Sono piacevolmente sorpreso, principalmente per due motivi. Il primo ha a che fare col fatto che ho letto un libro di oltre ottocento pagine (per la precisione ottocentocinquantadue) in poco più di tre mesi. Il secondo invece è tutto merito di Patrick Rothfuss, che riesce in questo libro a intessere immagini e sensazioni per le succitate ottocentocinquantadue pagine risultando quasi mai noioso e scontato.
Se qualcuno mi chiedesse da oggi in poi come intendo io il processo di scrittura (e perché mai dovrebbe farlo?), io risponderei senza alcun dubbio e con rinnovata sicumera "à la Patrick Rothfuss" (godendo del lampo di ignoranza che certamente coglierei nel mio interlocutore). Il nome del vento è un libro per tutti quelli che come me amano i dettagli e i particolari più del centro dell'azione. Per chi si è sempre chiesto, preparando un'avventura di Dungeons and Dragons, quale sarebbe stato l'ordine ideale delle canzoni nella scaletta del suo bardo per avere l'effetto desiderato sul pubblico. Per chi quando entra in una stanza nota più facilmente la mosca nell'angolo a sinistra che sta volando verso il vetro nel disperato tentativo di uscire all'aperto, dopo aver stupidamente fatto di tutto per entrare, che non l'individuo che gli si pone davanti per presentarsi e stringergli la mano. Per chi odora i colori, mangia i silenzi, tocca le parole, gusta gli odori. Per chi ha trovato piacevole questa mia breve recensione senza peraltro averne compreso l'inespresso significato.
p.s.: Alcune cose vanno dette. Questo è il sito ufficiale di Patrick Rothfuss (checché ne dicano la mia ragazza o il mio capo, voglio la sua barba) e qui potete trovare un estratto del libro. Il nome del vento è chiaramente il primo di una serie, che a questo punto non vedo l'ora continui. Per il momento e per tutti voi, riporto un breve estratto dal sito di Rothfuss (in inglese) e stasera, una volta a casa, mi riprometto di inserire anche l'ultima meravigliosa pagina del libro, sperando di non incorrere in problemi di copyright e sicuro di non provocare disturbi da spoiler a nessuno.
Spoiler:
My name is Kvothe, pronounced nearly the same as "quothe." Names are important as they tell you a great deal about a person. I've had more names than anyone has a right to. The Adem call me Maedre. Which, depending on how it's spoken, can mean The Flame, The Thunder, or The Broken Tree.
"The Flame" is obvious if you've ever seen me. I have red hair, bright. If I had been born a couple of hundred years ago I would probably have been burned as a demon. I keep it short but it's unruly. When left to its own devices, it sticks up and makes me look as if I have been set afire.
"The Thunder" I attribute to a strong baritone and a great deal of stage training at an early age.
I've never thought of "The Broken Tree" as very significant. Although in retrospect, I suppose it could be considered at least partially prophetic.
My first mentor called me E'lir because I was clever and I knew it. My first real lover called me Dulator because she liked the sound of it. I have been called Shadicar, Lightfinger, and Six-String. I have been called Kvothe the Bloodless, Kvothe the Arcane, and Kvothe Kingkiller. I have earned those names. Bought and paid for them.
But I was brought up as Kvothe. My father once told me it meant "to know."
I have, of course, been called many other things. Most of them uncouth, although very few were unearned.
I have stolen princesses back from sleeping barrow kings. I burned down the town of Trebon. I have spent the night with Felurian and left with both my sanity and my life. I was expelled from the University at a younger age than most people are allowed in. I tread paths by moonlight that others fear to speak of during day. I have talked to Gods, loved women, and written songs that make the minstrels weep.
You may have heard of me.
Spoiler:
Era di nuovo notte. La locanda della Pietra Miliare era in silenzio, e si trattava di un silenzio in tre parti.
La prima parte era una quiete vuota, riecheggiante, formata da cose che mancavano. Se ci fossero stati dei cavalli alloggiati nel granaio, avrebbero battuto gli zoccoli e avrebbero masticato rumorosamente e l'avrebbero mandato in pezzi. Se ci fosse stata una folla di clienti, perfino una manciata di clienti andati a letto per la notte, il loro incessante respiro e il miscuglio del loro russare avrebbe gentilmente sciolto il silenzio in un tiepido vento primaverile. Se ci fosse stata musica... ma no, ovviamente non c'era alcuna musica. In realtà non c'era nulla di tutto ciò, perciò rimaneva il silenzio.
All'interno della Pietra Miliare un uomo era infagottato nel suo ampio letto profumato. Immobile, in attesa di prendere sonno, giaceva a occhi aperti nell'oscurità. Nel fare ciò egli aggiungeva un piccolo, spaventato silenzio a quello vuoto più grande. Formava una sorta di lega, un contrappunto.
Il terzo silenzio non era facile da notare. Se foste rimasti in ascolto per un'ora, avreste potuto cominciare a sentirlo nelle spesse pareti di pietra della sala comune vuota e nel piatto, grigio metallo della spada che pendeva dietro il bancone. Era nella fioca luce delle candele che riempiva una stanza al piano superiore con ombre danzanti. Era nell'insensato schema di un memoriale spiegazzato che giaceva abbandonato e non dimenticato sopra la scrivania. Ed era nelle mani dell'uomo che sedeva lì, a ignorare volutamente le pagine che aveva scritto e scartato tanto tempo prima.
[...]
La Pietra Miliare era sua, proprio come il terzo silenzio. Era appropriato, dato che fra i tre era il silenzio più grande, che avvolgeva gli altri dentro di sé.[...]