una scrollata ai capelli bagnati e i miei occhi si fermarono sul tavolo dove ancora giaceva Symond. Il peso del suo corpo contro il legno mi diceva che non si era ripreso.
“Questo non è certo il posto migliore in cui avreste potuto capitare tu e il tuo amico.”
Colui che doveva essere l'oste mi allungò un cucchiaio e una scodella colma di un liquido marrone in cui erano affogati alcuni pezzi di carne bollita. In breve finii ciò che speravo mi fosse stato offerto: non sentivo il borsello alla cintura e di certo non avrei potuto pagare né quello né altri servizi.
Non sapevo nemmeno io bene da dove iniziare. A dire il vero, non avevo la minima intenzione di iniziare. Percepivo una pressione simile a quella che deve provare un attore prima di un'esibizione di fronte a un pubblico importante. Avrei dovuto dire qualcosa, eppure ero bloccato, facevo fatica a riordinare i pensieri e a dare alle immagini che tempestavano la mia mente un ordine che potesse essere comprensibile una volta esposto.
Dopo alcuni lunghi minuti di silenzio, rotto solamente dal ticchettio della pioggia che continuava a calare sul villaggio, decisi di cominciare nel modo in cui tutti coloro che non hanno nulla da dire si ritrovano sempre a cominciare. Con una domanda.
“Cosa..”, la mia voce era quella di un estraneo. Schiarii la gola a fondo, ricercando il tono a me familiare. “Cosa intendi dicendo che questo non è il posto migliore in cui capitare?”.
Fu come se il volto dell'oste fosse improvvisamente stato illuminato da una torcia portata troppo vicino. I suoi occhi iniziarono a brillare, le sue guance si fecero paonazze. Credo che si aspettasse di dover ascoltare un lungo racconto, credo che il fatto stesso di essere invece lui chiamato in causa gli desse una sorta di autorità che i quotidiani ospiti della locanda non avevano mai saputo dargli con gli ordini da loro impartiti.
Esitò un istante, guardandosi attorno. Trasse un respiro e con coraggio iniziò.
“Intendo tutta la storia delle morti e delle sparizioni.” Sputò fuori un po' troppo in fretta i primi concetti che gli vennero alla mente. “Sì, insomma, se non ne hai sentito parlare devi venire da molto lontano o aver vissuto sottoterra per più tempo di quanto non faccia una talpa.” Qualcuno, nella sala, borbottò il suo disappunto. Non doveva essere semplice veder dispersa così malamente parte della storia del proprio villaggio. Una storia, per di più, di cui non andare fieri.
“Nessuno qua ama ricordare quando è iniziato. E immagino nessuno sappia il motivo. La gente ha iniziato a morire. Prima i contadini e gli allevatori, durante le loro giornate ai campi o ai pascoli. Poi gli anziani, e i bambini. Li trovavamo nei posti più strani, come addormentati, nessuna traccia di violenze, di aggressioni, di ferite. Semplicemente, morivano.” I borbottii si fecero più elevati nella sala. “Certo, lamentatevi pure”, l'oste si rivolse indistintamente a tutti, poi tornò a concentrare i suoi occhi nei miei. “È tipico, sai, tipico di queste parti. Sembra che siamo obbligati a vivere nel silenzio e nell'eterna paura. Nessuno deve sapere niente, nessuno deve parlare di niente, nessuno deve provare niente. Ormai questo villaggio è morto, quelli che vedi qui dentro non capisco nemmeno io perché continuino a portare il loro **** solitario su queste sedie tutte le sere. La maggior parte delle persone è, chi più chi meno, barricata nelle proprie case. Non escono, se non per le urgenze. Non parlano, se non tra di loro, e sempre a bassa voce. Chi passa da queste parti, viene guardato storto e solitamente non si ferma che per qualche ora. Ti sto raccontando tutto”, il suo tono si alzò come se volesse che chiunque nella sala sentisse chiaramente le sue ragioni, “perché mi pare che se devi fermarti per la notte, non vedo come potresti andartene di qui ora, è giusto che tu sappia dove sei capitato”. Chinò gli occhi, ma non riuscì a celarmi lo sguardo di sfuggita al corpo di Symond. Poi, in un sussurro: “A volte, a disgrazia si aggiunge nuova disgrazia.”
Il mio interesse per le parole dell'oste non andava oltre quella particolare forma di cortesia che impone a chi domanda di ascoltare la risposta che gli viene data.
“Ci credo che non capisci, bisogna trovarsi dentro alle situazioni per averne un'idea.” Sembrò raccogliere qualche altro pensiero prima di continuare. “Alcuni hanno anche iniziato a portare i corpi lontani. A dire il vero, ora lo fanno tutti. Il primo è stato il vecchio Willy, che ha perso tutta la famiglia, figlio, nuora e due nipotini. Un giorno prende un carretto, ci carica sopra i corpi, esce dal villaggio e nessuno lo vede più per almeno una settimana. Pensavamo fosse morto lui pure. Quando torna, a chi gli chiede dove ha portato i corpi dei suo cari, lui risponde secco che non ha mai avuto cari, che farebbero bene tutti a non averne, che chi ci vuole non ha cari o affetti. Da allora non è più uscito dalla sua casa. Mangerà ratti e berrà la pioggia, se ancora è vivo!”
Per quanto la locanda fosse ormai avvolta da un completo silenzio, la mia concentrazione era perduta. La brodaglia aveva ritemprato la mia mente e il mio coraggio. Cercavo di piegare il collo senza farmi notare per controllare il corpo di Symond. Non sapevo cosa gli sarebbe successo ora e quell'oste non mi avrebbe aiutato a scoprirlo con quella storia così banalmente simile a tutte le altre.
“Negare è stata l'unica risposta che la maggior parte di noi è riuscita a dare a questa dannata situazione.” Ormai il suo non era più un racconto. Aveva più i toni del sermone o della predica, senza tuttavia possederne la forma. “Come se la gente pensasse che l'unico modo per affrontare la morte fosse evitarla, chiudersi in se stessi per impedirle di farci del male. Il campo santo ai confini del villaggio non è cresciuto dal giorno in cui Willy è tornato. Portare i corpi là fuori è diventata un'abitudine, un vizio, una necessità. Non vedere significa per noi non pensare.” Concluse con maggiore teatralità rispetto a quando aveva cominciato. Forse l'esperienza, forse l'aver zittito il suo pubblico e l'averlo reso partecipe alle sue parole, forse lo sciogliersi dell'ansia assorbita durante l'orazione.
Non trascorse molto tempo prima che fossi nuovamente assalito da quella sensazione di attesa, sensazione che cresceva mano a mano che il vuoto lasciato dal mio mancato commento alla storia si ampliava. Scrollai nuovamente la testa. “Potrei avere altra zuppa?” Questa, di certo, non sarebbe stata offerta.
L'oste rimase per un momento interdetto, quindi finse un sorriso accondiscendente, come se il suo ruolo gli impedisse di comportarsi diversamente. Mentre lui si allontanava con la mia scodella, fu un altro degli ospiti della Pietra Miliare ad attaccarmi da un lato. Un tizio di mezza età, il ventre prominente e due lunghi baffi calati che gli allungavano il viso in modo innaturale. “Cosa è successo al tuo amico?”, chiese quasi sussurrando, mentre portava il boccale alle labbra con un movimento calibrato sulla lunghezza della sua domanda.
Mi guardai intorno, un brivido lungo la schiena, non capii se per i vestiti inzuppati o per una sensazione interiore. Sperai per un istante che l'oste tornasse da me con la scodella, per affondare lì tutta la foga animale di un appetito che i presenti non avrebbero faticato ad accogliere da un disperato quale di certo apparivo ai loro occhi. Purtroppo la domanda aveva sospeso il tempo all'interno di quelle quattro mura e vidi l'oste immobile oltre il bancone, presso la marmitta, con un grosso cucchiaio in mano che stava lentamente perdendo tutto il brodo che aveva in precedenza raccolto.
Non sono mai stato un campione di menzogne.