CAPITOLO 1 – METALLO SUI DENTI: IL SANGUE CHE SCHIZZA SULL’ASFALTO ( RUMORE PIACEVOLE GIÀ! )
Il gruppo capitanato dal rosso era diretto verso la zona ferroviaria, dove probabilmente sorgeva la loro base.
Il rosso già si pregustava un meritato riposo e un buon pranzetto. Non mangiava da quella mattina. Aveva rubato una scatola di fagioli da una bancarella solo per scoprire che erano andati a male e, nonostante questo si era trangugiato tutto il contenuto in poco tempo, tanto male non potevano fargli, in fondo.
Ora però voleva qualcosa di più genuino. Aveva ordinato per il suo ritorno un bel pollo fritto. Ne avevano fortunatamente una bella scorta nella dispensa, la caccia alle fattorie fuori città della settimana prima era stata piuttosto proficua.
“Le fattorie”, pensava il rosso, “la luce del nostro mondo oscuro. Lì esistevano persone che si dedicavano a produrre qualcosa, a lavorare, dove nelle città era tutto morto. L’unica vera attività importante era il mercato commerciale di Langdon, almeno in quell’area, anch’esso però alimentato dalle fattorie.
I cinque giovani camminavano in gruppetti: il rosso capeggiava davanti insieme ad un altro ragazzo, gli altri due camminavano dietro di loro con il bambino stretto nella loro morsa.
Un passerotto su un ramo cinguettò al loro passaggio. Uno dei due ragazzi che teneva il bambino sputò per terra, quasi come se fosse stato infastidito dal pennuto. Per tutta risposta, qualunque cosa l’uccellino avesse capito, continuò il suo canto
Enefanderor Caricstarmat pensò che non sarebbe mai più riuscito a fischiettare con gli uccellini e a girare libero per la città, andando dove voleva, visitando le zone che voleva, non avrebbe più avuto quelle opportunità.
“Ancora un isolato e saremo a casa”, pensò il ragazzo dai capelli rossi.
Il gruppo era arrivato nei pressi di un semaforo spento, uno di quelli alti una decina di metri, che ormai serviva solo a dare sostegno all’edera che vi cresceva sopra avidamente prendendosi ogni spazio di superficie che poteva.
Il rosso schiacciò un sassolino con un piede e guardò incuriosito il bambino dietro di lui. “Sai fare i letti?”.
Enefanderor Caricstarmat lo guardò con aria di rimprovero. “E non guardarmi con quell’aria da ingrato, lattonzolo”, disse rivolto al bambino.
Mentre i due, ragazzo e bambino, si guardavano a vicenda negli occhi, avvenne qualcosa di imprevedibile. Una figura umana, che prima ne il rosso, ne nessun altro del gruppo, ne il bambino, avevano visto, piombò giù dalla struttura del semaforo e atterrò perfettamente in piedi, senza procurarsi il minimo danno. Stanga di ferro nella mano sinistra, jeans blue e maglietta bianca a maniche corte: il ragazzo che era saltato giù dal semaforo era atterrato con un’agilità, una semplicità e una naturalezza che destarono meraviglia, stupore e anche un po’ di ammirazione nell’intero gruppo.
A quel punto, senza una parola, lo sconosciuto si proiettò in avanti e colpì il rosso con una mazzata. Fendendo l’aria. Colpendolo allo stomaco.
Il rosso non ebbe il tempo di difendersi con la sua stanga che venne ribaltato per terra.
Era caduto a pancia in alto. Lo sconosciuto colpì di punta il piede del rosso con la sua arma, e un dolore insopportabile si impadronì dell’arto: il bastardo gli aveva dato appena il tempo di cadere e gli aveva fratturato il piede con un colpo netto.
“Fanculo!”, grido il rosso rivolto allo sconosciuto. Poteva ancora colpirgli il viso da terra. Sollevò la stanga di ferro al di sopra del suo corpo. Un altro colpo dell’avversario gli fece partire via la stanga di mano, un'altra frattura.
Accorse allora, in aiuto del suo capo, il ragazzo che era alla testa del gruppo con lui. Il ragazzo sconosciuto parò il suo attacco con una facilità disarmante e con un colpo secco gli frustò entrambi gli arti inferiori rompendogli le ginocchia. Il ragazzo urlò dal dolore e cadde a terra.
Allora gli altri due si fecero avanti insieme, lasciando solo il bambino. Curiosamente però Enefanderor Caricstarmat non si mosse, non tentò di fuggire, tutt’altro, pareva interessato a vedere lo svolgersi degli eventi, come si sarebbe concluso lo scontro? Il giovane sconosciuto l’avrebbe spuntata o sarebbe infine caduto sotto le mazzate dei suoi nemici?
Uno dei due ragazzi proiettati verso il giovane sconosciuto, gli gridò contro: “ tu sei uno di quelli che non si fa tanti problemi ad uccidere!”. Il giovane sconosciuto parò il suo colpo, portato con rabbia e molto impreciso, e colpì. Il nemico parò, “ma anche noi non siamo da meno”. Lo sconosciuto parò i colpi portati dai due e rispose: “lo so bene”. Colpì con un calcio in piena faccia uno dei due facendolo cadere a terra, a viso scoperto, e gli sfondo il cranio con un colpo di punta e con l’altra estremità della sua arma sfondò la bocca all’altro che stava per portargli un attacco allo sterno. Sangue e denti schizzarono sull’asfalto scuro.
Il ragazzo colpito sapeva che se avesse ancora provato ad ingaggiare combattimento con lo sconosciuto sarebbe anche potuto rimanere ucciso, era molto più abile di lui nel corpo a corpo, e poteva avere l’età sua e dei suoi compagni.
Con il sapore di ferro in bocca, il ragazzo voleva portare via il capo e l’altro compagno sopravvissuto, che gemeva per le gambe rotte.
Lo sconosciuto, che sembrava aver capito le intenzioni del ragazzo gli disse: “porta pure via il tuo compare, del tuo capo non ti preoccupare, ci penserò io: ho un lavoretto da fargli fare, se righerà dritto potrai sicuramente tornare a prendere ordini da lui o meglio”, e guardo il rosso che si teneva stretta al petto la mano fratturata, “potrai diventare tu il capo, no?”.
Il rosso guardò lo sconosciuto negli occhi con disprezzo, dopodichè sputò per terra.
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Il ragazzo, che aveva perso diverso sangue a causa della brutta ferita alla bocca, guardava il suo capo seduto a terra, inerme e con un piede e una mano fratturati. Si senti fremere da una rabbia e un odio molto forti, guardò prima l’altro suo compagno con le gambe fratturate, poi spostò lo sguardo sull’altro che giaceva a terra morto, con la testa fracassata da quello sconosciuto. Quel ragazzo apparso dal nulla in un attimo aveva distrutto una realtà, la sua realtà. Guardò lo sconosciuto con odio.
“Oggi è andata così”, gli disse lo sconosciuto, quasi a volerlo consolare. “Hai detto tu che ero capace di uccidere, no? E anche voi non eravate da meno, no?”. Il ragazzo della banda strinse molto saldamente la stanga di ferro nelle sue mani. Lo sconosciuto poteva sentire l’odio di quel ragazzo che stava per esplodere. “Ed è cosi, io posso ucciderti se tu tenti di farlo, non credere che non sia dispiaciuto per quello che ho fatto ai tuoi compagni, ma non ho intenzione di morire qui, quindi se tu attacchi me allora uno di noi due morirà qui, oggi; però permettimi di darti un consiglio, non è meglio che porti i tuoi compagni via di qui piuttosto che perdere altro tempo con me? Per ora penserò io al tuo capo”. Il rosso, seduto, rimase in silenzio, fissando con occhi persi il marciapiede.
Il ragazzo si acquietò, tutto d’un tratto, e dirigendosi verso i suoi due compagni per portarli via cercò lo sguardo del suo capo. Il rosso però non lo guardava, continuava a fissare il marciapiede come perso in un mondo tutto suo, come se non fosse conscio degli avvenimenti in corso.
Senza altri indugi il giovane prese i suoi due compagni in spalla: uno era morto, ma non lo avrebbe abbandonato lì, il capo non avrebbe voluto.
“Non tornerete alla vostra base”, disse lo sconosciuto all’altro, “porta i tuoi compagni in un altro posto, ma non lì, ci penserò io a quella”. Il ragazzo caricò in spalle i suoi due compagni e lo guardò con disprezzo. Si allontanò dalla parte opposta alla direzione per la ferrovia e, senza degnare di uno sguardo o di una parola il capo, sparì nel parco abbandonato, passando per il cancello.
Il giovane sconosciuto guardò per un attimo il rosso, a terra, conciato come era non sarebbe certo potuto fuggire da lui; decise allora che se ne sarebbe occupato dopo. Lo sconosciuto allora alzò lo sguardo verso il bambino dai capelli biondi e dagli occhi celesti. Rimasto in silenzio per tutto il tempo.
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Enefanderor Caricstarmat stava guardando negli occhi lo sconosciuto, non si era fatto ancora un idea di che razza di persona fosse, non era ancora riuscito a classificare quel ragazzo che, anche se forse involontariamente, lo aveva salvato da quei brutti ceffi. Oh si, pensò, quei quattro li aveva classificati senza dubbio come brutti ceffi, ma dopo la scenata del compagno della banda, che non voleva abbandonare i suoi amici, Enefanderor Caricstarmat non era più sicuro del suo precedente giudizio su di loro, così come non era sicuro che quel tipo che ora guardava negli occhi fosse realmente una brava persona, dopotutto aveva pur sempre ucciso un ragazzo a sangue freddo, lo aveva visto davanti ai suoi occhi.
Quello sconosciuto era un ragazzo piuttosto alto, con folti capelli neri e occhi marroni, portava jeans blu e delle vecchie scarpe nere con su scritto Nike, o qualcosa del genere (Enefanderor Caricstarmat non aveva mai visto scarpe con quella scritta sopra), una maglietta a maniche corte, bianca, oltre ad uno zainetto in spalla e alla sua spranga di metallo.
“Tu non fai parte di questa banda vero?”, gli chiese lo sconosciuto fissandolo negli occhi e sorridendogli.
“No, mi hanno rapito, mi volevano portare alla loro base”, rispose il bambino.
“Lo immaginavo”, gli rispose lo sconosciuto. “Lo fanno spesso i tipi come loro”.
“Perché tu che tipo sei?”, gli chiese il bambino.
“Come ti chiami?”, gli disse, ancora sorridendo, lo sconosciuto.,
“Enefanderor Caricstarmat, mi chiamo Enefanderor Caricstarmat” gli rispose il bambino, e aggiunse: “tu invece, come ti chiami? E perché sorridi? Hai forse cattive intenzioni?”.
Il giovane rispose: “io mi chiamo Fabrizio, e sorrido perché, bè, perché oggi sono di buon umore”, Enefanderor Caricstarmat non gli staccava gli occhi di dosso. “in quanto alle mie intenzioni”, e guardò il rosso, seduto, che questa volta sembrava attento a tutto quello che si diceva, “giudicherai tu stesso”.
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Il ragazzo, di cui ormai Enefanderor Caricstarmat conosceva il nome, fece per avvicinarsi al rosso, che era ancora seduto per terra.
La furia del ragazzo dai capelli rossi esplose tutta d’un colpo, si slanciò da terra con il piede sinistro, ancora sano, e tirò un pugno a Fabrizio, con la mano destra, che era fratturata. Questi si parò con il braccio. Un attimo dopo il rosso gemeva, steso a terra dal dolore, stringendosi la mano.
“Hai fatto tutto da solo amico”, gli disse Fabrizio, poi si rivolse al bambino: “scusa puoi tenere la mia borsa un attimo? Non è molto pesante”. Enefanderor Caricstarmat ubbidì all’istante e prese lo zaino del ragazzo, mettendoselo in spalla. “Grazie”, gli disse Fabrizio e il bambino lo vide caricarsi sulla schiena il rosso, che non opponeva più resistenza, forse placata dal dolore della mano, tornato fresco a causa della botta procurata dal pugno che il rosso aveva dato con l’arto ancora fratturato.
Fabrizio disse al bambino: “su avanti, andiamo ora”, la stanga ancora in mano, usata come bastone di sostegno.
“Dove stiamo andando Fabrizio?”, chiese il bambino incuriosito.
“Proprio dove ti stavano conducendo loro Enefanderor, alla ferrovia”, lo guardò Fabrizio mentre camminavano, “ti chiami così vero?”. Il bambino annuì e scoprì una fila di denti, a sorriso.
I tre arrivarono nei pressi dell’area ferroviaria. A quel punto il bambino, sempre seguendo Fabrizio, vide che erano arrivati nei pressi di un grosso albero con affianco una costruzione di pietra di colore grigio scuro, che si affacciavano sulla ferrovia e sulla sua stazione, da tempo, come per il parchetto, abbandonata.
Fabrizio si avvicino alla porta di colore nero, era in ferro, e rivolto al rosso ancora in spalla disse: “Avanti, so che siete in cinque, la parola d’ordine”. il rosso rimase muto.
Fabrizio schiacciò piano e lentamente con una mano la frattura del piede destro del suo prigioniero. Il rosso gemette. “Urla e sei morto”, gli intimò Fabrizio. “La parola d’ordine…”
Il rosso lo guardò con disprezzo e gli disse: “non entrerai da nessuna parte se non sarò io a parlare brutto idiota”.
“E allora parla tu”, guardò il rosso negli occhi.
Il rosso sapeva che se avesse tentato di fregarlo sarebbe quantomeno stato controproducente per la sua salute.
Fabrizio bussò tre volte, con colpetti veloci, sulla porta di metallo.
Si sentì un urlo, e dei passi, pochi attimi dopo una voce rispose “Chi è?”
Il rosso rispose: “sono io”.
La porta si aprì all’istante, un ragazzo con i capelli scuri e la barba era sull’uscio.
“Ammazzalo Mongan!”, gridò con quanto fiato aveva, il rosso.
Ma Fabrizio aveva già scaraventato con la sua stanga. contro il muro della stanza, il ragazzo, che ora si rialzava sputando denti e sangue. Il giovane era fuori di sé, estrasse dalla tasca un coltello e lo lanciò con precisione verso Fabrizio, che lo parò con la sua arma.
“Bastardo!” gridò il ragazzo, e corse a prendere un soprammobile d’oro su un mobile che era nella stanza, da usare come arma contro l’intruso.
Fabrizio aveva già raccolto il coltello e glielo aveva lanciato, piantandoglielo nel braccio destro, mentre il rosso lo picchiava con violenza sulla schiena.
Fabrizio aveva allora scaraventato il rosso a terra rompendogli il braccio con la mano fratturata.
Era corso dall’altro, che era rimasto con il coltello impiantato nell’arto, che stava tornando a prendere un soprammobile seppur accecato dal dolore, e lo aveva colpito sulla testa con la stanga facendolo cadere a terra svenuto.
Enefanderor Caricstarmat era rimasto sulla soglia dell’edificio. A bocca aperta. Era scandalizzato da quella situazione, non immaginava che delle persone potessero arrivare a scannarsi in quel modo senza neanche parlarne prima, discuterne.
“Enefanderor ci sei?”, gli chiese Fabrizio mentre faceva la guardia al rosso, steso a terra che gemeva per il suo braccio rotto.
Il bambino guardò sorpreso Fabrizio, come se fosse stato interrotto da chissà quali profonde riflessioni.
“Guarda che non sono scemo, se è questo che pensi” Enefanderor Caricstarmat guardava indignato Fabrizio, come se si fosse offeso per il richiamo.
“Non l’ho mai pensato” gli sorrise Fabrizio “puoi aprire lo zainetto Enefanderor?”.
Colto alla sprovvista da quella richiesta il bambino rispose: “Oh si! Subito Fabrizio!”.
“Prendi la corda che c’è dentro”, ora Fabrizio guardava il rosso, ancora a terra, ormai stremato.
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Il rosso era stato legato come un salame da Fabrizio; ora giaceva contro il muro e tirava imprecazioni contro di lui.
Fabrizio lo ignorò.
Enefanderor Caricstarmat sentì dei rumori e delle voci di bambini, attutite ma concitate (parlavano tra di loro), provenire da una stanza in fondo al corridoio della casetta. Anche Fabrizio doveva aver sentito perché guardava verso la stanza con la porta chiusa.
“Possiamo andare a vedere di là?”, chiese impazientemente Enefanderor Caricstarmat guardando Fabrizio.
“Si, ma con prudenza”, gli rispose Fabrizio sorridendo.
E lasciarono il rosso a imprecare da solo.
I due procedettero lungo il corto corridoio, con uno specchio a decorare lo spoglio muro in cemento. Enefanderor Caricstarmat procedeva davanti a Fabrizio.
Arrivati alla porta il bambino la dischiuse lentamente e guardo dentro.
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Enefanderor Caricstarmat rimase stupito. All’interno della stanza c’erano almeno una ventina di bambini, tutti più o meno della sua età; ora lo guardavano tutti, sembravano spaventati, non tanto da lui, ma forse più dal suo arrivo inaspettato, raramente in quella casa era permesso ad un bambino di aprire una porta a suo libero piacimento.
Fabrizio si avvicinò alla soglia. “Hai visto Enefanderor Caricstarmat? Questo è quello che oggi gli uomini fanno a dei bambini come te”.
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Fabrizio riuscì a convincere i bambini a seguirlo fuori dalla casa; questi, inizialmente intimoriti, sembrarono convincersi non appena videro il ragazzo dai capelli rossi legato all’ingresso della casupola, il loro carceriere era ormai un prigioniero, non avevano più paura di lui e delle sue prepotenze.
“Enefanderor aspetta fuori con loro”, gli aveva chiesto Fabrizio e lui aveva aspettato fuori, ma non aveva parlato con loro, quei bambini ora erano silenziosi, e lo fissavano, quasi non si fidassero di lui.
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Fabrizio aveva trovato un'altra corda all’interno dell’edificio e ora completava la sua sistematica opera di imprigionamento, stava infatti legando l’altro ragazzo, lo aveva prima fasciato alla ferita procurata dal coltello perché questa era piuttosto profonda e stava per morire dissanguato.
Ora il rosso lo guardava avido, quelle cose che prima erano appartenute a lui, la sua casa, il suo piccolo dominio al momento erano in balia di quel ragazzino spuntato dal nulla, piovuto giù da un semaforo; ma che voleva da loro quel tipo? Fare l’eroe? Nessuno fa niente per nulla di questi tempi, pensò il rosso.
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Fabrizio si avvicinò al capo, che giaceva contro il muro. Le mani sporche del sangue del ragazzo medicato. Lo afferrò per i capelli e gli disse aspramente: “dov’è?”. Il rosso lo guardo stupito. “Che cosa?”.
“Lo sai bene” Fabrizio gli parlò all’orecchio e il rosso ebbe un sussulto. “Tu non puoi prenderlo e portarlo via, ti ucciderà…”.
“Non ho paura di lui”, sentenziò Fabrizio e lo prese di nuovo per i capelli. “Avanti dov’è?”.
Il rosso gli indicò con il dito del braccio sano una porta di legno chiusa, a destra del corridoio, “nella dispensa, non rubare il cibo per favore”. Fabrizio gli rispose: “solo quello sufficiente a sfamare quei poveri bambini, quel poco che gli avete negato finora”. Il rosso lo guardò negli occhi: “ io non ti credo,quelli come te non sono degli eroi, tu vuoi quei bambini pezzo di ***** , ci hai fregato gli schiavi, ora ci vuoi fottere anche quello”; Fabrizio lo sollevo per i capelli. “Fammi vedere tu dov’è, forza”.
Fabrizio trascinò il rosso all’interno della dispensa, tirandolo per le spalle. “Allora dov’è?”.
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Enefanderor Caricstarmat era veramente imbarazzato; tutti quei bambini, maschi e femmine, se ne stavano lì, in silenzio, ad osservarlo. Lui non sapeva cosa fare, come comportarsi.
“Salve!”, esclamò all’improvviso Enefanderor rivolto al gruppetto di bambini, che per tutta risposta sembravano fissarlo con maggiore intensità.
Ad un certo punto Enefanderor vide che i bambini si lanciavano occhiate tra di loro e lo guardavano parlando a bassa voce, comunicandosi qualcosa. A quel punto l’imbarazzo di Enefanderor si trasformò in indignazione; “che cosa avete di così importante da dirvi?” disse Enefanderor, rivolto al gruppetto, con aria offesa.
A quel punto arrivò Fabrizio; la risposta non era arrivata dai bambini che ora fissavano il ragazzo uscito dalla casetta.
“State facendo amicizia?”, fece Fabrizio ai bambini e a Enefanderor.
Enefanderor alzò le spalle, silenzioso. All’arrivo di Fabrizio si era voltato, ma non lo stava guardando in faccia, quasi fosse imbarazzato.
“Comunque ho bisogno del tuo aiuto Enefanderor”, gli disse Fabrizio.
“Che cosa dovrei fare?”. Ora il bambino guardava negli occhi il suo interlocutore.
“Vieni con me dentro”, gli disse Fabrizio.
Prima di seguirlo ed entrare Enefanderor guardò ancora una volta il gruppetto di bambini, che avevano ripreso a fissarlo. “Fate un po’ come volete”, mormorò Enefanderor, ed entrò.
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Il bambino seguì Fabrizio fino alla dispensa, passando per il piccolo corridoio; Enefanderor aveva notato che del rosso e del suo compagno non vi era traccia, cosa gli aveva mai fatto Fabrizio?
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