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ectobius

Circolo degli Antichi
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  1. ectobius

    Mah!

    Grazie Marcadar! Ma non si tratta di un racconto troppo lungo... sono più scritti e di lunghezza accettabile.
  2. Non so quale errore abbia commesso, ma non riesco a votare inviando messaggio privato a Samirah ";" Aerys II. Mi viene la dicitura: destinatari non trovati. Non sono molto esperto, qualcuno mi dia istruzioni.
  3. Lo anticipano sempre!... O sarà forse solo una mia impressione che ogni anno il periodo natalizio venga subdolamente anticipato di qualche giorno?... No! E’ constatazione precisa... Io annoto!... Io annoto tutti gli avvenimenti che mi sembra vadano sullo storto così che oramai ho collezionato tanti di quei cahiers de doléances da aver messo insieme una biblioteca... da non poterci più stare dietro. Lo scorso anno, ricordo e controllo, si era cominciato a crearne l’atmosfera, del Natale, a partire da fine november Quest’anno è anticipato alla metà di november. In pochi giorni sono già montate nelle strade dello shopping le luminarie a luci intermittenti. Qualche negozio addirittura non le ha mai smontate, le sue luminarie Le ha solo spolverate e tac! Push button! E vualà! La festa luminosa è già iniziata. Nei supermarket i panettoni dal primo di november, e hanno già ammazzato il meraviglioso gigantesco albero, trenta metri di abete, da regalare al papa... Lo hanno caricato su un treno... almeno dieci vagoni... Da trasportare poi lungo le strade di Roma come il sommergibile Toti tra ali di folla plaudente e da issare in piazza S. Pietro come l’obelisco: “ACQUA ALLE FUNI!!!”. Il solito spiritoso. “Chi si è permesso?”. Dissacrante miscredente! Come ti permetti di creare imbarazzo in una occasione così solenne? Saresti da appendere al ramo più alto! PerdonoPerdonoPerdonoooo!... Ma sì, è Natale! Questa anticipazione ha però anche il suo lato confortante E’ quasi un invito ad archiviare in anticipo questo stupido anno che sta per andarsene. Anno da dimenticare! E per il prossimo?... Fortuna, scaramanzia, propositi... e soprattutto oblio. Non è divertente la memoria. E’ fuori luogo! Non diverte e non inchioda, la memoria. Si continua a guardare al cumulo di rovine del passato che ci sono davanti, mentre un vento impetuoso ci spinge irresistibilmente nel futuro a cui però volgiamo le spalle... Meglio chiuderli del tutto, gli occhi! La vita non può essere memorabile Tutto si confonde C'è troppa gente chiassosa... troppo rumore. Sì, la smetterò di annotare. A che serve? Le cose inesorabilmente capitano. Anche le più atroci continueranno ad accadere in qualsiasi momento. Smemorarsi, è la scelta! Non ricordare nemmeno la metà delle cose che abbiamo visto e fatto in questo ultimo stupido anno e prendersi in premio uno spensierato altro Natale in compagnia di gente adeguata, decisa ad affermare se stessi... ad ogni costo e senza pudore. “Lei perdona?” “Io perdono! Sì!” E la vita continua a scorrerci accanto con boati, stridor di denti, zaffate di fumo, brividi di terrore... Tutto da perdonare... dimenticare. Eppure... eppure... Nonostante che a pensarci bene questa del Natale consumistico sia l’ultima cosa di cui dovrei sentire il bisogno... Eppure, dicevo, anch’io con la massa vado a riempire in festa le strade Fischiettando e sfregandomi le mani in modo incoraggiante! Acquisti e pacchi sotto un albero che comunque, crisi o non crisi, viene addobbato in ogni casa!... Albero di plastica? Meglio un albero vivo da far poi morire lentamente... costa un po’ di più ma è più chic!... E poi il profumo... E arriva il babbo natale in carne ed ossa, anche. E non fa più paura ai bambini che hanno perso il senso del mistero, del magico... Manco più le fiabe!... E gli tirano la barba finta e gli tolgono il cappello a ‘sto babbo natale, i bambini, e sotto il vecchio ex barbuto ci trovano un giovane in affitto... un morto di fame da schifo, che comunque non guasta la festa. Hanno solo fretta, i bambini, di avere in regalo il telefonino con cui fotografare e filmare porno da immettere magari in rete... Gesù!... alla loro età! Sì, l'unica cosa che non ci dovrebbe servire, è un altro Natale così! Mi dicono che fino a prima della guerra l’albero non usava. Niente regali, solo la strenna da conservare nel salvadanaio... E c’era il Presepe. Cosa sono la strenna e il Presepe? Io lo so! Ero bambino e c’era uno zio che ancora lo costruiva, il presepe. Un paesaggio perfetto fatto di cemento e terra, ed era grande che occupava una intera stanza e vi scorreva un fiume davanti alla grotta con acqua vera. Sovrastato da una enorme cupola curva di compensato di colore blu notte e traforata alle stelle così come si erano trovate quella notte... proprio il cielo di quella magica notte! E lo visitavano in tanti del paese, in silenzio rispettoso e si segnavano anche. Fuori c’era quasi sempre la neve. Betlemme! “Consolati Maria del tuo peregrinare, ecco Betlemme ornata di trofei”... E in sovrappiù anche quest’anno ci troverai jeep carri armati bulldozer... disperati e kamikaze... Morte! Ma... dobbiamo farlo nascere proprio qui? E dove se no? Che sono fuori moda i Presepi. Materiale da musei, ormai. E anche quelli come me, quelli che ricordano i presepi, siamo da musei!... da baracconi di luna park, noi! Che ormai ci sembra di vivere all’interno di una barzelletta macabra, una freddura da far gelare il sangue nelle vene. E poi ho gironzolato anch’io Masochisticamente!... Schifato nel chiasso! E ogni suono, ogni parola captata mi ponevano enigmi da risolvere. E’ possibile fuggire da tutto questo? Da questo concreto mondo dei soldi, per rientrare nel mondo... di che?... Del mito, della magia?... Ma come ci si arriva? Ho smarrito per sempre la strada... non trovo un varco per uscire dal branco. Impossibile! Mi sento obbligato a mostrarmi entusiasta pur avendo esaurito la scorta di bluff, e quasi mi vergogno alle battute più dissacranti che ancora mi vengono in mente. Fingo! Debbo fingere! Indossare una maschera perenne ché non ci si può nascondere ai soldi, a queste facce cattive mosse dai soldi, a questa marea carica di borse a cui i soldi suggeriscono le str****te che dicono. A volte penso che io debbo essere il prodotto di un qualche shock... Forse l’emigrazione interna. O... forse siamo tutti invalidi e bisognosi di una nuova dimensione? Il fatto è però che si è per lo più inconsapevoli... portati nella corrente... tossicodipendenti impossibilitati a tirarsi fuori dalla m**da anche volendolo... Sono inquieto! Uno schizogramma!! Le strade illuminate si sono fatte deserte. Vento gelido di tramontana con nevischio. “Vu cumprà?” Vende accendini e si riscalda le mani alla loro fiamma. Esaurito il carburante di un accendino lo ha lasciato cadere dalle dita intirizzite, novello fiammiferaio nel nevischio di una sera di Natale. Cinquanta euro gli ho dato, la mia strenna, e non ho preso l’accendino. Mi ha sorriso con i dentoni gialli, ma forti... negli occhi un incancellabile abisso di tristezza. Gli ho messo una mano sulla spalla e glie l’ho stretta... delicatamente: “Va nella prima bettola, fratello! Riempiti di birra... dimentica la traversata... il naufragio. E’ Natale!”.
  4. Duplice copia vuol dire che debbo inviare due mail, una a Samirah ed una ad Aires?
  5. ectobius

    Mah!

    C’è il sole! Il cielo sembra un foglio azzurro sgualcito da bave lievi di nuvole bianche. Ragazzi neri, grandi involucri bianchi a tracollo, grandi occhi attenti E paura in quegli occhi! Ancora solo pochi passanti, guardinghi, rasenti i muri E stringono la borsa. Corpi snelli, i neri! Si flettono come elastici e scattano Non hanno artigli, ma fanno paura lo stesso! E loro anche hanno paura ma sorridono e sono ancora capaci di stringersi le mani con energia ed abbracciarsi Sorridono e ridono. Vu Cumprà! Materiale umano! Un barcone stracarico di merce umana. La stiva affollata. Due cessi. Utili per poche ore Inutili poi. Traboccano m***a… Si espande oltre le porte la m***a. Filtra, inumidisce, imputridisce. Invade! La m***a! Nessun angolo è risparmiato!... Prima sono solo i piedi nella m***a, poi ci si deve sedere dentro. Si soffoca… Aria, aria!!!!! Il primo a morire è un vecchio. Lo trascinano ai margini della stiva. Dopo i primi momenti di raccapriccio il morto diventa un sedile asciutto. E i bisogni? Oramai si fanno sul posto. La m***a arriva ai capelli. E sono sbarcati! Le telecamere inquadrano i sopravvissuti! Senza odori sullo schermo… la barca da bruciare! La telecamera sosta su un assurdo sorriso... Indugia!
  6. E' vero, c'è ancora tempo. Ma a me sembra non vi sia stata la risposta prevedibile a considerare l'entusiasmo col quale era stata accolta l'iniziativa. Spero solo che si tratti di operoso impegno a postare racconti di qualità.
  7. Penso a quando il silenzio scenderà su tutto e dappertutto. Allora infine trionferà la musica. Henry Miller °°° Wraang! Pang! Bruff!... BrumBruumBruuuuuumm!… Rapsodie di schioppi! Tintinnii Sgasate... Chiasso! Locomotive Trattori Autotreni Auto gru Vagoni in manovra. La motorizzazione rapsodica! E risate urla trilli isterici Lontane dall’interno dello stadio... Un intero circo viaggiante di nani e ballerine. Nella conca un rombo cupo di grancassa Lampi verso un cielo nero senza stelle... Dalla conca del nulla. Ingoiati nel gran portale di cattedrali lampeggianti urlanti abbaglianti.... Eccitati di nulla! Ricerca disperata di un attimo di intontimento e oblio... Una intenzione di felicità ad alleviare il non senso... Per un attimo! OHOoooooooo! Maraviglia! Mica male l’atmosfera d’attesa del grande evento, il rito sempre lo stesso e noto e invariato La liturgia pronta... Sempre la stessa! Variano i lampi e la stroboscopia. Eccitati nel nulla! OHOooooooo!! Maraviglia! Pronti al rito i sacerdoti! Assalto ai posti migliori… A tutta birra le mandibole instancabili sulle gomme Gnam gnam! E rutti e venti E peti alla birra al whisky vodka hashish cocaina... Pronti a schiacciare calpestare spiaccicare. Eccolo! Il cantante della protesta! Che soffre le pene del vivere... ’sto ********! Per i mali di questo mondo fa di quelle smorfie!…Si agita in movimenti dissennati Emette il fiato urlando le parole montate da un pazzo False ipocrite insinuanti scivolose Ad abbagliare stupire con una saponata di pensiero. A liberarla dal pensiero ‘sta gente! Eccitate da un nulla! OHOooooooooo! Entusiasta! Per l’ennesima volta sulla trita sceneggiata si eccitano Urlano ammirati alle corse insensate del pagliaccio sul palco l’indice puntato. Il movimento dissennato Il microfono strapazzato... Decibel che spaccano i muri... Il rimbombo nello stomaco nel torace... Nel colon provoca la peristalsi Fa cagare! Accendono fiammiferi e accendini… Si accalcano Non ci si muove più Tutti compressi nella febbre che non produce impulsi di vita Febbre di annientamento! Non si trova la via del cesso Ci si piscia addosso. E dalli! che lui il cantante di protesta continua a soffrire… Ci ha le lacrime! E raccoglie soldi... Largo! Largo! Che debbo andare al cesso! E sono massa gomito a gomito avvinghiati allo slogan “Tutti in uno Ognuno per sé!”. Urlano! Si incendiano! Fluttuano le braccia alzate!… Ad afferrare qualcosa co’ ‘ste braccia? Non afferrano nulla!... Imprecano al cielo? No!... Urla dementi! Luci lampi ritmo d’ossesso! Una cannonata! Trema tutto. Nel raggio di dieci miglia nessuno può dormire... Pianti di infanti Pugni chiusi roteanti al cielo inquinato senza stelle. Abbagliati rincoglioniti Vuoti di pensiero Cranio in segatura I selvaggi hanno finito! Rintronati gli alieni si sciolgono espandono in mille rivoli... Wraang!... BrumBrumBruuuumm!... Le rapsodie di scoppi! Sordi non trovano la strada di casa. Mi dirigo al parco per pisciare dietro un albero... non ce la faccio più! E nemmeno penso più! E’ completo il lavaggio del cervello! Ho pisciato contro il tronco di un albero e finalmente odo i sommessi rumori della notte e posso guardarmi intorno. Tutte le panchine occupate Sono letti di cartone! Qualcuno non dorme Suona un’armonica a bocca... una melodia triste... Primordiale... mi sembra... E la musica ha il tocco di un sentimento disperato che commuove fino alle lacrime. Vagamente riconosco il motivo Ma non importa! E’ l’ultima emozione e abbondanti le lacrime rigano le guance. Seduto sull’erba mi sono addormentato.
  8. ectobius

    Mah!

    L’uso che faccio dei tre punti è anche diverso da quello canonico. Li uso, i puntini, per arricchire la punteggiatura, per differenziare le pause e tentare di ottenere un effetto musicale... sincopale... una sfasatura di ritmo. Ammetto che sono cose che, certo, si apprezzano solo con una lettura ad alta voce e non è detto che io raggiunga lo scopo, ma ci provo. Ad esempio a volte salto anche il punto e continuo con una maiuscola. E poi, detto fra noi, i tre punti sono così decorativi ad uno sguardo di insieme del testo stampato.
  9. Imbranato come sempre! Ma almeno l'errore lo avevo sospettato. Me ne darai atto!
  10. Il mio racconto è già pronto. Lo ho scritto di getto e non ho nemmeno voglia di fare aggiunte. Probabilmente non è proprrio quello che ci si aspettava e, forse, lo sto postando nel posto sbagliato.
  11. ectobius

    Mah!

    “Venite… venite che si vede!”, disse uno della piccola banda dei ragazzi… quasi sussurrando. Si mossero in gruppo, scesero le scale che fiancheggiavano l’edificio del bar e arrivarono ad una finestra piuttosto alta rispetto al piano stradale, con le inferriate. Sollevandosi sulle punte dei piedi, a turno, sbirciarono nella penombra della cantina e videro!… anzi intravidero solo la testa di Tamburriello, di nuca, calva, piccola e rotonda appesa con una corda al collo. Uno dei ragazzi fece l’osservazione giusta: “Pare nu caciocavallo!”. Pur “pendu”, era pur sempre il Tamburriello!... E non mancò una sommessa collettiva risata. Passò ancora qualche ora prima che giungesse in piazza la macchina dei carabinieri… Vi scese il pretore, di piccolissima statura, ma con minuscoli occhiali rotondi che gli conferivano una espressione autoritaria, e fu accolto dal sindaco Magaldi anche lui piccolo e occhialuto. Dopo alcune strette di mano incrociate e silenziose, si avviarono in piccolo corteo verso quello che era stato il “saloon”… Il pretore e il sindaco davanti, al passo, li seguivano il mastodontico maresciallo Rossi e il brigadiere… Chiudeva il corteo un signore anziano male in arnese con dei fascicoli sotto le ascelle e una borsa nella mano destra… forse era il cancelliere. La piccola folla alla soglia del bar, rinfoltita alla notizia dell’arrivo delle autorità, si apriva al loro passaggio. Il sindaco non volle entrare e aveva gli occhi lucidi dietro le lenti. Vi entrarono il pretore, il maresciallo, il brigadiere e quello che doveva essere il cancelliere. Ci fu un tentativo, doveroso e rumoroso, di forzatura del blocco da parte della sorella di Tamburriello che fu presto domato dalle brave donne e dalla forza pubblica… Poi la piccola folla ammutolì in attesa di apprendere i più raccapriccianti particolari. Il cielo profondo gorgogliava... blublu… blublu… blublu… blublu… il sole lo percorreva come da miliardi di anni… i rondoni si precipitavano stridendo in gruppo a volo radente e sfioravano le tegole alte sulla porta del saloon a toccare i nidi che erano loro da generazioni… Solo la carezza del favonio portava con sé un silenzioso lamento. FINE
  12. ectobius

    Mah!

    Dopo qualche giorno, nel bel mezzo di una partita a stacce, interrompendo la filastrocca che precedeva i lanci, “Da ‘nanz’ da dret’ e da lu cuost’, chi l’have se la tene”, un ragazzo arrivò in corsa trafelato e gridò rivolto al gruppo di giovanissimi giocatori e spettatori: “S’è appecat’ Tamburriell’!”. I ragazzi, eccitati, lasciarono immediatamente cadere le pietre, raccolsero i bottoni e di corsa verso il saloon per lo spettacolo. Arrivarono contemporaneamente al maresciallo Rossi affannato più di loro e sudatissimo. “ Largo… largo… Non c’è niente da vedere!”. Il maresciallo entrò nel bar e fece chiudere la porta… imbucò la botola e scese in cantina accompagnato dal brigadiere. “ Lasciate tutto come si trova e chiamate il pretore”. In paese non c’era pretore, bisognava farlo arrivare da un altro paese e ci sarebbe voluto del tempo. Il maresciallo uscì sulla porta e dall’alto dei gradini arringò la piccola folla… “E’ morto Tamburriello! Si è impiccato!”. Poi mise le mani sui fianchi e, dopo una breve pausa, gonfiando il possente torace italico, con voce stentorea: “Aspettiamo il pretore… Frattanto il locale resterà chiuso e poi resterà ancora chiuso per lutto… Andate a casa… ci vorrà qualche ora prima che arrivi il pretore. IL LOCALE RESTA PIANTONATO!”. La piccola folla considerò lo spettacolo momentaneamente sospeso e stava per disperdersi quando da lontano un urlo straziante la ricompattò. Arrivava la sorella di Tamburriello. Il maresciallo si preparò all’assalto e consolidò la sua stabilità allargando le gambe, irrigidì il suo massiccio corpo e riuscì a non perdere l’equilibrio al violento previsto impatto. E resse anche la porta del bar. Cosicché alla sorella di Tamburriello non restò altro da fare per alcuni minuti che batterla con i pugni, la porta, e graffiarla finché non comparve del sangue intorno alle unghie. E scostumatamente piangeva: “Frat’ mije…frate mije… frate mije…”. A questo punto delle brave donne la staccarono dalla porta e la portarono nel salone di Simone a faccia-fronte… fu fatta sedere sulla sedia di barbiere ed anche lei aspettò, solo debolmente gemendo, l’arrivo del pretore.
  13. ectobius

    Mah!

    Un sole puerile parve si fosse liberato di prepotenza dalle nubi e un sorriso… sì! proprio un sorriso illuminò per la prima volta il viso di Tamburriello, tanto da fargli cadere l’eterna alfa dall’angolo della bocca. “Rocchìiii’!… finalment’!”, quasi gridò. E, dopo una pausa commossa… “Cosa posso darti… offre la ditta!” “… sparame na’ sega!”, fu la risposta quasi automatica di Rocchino. Ma il tono era così carico di tristezza che Tamburriello non se la sentì di rispondere col solito “vafancul’ a soreta”. “Ah Ah Ah! Assaggia mò ‘stu vin’ paesan’… tuost’ e genuino”. Rocchino, rimasto solo al tavolo, mentre Tamburriello si affaccendava a preparagli il suo miglior vino, piegò la testa fra le braccia e Tamburriello si accorse che stava piangendo… “Ma che fai, Rocchì?…… Che tien’?” “Niente, Tamburrié!… Fatti li ***** tuje!”, rispose secco Rocchino e si asciugò col dorso della mano gli occhi. Poi, però! Dopo un lungo silenzio, bevuto il vino rosso come sangue, Tamburriello al fianco imbalsamato in un rigido sorriso sull’alfa all’angolo della bocca: “Crai part’… vac’ in Germania… sotta terra… a la miniera ”. Era un morto vivo anche lui, Rocchino… e questo fu il colpo di grazia per Tamburriello.
  14. ectobius

    Mah!

    Imprevista ed ineluttabile, invece, la popolazione prese a diminuire… dapprima lentamente, quasi impercettibilmente, e senza i drammi che avrebbero presto urlato il loro strazio. L’emigrazione! Che inizialmente fu solo per i più duri, gente rude abituata alla sofferenza Così che la iniziale lentezza del fenomeno conservava al paese una illusione di vita. Il saloon comunque perdeva giornalmente un po’ dei clienti… per primi i più vivaci e forti… E poco per volta il bar finì per essere frequentato solo dai più fiacchi. Una subdola malinconia si era intrufolata nel locale di Tamburriello e pervadeva gli spazi e gli animi degli ultimi frequentatori. La bolla di vita leggera si sgonfiava, si appesantiva, scivolava sempre più in basso trascinando con sé Tamburriello che oramai non si incazzava più, anche quando ancora… in rare occasioni per la verità… una bella incazzatura ci sarebbe stata bene. Non si organizzavano più scherzi, e le risse a seggiate erano oramai un ricordo. Inevitabile che Tamburriello cadesse in una spirale di tristezza, anzi ben presto sprofondò in un preoccupante stato di depressione da astinenza di marmaglia. Le sorelle, preoccupate, cercavano di consolarlo prospettandogli una ristrutturazione del locale tale da oscurare i due bar borghesi più frequentati del paese. “Che s’ hanna fà Lanzetta e Schiraldi! Metteremo anche noi la macchina del caffè espresso e avrai la migliore clientela… ti libererai di tutta quella marmaglia”. E non capivano che non poteva esserci rimedio ché era proprio la marmaglia che mancava a Tamburriello. E prova ne fu che quando, dopo tanto che non lo si vedeva, ricomparve nel bar Rocchino… il leader da sempre della marmaglia. Ad ora insolita in un mattino deserto nuvoloso e triste. Tamburriello a vederlo ebbe la sensazione immediata di respirare più liberamente senza quella oppressione sul petto che da un po’ non lo lasciava… e che non dipendeva dall’eterna sigaretta alfa, come aveva diagnosticato il medico “donna Rema”.
  15. ectobius

    Mah!

    E’ così era andata e andava da sempre e sarebbe andata nei secoli e per i secoli. Era una certezza per tutti!… Quella certezza che non veniva da complicate analisi intellettuali, ma dalla convinzione infantile di chi aveva aperto gli occhi su un mondo che non si era modificato di una virgola per tutti i lunghissimi anni di una eterna fanciullezza e che sembrava non fosse stato scalfito nemmeno da quella valanga che fu la guerra. Anzi, durante la guerra il paese aveva raddoppiato i suoi abitanti per via degli sfollati dalle città bombardate, e la clientela del saloon, di conseguenza, era aumentata con un’iniezione di piccoli trafficanti ciurmatori intraprendenti, pieni di vitalità, bravissimi nel gioco delle carte e maestri della “zella”… con conseguente naturale notevole aumento di risse. La guerra poi finì lasciando i suoi segni dappertutto… città distrutte dai bombardamenti, orfani, miserie, dolori d’ogni genere… L’orgoglio italico aveva subito un grosso ed irrimediabile scossone e lo avevamo capito anche i bambini nonostante gli sforzi degli insegnanti a scuola per mantenerlo vivo… E non si sentivano più tanto spesso le barzellette sui gruppi di un inglese, un francese, un tedesco, un americano e l’italiano più intelligente che interveniva alla fine e metteva tutti in ridicolo. Il paese, però, sembrava esserne uscito indenne tanto che si rinforzava la convinzione che avrebbe continuato come sempre… Non poteva cambiare… No!… Non doveva cambiare! Avrebbe continuato a vivere come sempre e per sempre.
  16. ectobius

    Mah!

    E alla festa di Santo Rocco il paese e la piazza erano invasi dai cafoni in abiti sgargianti e vi si mischiavano nello struscio i giovani borghesi che allungavano nella folla le mani a tastare i culi tosti delle ragazze contadine Che non protestavano… anzi… si divertivano ad eccitarli spingendosi contro “le mani morte”. Il “saloon” era poco frequentato in quei giorni di festa. I cafoni comperavano ghiaccio colorato alla “gratta-marianna” e facevano per ore lo struscio, e poi, all’ora prevista, non si perdevano una nota della banda di Lanciano applaudendo con gran vigore soprattutto gli spropositati acuti della “cornetta”. Grande banda quella di Lanciano! Ed anche Tamburriell’ in quei giorni indossava il vestito della festa e sostava, di sera, sulle scale della soglia del bar che era lievemente sopraelevata rispetto al piano stradale, e da questo punto privilegiato cercava di non perdersi nessun **** e nessuna mano.
  17. ectobius

    Mah!

    Grazie Aerys II, sei l'unico interessato al mio racconto?... Mi basta e proseguo con un altro brano. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Tamburriell’ ispirava tenerezza… e anche, chissà perché, ilarità, ma tutti, in fondo, gli volevano bene, anche se nella furia delle risse veniva spesso scaraventato fuori dal locale insieme a qualche sedia. Erano queste peraltro le uniche volte che Tamburriello usciva all’aria aperta di giorno E la luce intensa doveva essere una ferita per i suoi occhi avvezzi alla penombra del suo antro… Si rialzava velocissimo, rientrava nella baraonda e si lanciava ancora nell’immane compito di dividere i contendenti col risultato reiterato di finire di nuovo nella strada con le sedie. A volte le risse erano organizzate per finta, per divertirsi all’impegno di paciere di Tamburriell’ che, infine, veniva sollevato e lanciato da braccia robuste a braccia robuste nel gioco del “passamano”. Il bar, comunque, era tutta la vita per Tamburriello… Fuori dal “Saloon del Texas” si sentiva perduto. Non aveva giorni di riposo… apriva prestissimo, all’alba, e chiudeva solo quando l’ultimo ubriaco, lanciando insulti e bestemmie e anche qualche sberla, decideva di andarsene. Un suo fascino l’esercitava un po’ su tutti il “saloon del Texas”… comunicava un senso di allegria e incuriosiva perché si percepiva che la vita lì dentro era altra… era la vita delle campagne… la vita secondo natura i cui valori erano la forza e il coraggio… sicc’ e salvagg’… non disgiunti da generosità… Un mondo ove anche le donne venivano apprezzate per la forza, e poi per il senso di concretezza e la disponibilità allegra al sesso. E sì!… Perché il sesso era per loro evento gioioso privo d’ogni tabù, esercitato con impeto come sempre lo avevano osservato in natura praticato liberamente dagli animali. E la ragazza madre, in fondo, non dava scandalo… purché non ci fosse stato tradimento, ché, allora, si scatenava una violenza selvaggia. La vita piccolo borghese del paese era invece una vita artificiale, ben ordinata secondo regole rigide a cui tutti si attenevano nel loro anelito alla “normalità” che era conformismo… perdita di identità nella massa. Giocoforza anche i contadini, quando soggiornavano in paese fuori del saloon, dovevano adeguarsi a queste regole… si offrivano a tutto e a tutti esibendo un rispetto esagerato e rassegnato come può esserlo solo quello che ci si impone… Soprattutto ora, in pieno regime fascista. Il “saloon”costituiva l’eccezione… godeva, come dire?… di un diritto di extraterritorialità… Era una bolla di vita naturale nel conformismo del paese. Che si ricordi una sola volta questi giovani contadini si erano lasciati andare alla loro libera esuberanza di vita in paese, tra gli altri… Un gruppo di loro riuscì a conquistare il palchetto vuoto del cinema del paese… il palchetto che era una semplice pedana in legno più alta della platea e riservata alla famiglia del proprietario del cinema… e da lì lanciarono dei preservativi gonfiati. I preservativi erano una novità del dopoguerra… qualcosa per loro di veramente bizzarro e comico… qualcosa con cui giocare e ridere. Con innocente allegria li gonfiavano e li lanciavano i palloncini e schiamazzando… I bambini li catturavano credendoli… e non si poteva diversamente… un innocuo palloncino. Si trovarono vicinissimi in quel frangente: bambini e contadini Quella volta ugualmente innocenti allegri e felici… Forse. Ma il palloncino fu loro strappato di mano con uno scappellotto ed un incomprensibile sguardo severo… Poi intervenne anche la forza pubblica. Per anni i bambini dovettero domandarsi perché i palloncini erano permessi alla festa di santo Rocco e al cinema No.
  18. ectobius

    Mah!

    No, sono di origine pugliese, e il racconto è ambientato in un paesino agricolo delle Puglie, appunto. Ma ora toglimi tu una curiosità: cosa ti ha fatto pensare che potessi essere Toscano? In realtà un mio antenato era toscano e andò nelle Puglie al seguito dei piemontesi, dopo l'unità d'Italia, a combattere il brigantaggio con la guardia nazionale.
  19. ectobius

    Mah!

    E' un vecchio racconto! Posto solo l'inizio ché continuerò solo se sarà gradito e riceverò qualche parere. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Era qui il SALOON … saliti questi gradini. Il Bar di Tamburriello! Tamburriell’?… Quale l’origine di questo soprannome?... Ereditato da una famiglia di Tamburrielli? o coniato proprio e solo per lui? Piccolo, mingherlino, la faccia butterata… a ricordo della epidemia di vaiolo… e pallida. Lo sguardo sempre corrucciato, una sigaretta alfa costantemente appesa al labbro inferiore in un angolo della bocca e la visiera della coppola ingiallita di nicotina… Ma questa breve rappresentazione non spiega il sprannome, spiega casomai solo l’uso del diminutivo. Forse il nomignolo gli veniva da reminiscenze scolastiche molto popolari?… il piccolo tamburino sardo del libro “Cuore”!… universalmente conosciuto poiché alla scuola elementare che, bene o male, avevano frequentato quasi tutti, era l’unica lettura proposta da ormai generazioni di alunni. No!… Più probabilmente il nomignolo gli veniva dal fatto che era sempre stato fatto bersaglio di percosse, proprio come un piccolo tamburo… percosse... Pam! Pam!... con la bacchetta a scuola, e poi, via andando, fino ad ora che era il gestore del bar più popolare del paese, il bar dei contadini e degli artigiani poveri di estrazione contadina. Un bar che forse nessuno, al di fuori dei selezionatissimi avventori, conosceva all’interno… E dove di certo, appeso da qualche parte in bella evidenza, c’era il solito cartello: “La persona civile non sputa in terra e non bestemmia” Cartello che qui assumeva il tono di uno scherzo decisamente ironico, ché sputi in terra di ogni dimensione e colore erano un ornamento naturale del bar e non infastidivano nessuno… E le bestemmie?... costituivano l’ossatura di qualsiasi discorso! Il “saloon”… così era stato soprannominato, il bar... che era più sala giochi che bar… Fumoso fino all’inimmaginabile di trinciato forte, alfa e spinelli arrotolati col tabacco dei mozziconi raccolti “pisciaiuolando”… Niente elettronica delle sale giochi del giorno d’oggi, che non si sapeva nemmeno lontanamente in cosa consistesse l'elettronica… forse una parolaccia!… “Elettroniche saranno tua madre e tua sorella!”: e all’imprecazione sarebbero seguite le risse con “seggiate”. E non c’erano biliardi… anzi bb’gggliard’!… e nemmeno scacchiere: giochi raffinati, per signori. ERA REGNO DI MORRA E CARTE! E a soldi… scopa briscola e tressette conditi da parolacce lazzi e “iasteme” con finale, immancabile, a “seggiate”. Tamburriello nel trambusto assiduamente ed assurdamente interveniva per dividere i contendenti, e finiva sempre col prenderle di santa ragione. Ma anche quando non c’erano risse, Tamburriello era ancora e sempre il bersaglio di scherzi anche pesanti e nessuno si interrogava mai sulla opportunità di farsene zimbello... Tamburriello sembrava essere stato fatto apposta per questo. Tamburriello riceveva a voce urlata le chiamate per le ordinazioni al tavolo: “TAMBURRIÈEEE!” “Veengooo”, e si precipitava al tavolo. “Cosa volete?” “Sparame ‘na sega” “VAFANCUL’!!!” “Eeeh!… ma che ti sei offeso?” “Ma no…”, rispondeva con tono cordiale, abbozzando un sorriso da uomo di mondo, l’alfa all’angolo della bocca e una contrazione intorno ad un occhio… Un ghigno alla Humphrey Bogart. Lo scherzo era sempre lo stesso, ma Tamburriello ci cascava sempre. Mai che prevedesse!… E non aveva ancora finito di parlare che: “Be’, visto che non ti sei offeso… sparamene un’altra!” “VAFFANCUL’!!! Va’ da soreta!”. E veniva sommerso da risate a crepapelle intervallate da accessi di tosse e scaracchi. Prendeva l’ordinazione… Ritornava al tavolo e questa volta veniva accolto con sorrisi cordiali e talvolta finanche con un tocco amichevole sulla spalla o sul braccio… gesto che aveva dell’eccezionale per uomini di quella ruvida tempra.
  20. ectobius

    E vai di Nonsense

    Piri! Complimenti! La tua prosa mi ha particolarmente attratto innanzitutto per leggerezza e rapidità, che sono valori del buon scrivere come già indicava Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”. E hai fantasia, ricchezza di linguaggio, ironia... non manca il ritmo. Insomma mi piace come scrivi e per ora non ho critiche da farti, ma ci penserò ed eventualmente le comunicherò.
  21. ectobius

    Mah!

    Andava!…andava… comunque. Andava! La sua ombra lo precedeva Concreta. E precedendolo di un buon tratto, la sua ombra Che lo attirava con forza ed era andata a sbucare in una piazza nuda estesa Chiusa, senza interruzioni percepibili allo sguardo sulla palizzata calcinata di lapidi grattacieli. E non riconosceva più, girando lo sguardo a ritroso, nemmeno lo stretto varco di strada dal quale era sbucato. Stanco di guardarsi attorno si sedette rassegnato sulla panchina, l’unica nella grande piazza E guardava in alto in cerca d’un cielo assente. Solo una lunghissima corda, scorse. Tesa sul vuoto della piazza da due opposti edifici Altissima Lontana… sul vuoto. E un funambolo lento si inoltrava sul sottilissimo percorso… senza acrobazie... Triste!... E senza pubblico. Avrà una meta?… Laggiù! E cosa c’era laggiù? Forse un pubblico?... Forse un applauso? Improbabili! Ma l’aveva incuriosito questo viaggio senza senso su una corda Intrapreso né per lo spettacolo, né forse per un applauso... Che l’unica giustificazione fosse l’approdo in un luogo? Si levò dalla panchina e si diresse all’alto edificio alla cui sommità si agganciava il terminale della corda sospesa nel vuoto. L’ingresso all’edificio era stretto… quasi un pertugio. Ma dava su una normale scalinata di condominio. Prese a salirla con impeto, la scalinata, saltellando sulle punte dei piedi Ma non si raggiungevano pianerottoli per una sosta. Dovette sedersi sulle scale ansimando, e riprese la salita con meno foga poggiando sui gradini tutta la pianta dei piedi, ora. Non si aprivano porte su quelle scale immerse in una luminescenza grigia interrotta di quando in quando da brevi lampi… Lampadine sul limite dell’esaurimento! Ma udiva un mormorio, un brusio ininterrotto proveniente da punti indefiniti… Arrivava da ogni lato questo bisbigliare che talvolta si faceva riso sardonico fino al gemito. Poi la scala si biforcò in bivio… A destra o a sinistra?… scelse la sinistra e incontrò altre biforcazioni Ad ogni bivio prendeva a sinistra. Inopinatamente la scalinata prese a scendere, poi risalì ed ancora discese in larghe curve Infine era un labirinto da percorrere, trascorrere. Trapassava dal passo, ciabattante in salita, al trotto lungo le scale in discesa A tratti si piegava per la fatica ed a tratti quasi strisciava ché la rampa si infilava a scorrere in cunicoli. Era esausto ma doveva andare… come avesse sottoscritto un impegno. I piedi erano gonfi e non tolleravano le scarpe Le tolse, le scarpe, e riprese a trascorrere quel labirinto di scale che ancora saliva, scendeva, si ingrottava…Procedette per inerzia! I piedi piagati Dalle piaghe fuoriusciva abbondante il pus. La pelle grinzosa disidratata La barba e i capelli lunghi E qualcosa vi aveva colonizzato tra i capelli e la barba. Era il barbone! Sbucò infine… Dopo aver sceso molte scale in un pianerottolo e non c’erano più scale per proseguire il viaggio. C’era la porta di un ascensore! Premette il pulsante di chiamata e, dopo un tempo lungo di attesa, inerte lunga angosciosa, la cabina fu presente. Anche qui un solo pulsante… Non c’erano scelte!… Lo sfiorò appena, ed in un attimo era arrivato Una luce chiarissima Trasparente Abbagliante da non potere definire i confini dello spazio… se spazio era… Non c’erano confini né di pareti, né d’altro tipo… chessò… una barriera di alberi… un non confine vago di un prato con acque limpide... magari fiorito. Era un non luogo, invece Senza colori… Il non luogo della negazione dei colori! Una colonna sosteneva un grosso cavo di acciaio che andava a perdersi nel vuoto. Cercò di far penetrare lo sguardo per scorgervi il funambolo Non vide nulla nella luce chiarissima. Che fosse già giunto? Ma c’era niente intorno… Niente! Nemmeno un’ombra. Difficile descrivere la sensazione affatto nuova nel non luogo senza ombre né colori… Anche la sua ombra era perduta. Ebbe il tempo di pensare che non si sarebbe potuta concludere che così come si stava concludendo la sua avventura avendo accettato di trascorrere nel labirinto Il labirinto che non è possibile eludere, ingannare, sfuggire… il labirinto che tutto accoglie e fonde. E si concluse infatti... in perdurante mistero!
  22. Era stato dimenticato, Céline! Con prudenza poi, dopo anni di oblio, si è stati quasi costretti a parlarne, di Céline, che continua ad imporsi con la sua personalità forte ai fini di un riconoscimento unanime delle sue qualità di grande scrittore... ed anche... così penso io... per una, anche se solo parziale, riabilitazione dell’uomo. Grande scrittore e grande innovatore della letteratura narrativa, pur se ancora da molte parti giudicato scomodo... Céline! Dopo di lui nulla poteva rimanere come prima nella narrativa, bisogna riconoscerlo! E Céline è da tempo punto di riferimento importante di molti scrittori contemporanei. Forse io sbaglio! Ma a me sembra di reperirne le tracce addirittura un po’ in tutta la narrativa più recente. Ma... imbarazza ancora Céline? Forse non più!... Ma?... Io ricordo che ancora solo pochi anni fa ne consigliai la lettura ad un amico. Uno che conosce alla perfezione la lingua francese e pensavo che potesse apprezzarlo meglio di me che lo leggevo tradotto E questo amico, colto ed intelligente, ma lettore di formazione classica, non lo resse che per poche pagine. E ancora. Il pur tollerante Pasolini, recensendo una delle ultime opere di Céline, ebbe a dire (e siamo già agli anni settanta) che: “la comoda dissociazione [per cui risulterebbe] immorale giudicare uno scrittore dalla sua ideologia e dai fatti della sua vita [...] andrebbe ridiscussa”. Non è facile descrivere l’inferno ed esserne attratto dalla lettura, ma il mondo, del resto, è spesso stato descritto come inferno e da molti scrittori. Anche l’insospettabile Italo Calvino, ad esempio, così si esprime in conclusione del suo “Le città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa , in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Per Calvino, dunque, in mezzo all’inferno c’è qualcosa che inferno non è, e che è da scoprire, da far durare, lasciar crescere con “attenzione ed apprendimento continui”, in un impegno estremamente difficoltoso. Per Céline, invece, in mezzo all’inferno non c’è nulla altro se non ancora inferno. Inferno e inferno e nient’altro! ed egli se ne fa coscientemente parte integrante Non per non vederlo più, ma per accettarlo come una condanna senza appello... e soffrirne. Céline non gioca con l’inferno: butta all’aria le carte, impreca. Sardonicamente ne ride. Bestemmia! “Viaggio al termine della notte” è il primo lavoro del medico Déstouche. Romanzo ispirato dalle esperienze dell’autore nel periodo a cavallo fra la Grande Guerra ed il successivo periodo coloniale. Romanzo storico-autobiografico, dunque, nel quale Céline usa la penna come un grimaldello e va a scardinare la realtà delle convinzioni ottuse, dei rapporti falsi... la vanagloria e i grandi ideali che a suo dire, non sono che "i nostri peggiori istinti vestiti di paroloni". E’ evidente che non lo fa per spregio, anzi, ciò che muove Céline (tanto il medico quanto il letterato) è un disperato amore per la vita, e l'angoscia di vederla stuprata dalla guerra, dai falsi idoli, dalla modernità. Cosicché, pur se solo in non rari momenti, si lascia andare a volte ad un pensoso apprezzamento delle qualità dell’essere umano. Poche considerazioni! ma in grado di illuminare la scena e di far chiudere per un attimo gli occhi, di Céline e nostri, di fronte allo sfacelo in corso. Ma presto il magma umano riassorbirà i lettori e lo scrittore, che, a sua volta, ne resterà sopraffatto e per difendersi reagirà facendosi simile alle brutture del mondo Straziato, incrudelito... assetato di lacrime.
  23. ectobius

    Mah!

    Sono appena arrivato! Scrivo cose non molto allegre chè sono in fondo un disperato... a volte spero da disperato e non è produttivo. Io ci provo ad inviare qualcosa. Sono curioso di sapere come mi si accoglierà. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° La nascita!… La fine dell’inizio... A metà di un mattino di un giorno di giugno. Una meravigliosa giornata di giugno! Che festeggiava il Corpus Domini con tutte le campane del paese che sfilavano il Gloria mentre io uscivo nella festa, e anche sotto i migliori auspici Da essere considerato, forse, un “Unto” del Signore! E avrei potuto... anzi avrei dovuto, secondo parere unanime, approfittarne in seguito, di questa privilegiata condizione... Ma da scettico nato non l’ho mai fatto, ed è stato un male. Male! Molto male! Cosa mi sarebbe costato dichiarare in situazioni di difficoltà: “Io sono nato nel giorno del Corpo del Signore e sono un unto del Signore!”? Niente! Mi sarebbe costato niente!... E magari avrei, forse, solo evitato un po’ di mala sorte. E così non mi resta, ora, che provare un malinconico rammarico, oggi... che non aspiro che di ritornare all’origine... Oggi! Che al massimo potrei solo indulgere a portare la mano alla fronte e batterla leggermente e ripetutamente. La fola della nascita propizia mi fu raccontata più volte!... La mia genitrice forse desiderava solo convincersi di aver fatto cosa buona generandomi... Una fola a conforto, insomma! O... Ma chissà! Quel giorno era luminoso, sì! Luminoso ed allietato dal suono in Gloria da tutte le campane, ma allietava solo i presenti all’evento che sinceramente pensavano alla mia di festa. Io, invece, quella festa la subivo con sofferenza, ed era la fine del principio. Era festa, insomma, della vecchia casa con sul portone il fiocco. Mentre a me facevano “la festa”! Ma ve la racconto come si svolsero i fatti... per quanto mi riguardava e ancora mi riguarda. In principio... Il principio? cos’era il principio? Non potevo allora saperlo, ma ora... Be’, ora mi voglio contraddire e allora dirò: “Dapprincipio!”. E senza commenti continuerò a far riferimenti a tempi che allora non conoscevo. Dapprincipio galleggiavo in una soffusa luminescenza amaranto... una fosforescenza amaranto! “Amarántos”! Che è ciò che non appassisce. Poi... Poi? Ma sì! “Poi!...” Oramai mi sono contraddetto! Poi mi sono spuntate le pinne. E ora... Ora nuoto... o piuttosto sguazzo, senza peso e pena di pensiero, nel tepore liquido del silenzio denso, fatato E mi fa compagnia un rassicurante lontano tonfo ritmico Cuore di imprecisate certezze. Comunque sono ignoto! Non ancora iniziato!... Fuori del tempo, nonostante... Eternamente. Fuori del prima e del poi In ogni istante smarrito e recuperato nell’istante. Poi... son comparse le pinne Quattro moncherini che si allungano e mi perfezionano nello sguazzo: spingo e faccio capriole senza peso, ma oltre il tonfo e il lento sciabordio delle capriole, di quando in quando, percepisco vaghi rumori sfiniti a cui presto vaga attenzione Rumori misteriosi da un mondo misterioso a me ignoto e solo oscuramente supposto parallelo... Ed anche inquietante. Comunque infine riesco sempre ad abbandonarmi alla quiete di questo inizio Quantunque non sia mai iniziato ché l’eterno non inizia! Né finisce. Materia eterna in movimento eterno, Ecco! il moto eterno, Caos e Cosmo! Ma è successo! all’improvviso, che il mio lago si prosciuga... D’improvviso! E una stretta mi preme tutto intorno Irrevocabile. E mi prosciugo e intuisco anche che l’acqua mi è indispensabile e debbo inseguirla! Imboccare il tunnel attraverso il quale defluisce. Certamente sfocerò in un lago più ampio, più adatto alle mie dimensioni, ma è faticoso il cammino... e doloroso anche... Doloroso? Doloroso, Sì! Il cammino agevolato da intermittenti spinte e accompagnato da una sensazione nuova e sgradevole intorno al capo che era il dolore!... Il dolore che precocemente, e da subito, tra le prime cose che dovevo imparare a conoscere. E intravvedo una luce nuova, che anche questa non conosco... né mai completamente capirò. Forze sconosciute, mai ingiuriate, mai provocate, traggono e spostano me che fino ad un attimo prima pensavo d’esser mondo intero... Ed ecco! scopro altro spazio e intuisco il tempo... Il tempo, Sì! che continua ad accadere e mi toglie l’abbandono alla quiete. Ed è anche una fine, questa: la fine dell’inizio vita. Chiasso... una baraonda del diavolo! E sono fuori dal centro, dal posto che era sembrato senza alternativa. Baraonda! E luce. Che fanno danno al mio udito e ai miei occhi Ma almeno gli occhi in fretta li chiudo... Almeno gli occhi! E serro le palpebre mentre mi invade il terrore della mancanza d’acqua... Sono nel nulla! Mi appesantisco mentre continua a ferirmi le orecchie uno sbraitare di tintinnii, urla! evviva! risate! Da ombre eccitate: “E’ sano! E’ maschio!”. E suono assordante di campane a gloria... Per chi? Per me? che provo dolore! E annuso odori... di alcool... e provo freddo! Il freddo! Lo sconosciuto che mi fa tremare. Mi serrano i piedi... mi percuotono il sedere... riconosco l’alto e il basso. Il mio capo è in basso e soffoco! Agito le pinne... Soffoco! E allora urlo: “Ahi!... Ahi!...”. Sto meglio, ma continuo ad urlare... “Ahi! Ahiii!...”. E piango ora che sono sfociato nel luogo ostile senza comprendere il perché di questo naufragio nel tempo che farà sorgere una domanda: “forse c’è stata colpa?”. E poi hanno cominciato a toccarmi Mille grosse dita mi si torcevano addosso, e mi hanno messo in acqua calda La testa fuori dall’acqua. Non ho avuto più freddo. Mi hanno asciugato e coperto E sfinito ho dormito. Mi desto!... Provo un disagio nuovo... fame?... La fame, sì!! Finora sconosciuta. Le membra deformi e appesantite non mi consentono di girarmi, e muovo, allungo quelle che furono pinne, coda, e ora sono membra. Non incontro nulla... brancolo... Sono in un nulla spazio di tenebra, e per la prima volta provo la paura. Una paura che volge al terrore degli urli, dei ghigni, dei ringhi. Vorrei fuggire!... Ansimo, ululo. Un’ombra s’appressa: le dita, enormi, potrebbero stringere schiacciarmi inerme E mi sollevano, invece, lievi come una carezza Mi posano in un grembo caldo e offrono alle mie labbra il gusto di un tenero nettare. Fino a sazietà! Posso tranquillizzarmi, e mi abbandono al sonno mentre mi asciugano e ripongono. Così che poi mi desto senza paura. Ma urlo lo stesso per riprovare il sollievo delle carezze e di una voce calma e sussurrata che nello stesso tempo odio. E così finisco col perdermi sempre più nel tempo! Catturato dal tempo: sonno veglia, fame sazietà, luce tenebre, freddo caldo... Destinato a divenire!... Ad essere divorato da Cronos. Ma la nostalgia dell’ amarántos... Quella! Che non appassisce... La fosforescenza perenne non ho mai smesso di sognarla... Di sognare il ritorno dall’immane guasto. Ma almeno sono re! Di un regno che non conosco, ma irritante! Sono il perfido re di un territorio dai vaghi contorni e dimensione. Luci ed ombre e sudditi che obbediscono ai miei ordini rancorosi che esprimo in linguaggio urlato di pianto irritato. Ordine perentorio di ululati, sibili... ringhi. Accorrono! Minutronomisollevanomicullanomilavano... Il mio linguaggio non sempre è compreso ed allora non risparmio punizioni di tortura fatta di urla e pianto senza perché e prolungato Incomprensibile! che genera l’ansia tra i miei sudditi... Che poi è quello che voglio. I sudditi colpevoli non si debbono riposare, no debbono abbandonarsi al sonno! E io mi accorgo quando prendono a dormire: dalla regolarità di un respiro o dal russare. E allora urlo! Li sveglio e pretendo che mi si culli E resisto finché posso al mio di sonno, il più a lungo possibile ad impedire il loro, di sonno. Quanto durò la vendicativa autorità? E come avvenne poi che questo imperio rancoroso cessò? Mi fu tolto lo scettro con modi bruschi o con garbo?... Non ne ho memoria!... O di mia volontà ne decisi la fine? E mi ritirai rassegnato nell’esilio di questa solitaria casa e stravagante. La mia casa! Non molto grande, ma labirintica per intrico di locali dall’incerta destinazione E miriade di corridoi e scale, e anche misteriosi passaggi ove è possibile procedere solo a fatica, quasi strisciando. Ma per quanto la abiti da sempre, mi è ancora sconosciuta, questa casa costantemente immersa nella penombra di un perenne lucore malinconico che è caratteristica strutturale della casa: non dipende da cattiva esposizione... non ha relazione con le fasi del giorno, né con la meteorologia... E’ nella struttura!... Nasce dal suo interno, la luce!... Che le è propria! E anche il tempo le è proprio! Scandito da orologi dai ritmi bizzarri: tempo lineare dalle durate imprevedibili, cosi che a volte corro ed ansimo, a volte sono fermo, catatonico; o tempo retrogrado, e finisco con l’annullare il tempo stesso, a rifugiarmi idealmente e piacevolmente all’amaranto. Spesso il tempo è circolare e resto fermo. Ma il tempo a spirale è quello che più mi sconvolge! La spirale eccentrica ha dell’ebbrezza, dà le vertigini Fuga nell’irreale ma in fine mi trovo in bilico su un abisso di nulla e mi ritiro spossato e frustrato, proprio come dopo una sbronza. Più spesso seguo la spirale che volge al cuore, si avvita nel centro e sfocia col classico risucchio nel gorgo buio della depressione. Ma capita anche che a tratti la luce si spenga, e lascia la casa fuori del tempo e dello spazio, campo libero ad ombre disperanti, a fantasmi deliranti. E nonostante tutto, in questa casa ci ho vissuto!... in rassegnata sopportazione! Ed anche ho cercato, ostinatamente inutilmente, di curarla, di renderla confortevole, di illuminarla acquisendo inutili lampade... E i tanti decorativi soprammobili, che mi erano sembrati importanti, spesso hanno finito solo con l’essere, solo, ingombro disordinato e soffocante. E la soffitta... la soffitta! Un ricettacolo di materiale sconosciuto che io non ricordo di avervi depositato... Ingombra e poco visitata, è divenuta anche regno di polvere muschio e muffe e vi si respira aria quasi di putrefazione. Vi brilla solo uno specchio, qui! Infranto! Che rimanda, moltiplicandoli, lampi di follia. Nonostante le cure è invecchiata male lo stesso, questa mia casa. E va irrigidendosi senza fascino. Le mura scricchiolano per un nonnulla, tremano E cadono in polvere strati di intonaco. Stemmi e fregi di facciata sono tutti già crollati. E infine gradualmente mi sono arreso. Evito di frequentare le varie stanze, di attraversare corridoi, salire e scendere scale e mi sono ritirato in un’unica stanza, spoglia e con una sola finestra rivolta ad Occidente. Sono sempre sdraiato in provvisorio giaciglio La testa girata alla finestra che mi rimanda spettacoli di tristi nebbiosi tramonti . Di quando in quando compare una luminescenza amaranto che mi consola. Oh, Amaràntos!
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