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Mah!
Forse vi annoio oltre il consentito con questo mio lugubre racconto. L'ho modificato tenendo anche conto di vostre osservazioni, ma il tono resta forse eccessivamente drammatico. Certamente non sarà, questo che riposto, il testo definitivo. Non finisco mai di modificare i miei racconti ogni volta che mi trovo a rileggerli. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Abito questa casa da sempre!... Non mi ci trovo bene! Eppure nonostante abbia compiuto sforzi per renderla confortevole, l’ho resa solo sempre più grigia, e prudente. Tiepida! Mai molto calda, mai troppo fredda... sempre un passo dietro. E’ incline alla malinconia, e di quando in quando si lascia andare ad una controllata disperazione. Nei sotterranei c’è un’ampia cantina ove ho man mano deposto il materiale guasto... che non se ne parlasse più! Ma gli umori da laggiù spesso salgono fin nelle stanze della veglia ed anche del riposo a scacciarne il sonno. Sanno di muffa se non di marcio... e la casa allora scricchiola fin ad assumere le tonalità di un lamento. C’è tanta carta igienica laggiù, spesso imbrattata di scritture innominabili... e specchi strabici opachi, e qualcuno degli specchi è infranto... E c'è una bambola che mostra la paglia dalla pancia sventrata ed è anche guercia da un occhio. L’orbita vuota è un buco nero con un fondo di nulla. E topi... topi... che schifo! E fantasmi che impediscono di scendere a far pulizia. Ma qualcosa o qualcuno ne socchiude di quando in quando la porta che è fragile e non sono mai riuscito blindare. La serro, la sbarro, ogni volta che viene misteriosamente socchiusa nella speranza di non dover ancora scendere per depositarvi un altro cadavere. Ma... Ohnootunonmichiamare da laggiù dove ti ho deposta dopo averti ferita. Nonpossotornareindietro! Io! Che non ho avuto il coraggio di venirti incontro quando potevo, e fui solo capace di intorbidare la tua sana gioia di vivere. Ora? non mi resta che perdermi nella tardiva disperazione del buco nero della tua orbita. Poggio la schiena sulla porta serrata… ho le spalle piene di brividi… di paura. Lascio che i topi entrino nell’orbita a rodere… rodere… a compiere il lavoro profondo che non sono stato capace di impedire. Smettila… smettila di chiamare! Eppure, mentre così scongiuro, ti desidero. Gli anelli della catena sul pavimento, inerti… Lo specchio con i lampi della follia... lo specchio infranto che rimanda, moltiplicandole, immagini di folle solitudine. Sento le voci, ma non rispondo. Voglio resistere, io! Io faro spento tra i flutti e deriso da bambini sghignazzanti su antichi cavalli a dondolo. Finché uno di loro mi assale alle spalle... mi si aggrappa al collo... soffia... me lo morde, il collo... serra in uno spasimo le mandibole e non riesco a staccarlo! Mi ravvivo e strappo con violenza e mi strappo anche la carne. Lancio il bambino nei flutti lividi. Scompare. Una chiazza di sangue galleggia. La porta della cantina non regge al minimo urto, si apre ai miasmi ed anche questa notte c’è ancora la festa Comandata in francese una disordinata quadriglia di inesperti ma felici ballerini in abito scuro, e signore in décolleté. E io! in accappatoio e ciabatte stringo in una mano l’anello d’oro di una catena senza brillante ma che mi è costato un occhio della testa. Gira uno spiedo sulla brace di un gran camino. Sulla brace la bambola sventrata, e l’orbita vuota è un faro di luce buia che mi colpisce ad intervalli regolari al ritmo dello spiedo. La musica di un carillon suona all’incontrario. Rimbomba... Come rimbomba!… rompe i timpani e... infine, quando cessa di botto, si levano applausi, grandi risate, e anche sguaiati sghignazzi. “Il suffit!!”, viene urlato. La quadriglia riprende entrechatbatementrondenlair. Nessuno più rivolge lo sguardo verso di me che mi vergogno del mio abbigliamento mentre soffro la gogna ignorata che anche m’indispettisce... Debbo ammetterlo! Avverto tuttavia il tuo sguardo ad intermittenza, oscurato a tratti nei giri del ballo. Sei ballerina ferita che danza in piccolo scrigno di specchi. Sembra tu voglia aiutarmi, ma non puoi avvicinarti… Né io posso avvicinarmi. Ed ecco i ballerini sono ora fantasmi… i soliti fantasmi, le maschere raccapriccianti: la vecchia sdentata che sogghigna da una carrozzella in un alone acre d’urina... il vecchio dalla pelle tanto cascante da cancellarne i lineamenti… un livido feto… il vecchio col fucile dall'espressione ebete… uno sguardo ironico non so di chi… l’uomo di gesso... E la pupilla dilatata e fissa è un pozzo che riflette l’immagine del mio volto pallido terrorizzato terreo. Te ne eri andata. Dovevi!... andartene. E io provai solo a guardarti negli occhi. Te lo dicevo cogli occhi ché non potevo altrimenti. Era impossibile... mi tremava la voce. Infine distolsi lo sguardo. Farewell my sweet, “par delicatesse j’ai perdu ma vie”. Ma fu una decisione giusta! E ora che mi chiami sono io che non posso tornare… Non posso! Gli anni passeranno anche per loro… diverranno più miti, ma tu ora non badare alla mia mano indecisa che brancola alla ricerca di una consistenza amica… lascia che si stringa nell’aria. Sarò io solo a tenerli a bada questi fantasmi e mi occorrono tutte le energie per metterli all’angolo. E’ un lago amaro di sale che ci separa. Luccica di granelli dorati, ma succhia gli umori… Non si attraversa, ché inaridisce chi s’avventuri. E il nostro destino sarà cercarci con mani pallide protese oltre questi spazi... Ioni! Positivo e negativo, condannati ad attrarsi ma troppo lontani per unirsi. Grigio di giorni bigi… la luce è perduta. E tu sei fuggita alle catene. Tutte le mie ore notturne ti ritrovano, ma non potrò mai più goderti. Ti prego! Tu brucia la tua vita. Non desiderare di chiuderti nell’armadio dei giocattoli ché io non saprei essere il tuo soldatino di piombo. Tu continua a vivere nella tua luce. E’ solo mio il destino di battermi con le tenebre! Tu sei innocente, e io sono un altro mondo, misterioso anche a me stesso. Quale mai sarebbe la mia colpa se io ti spegnessi! Ché è certo, saresti annientata! Tu non sei attrezzata per affrontare i fantasmi. Mi sono svegliato sudato, affannato, nella stanza rischiarata da un candido insolito bagliore che penetra dalla ampia finestra. Mi sono levato e ho guardato l’abisso che ci separa, stranamente imbiancato. E’ la distesa di sale che vorremmo attraversare come un fachiro la brace. Ma siamo fragili! Mi siedo allo scrittoio per te. Perplesso sollevo gli occhi dal foglio e ti scorgo nel chiarore della finestra in un lieve ondeggiare della tenda. Nata dalla mia fantasia malata. Un brivido di gelo mi percorre la schiena e ti fisso con gli occhi chiusi: Cereo è il tuo colorito, immensi i tuoi occhi chiari liquidi di lacrime… mi specchio nelle tue pupille dilatate… Le labbra!… Le labbra sono livide, ora, sottili, e lasciano intravvedere i denti bianchi. E’ questo il delitto che non debbo compiere! Alla rinfusa sul pavimento spettacolo confuso, indecifrabile di una vita: sono ragno!… un ragno che si porta dietro una sottile bava… una traccia di sofferenza. Porto con me dolore, sai… come un alone... E’ mio tragico destino! Il film continua a proiettarsi e non si potrà mai scrivere la parola “THE END”. Tu non puoi attendere. Non devi! Ma cosa c’è ora? Qualcosa si muove là... dietro la porta... Sollevo lo sguardo nel buio appena rischiarato... Fruscii, fiati, scricchiolii… Si aprirà all’improvviso, la porta, ed irromperanno... Tremo. E’ insopportabile l’angoscia... debbo fuggire… c’è poco tempo. Dal balcone… Giace di traverso sui binari del tram, il volto pallidissimo, intatto... in accappatoio... una ciabatta lontana sulle orme nella neve dalla casa, l’altra accanto al corpo…i piedi lividi. Un festone di lenzuola annodate al balcone lievemente folleggia sull’uscio di casa.
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Presunto medium e altri racconti
La paura nasce dall’incertezza... l’incertezza del non riuscire a dare un senso agli accadimenti. E quando prendiamo coscienza e ci sentiamo buttati in un mondo senza senso e senza speranza, siamo terrorizzati e finiamo collo sperimentare noi stessi l’irrazionale nelle nostre azioni. Tutti i metri di giudizio del buon senso a questo punto crollano. E allora è il momento di chiedersi se è da giudicare più irrazionale la superstizione rispetto a un bambino che "deve" morire nella sofferenza... ad una madre disperata che si fa fantasma e rischia anche la propria vita... ad un padre che ama fino all’omicidio...
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Presunto medium e altri racconti
Probabilmente questo ermetico racconto nasce da un profondo di considerazioni sul caso che guida la vita e di conseguenza le nostre azioni, da intime paure. E anche probabilmente non è questo che volevi trasmettere, ma non importa. Anche se non ho capito le tue intenzioni, importante è che mi lascia pensare.
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Mah!
Caro Demiurgo, l’ho riletto sulla base delle tue osservazioni... anche ad alta voce, e ammetto che hai ragione su molte cose. Voglio, pertanto, provare a riscriverlo, ma già posso dirti che mi riuscirà molto difficile modificare il tono della narrazione (per quanto mi renda conto che sia l’aspetto più importante). Mi impegnerò, comunque, e, se il risultato sarà quello che pure vagamente intuisco, lo riposterò. Approfitto per chiederti: a quando la nuova puntata del tuo racconto? Ciao.
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Mah!
Ma chi ha socchiuso la porta della cantina?… C’è puzza laggiù, tanta carta igienica… spesso imbrattata. Non potevo usare altra carta, ma ho cercato la più pulita. E c’è una bambola laggiù che mostra la paglia dalla pancia sventrata ed è anche guercia da un occhio. L’orbita vuota è un buco nero con un fondo di nulla. C’è anche qualche topo… che schifo! che mi impediscono di scendere a far pulizia. Sono tante le cantine qui… e tutte così. Serro e sbarro la porta per ora… spero di non dover ancora scendere per depositarvi un altro cadavere. Ohnoononmichiamare! Nontornoindietronelbuconerodellatuaorbita a spegnere la fiamma della tua sana gioia di vivere. Poggio la schiena sulla porta serrata…ho le spalle piene di brividi… di paura. Ho lasciato che i topi entrassero nell’orbita a rodere… rodere… Compiono il lavoro profondo che non sono stato capace di impedire. Smettila… smettila di chiamare. Gli anelli della catena sul pavimento inerti… lo specchio con i lampi della follia. Lo specchio infranto rimanda, moltiplicandole, immagini di folle solitudine. Sento le voci, ma voglio resistere, io! Faro spento e solitario tra i flutti, e bambini su antichi cavalli a dondolo mi circondano sghignazzanti. Uno di loro mi assale alle spalle... mi s’è aggrappato al collo. Soffia… me lo morde, il collo... serra in uno spasimo le mandibole... non riesco a staccarlo!… Strappo con violenza e mi strappo anche la carne. Lancio il bambino nei flutti lividi… scompare. Una chiazza di sangue galleggia. C’è festa questa notte in cantina. Una voce giovane dirige in francese una disordinata quadriglia di inesperti ballerini in abito scuro, e signore in décolleté. Io sono in accappatoio e ciabatte e stringo in una mano l’anello d’oro di una catena. E’ senza brillante, ma è costato un occhio della testa. Gira uno spiedo sulla brace di un gran camino… sulla brace la bambola sventrata, e l’orbita vuota è un faro di luce buia che mi colpisce ad intervalli regolari al ritmo dello spiedo. La musica di un carillon suona all’incontrario, rimbomba... Come rimbomba!… rompe i timpani, poi cessa di botto!... Un applauso frenetico e grandi risate si levano… e anche sguaiati sghignazzi. “Il suffit!!”, viene urlato, e la quadriglia riprende. Nessuno più guarda a me che mi vergogno in quell’abbigliamento e soffro la gogna ignorata… che anche m’indispettisce. Avverto tuttavia il tuo sguardo ad intermittenza… oscurato a tratti nei giri del ballo… Sei ballerina ferita che danza in piccolo scrigno di specchi… sembra tu voglia aiutarmi, ma non puoi avvicinarti… Né io posso avvicinarmi. Ed ecco i ballerini sono ora fantasmi… Sono i miei fantasmi... si sono radunati! Maschere raccapriccianti: una vecchia sdentata che sogghigna da una carrozzella in un alone acre d’urina…un vecchio dalla pelle cascante che ne cancella i lineamenti… un livido feto… un vecchio col fucile dall'espressione ebete… uno sguardo ironico non so di chi… un uomo di gesso… e una pupilla dilatata e fissa E’ un pozzo che riflette l’immagine d’un volto pallido, terrorizzato… terreo. E la tua lettera: “Me ne sono già andata e non te ne sei accorto. Ho provato a guardarti negli occhi per dirtelo, ma mi tremava la voce e davanti ai tuoi silenzi ho distolto lo sguardo. Farewell my sweet”. E’ giusto! E ora che mi chiami non posso chiederti di tornare… Solo io posso tenerli a bada questi fantasmi e mi occorrono tutte le energie per metterli all’angolo… Non posso chiederti! Gli anni passeranno anche per loro… diverranno più miti, e tu ora non badare alla mia mano indecisa che brancola alla ricerca di una consistenza amica… lascia che si stringa sull’aria. E’ un lago amaro di sale che ci separa… Luccica di granelli dorati ma succhia gli umori… Non si attraversa… inaridisce chi s’avventuri. Il nostro destino sarà cercarci con le mani pallide protese oltre questi spazi. Tu nel sole, io nelle tenebre… Ioni!… Positivo e negativo, condannati ad attrarsi, ma troppo lontani! Grigio di giorni bigi… la tua luce perduta… Sei fuggita alle catene. Tutte le mie ore notturne ti ritrovano nella lurida cantina. Io non potrò mai più goderti, ma tu brucia la tua vita! Non desiderare di chiuderti nell’armadio dei giocattoli… continua a vivere nella tua luce radiosa, nella tua giovinezza con le tue vaghe visioni. E’ mio il destino di battermi con le tenebre… tu sei innocente… Io sono un altro mondo… misterioso a me stesso. Quale mai sarebbe la mia colpa se io ti spegnessi? Ed è certo… saresti annientata! Non sei attrezzata per affrontare i fantasmi. Mi sono svegliato sudato, affannato, nella stanza rischiarata da un candido insolito bagliore dalla ampia finestra. Mi sono levato. Ho guardato l’abisso stranamente imbiancato: è la distesa di sale che ci separa e che tu, lieve, vuoi attraversare come un fachiro la brace… Ma sei fragile tu! Mi siedo allo scrittoio per te. Perplesso sollevo gli occhi dal foglio…e ti scorgo nel chiarore della finestra in un lieve ondeggiare della tenda... nata dalla mia fantasia malata. Un brivido di gelo mi percorre la schiena e ti fisso con gli occhi chiusi. Cereo è il tuo colorito, immensi i tuoi occhi chiari liquidi di lacrime… mi specchio nelle tue pupille dilatate… Le labbra!… Le labbra sono livide, ora, sottili, e lasciano intravvedere i denti bianchi, perfetti. E’ questo il delitto che non debbo compiere! Alla rinfusa sul pavimento spettacolo confuso, indecifrabile e sono ragno… un ragno che si porta dietro una sottile bava… una traccia di sofferenza. Porto con me dolore, sai… come un alone. Il film continua a proiettarsi... non si potrà mai scrivere la parola “THE END”… e tu non puoi attendere con me. Non devi! Ma cosa c’è ora? Qualcosa si muove là, dietro la porta… sollevo lo sguardo… buio appena rischiarato... fruscii, fiati, scricchiolii… Si aprirà all’improvviso, la porta, ed irromperanno. Tremo… E’ insopportabile l’angoscia. Debbo fuggire… c’è poco tempo. Dal balcone… ** giace di traverso sui binari del tram, il volto pallidissimo, intatto. in accappatoio, una ciabatta lontana sulle orme nella neve dalla casa, un’altra accanto…i piedi lividi. Un festone di lenzuola annodate dal balcone lievemente ondeggia fin sull’uscio.
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Mah!
Enry, io ho solo da ringraziarti per l'interesse a questi miei modesti scritti e ai miei tentativi di prosa. Ed in effetti lo scopo di questo forum è quello di confrontarsi, di avere opinioni e suggerimenti. Sono un dilettante anche tardivo di scrittura e il piacere di questo hobby è legato anche alle reazioni di chi mi legge. Di morti assurde questo nostro tempo è pieno. C'è solo da scegliere!
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Mah!
Si, il "vi" è ridondante, ma non superfluo. Tutto è eccesso nelle morti assurde. Con le maiuscole, poi, ho inteso dare un ritmo incalzante di pause: più brevi di quelle del punto e meno sospensive di quelle dei tre puntini... Ci sarò riuscito? Proviamo a leggere ad alta voce. Il racconto è strano? Criptico? Ed anche questo è voluto! Un racconto più che spiegare deve suscitare un’emozione che permetta di ricomporre la vicenda secondo la sensibilità del lettore. Ti contesto solo il prolisso. Grazie di avermi letto, anche perché mi sembra di aver smosso qualcosa.
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Mah!
Questo pomeriggio afoso Giallo piovoso sonoro di vento Mi schiaccia accidiosamente! Sul letto gli occhi aperti vaganti sull’implacabile schermo della parete Un balenio di folgore! E brilla sul fondo giallo come di duna l’acciaio di una lama lunga A tratti sulla lama vi rimbalzano dardi di luce e negli occhi abbaglia lo sguardo fisso sulla lontananza di un miraggio sbavante il tenero azzurro di un mare silenzioso. Vola alta, la lama, sull’ombra del braccio nero dell’uomo blu, e scompare nel cielo di latte in attimi ritardati e lenti che lasciano il tempo di affidare al vento una fola Ché alcuno in un giorno come questo la raccolga Così, nell’aria. Così! Senza un perché. Aveva l’aspetto di un incidente! L’ennesimo. Identico... Ineluttabile. Era l’accidente previsto che si metteva in moto alla scadenza prevista e precipitava senza più ostacoli. Lui fermo lì, legato ed in ginocchio sulla duna Intorno loro Circospetti, incerti. La spettrale inquietudine dell’avvenimento cieco... Fu un batter d’occhi! Ed era successo... L’hanno ammazzato! Doveva accadere... così... come era accaduto Non c’erano alternative e nessuno poteva essere ritenuto responsabile. E’ notte! Una notte d’aria ferma che non fa dormire… L’afa e il racconto nel vento! Esco di casa d’impulso Nella strada deserta non c’è refrigerio nel vapore che sale dall’asfalto e le gocciole residue dagli alberi picchiettano il leggero strato di sabbia e vi disegnano indecifrabili geroglifici. In fondo al viale due ragazzi!... Li intravvedo nel vapore che firmano in spray colorati la facciata di un condominio borghese appena ridipinto... Firme complicate, e senza velleità d’arte... La spedizione nata negli abissi di un profondo inconscio: “Si vedo un muro bianco, io jelo sfregno”! E io?... Io! Il lembo di un manifesto pubblicitario scollato dalla pioggia mi sfiora il braccio Lo ho afferrato, ho tirato ed è venuto giù intero… Corro a scalzare i lembi umidi di altri manifesti e… Strappo… Strappo… Strappo! Affanno Sudato e fermo. Laggiù il muro firmato!… E i ragazzi hanno già girato l’angolo. Sotto i miei piedi la faccia paffuta, sorridente e colorita da un manifesto. Sotto i miei piedi! A chi la responsabilità? A nessuno! E il viale con gli alberi che piangono.
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Risveglio
Mi è piaciuto... inquietante e fa pensare. Apre sentieri inesplorati. E poi mi ricorda un mio vecchio scritto del quale riporto l'incipit: “… Per la debolezza della memoria non sappiamo, o li conosciamo ma vorremmo dimenticarli, la causa, il motivo, la radice della colpa o (…) la tana da cui è uscito il lupo per darci la caccia”. Piove, fitto. Una luce bigia filtra tra gli alberi alti e spruzza lividi bagliori sulle rocce nere, bagnate, al lato destro della strada stretta in ripida salita. Il lato sinistro è nebbia grigia… è abisso… palude di corrotti vapori… Tornanti in successione. Ho la nausea mentre l’auto eccessivamente molleggiata si inerpica sul costone dalla valle che avevo risalito tanti anni prima… la valle “a casa di Dio” che l’impiegato mi aveva indicato in un punto lontano e più scuro su una carta geografica polverosa alle sue spalle. Ora strani odori penetrano le mie narici e l’abitacolo dell’auto, e accentuano la nausea fin quasi al desiderio di vomitare mentre la nebbia, una nebbia fitta, risale dalla palude e invade venefica la strada. Accendo i fari. Il paesino è quasi disabitato…questo lo sapevo… Ma adesso sembra un cimitero con le tombe raggruppare strette in un abbraccio mortale. C’è da percorrere ancora un piccolo tratto, che è sterrato e pianeggiante…ed ecco la casa silenziosa tanto desiderata… lontano dal chiasso, dalla folla… Compare e scompare, ondeggia nella nebbia che fluttua umida e bassa sulla strada. Inquadrato dai fari un uomo in camicia bianca…Con questo tempaccio!…Si presenta in visione improvvisa come si fosse materializzato lì per lì…e mi inquieta la visione che cammina a braccia levate… Manco mi vede, lui… Ma che va facendo?… Prega, forse… No! Impreca… Maledice, ne sono certo! Sorto nella nebbia dal fondo in decomposizione, sputa al cielo senza stelle… Un ideogramma che non riesco a decifrare… che poi, come s’era concretizzato, d’un tratto scompare alla vista e lo cerco inutilmente nello specchietto retrovisore sulla strada degli sprovveduti imbecilli… dei pazzi… che è la sola mia strada che non so più cosa ci faccio qui…
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Prima Antologia DL
Importante la scelta della tematica.
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Presunto medium e altri racconti
Già ho avuto modo di dirti che il tuo racconto si intesse su un gioco del tempo, e questo salto dell’ultima puntata non mi stupisce. Presumo che ci sarà un andare avanti e indietro e la vita dei personaggi e le vicende si costruiranno su questo gioco. Certo l’impresa è impegnativa, soprattutto perché mi sembra che tu non abbia un piano precostituito, e la storia si costruirà nel tempo (ancora il tempo!). Non farti perciò prendere dalla fretta di andare avanti.
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Mah!
Dice Strikeiron: “Tu pensi che un testo enigmatico sia un requisito per far approfondire al lettore la lettura stessa, alla ricerca di chiavi di interpretazione?”. Non è il mio pensiero! La lettura è argomento molto vasto e degno di un saggio (che chissà, forse, da qualche parte già esiste), e a sostegno di quanto dico prendo a caso alcune delle mie letture, di diversa ispirazione e scrittura, che mi hanno preso con uguale intensità: Walser in tutti i suoi romanzi e per quella poetica “passeggiata” (che è un peccato non poter leggere in lingua originale dal momento che la sua prosa viene considerata la più bella prosa mai scritta in tedesco)... e poi “Bartleby lo scrivano” di Melville, che è leggermente più “criptico”... e poi, via via, Kafka e S. Beckett con la sua trilogia... E ho letto questi testi così diversi con uguale piacere, e, per quanto mi riguarda, anche ritengo non sia vero che: “Un testo enigmatico rimane tale, ovvero dissuade il lettore dall'interpretarlo”. La lettura è un piacere, ma non evasione. Pertanto, come giustamente fai osservare, è abbassamento dedicare il proprio tempo alla narrazione semplice, popolare... o peggio seguire le telenovela televisive o dedicarsi al gossip giornalistico.
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Mah!
Caro Raemar, il nostro è un discutere, ed anche interessante (per tuo merito), al di là del racconto che ne è stato il pretesto. E non è bello farlo degenerare in sterile polemica (me ne assumo, naturalmente, la mia parte di colpa). Per iprendere serenamente il discorso, bisogna che consideriamo che stiamo vivendo l’epoca del tramonto delle verità fondanti. Per cui il relativismo delle interpretazioni è il solo modo di interagire col mondo... ineliminabile! E sbagliamo quando diamo l’impressione di voler dare alla propria ottica un sigillo di verità. E quel che ho fatto io quando mi sono lasciato andare all chiarificazione del racconto. Esponendo la mia interpretazione, in certo senso ho chiuso la via a nuove interpretazioni in chiave creativa del testo. Nessuna presunzione di aver postato un testo di un certo valore, pertanto mi piacerebbe che trasferissimo il discorso su un piano più generale: prendiamo un lettore attento e curioso e poniamolo di fronte ad un’opera dal linguaggio oscuro, dai connotati difficili da riconoscere. Ebbene questo lettore cercherà di porre fine alla propria inquietudine assumendo e moltiplicando l’enigmaticità del testo per costruire qualcosa di differente che poi traveste da commento, ma che in realtà è tutt’altra cosa. P.S. Per Demiurgo. Sei grande! Mi piace il tuo tentativo di alleggerire il clima. E mi piace anche la frase che hai scelto in calce ai tuoi commenti: “Sino a che ti contrai nel tuo vuoto puoi ancora pensare di essere in contatto con l'Uno, ma non appena pasticci con la creta, sia pure elettronica, sei già diventato un demiurgo, e chi si impegna a fare un mondo si è già compromesso con l'errore e col male.”.
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Mah!
Demiurgo, ti ringrazio per l'articolo che mi hai trasmesso e che mi sembra interessante e da rileggere con calma. E ti ringrazio, altresì, per i tuoi interventi sempre rispettosi ed eleganti. Il maggior difetto di questo racconto, che avete in buona parte stroncato, risiede nel fatto che è stato scritto di getto e subito postato. L’ho riletto con attenzione e rimesso in ordine. Ed ho eliminato anche qualche sequenza di puntini dove, in effetti, non erano funzionali allo scopo... ne sono soddisfatto, e mi basta. Altro errore è stato quello di essermi lasciato andare nello svelare la “mia” interpretazione del sogno... che naturalmente vale niente. Le interpretazioni sono personali e l’ermeneutica non è altro che una convocazione per la messa a confronto delle varie posizioni. Con questo non voglio dare un valore di capolavoro ad un modesto raccontino, ma, se mi è permesso, vorrei rivolgere una critica alla posizione scandalizzata di molti a fronte dei tentativi di creatività... Tentativi! Affrontati nella piena coscienza del possibilissimo fallimento. D’altra parte, però, non accetto che nel ritrarre un gatto, lo si debba riprodurre “felino domestico con corpo agile e flessuoso, pelo morbido e folto, orecchie piccole e dritte, occhi fosforescenti, lunghi baffi e unghie retrattili". Non siamo mica tra i banchi di scuola con il foglio davanti intestato: TEMA-TRACCIA-SVOLGIMENTO. Che se non rispetti le regole canoniche ti becchi la bocciatura. Avrebbero bocciato anche Picasso se avesse ricopiato, a scuola, il modello proposto alla maniera che ha adottata in seguito.
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Mah!
RAEMAR! mi stupisci quando affermi: "non ti lamentare se la gente legge tre righe di quello che scrivi e poi passa ad altro..". Io non mi sono mai lamentato! Ho sempre solo ringraziato per essere stato letto (anche solo tre righe) e mi sono mostrato riconoscente per le critiche... anche per quelle poco garbate... E qui chiudo!
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Mah!
Grazie, innanzitutto, per avermi letto, e per i consigli, che sono sempre preziosi. Ma non sono d’accordo con Wilkipedia per quando riguarda il significato dei tre puntini: inizialmente, secondo le regole canoniche, hanno avuto, in effetti, il significato di una sospensione di discorso, ma nella pratica successiva della letteratura moderna hanno acquisito un significato più ampio, e, conseguentemente, anche la durata della pausa si è allungata rispetto alla virgola... come avrete notato, io, accanto ai puntini, uso anche la virgola. Altra cosa è la critica riguardo al significato, e la accetto in toto e anche faccio mea culpa. Se non si riesce con uno scritto a suscitare alcuna emozione che porti il lettore ad interpretarlo anche al di là delle intenzioni dell’autore, vuol dire che l’autore ha fallito. Ci pensero!... L’intero racconto andrebbe rifatto... o addirittura cancellato.
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Presunto medium e altri racconti
La variazione dei pronomi non solo non disturba, ma anche, al di là del significato (importante!) che vuoi dargli, ravviva e abbellisce la prosa. Spesso viene richiesto, a chi si diletta a scrivere, il rispetto delle regole canoniche in fatto di punteggiatura, sintassi, linguaggio, e il risultato, per lo più, sarà una prosa piatta, lineare, di facile lettura, ma priva di anima e significati al di là della trama pura e semplice.
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Mah!
Beh, ho riletto il mio racconto ad alta voce e confesso che non sempre mi è riuscito il gioco delle pause, ma ciò non toglie che continuerò a sperimentare una prosa arricchita di punteggiature, esclamazioni, interrogazioni. Ammetto che si richiede una lettura più attenta che non per una prosa canonica... più faticosa... ma... forse?...
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Presunto medium e altri racconti
Molto bello. Prosa elegante e scorrevole. Potrebbe essere un bell'incipit, ma è gia un racconto completo e ricco di senso. Le immagini che più mi intrigano: l’orologio e i tentativi di fermare il tempo; la scena è la “sala” da bagno, che è pur sempre il luogo dove si depositano i rifiuti e dove si tenta di fermare le ingiurie del tempo con creme e trucchi; lo specchio, enorme, nella cornice vistosamente antica; la donna molto bella... molto curata... quaranta o poco più. Malamente scomposta... un rifiuto dell’implacabile azione del tempo.
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Mah!
Mi fa molto piacere questo garbato colloquio con i miei due intelligenti lettori... Posso sperare che duri nel tempo attraverso questo forum? Rispondo prima a Doria per quanto riguarda la questione puntini: l’ho già detto! Li uso per arricchire la punteggiatura e dare ritmo alla prosa, ma nel caso di questo racconto essi trovano una ulteriore giustificazione e quasi si impongono in quanto si sta descrivendo un sogno che, almeno nel caso dei miei di sogni, sono immagini frammentate... da assemblare alla meglio. Rispondendo a Demiurgo dico (e parlo anche a Doria che intuisco ha da porre le stesse obiezioni): secondo me, leggendo una qualsiasi composizione narrativa, non ci si deve sforzare di sapere cosa l’autore intende, basta l’intuizione che non è altro che emotività individuale e questa sola permette al lettore di dare il senso... il vero senso, che è il proprio sentire. Comunque voglio comunicarvi, grosso modo, la mia interpretazione delle immagini del sogno: chi non si domanda quale sia il senso di questo nostro stare in questo mondo? E' domanda che esige una risposta... difficile da trovare. E allora? Forse la lotta... affermarsi con una gara... Una gara contro nessuno, defatigante, fino a che con le gomme sgonfie non ce la si fa più. Ma c’è sempre chi non si arrende e si rivolge alla scienza (il meccanico con la tuta bianca... anche lui frustrato) per continuare, imperterriti!... il cervello perso nel pensiero unico. E chi si rifiuta? Si volge al passato... alla storia, alle ideologie. Ma la storia è muta, non insegna nulla, e le ideologie, queste costruzioni che pretendono di essere verità, falliscono miseramente al primo tassello che non si incastri alla perfezione. Resta la vita. Da interpretare... Continuamente. Ma le interpretazioni non sono verità e gli avvenimenti han preso a correre talmente veloci che non gli si sta più dietro con le interpretazioni. E' il caos! E allora? Le mani in tasca, il bavero alzato e ci si lascia trasportare dalla corrente... dal sistema nel quale sei un numero, un consumatore coatto, addestrato a che l’assurdo disumano continui a girare senza senso. Avrei potuto chiudere con lo slogan di michele buongiorno: ALLEGRIAAAaaaa!... ALLEGRIAAAaaa!!
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Mah!
Vi ringrazio molto per aver risposto e commentato. Comunque non deve mai toccare all’autore (nessuna presunzione!) spiegare la metafora... la deve cogliere il lettore e sono consapevole che la potrà cogliere solo se “l’autore” è stato bravo nell’esporre... e non è il mio caso, evidentemente. Mi si rimproverano spesso i puntini di sospensione che io adotto per variare le pause e dare un ritmo alla prosa, o anche per renderla caotica ove occorra (nel caso di questo racconto, nelle scene del temporale, per esempio). Chiaro che non ci riesco. Forse leggendo ad alta voce... Ecco, “lo stampo onirico”! Lo spunto mi è venuto, infatti, direttamente da un sogno, e il fatto che sia stato colto mi dà grande soddisfazione. Nessuna indignazione, per carità!, nel mio appello.
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Mah!
Ci sono state venti visite a questo mio racconto. Togliendo le mie tre, si scende a diciassette. Ammetto che il cinquanta per cento non abbia letto il racconto o perché troppo lungo (a loro parere), o perché già dalle prime battute non lo ha ritenuto il suo genere preferito. Qualcuno, infine, può non averlo letto fino in fondo... insomma calcolo di aver avuto almeno sei lettori interessati. Orbene perché almeno uno o due non mi dicono se è piaciuto, o se (non essendo io riuscito a comunicare alcun senso) è una gigantesca c****a?... E’ chiedere troppo? Di fronte a tanto disinteresse...
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Mah!
LA GARA Una cosa è certa: si trattava della corsa ciclistica che si teneva ogni anno alla festa del santo patrono del paese... giornate limpide, il cielo stridente di rondini... prati verdi e insetti... farfalle e lucciole e cimici verdi e il loro odore... tramonti di fuoco... le certezze di una natura incontaminata... E altra cosa certa era che, tutto sommato, egli partiva favorito: possedeva la bicicletta più leggera e anche la più ben accessoriata in fatto di cambio. La gara si svolgeva ogni anno, da tempi immemorabili, subito dopo la conclusione della corsa nei sacchi... ed era altrettanto seria che la corsa nei sacchi... Seguiva, a sera, l’albero della cuccagna. Il percorso della gara andava dalla piazza della chiesa madre, attraversava il cosiddetto purgatorio, imboccava la strada del molino e del cinema e quindi la vianova... che era sterrata fino alle scuole elementari. Qui iniziava una salita asfaltata fino al corso principale e raggiungeva, sempre in salita, la piazza della chiesa madre, dove era il traguardo, in salita, da raggiungere dopo aver percorso il circuito per un’infinità di volte: purgatorio... strada del molino... etcetera. Era sulla strada del molino e faceva girare veloce i pedali, ma non andava oltre questa via... non procedeva!... Era sempre lì... eppure pedalava. Ora non chiedetemi il come e il perché di questa bizzarria... io so solo che queste sono le immagini di certe gare di paese... così almeno si fissano nella memoria!... immagine sbuffante in bicicletta senza avanzamento di un metro... fissa come una foto animata sulla strada! Il cinema sulla sinistra, il molino sulla destra. Eppure... eppure, come ho detto, era certamente in gara: la gara ciclistica della festa del santo patrono del paese che anche quest’anno si svolgeva dopo la conclusione della corsa nei sacchi. Comunque, ammetto!... che, messa così come ve la racconto, era piuttosto strana la gara di quest’anno: infatti, che io sappia, egli non ricordava di essere partito insieme ad altri concorrenti... né ricordava un segnale di via con colpo di pistola (alla tempia!) o almeno con più silenzioso e modesto sventolio di bandierina con i colori del paese... I colori del paese?... Mai saputo quali fossero e sono i colori del paese!... e anche se mai questo paesino un po’ perduto avesse mai avuto una bandiera con colori che ne affermasse la concretezza... Un paese scomparso!... non c’è più! E non l’aveva mai avuta, la bandiera... e la concretezza... Eppure esisteva!... Davvero? E c’è dell’altro in fatto di stranezza: non scorgeva intorno a sé, e né davanti né dietro, altre biciclette in corsa... e non era in grado di dire se fosse in testa... o ultimo... o chissà! E il pubblico? Non vi erano spettatori!, solo numerosi passanti sulla strada che non lasciavano libero alcun varco... si muovevano lenti e disinteressati, e anche attraversavano sbadatamente fuori dei passaggi pedonali senza tuttavia essere di intralcio. Strana o non strana, questa gara... seppure fosse una gara... beh! in qualche modo era in svolgimento... E comunque bisognava continuare a pedalare. Ce la stava mettendo tutta! E... PFUiiiiiiiiiii!... la gomma anteriore si è afflosciata. Fosse in testa o ultimo... o chissà... non lo sapeva! Ma manteneva fermo il proposito di continuare... Sempre e comunque! Lesto ed abile ha smontato la ruota, ha estratto la camera d’aria e si è recato allo sgabuzzino del meccanico... un ometto zoppo da una gamba, meccanico riparatore. Molta gente attendeva seduta il proprio turno nella modesta officina... anziani con le loro camere d’aria sgonfie... seduti in cerchio, la resta perduta nella folla... cercavano l’indispensabile aiuto dallo zoppo che gli raddrizzi la carcassa, piuttosto che sostare sul muretto della chiesa a godersi il sole e la festa... come sempre finora. Il meccanico zoppo in tuta bianca! Gli diede giustamente la precedenza ché si rimettesse immediatamente in corsa, e si mise subito al lavoro sulla camera d’aria forata... Mica una foratura da poco... tuttavia a suo parere riparabile... Poteva riprendere la gara!... fare il punto e via! Lavorava con lena, lo zoppo, parlando, o forse solo quasi mormorando fra sé e sé: “Me l’ero costruita da per me una superba bici... su misura, leggerissima... cambio a dieci velocità...”... “Ero indubbiamente avvantaggiato ed in testa alla gara... poi questa caduta... rovinosa!... niente più da fare!... rassegnarsi o morire”... “... e sono ancora in campo ma sono solo lo zoppo senza gloria che ripara ruderi...”. Anche seguendo i suoi pensieri e rammarichi era stato comunque rapido nel lavoro... In breve aveva riparato ad arte la gomma con una vistosa pezza che teneva bene la pressione interna... E aveva anche effettuato un controllo finale in una bacinella d’acqua: nessuno spiffero! Poi, sbrigativo e poco convinto, a voce alta: “... Non strafare e non cadere!... buona fortuna!”. Egli uscì quasi in corsa, inseguito dallo sguardo degli anziani fiduciosi in chissà quale miracoloso intervento dello zoppo e pronti a continuare per chissà quale gara pur con gomme semisgonfie... una gara comunque già perduta! In affanno aveva risistemato la camera d’aria e l’aveva gonfiata a dovere, almeno sei atmosfere... per l’attrito... doveva rifarsi!... via gli attriti!. Diede aria anche alla gomma posteriore... almeno sei atmosfere!... E spingeva... spingeva la pompa... e... BOoouum!... Plaff!... la gomma è scoppiata che nemmeno lo zoppo avrebbe potuto più aiutarlo. Niente più da fare!... una caduta irrimediabilmente rovinosa!... rassegnarsi!... Inutile!... inutile fare altri tentativi!... altre cadute!... Oramai la sfiga?... ma no!... anche chissà cosa... Il sole era calato e nella penombra grigia si muovevano solo ombre intorno a lui che solo sfolgorava di sgargianti colori nella improbabile divisa di ciclista in gara. Risaltava, come a rilievo su una fotografia in bianconero. Ridicolo e fuori posto! Doveva togliersi da quella condizione... eclissarsi... che non se ne parlasse più! Non vi erano altre vie di fughe se non quella del cinema. Vi entrò... pagò il biglietto... e non destò meraviglia il suo abbigliamento di ciclista in gara.. anzi, sembrava che apprezzassero. Nel buio della sala non ebbe difficoltà a trovare il posto che ritenne più comodo ed adeguato, e quando la sua vista si fu assuefatta poté constatare di essere in folta compagnia di ombre. Il raggio di proiezione volteggiava alto e palpitante fin sullo schermo dove si componeva in immagini nitide e in bianconero... tutto in bianconero quel giorno!... eccetto lui!... almeno fino a questo momento... E mute, le immagini, nonostante le labbra dei personaggi si muovessero come nel parlare. Dopo alcuni attimi di disorientamento, cercava di capire: “Che razza di film è questo?... Non vi sono sottotitoli e comunque non si tratta di un vecchio film dell’epoca del muto... Le immagini sono più che moderne... contemporanee... Assurdo che le labbra si muovano e non ne risulti alcun suono... Qualcosa non funziona!... Un guasto in cabina?... un manovratore distratto o addirittura in sonno?... Intollerabile!... Cialtroni!...”. E senza indugi passò a vie di fatto... Prima batté le mani senza risultato... quindi passò ai fischi... e infine ad un rumoreggiamento misto anche con fragorosi scossoni dei sedili... Non valse a niente!... le immagini continuavano a scorrere mute sullo schermo e lui continuava a rumoreggiare. Gli si accostò un signore con torcia elettrica. “Ma cosa le prende?...”. “Come?... Cosa?... Ma le sembra normale e tollerabile che in cabina di proiezione ci sia un individuo che dorme e non si accorge del guasto?”. “Nessun guasto!... Il film viene proiettato così!... senza il sonoro!...”. “Bella questa!... e io ho pagato il biglietto!...”. “Sì, ma però ecco... Non ha mai notato come sono fasulli i dialoghi di questi film americani?... storie dal senso fasullo... l’inganno per continuare tra le macerie... illudere!... Lei ha sbagliato a venire qui se desiderava essere preso per il **** con una storia con capo e coda... edificante!... Con lieto fine, magari!... Lei è in cerca di consolazioni... Si sforzi e interpreti il senso occulto... metta le sue parole sulle labbra di queste immagini...”. “... parole... parole!... anche più labili delle immagini che anche loro col tempo sbiadiscono... confondono...”... “... sì, parole!... sempre nuove... al passo con i tempi!... prenda la Bibbia!... è da millenni che la interpretano e sopravvive...”... “... insomma... ancora pezze!... come dallo zoppo... ”... “... trova forse altro da fare?...”. Si mise di lena... la sua sceneggiatura sembrava reggere, le immagini si ordinavano con ritmo e trama accettabile... da far quasi presagire un finale di speranza... qualche intoppo... bastava concentrarsi! Cosa è poi successo? Che il raggio dalla cabina allo schermo ha smesso di palpitare, volava radente sulle teste, sibilante e lineare... un raggio laser!... Sullo schermo immagini impazzite, velocissime... A stento le si distingue... Non ci si sta più dietro!... Il senso!... non più un filo di senso... La pellicola poi deve essersi spezzata... Lo schermo è una pagina non scritta dispiegata davanti alle ombre. Un’ultima immagine... importante! ma non aveva avuto il tempo di registrarla... una mano protesa... fiammeggiante!... artiglio insanguinato!... *****! Sono state aperte le porte di sicurezza... tutti fuori... ci si imbottiglia!... e fuori piove come dio la manda... diluvia! Si alza il vento, l’acqua picchia... acqua, acqua, acqua! Lampi accecanti perforano l’oscurità fitta affollata di ombre in cerca di riparo... macché riparo! Goggiola tutto... gli alberi, i tetti, le grondaie... torrenti, fiumi... l’acciottolato divelto... di quando in quando un albero si piega, cade, inghiottito dalla corrente... sbarramenti, dighe, laghi... si nuota!... brividi, tosse, catarro!... Sconquasso e morte... melma e *****... via profumi lucciole e farfalle... Puzzo di fogna! E’ arrivato a casa, infine. Ha dismesso gli inutili ed inutilizzabili indumenti del ciclista in gara e si è preparato un toast: prosciutto cotto... GRANBISCOTTO!... Sottilette... KRAFT!!