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ectobius

Circolo degli Antichi
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  1. Possibile ci sia nessuno in questo forum che abbia qualcosa da dire circa la deriva razzista di questo popolo (per non parlare di tutte le altre porcate)... anche se solo a commento di un raccontino?
  2. A suo tempo fu scritto per partecipare al concorso di Samirah sul tema "Fame". Non lo inviai allora perché lo ritenni inadeguato. Lo propongo ora ché mi sento colpito dalla notizia della schedatura dei bambini Rom come criminali congeniti (rivalutiamo Lombroso!), dai bollettini dei naufragi che vanno trasformando il Mediterraneo in un immenso cimitero, dal razzismo crescente degli itliani che mi sembra manchi poco a che reclamino il triangolo giallo da appuntare su ogni giacca a righe rosse! °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° BAJRAM Sollevarlo così in alto e con tanta facilità... non ci poteva credere! Volava il bestione... continuava a salire con la sua mole sotto la spinta dalle sue braccia levate... lento come una piuma nel cielo pulito e gorgogliante il suo fulgido blublublu. E’ un televisore quello che sale... un televisore enorme quanto un edificio!... e lassù raggiunge e spaventa uno stormo di uccelli stridenti... e ancora vola più in alto quasi a colpire un'aquila che fa la ruota sulle ali larghe, le piume dispiegate e ferme, e che lo fissa con apprensione. In lenta parabola, infine, precipita su un sasso... emette un gemito. Qualche scintilla... sfrigola, rimbalza... BANG!!! BAANG!!! Esplode e proietta in largo gli improbabili indumenti... giacche a righe rosse con il bavero rosso lucido... e scarpe da tennis Nike. E anche telecamere. E poi facce da c**o, profili di soliti st****zi... Veline! Gli stracci imbrattano la luce blu del bel cielo dei suoi monti. Tutto poi cade volteggiando... al rallentatore. E BAANG!!!... Un nuovo scoppio! Fumo e volo di stracci che ricadono. Lenti. E BANG! BAANG!!!... E ancora!... E’ sveglio!... la porta del casolare sbatte violenta al soffio di uno sgarbato e caldo favonio che ad intervalli gli scudiscia il viso con una carezza infuocata ed iraconda... Bang!... e BAANG!!... E’ mattino inoltrato ed è solo nel casolare semidiroccato. Sono usciti tutti prestissimo e sono lì nel campo piegati sotto il sole impietoso a raccogliere pomodori per duemila lire l’ora esclusi vitto e alloggio... E lui da due giorni non lavorava e li aveva trascorsi , que due giorni, affossato nel materasso pulcioso, semicosciente, arso dalla febbre e scosso da brividi. Questa mattina si sentiva meglio e con gesto annoiato e stanco si era levato sul materasso umido. Era sudato, ma calmo ché non usciva da un incubo... anzi! Quel sogno, nonostante la sua condizione, lo lasciava ora quasi gratificato rinfrancato soddisfatto, come avesse eseguito la giusta vendetta nei confronti di quello che considerava il responsabile delle sue sventure, il televisore. Restò accoccolato sul materasso, lo sguardo assente fisso alla parete sulla quale proiettava, come su uno schermo, i suoi monti ... il suo cielo blu. Ristava... come in una trance. E fu la nota bolsa di un gallo che strillò dall’aia un canto che somigliava ad un singulto rattenuto che lo riportò alla realtà. E subito dopo il ronzio di una mosca, un abbaiare lontano, lo squittio di un topo... le sanguinose ingiurie di un nemico invincibile . Il suo cuore ebbe un sussulto e la nostalgia lo intenerì fin alle lacrime. Solo e maleodorante. Ogni speranza e sogno erano ombre sformate ed opache, e si rincantucciavano, immoti fantasmi, negli angoli bui della sua coscienza... su pareti scrostate in tutto simili a quelle della misera catapecchia infuocata. Basta! Sarebbe andato in città e si sarebbe dichiarato clandestino. Magari lo avrebbero curato in un ospedale e poi lo avrebbero riportato a casa con foglio di via obbligatorio. Prese la sua roba, un saccolo con l’improbabile giacca di foggia italiana, e se ne partì tutto solo come un cane frustato sulla strada polverosa dalla masseria verso la città... Deciso! Il saccolo di tela grezza contenente la giacca sotto il braccio, partiva senza nessun saluto, nessuna voce amica di commiato che lo sgravasse per un minimo dalla pena... Solo! Su una strada sperduta, sconnessa, senza traffico e senza l’ombra di un albero... la strada che conduceva alla lontananza ostile ed inconoscibile della città, nel regno della più triste realtà. E il sole implacabile! Ai lati i campi gialli erano un immenso sudario steso sulla grande pianura e davano la sensazione di attraversare il deserto... e sì che c’era anche la sete da deserto... e c’erano miraggi a bucare i suoi occhi cisposi e secchi. Impero di morte! Sulla vasta pianura una calma ossessionante e un silenzio corrosivo si allargavano fin oltre il tremulo orizzonte in una profonda nota di tristezza... la testa frastornata! Gli sembrava di essere fuori della vita in un’ebetudine molle che solo il forte improvviso dolore di crampi alla bocca dello stomaco ebbe il potere di dissolvere. La stanchezza lo inchiodava al suolo... seduto su un mucchio di ghiaia. Cercava con lo sguardo ansioso un po’ d’erba da succhiare che gli calmasse la sete... Invano!... Solo aride sterpaglie! Raccolse un sassolino, lo spolverò strofinandolo sul pantalone e lo succhiò... Gli fece bene!... e con uno sforzo di volontà si levò, rimise il saccolo in spalla e biascicò una preghiera... lui che non aveva mai pregato! Giunse in città che aveva un nodo troppo grosso alla gola ed un gran peso sullo stomaco... un sudore freddo gli gocciava dalla fronte... un pallore mortale gli sbiancava il volto. Approfittò di una fontana per bere e dopo poco vomitò. Già gli si annebbiava la vista e i crampi avevano ripreso a trafiggerlo come una lama... Non gli davano pace! E così si trovò a passare nei pressi di un supermercato. Non possedeva una lira, ma vi entrò lo stesso. Tutti!. Ogni sera riuniti intorno al desco di minestra di erbe e patate... lo schermo del televisore che svolge il suo mestiere di seduzione. E la pubblicità dei cibi per cani e gatti che più li attira... sugosi bocconcini di carne che danno l’acquolina... E poi i lustrini, le giacche sgargianti, le belle donne... E i quiz! I quiz soprattutto!... che distribuiscono danaro a larghe mani su risposte a domande sempre più cretine alle quali tutti, e Bajram in particolare, sono in grado di dare risposte pronte e sempre esatte... Hanno anche inviato lettere proponendosi per il gioco. “Cosa ci facciamo noi qui con la solita minestra da fame?”. Era questa la frase che veniva ripetuta sempre più spesso ogni sera e ad ogni spot invitante: “Venite!... Venite!... Ce n’è per tutti!... Allungate le mani e prendete!”. Ma la loro, a dire il vero, non era proprio fame. Si trattava piuttosto di cronica insoddisfazione, improprio surrogato della vera fame... Comunque il “cosa ci facciamo qui” loro se lo chiedevano lo stesso, anche se i termini erano approssimativi. Tutti avevano imparato la lingua da quella scatola magica... Bajram anche l’aveva studiata, la lingua... e a scuola aveva studiato anche il latino... Bajram!... La lingua italiana la parlava alla perfezione. E continuava a ripeterselo, Bajram!: “Cosa ci faccio ancora qui?... a minestra d’erbe! E’ lì c’è Lamerica!... A due passi!”. E un po’ tutti in famiglia capivano ed erano disposti ad aiutarlo con i risparmi che ogni povero mette da parte per un futuro da sempre incerto... e lo incoraggiavano... e gli davano consigli. “... Se nutrono cani e gatti con quel ben di Dio potranno mai negare a te una bistecca?... E poi andrai in televisione e li sbancherai... Tu Bajram!”. Era entrato deciso nel supermercato... pensava... “Magari una scatoletta!... di bocconcini di carne per gatti... ricca di calorie!... un furto da niente!... e potrei venire a pagarla dopo, quando avrò guadagnato qualcosa”... questo pensava. Trovò lo scaffale... e una scatoletta... la più piccola... ed anche qualche biscotto... un pacchettino piccolo di biscotti per cani!... pasto sufficiente a calmare almeno i crampi:.. “Ma sì, li prendo e chi s’è visto s’è visto!”. Ma è la telecamera che lo ha visto! E si facevano progetti, lassù! In quella casetta sui monti sopra Valona: “... non ci devi arrivare vestito di stracci e affollato su una marcia carretta del mare che immediatamente ti prendono, ti chiudono in un campo di calcio e ti rispediscono a casa... E Lamerica manco l’avrai vista... Tu, Bajram! Lamerica devi conquistarla!”. E Bajram era un ragazzo, e ci credeva! Si recò a Valona. Glie lo assicurarono... Sarebbero salpati in gommone con mare calmo... e solo in pochi e selezionati... non sarebbero stati notati allo sbarco... con facilità si sarebbero mimetizzati purché vestissero all’italiana... abiti puliti e padroni della lingua... insomma dovevano farsi passare per italiani!... Mimetizzarsi!... Ne avevano traghettati già tanti e tutti avevano fatto fortuna... certo il viaggio costava qualcosa in più!... ma... Bajram annotò la cifra. Si fecero e rifecero i conti in famiglia: il traghettamento... la giacca a righe rosse con risvolti rossi e lucidi... taglio dei capelli all’italiana... scarpe da tennis Nike... Tutti i risparmi andati! Ma aveva provato gli indumenti ed era perfetto! Proprio un italiano!... Elegante!... Ci furono anche applausi. Sbarcarono su una spiaggia isolata. Era appena sera. “Cambiatevi gli indumenti e allontanatevi... ma non in gruppo... uno per volta... Alla strada troverete delle auto che per cinquemila lire vi porteranno lontano in città... Buona fortuna!”. Bajram aveva indossato i suoi improbabili abiti all’italiana... aveva incontrato il tassista abusivo che gli aveva chiesto seimila lire... aveva contrattato e con soddisfazione aveva chiuso per quattromila ottocento lire... Molto soddisfatto! E pieno di fiducia nonostante le scarse residue risorse finanziarie. Arrivò in città che i negozi erano ancora aperti e le vetrine illuminate... una doccia di luce!... Lo entusiasmavano. Molti si giravano a guardarlo... certamente ammiravano la sua eleganza ed egli ancor più si dava tono impettito nella sua giacca. In un bar... lo guardavano... qualcuno sfoderava un ghigno ironico. “Un AMARO LUCANO, prego!” “Non ne abbiamo!” “Un VECCHIA ROMAGNA ETICHETTA NERA!” “Quello che crea un’atmosfera?” “Sì, quello!” “Non ne abbiamo!...”. La prima cosa che fece, appena fuori del bar, fu di togliersi l’improbabile giacca. La mise nel saccolo di tela che conteneva i vecchi indumenti della traversata e dalla strada intravvedeva nel bar il gruppo vociante che si sbellicava dalle risate dandosi gran pacche sulle ginocchia. La serata era calda. Passeggiò stancamente... infine si sdraiò su una panchina e si addormentò. Ed era mattino quando un poliziotto lo svegliò punzecchiandolo con un manganello... e lo invitava ad allontanarsi e restava lì fermo a seguirlo con sguardo perplesso. L’alloggio era un casolare semidiroccato con alcuni materassi pulciosi direttamente sul terreno e senza luce, né acqua... gli sarebbe costato cinquecento lire a giorno, e c’era uno spaccio gestito dal caporale ove era possibile acquistare da mangiare a credito sulla paga. Il lavoro! Dieci ore a giorno nei campi a raccogliere pomodori sotto l’occhio vigile del caporale... E delle dieci ore solo sette erano retribuite, le altre due erano per il caporale. Bajram poté lavorare solo tre giorni, poi fu preso da questa febbre. E il caporale, che prendeva una percentuale anche sulla quantità di prodotto raccolto, non lo volle più nel campo a causa dello scarso rendimento... e anche lo spaccio non gli faceva più credito. Il vigilante del supermarket: “Dove credi di andare, tu?... Vié un po’ qua... tu!”. Oh, quale vergogna! “Sono uscito senza portafoglio... sarei passato a pagare dopo... Ecco! Ho preso questo”, disse Bajram. E pose nelle mani dell’uomo i due prodotti: i bocconcini per gatti e i biscotti per cani. Il vigilante lo fissò bene in viso e non gli venivano più le parole... incerto... il misero bottino sulle palme delle mani aperte... indeciso. Bajram disse che sarebbe ritornato più tardi e si allontanò... il vigilante restò immobile e, nel vederlo allontanarsi, confusamente pensava: “In quelle condizioni!... possibile che si preoccupi del cane da sfamare?...”. E una signora anziana lo incitava a catturarlo: “Questi pensano che tutto gli sia dovuto... anche per i loro cani!... deve essere albanese... quello lì!”... Ma nessuno lo inseguiva e Bajram si allontanava con passo reso più sicuro dalla scarica adrenalinica. Come avesse trascorso quella giornata non lo ricordava. Il suo cervello funzionava solo al presente immediato ché rapidamente dimenticava ogni cosa. Aveva vagabondato, si era seduto su qualche panchina... forse aveva anche dormito... quando riprese un barlume di coscienza, il sole era ormai al tramonto... un tramonto rosso di sangue. E pensò: “I miei monti sono dall’altra parte... se mi allontano con le spalle al sole arriverò al mio paese”. Ma non voleva presentarsi alla sua gente coperto di stracci, aprì il saccolo di tela grezza e indossò la sua bella giacca a righe rosse con il bavero lucido. Tutto si confondeva nel suo cervello mentre due ombre confusamente si materializzarono nel silenzio di quel tramonto di fuoco: Follia!... Morte! Raccolse tenace le residue forze e si incamminò verso oriente. Quanto gli ci volle per raggiungere la spiaggia! Già gli ultimi trasparenti bagliori di fiamma incrinavano l’orizzonte. Un silenzio sospeso... un passo felpato di silenzio, mentre in cielo ballonzolavano nembi che sull’estremo limitare dell’orizzonte disegnavano una cortina compatta che avanzava e si stemperava nello spazio abbozzando in linee di impalpabili chiarori: la svelta sagoma dei suoi monti... scacchi di laghetti e fiumi azzurri... mentre i grovigli dei nembi assorbivano gli ultimi sprazzi del sole calante. Al di là della vasta distesa delle acque gli sembrò di veder occhieggiare rade costruzioni, e trame di luci su cucuzzoli fantasiosi... e sui cucuzzoli paesini pittoreschi come presepi osservati dalla vallata dal sonno vigile di animali sospettosi. L’ansia gli gonfiava il petto e gli mozzava il respiro mentre la notte si apprestava ad inghiottire uomini e cose mentre Bajram avanzava nelle acque. Nell’incerta luce del dilucolo Distesi in fila sul bagnasciuga Coperti da sudari di stracci i corpi inerti Un carabiniere di guardia Fuma annoiato una sigaretta Un refolo di vento solleva un bordo Scopre la manica di una giacca a righe rosse Una mano aggricciata come un ramo secco.
  3. Vi sono stati solo tre partecipanti (dei quali uno fuori concorso) e un solo voto... beh, non posso esaltarmi per la vittoria. Per risollevarmi un po’ il morale?... o almeno per sapere se qualcuno mi ha letto?... allora qualche commento! Ma, ahimè!... temo che non potranno esserci commenti favorevoli dal momento che c’è stato un solo voto... che vi assicuro non è stato il mio. Anche un motivato commento negativo... Orsù!
  4. Piove, fitto. Una luce bigia filtra tra gli alberi alti e spruzza lividi bagliori sulle rocce nere e bagnate al lato destro della strada stretta in ripida salita. Il lato sinistro è nebbia grigia… è abisso… palude di corrotti vapori. Tornanti in successione. Ho la nausea mentre l’auto eccessivamente molleggiata si inerpica sul costone dalla valle che avevo risalito bambino felice tanti anni prima… Ma strani odori penetrano ora l’abitacolo dell’auto Turbano le mie narici e accentuano la nausea fin quasi al desiderio di vomitare mentre la nebbia, una nebbia fitta, risale dalla palude e invade, venefica, la strada. Accendo i fari. Il paesino è quasi disabitato…questo lo sapevo…Adesso sembra un cimitero con le tombe raggruppare strette in un abbraccio mortale. C’è da percorrere ancora un piccolo tratto, che è sterrato e pianeggiante…Ed ecco! la casa silenziosa dei ricordi infantili e tanto desiderata… Lontana dal chiasso, dalla folla… compare e scompare... ondeggia nella nebbia che fluttua umida e bassa sulla strada. Inquadrato dai fari un uomo... in camicia bianca... con questo tempaccio! Si presenta in visione improvvisa come si fosse materializzato lì per lì…mi inquieta... cammina a braccia levate... Non mi vede, lui. Ma che va facendo?… Prega?... forse. No, impreca!… Maledice!... Ne ho certezza. Sorto nella nebbia dal fondo in decomposizione sputa al cielo senza stelle e io non riesco a decifrare. Poi... Come s’era concretizzato d’un tratto scompare alla vista e lo cerco inutilmente nello specchietto retrovisore sulla strada... La strada! degli sprovveduti imbecilli…La strada dei pazzi…La sola mia strada che non so più cosa ci faccio qui. Ma sì!… sono qui per fare ordine… in tutto. Sulla soglia, sotto la pioggia cerco la chiave…Due lampi in rapida successione illuminano tutto di una luce livida…il rombo potente del tuono…Ma dai! Non esageriamo... sì, l’umore sarà cupo, ma tra questo e l’ingresso nel castello di Dracula!… La casa è disabitata dall’estate… E’ gelida… brrrrr! Nello scantinato traffico a lungo con i meccanismi della caldaia del riscaldamento… ci sono i fiammiferi e tutto…anche cotone e alcool per darle l’avvio a ‘sta fiammella che non vuole saperne di durare…ma c’è anche il camino… Nessuna difficoltà questa volta ad attizzare un gran fuoco, e mi lascio cadere sul divano senza pensieri... con meraviglia. Tutto a domani! Ma i fantasmi… non mi lasciano. Mi sono addormentato comunque... senza accorgermene... e dormo sul divano tutta la notte senza sogni. Sono sveglio che albeggia e sono stranamente tranquillo. In casa c’è tutto per sopravvivere per l’intero periodo di permanenza prevista… hanno pensato a tutto i miei ospiti. Ma bisogna che mi rechi lo stesso al bar…La signora del bar è stata preavvertita del mio arrivo… Bisogna andarci… più per cortesia che per bisogno. Sulla soglia le nuvole basse, gravide di pioggia mi comunicano un improvviso senso di ignavia carica di ansia…non avrei proprio voglia di uscire…ma neanche di concentrarmi sui soliti pensieri. Il tempo sembra sospeso…anche quello atmosferico in attesa di una ulteriore pioggia che rischiari quest’aria livida…I pensieri si abbozzano e scivolano via pigri, incompiuti, inconcludenti. Ecco! Mi lascerei volentieri cadere su una poltrona a fissare un muro bianco. Esco dall’uscio su una specie di palchetto che dà sul prato…respiro profondamente l’aria fresca e leggera. Giro lo sguardo in direzione del paese e la vedo…Si avvicina…nel suo saio nero senza forma e lungo fino alle caviglie, come un sacco, i capelli unti e rigidi in ciocche brizzolate e disordinate. E’ la sorella dei due mandriani della stalla lì, più in basso. Cammina leggermente piegata in avanti, zampetta scoordinata, le braccia rigide lungo il corpo…Passa oltre il “palchetto” senza girare lo sguardo che mantiene rigidamente diritto innanzi a sé. Ancora adolescente era stata stuprata dai fratelli, mi avevano raccontato, e successivamente era finita anche in manicomio…ora vive in quel posto con i fratelli ed è ufficialmente la matta del villaggio. Spinto da curiosità o forse per improvviso ed assurdo desiderio di comunicare, quasi grido: “BUONGIORNO!”. Si ferma di botto, la matta, e gira lo sguardo sospettoso verso di me…proprio come certi gatti in fuga se improvvisamente gli si fa un verso di amichevole richiamo… mi guarda con gli occhi chiari, scintillanti: “Le mucche fanno poco latte… I miei fratelli sono molto nervosi”, esclama… quasi in tono di rimprovero. Le mucche fanno poco latte!… E’ colpa mia!… Sì, sono arrivato con i fantasmi! E le bestie sanno percepire cose che non immaginiamo. Riprende il suo cammino verso la stalla…si precipita, zampettante, nel suo inferno e mi lascia pericolosamente incrinato. Era stata vicina, ora lontana... è un trattino nero che improvvisamente scompare in un avvallamento del terreno…riappare, il puntino. Ha lasciato come un’eco…un refolo delicato di vento sul velo steso a coprire un angolo oscuro di memoria…ha smosso della polvere…Si lascia dietro una scia di dolore…una bava dolente al suo passaggio…e io scricchiolo sul pensiero folle: “E’ colpa mia!”. Rischio di andare in pezzi ogni tanto su questi tenebrosi scricchioli…piccole lacerazioni dolorose nel cervello ad ogni minima sollecitazione. Entro nel bar. Una sala ampia, squallida e poco illuminata: alcuni tavoli e sedie in plastica… un banco piccolo e tarlato sul fondo, spostato sulla sinistra… La macchina per il caffè! Un scaffale dietro che gira lungo tutta la parete di destra carico di ogni sorta di mercanzia ché il bar è anche l’unico spaccio in paese. E c’è anche un polveroso telefono a muro. Un solo avventore… un anziano dalla barba incolta, lo sguardo assente e fisso, seduto ad un tavolo sul quale è un bicchiere mezzo pieno di vino rosso…e al tavolo è appoggiato un fucile a doppietta. Pantaloni frusti e larghi di fustagno, camicia a scacchi e una giacca foggia cacciatore con tante tasche. La signora dietro il banco è cordiale, ciarliera…mi riconosce subito come “l’ospite” e mi accoglie quasi festosa, mi sommerge in una cascata di vocalizzi acuti di cui capisco una parola sì e una no…Eccessiva! Chiedo di telefonare. Il telefono a muro è a tariffa e la signora lo attiva manovrando un interruttore dietro il banco. Voglio avvertire i miei ospiti del mio arrivo, ma risponde la cameriera…Non c’è nessun altro in casa e riattacco immediatamente. Chiedo quanto debbo…ed è una cifra che mi sembra esagerata per pochi secondi di conversazione…Sono infastidito!…Nonostante l’umore pago in silenzio poggiando con energia la banconota sul piano della cassa... e forse, chissà, forse traspare dalla mia espressione l’istintivo disappunto…un atteggiamento istintivo…come dovuto a chi tenta di fregarti. Ma subito dopo, riflettendoci, lo giudico quest’atteggiamento per quello che in realtà è…stupido e imperdonabile…E la signora, l’ha ben notato…mica stupida!…e l’ha correttamente interpretato…E’ stato il gesto di uno stro*zo! Intanto mi aveva preparato un caffè, la signora…lo posa sul banco, si scusa e si allontana dal bar lasciando la porta aperta. Sorseggiando il caffè fisso con sguardo distratto il vecchio avventore…e mi sento attratto dal misterioso uomo immobile dietro il suo bicchiere mezzo pieno. Pallido…una statua di gesso. Senza il minimo rumore una capra, enorme, lentamente occupa lo specchio della porta. Ci fo appena caso io alla capra, ma l’uomo del tavolo... così di botto si scuote…emette un urlo lacerante e agitato e tremante si alza, afferra il fucile… Gemente indietreggia verso il banco. La capra è sempre lì, imperterrita…sembra lo sfidi. Imbraccia il fucile, il vecchio, e spara un colpo verso il soffitto. Un Boooom! tremendo…polvere e calcinacci, e attraverso la barriera di polvere vedo la capra allontanarsi…tranquilla lentamente…la testa maestosamente alta. Lo sparo ha richiamato la signora…Rientra rapida e silenziosa…si avvicina al vecchio senza aprire bocca e lo accarezza…Gli toglie dalle mani la doppietta, lo riporta il veccnio al suo bicchiere e poggia il fucile al tavolo nello stesso punto dov’era posato prima. Tutto con calma e lentezza di movimenti…come non fosse successo niente… c’erano solo i calcinacci che si appresta a spazzare. E’…stupefacente! Il vecchio ritorna immobile, statua di gesso nel suo pallore e la signora dietro il banco si scusa per l’ennesima volta e porta il dito indice alla tempia…lo rigira sulla tempia: “Qualcosa lo ha spaventato!…”. Continua a scusarsi e a rendersi disponibile a risolvermi ogni eventuale problema durante il mio soggiorno in questo posto di pace…Di pace!…‘sto posto! Mi parla un gran bene dei proprietari della casa: “… quelli sì, che sono dei gran signori!”…E a me sembra che ponga esageratamente l’accento su quel “…quelli, sì…”. E’ colpa della telefonata pagata malvolentieri! Ho solo voglia di ritornare a casa ora…Estraggo il portafogli per pagare il caffè, ma mi viene impedito dalla signora con gesto energico della mano: “Sarà per la prossima volta…”. Mi sento verme umiliato… non voglio più tornarci in questo strano posto. La scena del vecchio avrebbe potuto perfino risultare comica… Ma ne sono rimasto scosso… più turbato di quello che si possa supporre. Non voglio definirla… non voglio collocarla, ‘sta scenetta… Ho l’impressione che in qualche modo mi riguardi. E provo una strana solidarietà per quel vecchio e mi irrita la sicurezza della signora che sembra sapere tutto…che tutto etichetta con la stessa semplicità con la quale etichetta i barattoli…Un’etichetta su tutto, mette…La spiegazione più semplice…come sui barattoli esposti…Io………!!! La mia ansia è sul punto di precipitare in imbarazzante inquietudine. Debbo andare…scappare finché sono in tempo…e non ci torno più! Non ho bisogno di nessuno…voglio solamente star solo…Per questo sono qui! Solitudine e silenzio…solitudine e silenzio…solitudine e silenzio. La solitudine mi aiuterà a sistemare…le colpe? La voce della signora blocca momentaneamente la mia ritirata che rischia di assumere l’aspetto di una fuga: “Domani sera c’è festa qui… la festa della polenta taragna”. E perentoria! “LEI DOVRÀ ESSERCI!” Non potrò mancarci alla festa e mi preparo con molto anticipo. Nell’attesa dell’ora mi sdraio sul letto... ma... Ma poi ho dormito?…o qualcosa mi ha obnubilato quasi all’istante? Per quanto tempo? Mi sono svegliato o mi è sembrato di svegliarmi. Sono ad un attimo dall’estremo limite del buio e dal mio letto vedo le stelle che brillano a scatti... sembrano un fuoco d’artificio…Un big bang del quale queste stelle sono gli ultimi incerti tizzoni nella coppa immensa di inchiostro che si va oscurando. Non riesco a stabilire l’ora…non ho orologio…Le ombre sono salite rapide dal prato verso le cime del bosco mentre percepisco un inconsueto trambusto animare il viottolo... un via vai verso il paese… Ah! La festa!… e l’invito perentorio. Così come mi trovo, in camicia bianca e cravatta mi affretto…non ci resterò a lungo... presenzierò alla festa solo per breve tempo…Arriverò in ritardo quando la maggior parte dei partecipanti sarà già in preda ai fumi dell’alcool e verrò via in buon anticipo dalla fine senza essere notato. La sala del bar è illuminata e si percepiscono da lontano note musicali disordinate, imprecisabili…senza ordine armonico. Seduto su uno sgabello altissimo, del tipo di quelli per arbitri da tennis… sembra un avvoltoio... è un giovane dalla barba nera, e dirige una disordinata quadriglia in uno strano francese e sul ritmo degli strani suoni. Una ragazza con copricapo peruviano fa girare uno spiedo sulla brace del gran camino… Strano!… non lo avevo notato un camino così grande alla mia prima visita al bar. La signora del bar è intenta a ungere la carne... mi volge le spalle e copre la luce del camino così che non riesco a vedere cosa stanno arrostendo con tanta cura. Quando infine si sposta, sulla brace vedo la capra infilzata su un enorme spiedo…intera... compresa la testa. E ha occhi sbarrati del colore della brace e la bocca semiaperta mostra denti aguzzi ancora minacciosi. Al mio arrivo la musica cessa di botto, quest’accozzaglia di suoni che sembrano accordi di strumenti in attesa di un concerto. Mi stavano aspettando! Si sospendono le danze ed un applauso frenetico scoppia…grandi sorrisi che sono in verità più simili a ghigni su raccapriccianti fisionomie…E sguaiati sghignazzi. La signora del bar si gira, mi vede, non fa alcun cenno e ritorna alla sua occupazione di cuoca…come non m’avesse riconosciuto…Un atteggiarsi veramente incomprensibile. “BASTA!” Lo ha urlato il giovane dalla barba nera. Tutti si dispongono a semicerchio lungo le pareti della sala, le bocche serrate e gli sguardi fissi su di me. Il giovane scende dallo sgabello e partendo esattamente dal centro di quel semicerchio che poco ha di umano…piuttosto un ammasso viscido di pelli cascanti…Si dirige verso di me e, quando mi è a distanza da potermi toccare, tende a scatto il braccio destro e mi pianta violentemente l’indice irrigidito sul petto costringendomi ad indietreggiare finché le cosce avvertono il bordo di una sedia sulla quale cado pesantemente. Una sedia era stata sistemata alle mie spalle da un vecchio grasso e dal viso informe senza tratti fisionomici…E in mezzo a tutta quella pelle cascante il vecchio espone spudoratamente un largo, grottesco ghigno. Sistemata la sedia, il vecchio raggiunge gli altri e diviene anch’egli cera… un informe ammasso di cera tra le statue di cera di fronte a me. Si sono radunati i fantasmi!…Maschere raccapriccianti: una vecchia sdentata sogghigna da una carrozzella in un alone acre d’urina… un livido feto… un bambino strabico…la ragazza con la cuffia peruviana con viso acceso ed occhi iniettati…il vecchio col fucile dall’espressione ebete…lo sguardo furbo della signora del bar…l’ammasso informe di pelle pallida…l’uomo di gesso…la capra…Una pupilla dilatata come un pozzo e riflette l’immagine d’un volto pallido, terrorizzato…terreo sotto il peso di colpe e sofferenze... uno scheletrico uomo con la barba grigia che sussurra: “Regalatemi un po’ di eutanasia”… Qualcuno bisbiglia: “E’ morto… improvvisamente…” e la notizia del morto non interessa nessuno…turba solo me. La matta del villaggio, la sempre in corsa nel suo saio senza forma, aveva portato le mani nei capelli unti, gli occhi lucidi…mi guarda e io la guardo come se solo da quella parte potesse arrivare un impossibile, disperato aiuto. Ho paura! Improvvisa come un uragano è giunta la notte della resa dei conti! Il mio futuro ne rimarrà imbrattato... per sempre! Sapevo di portare dolore…come un alone. La mano brancola alla ricerca di una consistenza amica e si stringe nell’aria. Sul pavimento i mille spezzoni di un film chiedono la logica di un montaggio… chiedono si dia loro un senso…Alla rinfusa sul pavimento lo spettacolo confuso, indecifrabile di una vita. Tutto è compiuto l’idea del peccato non m’abbandona più ormai…Un ragno!…Come un ragno mi porto dietro una sottile bava…una traccia di sofferenza…Sono stanco. Interpreto in qualche modo: “E’ giusto… in qualche modo… Eccomi!... Condannatemi!” Il film continua a proiettarsi. Dal profondo affiorano ancora immagini… Non si potrà mai scrivere la parola “THE END”… “Condannatemi!”. Nessuno parla, distolgono lo sguardo e incominciano rumorosamente a unire i tavoli per formare una grande tavolata. Ridono, bisbigliano... Ridono e non mi rivolgono mai uno sguardo, come se non ci fossi…io ridicolmente seduto al centro della sala. Solo “lamariaincorsa” è rimasta al suo posto e continua a fissarmi col suo sguardo scintillante, probabilmente caricato dall’alcool. Passano alcuni lunghissimi minuti e la paura rabbiosa iniziale si è trasformata in disappunto per essere così trascurato, e non riesco a togliermi da quella posizione di gogna apparentemente ignorata. Sono come paralizzato quando “lamariaincorsa” mi si avvicina con la sua andatura zampettante, mi prende per mano, mi conduce all’uscita… mi spinge letteralmente fuori. Esce anche lei e si chiude la porta alle spalle. La guardo, le sorrido… “Non capisco nulla”, dico. Ma lei già corre a perdifiato inseguita da se stessa. E fuori ora io umiliato... incerto se andar via o rientrare e impormi all’attenzione con un discorso chiarificatore… Ma cosa c’è da chiarire? Tutto è opinabile! Mi avvio lentamente verso casa a testa bassa, assorto, e d’un tratto mi sembra di udire alle mie spalle un rumore di passi e degli sghignazzi. Mi stanno seguendo! Accelero il passo ed infine è corsa…Infilo a fatica la chiave nella toppa e corro su per le scale nella stanza e mi ritrovo sdraiato sul letto. Sudato, affannato, nella stanza rischiarata da un candido insolito bagliore che filtra dalla ampia finestra… Guardo attraverso i vetri... Il prato è stranamente imbiancato di neve, intravvedo ombre dal paese. Sono loro! Prima che circondino la casa debbo allontanarmi… c’è poco tempo! Non è possibile raggiungere l’auto parcheggiata sul davanti. Scendo le scale interne verso lo santinato e il garage, sollevo la serranda… Pesante! All’improvviso tutta quella neve, neve recente, tanta, più di quella che potessi supporre. E’ facile che ci sia neve qui in questa stagione, ma così!…E così stranamente improvvisa… solo pochi minuti prima non c’era… Esco all’aperto. La strada è laggiù, non proprio a pochi metri in basso… ma ci arriverò in fretta attraversando il lungo tratto di prato scosceso, in fretta nonostante le scarpe poco adatte e quel terreno scivoloso. Sono in camicia… bianca. Scendo veloce il prato digradante nonostante inciampi spesso slittando sul fondo scivoloso con quelle maledette scarpe non adatte, i piedi e i pantaloni nell’acqua. Raggiungo la strada in equilibrio instabile…braccato da presso…Sopraggiunge una specie di trattore con un solo faro dalla luce fioca… A quell’ora…? Faccio solo in tempo a sollevare le braccia. Prego?… Maledico? E non può evitarmi… Un urlo dall’alto del trattore ed un botto sordo, nemmeno tanto forte. Lungo disteso nel mezzo della strada, illuminato dal faro non sento più il mio corpo e non riesco a muovermi. Giro lo sguardo verso il rumore di passi scricchiolanti nella neve…e vedo… Prima era solo un ombra, poi un faccione rubizzo vicinissimo al mio viso che apre la bocca affollata di denti gialli e alito mefitico per urlare: “MA DA DOVE CA**O È SBUCATO?… Ma chi è?”. Poi si è sollevato e gira intorno. Vedo sempre più annebbiato… percepisco sul roteare degli occhi solo l’ombra gemente. Infine come un’eco che continua a girare frenetica battendo contro le pareti della scatola cranica: “STO’ STR*NZO!... st*onzo... stro...sst...ssssssssssssssssssssssssssstttttttt...”. C’è un abisso di stanchezza ma riesco a pensare, in qualche modo: “ E’ giusto!…in qualche modo… Ma… il prezzo…”. E il respiro, che era stato finora solo un singulto, si ferma su un sussurro: “Amen”. Da lontano… distanza abissale, percepisco ancora: “Oh, ca**o!…CA**O!…E ora io cosa faccio?… Come faccio………?”. E il silenzio.
  5. Cara Samirah apprezzo molto il tuo impegno, ma noto che, nonostante le varie entusiastiche dichiarazioni rivolte a questa tua bella iniziativa, la partecipazione langue. Comunque io, almeno per il momento, non voglio sottrarmi a quello che ritengo un impegno preso, e nel ringraziarti per avermi letto e commentato, sia pur negativamente (ma solo per una questione di comprensibilissime e certamente non criticabili preferenze), voglio esporre le mie ragioni per aver volutamente “strapazzato” punteggiatura e sintassi. Nello scrivere (senza presunzioni... e da pessimo dilettante quale sono ) io mi sforzo di rendere con i simboli della scrittura il ritmo della forma parlata. E per ottenere questo risultato necessariamente non debbo troppo preoccuparmi di comporre una prosa corretta e canonica, pena non ottenere l’effetto prefissato che, ripeto, è quello di rendere la sonorità, il rumore, la musicalità, e soprattutto l’emotività della foga del parlare. Lo so che non è facile... forse è da presuntuoso... Ma presuntuoso non sono e ancora ti ringrazio.
  6. Non mi sembra sia mai stato detto di commentare tutti i racconti. Solo ci si è augurato di non archiviare in fretta il tutto solo con i pur giusti complimenti al vincitore e con qualche battuta. Un po' meno pigrizia, meno timori di non dirla giusta e meno di quant'altro possa limitare la partecipazione.
  7. Non so se capita anche a voi, ma, per quanto mi riguarda, mi riesce molto più facile parlare di un testo letterario che mi è piaciuto, piuttosto che di uno che ho meno apprezzato... eccetto che stupidamente e pignolescamente non vada alla ricerca del refuso, dell’errore di battitura o anche di quello di grammatica. Poi e ancora: le preferenze, anche esse sono da interpretare dal momento che spesso l’elemento inconscio vi prevale nel determinarle; e quando ho parlato di critica che non sia solo elogiativa, non ho pensato assolutamente alla stroncatura cattiva, che sarebbe del tutto fuori luogo nel nostro caso, ma, ho pensato soprattutto ad una critica costruttiva.. In altri termini pensavo ai miei racconti che piacerebbe fossero analizzati: per correggermi o anche per difendermi e polemizzare vivacizzando questo nostro gioco. Infine: perché Samirah? Perché è l’organizzatrice di questo piacevole gioco ed in certo senso spetta a lei tracciare o correggere qualche percorso... E anche perché ha letto le mie cose postate in “Mah!” ed ha espresso qualche sua perplessità.
  8. C’era una volta... E’ l’incipit del bel racconto di Freppi che per un attimo sembra voglia introdurci in una favola. “Cera una volta... “Un re! Diranno i miei piccoli lettori...”: ricordate l’incipit di Pinocchio? E invece no! Ossia il riferimento alla favola c’è ma è una favola fuori tempo e luogo, una favola rotta, frammenti nella mente annebbiata di un debole vecchio ove disordinatamente si mescolano meringhe e biscotti della nonna appena sfornati... Castelli... aneliti di giustizia, amore e magia in una torre ... un re guidato da una stella... mille gradini per risvegliare il suo amore... La realtà è invece una volgare truffa, la più ignobile dei nostri giorni ai danni dei più deboli e indifesi, architettata sulla scena di un falso Natale nell’afa d’estate. In flash intrecciati vengono efficacemente descritti i protagonisti: la bambina, che diremmo una bambina comune dai grandi occhi celesti “innaturalmente” cristallini e lo sguardo carico di odio, capace di apostrofare un vecchio in carrozzella con un “Brutto scemo!”; la mamma che ha educato la bambina a stare lontana da simili relitti e che premurosa la blandisce: “Te ne comprerò un altro, tesoro”, ma è poi anche l’unica capace di provare un effimero momento di sensibilità; il padre cinico calcolatore, truffatore a buon mercato, è l’individuo più abietto e il più comune dei nostri giorni. Il racconto è triste e attuale ed è reso con molta efficacia da una prosa scarna che prende alla gola, là ove era facile cadere nel patetico. La truffa è oramai andata in porto e non è più il caso di perdere tempo: La neve …" "Cosa?" "Dov’è la neve?" "Perché dovrebbe esserci la neve in agosto?" "A natale c’è sempre la neve" "Natale? Papà ti senti bene? Non è natale, siamo in piena estate. Forse il caldo ti ha dato un po’ alla testa.". E lo si può abbandonare ora il coccio vuotato... inservibile! Pareti bianche Odore di ospedale Chi vivrà per sempre felice e contento? °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Bravo Freppi!
  9. Beh! Forse avete ragione... anzi certamente avete ragione, ma le mie osservazioni hanno un po' vivacizzato il topic. Dai! che forse con un pochino di pigrizia in meno, ci divertiamo di più.
  10. A quanto pare la votazione è priva di ogni valore, dacché probabilmente ce la cantiamo e ce la suoniamo tra noi, otto o nove, che partecipiamo scrivendo. Lo si vede anche dai commenti: siamo sempre solo noi , i quattro gatti. Ma si tratta pur sempre di un concorso, ed infine dovrà pur essere dichiarato un vincitore.
  11. Pochi i commenti e laconici. Per lo più si tratta di cerimoniose congratulazioni... qualche spiritosaggine. E con questo? Niente! Avanzo una proposta: Samirah, che ha ideato il gioco, componga, ogni mese, almeno una articolata e convincente recensione di uno degli elaborati... ma non è detto che debba essere elogiativa, anzi... una recensione negativa ben fatta potrà essere più utile a tutti.
  12. Piri ha vinto! E con merito. Piri ha il dono dell’originalità e la sua sferzante ironia, condita di un sorriso amaro, esprime la critica più efficace a questo mondo che scivola inesorabilmente nella monnezza. “E adesso aiuto, sto impazzendo, vagheggio, vaneggio, viareggio, vo a reggio...vi prego, toglietemi la canzoncina dalla testa... Vi prego, liberatemi da quest'inferno che mi fa ballare senza ch'io lo voglia. Vi prego, aiuto”. “Ah, tempo lascivo che ci fai li in terra? Ah ecco, senza stampella a reggere anche me non ce l'hai fatta...”. “Ho letto blog snob di tipi hip hop che aman gli spot col sound di Bjork, che ascoltano rap, che si fan dei trip ...sai com'è, pippan crack”. “Respiro male aria densa e filamentosa, appiccicosa afa che mi chiude i polmoni e mi annebbia il pensiero. Barcollo privo di equilibrio, satollo e ubriaco di umidità, con un vuoto alla bocca dello stomaco che mi risucchia e non mi riempie, che è il mio centro, verso cui ogni mia cellula tende, calamita di me stesso. Ma poi mi tuffo. Subacqueo annaspo, inghiotto il mare senza sputarlo fuori. Assorbo e assimilo e assolutamente aspetto di colmare col calmo mare il malconcio me”. Preso atto che qui molti scrivono bene e anche li invidio... dopo aver dichiarato che se non ho racimolato nemmeno un voto (forse se Esa non avesse titubato) mica mi offendo... dopo queste dichiarazioni posso ancora chiedere che venga pubblicata la graduatoria completa del concorso?
  13. Il mio voto è andato all’inquietante racconto di Phate, Natale 6K, che è metafora di un mondo che è già qui: il mondo del potere della scienza e della tecnica, il mondo del relativismo privo di certezze. Il mondo dei poteri astratti e pervadenti che sono posti fuori da ogni possibile controllo e responsabilizzazione dell’uomo. Se ancora esisterà nel seimilacinquecento, Bethlem6500, un pianeta insignificante ove l’unica realtà interpretabile è quella dello spettacolo che “fa in modo che sia una cosa catartica”, e oltre lo spettacolo non ci sarà che una Babele di linguaggi vuoti dove “i nomi non ti dicono niente, non li ricordi nemmeno più, suonano come bal, bahhl, balll”. DecimasX! Sta forse per decima Mas? Ma questo è un mondo dove non occorre la violenza per controllare le masse. I mezzi della tecnica sono potenti e ammaestrano una massa di forme strane: umani impotenti, mutanti antropologici e prodotti della tecnica, cyber e robot E veline che vestono di pixel viola e si accompagnano ad esseri di “due metri per centottanta chili di muscoli.”... “Peloso, molto peloso. Ben pettinato, orecchino d’oro e canino mandibolare ipersviluppato...vestito con un paio di pantaloncini marroni in sintepelle. Belli, costano un occhio della testa. Deve essere ricco e forte, quel tizio”. Sarà un calciatore miliardario! “La tipa appesa al suo bicipite lo sbaciucchia di continuo”. Eppure!... Eppure vi sono ancora gli umani, ma sono impotenti! E ancora sognano un grande evento E il salvatore se lo attendono ancora dalla tecnica purtroppo... la tecnica che pure è stata e sarà ancora la responsabile di tanta rovina... Una “vita di dolore e sofferenza li aspetta”. Allora, giovane umano, ti piace il mio bambino?... Che non è più un bambino! Il tutto raccontato in una prosa fluida che scivola leggera su una carsica vena di ironia e rende gradevole la lettura di un testo pur impegnativo. P.S. Ma nutro una perplessità! E vorrei che Phate chiarisse: forse che vede nell’accettazione del diverso la causa di tale disastro? Cioè la immigrazione e l’invasione di altre culture... naturalmente inferiori? E magari crede davvero che la tecnica potrà salvarci? Grazie Esa!
  14. Si allontanava la facciata del carcere agli sguardi che le lanciava di sghimbescio di quando in quando... ogni volta che cambiava di spalla il sacco nero con i suoi averi. Era quasi gradevole alla vista, quella facciata. Rifinita in mattoni rosso cotto... e il gran portale luccicante che egli aveva attraversato già svariate volte... ostinatamente! La guardia carceraria gli aveva detto: “Arrivederci!”. La sua cella l’aveva lasciata finalmente non affollata per via dell’indulto. La occupava ora solo l’amico Giuseppe. Gli era spiaciuto lasciarlo il Peppino che non fruiva dell’indulto... il Peppino che nemmeno russava: Per un attimo aveva anche pensato di rinunciare all’indulto, ma non si poteva... Era obbligatorio! Però nessuno avrebbe potuto impedirgli di consideralo, l’indulto, solo come un “tempo d’aria” prolungato ad un’intera giornata... una lunga e non impegnativa passeggiata... fino a notte inoltrata E poi sarebbe bastato poco ad uno esperto come lui per essere nuovamente arrestato ed internato. Sapeva come fare! Certo, con un programma così limitato, avrebbe volentieri fatto a meno del sacco nero con i suoi averi Che peraltro era permesso lasciare... Ma avrebbero bruciato tutto. Tutto quanto possedeva... compresi i ricordi gli avrebbero rubato. Ma pur col sacco, ora che usciva dal collegio, mostrava un contegno discretamente dignitoso nell’abito borghese quasi nuovo frutto di un esproprio proletario in un grande magazzino. Si sentiva leggero a questo primo impatto di vita in “libertà”, e la brezza fresca di un’estate fino ad allora di afa gli donava leggerezza, tanto che la città gli sembrava di vederla per la prima volta e gli comunicava, anche, una disposizione all’avventura: cosa strana... e forsanche assurda alla sua età e condizione. Egli aveva operato una scelta una volta sola nella sua vita. Una volta per tutte! E vi aveva sempre mantenuto fede... più che altro per un senso estetico. Si fermò ad una edicola per acquistare un biglietto per l’autobus, ma non ebbe il tempo di scambiare due parole da libero con il giornalaio perché arrivava gente a comperare i giornali e tutti i giornali portavano a grandi caratteri in prima pagina l’allarmante notizia dell’invasione dei delinquenti . E cosi il giornalaio, ad evitare imbarazzi con i suoi benpensanti clienti, lo ha salutato in fretta... Però con garbo: “Buona fortuna e buona giornata a te!” Comunque la fretta con la quale era stato licenziato lo rendeva piuttosto pessimista e andava figurandosi con sufficiente chiarezza la somma di sensazioni che avrebbe suscitato la sua immagine inequivocabilmente definita dal sacco nero... Reazioni imbarazzate e anche , più di frequente, sgradevoli. Diffidenza , fino alla ostilità, le aveva già sperimentate fin dai tempi dei suoi diciotto anni quando aveva fatto la “sua” scelta... unica e definitiva... anche se in realtà era stato il mondo a scegliere per lui quando tutti i suoi amici, i più vivaci, si erano schierati univocamente per il sessantotto! Si era lasciato crescere i capelli! Capellone quando la gente perbene li schifava, ma quando i capelli lunghi divennero moda, lui allora i capelli li aveva tagliati!... quasi a zero, per continuare a suo modo a contestare. E aveva continuato a contestare... sempre... incrollabile... E contestava in certo modo anche ora portandosi in giro il sacco nero che inequivocabilmente lo identificava. Il sacco che difficilmente sarebbe diventato moda... ma chissà! Questo andava oziosamente pensando e giunse alla fermata dell’autobus che al momento era presidiata da un folto gruppo di passeggeri in attesa. Un piccolo bambino biondo e sorridente gli ha detto “ciao”. Lui lo ha accarezzato e la madre lo ha attirato a sé con energia, per educarlo... come è giusto!... Educarlo al sospetto ed alla ostilità! A questa creatura celestiale avrebbero presto rubato il proprio cielo, ed era un pensiero che lo immalinconiva E si commosse anche... Come sempre del resto ogni volta che vedeva un innocente creatura buttata in questo mondo. Nell’autobus affollato aveva trovato posto a sedere, ma in breve lo aveva ceduto ad una signora anziana che lo aveva conquistato, il posto, senza ringraziare, come suo inalienabile diritto nei confronti di uno con il sacco nero. Un atto dovuto! Questa sgarbata nobildonna meriterebbe una garbata ramanzina, pensò, ma conservava ancora integro il senso del ridicolo e non ne fece niente e si allontanò in un angolo col suo vistoso sacco. L’autobus si vuotava poco per volta ad ogni fermata e a metà tragitto trovò da sedersi col sacco fra le gambe. All’arrivo al capolinea, su in alto in collina, era rimasto solo, unico passeggero, e nello scendere salutò il conducente che gli rispose con un grugnito. La giornata era limpida e proseguì lungo i sentieri in salita attraverso i boschi. “Un evviva al bisbiglio di Dio fra gli alberi, all’armonia dolce e semplice del silenzio nelle mie orecchie, alle fronde verdi ed alle fronde gialle!...”... “Un evviva al misericordioso silenzio sopra la terra, alle stelle e alla mezzaluna, sì, a quelle e a questa!… Ascolta verso oriente, ascolta verso occidente, ascolta! E’ l’eterno Iddio! Questo silenzio che mi ronza negli orecchi è il sangue bollente dell’universo, è Dio che tesse la trama della terra e di me stesso…”. Raggiunse quasi la vetta e da una radura vide l’intera città stesa... Lì, sotto di lui. L’armonia dolce e semplice del silenzio nelle mie orecchie?… E il gatto selvatico?… che balza sul passero… ah…ah…ah…eh…eh… Qualcuno mi sa ancora indicare l’oasi ove il sangue bollente dell’universo non sia ancora sepolto sotto cumuli di monnezza e macerie… ove la trama della terra non sia ancora stata sconvolta? Questi erano i pensieri che gli suscitava il panorama e avanzava la voglia di distogliersi … Immediatamente! Guardava la città dall’alto. Una nebbiolina ristagnava nelle strade e vicoli…Non sopra, ma proprio dentro, fino al fondo dove strisciano i vermi… e pesava sui tetti , la foschia, come una cappa oleosa di fumi di piombo. E un brusio saliva fin lassù… E non era il suono della vita, era un mormorio lugubre che richiamava alla mente il borbottio monotono di un folle nevrotico che laggiù produceva fracasso e urla… Latrati disperati di cani isolati che fiutavano veleni… Lo sapeva! Alle sue spalle il bosco silenzioso… Silenzio mostruoso di morte perché il direttore d’orchestra era fuggito. Il Dio Pan era fuggito!… E la trama della terra era ora disegnata dal dio del danaro, del potere e della violenza… Brusio di morte. Non resse lo spettacolo ed anticipò il rientro in città. A piedi attraverso il bosco, senza fretta, mentre l’animo incorreggibile lentamente ritornava a ben disporsi man mano che vi si inoltrava. Prudentemente, tranquillamente... ostinatamente! Avanzava lenta una disposizione quasi all’entusiasmo ad ogni pur minimo accenno residuo di un antico spettacolo di natura che pur ora questo resistente enigmatico pianeta era capace di offrire... Nonostante. Non aveva fretta! Lo avvolgeva ed estasiava il silenzio rotto a tratti da un timido cinguettio, un fruscio fra l’erba e intravvedeva rapida una flessuosa serpe verde... la lucertola... un isolato fungo rosato fra l’erba... Gli alberi alti si elevavano come colonne di un tempio e gli sembrava di procedere con rispetto lungo una navata verso l’altare del Dio. Si fermava spesso, illuminato da una striscia di sole filtrata tra i rami verdi lucenti lassù, quasi trattenendo il respiro... In deferente ascolto percepiva il concerto... una melodia primordiale... il brivido del primo bacio. Arrivò alla strada asfaltata e continuò il cammino in discesa per un incalcolabile tempo. E dietro una curva, eccoli! i mostri, gli alieni meccanici. Robot avanzanti lenti ed inesorabili, le lunge alte artigliate braccia meccaniche che tutto abbrancano lasciando dietro di sé i loro escrementi di cemento e bitume a coprire cascine prati orti boschi... Tutto! Sollevò lo sguardo e vide un angelo nero danzare su un’asse stretta contro il cielo limpido. Angelo nero! Funambolo! Posò il sacco e sollevò per istinto entrambe le braccia con le palme rivolte al cielo, le dita divaricate come a sostenere l’angelo... Oppure pregava?... O imprecava e malediceva? Era solo un piccolo ladro, lui... ma era a lui che avevano rubato tutto i grandi ladri di diritto alla vita. Ora le braccia levate, le mani in alto, erano il segno della resa E l’angelo nero si era dileguato, volato via per posarsi alla fine su qualche trespolo. E malinconicamente era giunto in città e zigzagava tra le auto sgarbate, padrone incontrastate della strada e finanche dei marciapiede. L’ora era avanzata e quasi non s’accorgeva del tempo che era passato, se non glie lo avesse ricordato un senso di languore e di vuoto nello stomaco. Non aveva voglia di entrare in una trattoria. Preferiva continuare la sua passeggiata, ancorché intristita. Entrò in un supermercato, ancora affollato a quell’ora, ma senza l’intenzione di approfittare della confusione per procedere ad un esproprio proletario... E mica per timore di essere scoperto per il suo aspetto altamente sospetto, ma solo considerava che era ancora presto per rientrare in collegio. Avrebbe acquistato solo un grosso panino e dell’affettato e li avrebbe regolarmente pagati! Sotto gli alberi di un parco si è seduto ad una panchina ed ha scartato il megapanino. Non era ora di bambini al parco. Solo alcuni anziani oziavano seduti sulle panchine. La sua attenzione era attratta da un signore distinto dai capelli candidi. Leggeva un libro e di quando in quando sollevava lo sguardo dalle pagine e lo dirigeva avanti a sé, guardando al di sopra delle lenti a lunetta. Sembrava non osservare niente in particolare. Era come assistesse ad una proiezione su uno schermo invisibile... un film che poteva essere il bilancio della propria vita. Nel mentre osservava aveva scartato il panino e non s’era accorto che un uomo dalla pelle scura si era seduto sulla sua stessa panchina. La testa reclinata, il mento sul petto. Spezzò il panino, glie ne offerse la metà. Ne ebbe in cambio un grazie appena sussurrato. L’uomo addentò il panino sforzandosi di non divorarlo come la fame che si portava dietro quasi gli imponeva. Mangiò con garbo e dignità, a bocca chiusa e masticando a lungo. E non ci furono parole fra di loro. Solo quando ebbero finito di mangiare egli gli chiese se poteva offrirgli un piccolo aiuto e quello non rispose. Forse non conosceva la lingua! Gli mise in mano cinque euro e lui non li strinse avido, ma gli rivolse uno sguardo umile. Riprese il cammino attraverso le vie del centro nel chiasso e nei fumi e incontrava gente che camminava o sostava alle vetrine illuminate ché oramai faceva buio. Camminò poi a lungo verso la periferia ed era già buio e tardi quando entrò in un elegante edificio nuovo e salì le scale fino al quarto piano senza fruire dell’ascensore. Si fermò sul pianerottolo presso una delle porte a riprendere fiato Si dette una sistemata alla cravatta e al vestito e aveva già il dito sul pulsante del campanello. Esitava! Era stato suo amico al tempo della rivolta e si erano ritrovati assieme disorientati nella gran confusione che ne era seguita: irriducibili, pentiti, dissociati, voltagabbana, PCIini, democratici proletari, gambizzatori, lotta armata, brigatisti e lotta continua, normalizzati, fighetti radical chic, bombaroli, fascisti, poliziotti proletari... Non sapevano più cosa scegliere! E lui scelse di non scegliere rimanendo fedele solo agli espropri proprietari e venne d’ufficio aggregato ai “dissociati mentali. Il suo amico invece aveva scelto la normalizzazione. Senza se e senza ma... per usare un termine moderno. Entrambi avevano dismesso le armi della politica ed interrotto definitivamente un sodalizio intrattenuto per un tempo che, a quell’età, era sembrato lunghissimo. Si sceglie nella vita! Anche più volte. Questo o quello si sceglie, ma lui aveva scelto una volta per tutte! e per questo veniva percepito paradossalmente come uno spirito libero. In realtà egli era tutto fuorché libero. Era il mondo che continuava capricciosamente a scegliere per lui che aveva abdicato a costruire la propria vita nel tempo. La libertà di cui a volte anche osava vantarsi non era che una mancanza di libertà... il mondo reale lo dominava. Tuttavia nei suoi momenti migliori osava definirsi esteta ed aristocratico e rivendicava per sé una presunta superiorità. In realtà era solo un povero cristo! Ora su quel pianerottolo si rendeva conto che tra lui e il suo vecchio amico s’era scavato un invalicabile solco... un abisso. Impossibile incontrarlo, questo antico amico! Si immaginava la scena: l’avrebbe riconosciuto ed abbracciato e fatto entrare La moglie avrebbe messo a letto in fretta i bambini e oltre la porta della sala gli avrebbe bisbigliato il suo disagio Gli avrebbe chiesto di licenziarlo presto con una scusa quell’uomo dal sacco nero... il “dissociato mentale!”. Una tristezza profonda si impossessò di lui e distolse il dito dal pulsante. Rimise il sacco in spalla, ridiscese le scale e si allontanò ancora verso la periferia, fino ad una piazza deserta con una miriade di auto parcheggiate. Le finestre dei palazzi erano aperte ed illuminate. Era il posto ideale per organizzare il finto esproprio proletario necessario per rientrare nel guscio protettivo del collegio. Avrebbe potuto armeggiare intorno ad una delle auto di lusso... intorno ad un enorme fuoristrada... ma si sarebbe vergognato come un ladro a farsi vedere interessato a simili aggeggi. Scorse una misera vecchia cinquecento! Quasi nascosta e sopraffatta da quegli enormi mostri e vi si diresse con passo pesante sul selciato... TAP... TAP... TATATAP... Fece cadere pesantemente con un tonfo il sacco, lo aprì e vi fece tintinnare dentro tutto quanto era tintinnabile. Nessuno si affacciava ad una finestra. Tossì forte fino quasi al soffoco Ravanò rumorosamente nel sacco e ne trasse un paio di forbici e con quelle prese ad armeggiare intorno alla serratura della cinquecento arrugginita. Nessuno si affacciava. Fece ancora quanto più baccano poté e finalmente uno si affacciò. “Cosa stai facendo?”, urlò. “Sto rubando... non lo vedi?” “Io chiamo la polizia!” “E chiamala!”. Non mancò molto che una pantera sgommante era sul posto. Egli lasciò sacco e forbici e si dette alla fuga lungo la piazza. Fu naturalmente presto raggiunto e si divincolò a spintoni. Infine immobilizzato gridò: “SBIRRI DI *****!”. Era fatta! C’era tutto ormai! Furto, tentativo di fuga, resistenza e soprattutto oltraggio a pubblico ufficiale La retta alberghiera poteva considerarsi pagata e garantita per una lunga permanenza. Quando rientrò in cella era molto tardi e Peppino che lo aveva atteso da sveglio glie lo fece notare. “Avrei potuto rincasare molto prima” rispose “ma gli sbirri hanno voluto scrivere un rapporto che era un romanzo. Tra scrittura, editing e correzioni a momenti veniva giorno, se io non avessi dato loro una mano”. Salì al primo piano del letto a castello. Peppino prese posizione a piano terra. “Peppì! Usciremo assieme da qui?”. Era il segnale! Acché Peppino intonasse la ninna nanna: “Certo!... E verrai con me in un posto che solo io conosco... Dove la terra è nera e grassa... E basta guardarla perché ti nutra... E alleveremo le galline... E cresceremo il maiale... Con gli avanzi... Sentirai che sapori!...” Aveva chiuso gli occhi. E sulla litania di Peppino lo accolse un sonno vuoto di sogni.
  15. Certamente! Infatti il mio è un invito a partecipare largamente con il voto e ancor più con i commenti... senza timidezza. Dalla lettura degli elaborati sul Natale colgo molti spunti interessanti per un discorso che vada anche oltre il giudizio puramente tecnico-letterario.
  16. L'argomento di gennaio è stimolante... ci sto pensando. Ma, e lo ripeto, mi piacerebbe che i lettori, che pure sono tanti, esprimessero un qualche giudizio, anche laconico, onde per poter aprire un dibattito sugli elaborati (non solo puramente tecnico) e sulle visioni che sottendono.
  17. Ho capito male? Il 31 dicembre scade cosa? Per me il 31 scade l'anno, ma non il post sul nuovo argomento!
  18. Mi accorgo di avere espresso opinioni parziali, disordinate ed anche, forse, confuse. Sarà stata la fretta che mi ha impedito di meglio organizzare il mio pensiero? Comunque ora spero di essere più preciso. Io ho accolto con interesse l’iniziativa di scrivere su “ben preciso argomento designato in partenza” (quindi non proprio a ruota libera) perché mi dava l’opportunità di confrontarmi con le idee degli altri partecipanti scrittori, di conoscere le diverse collocazioni di fronte ai fatti ed anche ai disagi del vivere. Ma trovo anche che il gioco potrebbe essere l’occasione buona per aprire un contatto, per dialogare con i lettori. E’ per questo che mi è sembrato molto riduttivo comunicare il solo nome del vincitore per chiudere tra quattro gatti con formali complimenti a Saky. Sì, i votanti non sono stati tanti, ma sono sempre rappresentativi di una massa di lettori (oltre settecento) e chissà che di essa non ne forniscano un profilo. E’ ad essi, ai lettori, che dobbiamo rivolgerci e di essi che dobbiamo tener conto se lo scopo del gioco è di restare fedeli allo spirito di un forum che è quello di dialogare... anche per un forum di scrittura. Conoscere la distribuzione dei voti allora potrebbe forse metterci nella condizione migliore, nel mese in corso, e ancor più in avvenire, di coinvolgere più agevolmente e far partecipare al gioco la più ampia parte dei lettori. Una convocazione ermeneutica di confronto sui modi di collocarsi nel mondo.
  19. Non ci siamo capiti! Non parlavo di adeguare stile ed idee alle preferenze del lettore. Se uno scrive per sé, allora non va a postare le sue composizioni in un forum, ma se lo fa deve almeno conoscere a chi si rivolge per poter almeno operare una scelta degli argomenti da trattare. Non mi interessa la graduatoria, ma se permetti vorrei sapere se trattando in maniera critica temi di attualità ci sia almeno un lettore in questo forum che mi legge e magari apprezza. Se questo non succede vorrà dire che posterò su temi diversi, meno impegnati, che comunque siano frutto di una mia personale ispirazione. Capire i gusti del lettore mi potrà quanto meno guidare nella scelta degli argomenti da trattare... ma sempre seguendo il mio personale stile e secondo i miei “valori! A me sembra che questo forum abbia un orientamento ben preciso, ed è per questo che continuo a chiedere di spiegarmi cos’è il Cungi
  20. Ci siamo capiti male... ma molto più probabilmente sono io che non mi sono espresso con sufficiente chiarezza. Non è infatti la graduatoria che interessa, ma la distribuzione dei voti espressi per capire i gusti prevalenti dei lettori ed eventualmente poterne tenere anche conto nelle prossime composizioni. Cos'è il Cungi?
  21. Se non la graduatoria, almeno i voti ricevuti da ogni composizione. E, giacché ci siamo, qualcuno mi dica cos'è Cungi.
  22. Io invece ve lo dico per chi ho votato! Hysteria è composizione robusta ben strutturata... corale. La prosa è ricca di immagini e linguaggio, ed ha un suo ritmo quasi incalzante. E resto in attesa della graduatoria completa. In mancanza mi piacerebbe sapere il perché non è possibile comunicarla.
  23. Complimenti a Sako! Rileggerò il racconto ed eventualmente posterò un commento. Ma perché comunicare solo il vincitore e non la graduatoria completa? Mi offendo mica se sono arrivato ultimo... "se sono arrivato nove" e non ho beccato nemmeno un voto.
  24. L'iniziativa è bella ed anche originale, ma ho notato da subito che non vi è stata la partecipazione che mi era sembrato ci si dovesse aspettare. Io vi ho aderito con entusiasmo. Bisogna insistere, però.
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