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Mister Master

Circolo degli Antichi
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    Qui vi sono i miei avatar passati ed i miei Fonzie preferiti!
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  10. Scusate, ma conoscete GiRSA? è un gioco semplicissimo dove l'unica cosa veramnete elaborata sono le tabelle dei critici. Ve lo consiglio. Inoltre, imho, la morte mette in riga, certo, ma magari mette più "in riga" giocare come uno si diverte. Tralasciando il fatto che d&d dichiara espressamente che i pg POSSONO e DEVONO vincere molti incontri del loro livello ed anche superiori al loro livello! Detto spiccio: i pg non sono fatti per morire facile! Certo, io mi riferisco alla 4a (ma anche un pò alla 3a), in fondo la sezione è quella. Personalmente riterngo che il sistema di danno massimo sul critico sia molto meglio del raddoppio (mai fatto un critico da 3 danni con un' ascia?), nonchè di qualsiasi tabella di critici che abbia mai provato, in quanto quest'ultima rallenta il gioco notevolmente e va (diciamocelo sinceramente) al solo svantaggio dei pg. Un goblin, una volta che incontra i giocatori, beh, non credo avrà da preoccuparsi troppo se gli tagliano una mano od il naso...tanto stianta lo stesso! I pg, d'altro canto, se anche al 20° possono essere uccisi da un paio di goblin, o quantomeno storpiati, ne converrete, hanno poche speranze di condurre una campagna in stile "salva il mondo". Insomma, non è eroico per niente! E non è questione di PP; è Dungeons & Dragons. Imho. D'altro canto esistono infiniti modi per rendere il combattimento più sbrigativo (a livello di mortalità) o letale anche senza toccare i critici. Inoltre se il vostro intento è quello di punire i giocatori con la morte, ebbbene, vi ricordo che l'unico a decidere se un tiro per colpire è un 20 è il master. Vi assicuro che la morte fa presto ad arrivare ai giocatori che si dimostrano indegni di vivere, con o senza critici. Tutto imho. Cordialmene:bye:
  11. Non mi pareva di avere esagerato con le volgarità, semplicemente è il personaggio che mi tornava bene come uno che ha il c...o parecchio in bocca. Ma proverò a levrle per vedere che succede. "Controllo che non ci sia nessuno intorno, ma è ovvio che no, la zona è piuttosto isolata" Sta a dire che controllando, è ovvio che no, non c'è nessuno intorno, dato che la zona è isolata. Grammaticalmente è corretto, solo molto colloquiale. Peraltro mi sono accorto ora di questo: Un po’ rambo, un po’ naruto, con un tocco di sadomaso per via della tuta che mi esalta **** e pacco. Ebbene rullino i tamburi, qui c'era scritto Coolo...la censura bolscevicha miete vittime gluteiformi.
  12. Mister Master

    La Voce

    Esatto. Proprio9 per quello. Coscienza? No party. Cosa è Top Ten?
  13. Non ce lo vedo proprio un chierico così a lanciare il "Fulmine di pegasus!!" (nome standard per i poteri 4a ed)...lo troverei un pò fuori luogo. Secondo me non vuole tu lo faccia perchè sei poco controllabile. Non sei nemmeno troppo legato al gruppo, immagino. Magari, poi, te ne vai a giro in posti in cui non dovresti a caso, invece di startene seduto in locanda ad aspettare la quest;-). Certo è che bisognerebbe vedere le motivazioni del master. Se sono solo quelle che dici te( è limitativo per il party, non è un chierico) allora hai poco da fare. Se il dm ha, per la sua campagna, altre idee per i chierici non c'è trippa per gatti. E se tutti (ma specialmente il dm) ritengono che il tuo pg castri il gioco, non c'è trippa nemmeno per gli avvoltoi. Però non so perchè, ma sento che se il tuo pg fosse un ladro gli andrebbe già meglio. Sbaglio?
  14. Mister Master

    La Voce

    Si, il ritmo spezzato lo ho notato anche io. Dici che è solo questione di virgole? Secondo me levandole non migliora, andrebbe riscritto, ma proverò. Edit: in effewti certe virgole erano messe proprio a casaccio!
  15. :confused: Lo ho rilewtto prima di postarlo ed anche ora. Non capisco a cosa ti riferisca! Scusa dusdan, ma non vedo errori di grammatica o di concetto. Se è per la punteggiature, manca qualche virgola,ma...non capisco (ho un dejavù).
  16. Bravo. Per tutti i racconti! Anche l'ultimo con lo zombie!
  17. Mister Master

    La Voce

    Nella penombra uterina della sua dimora, Mekran il Negromante sfogliava per l’ennesima volta il grosso tomo dalle morbide pagine in pelle umana. L’inchiostro misto a sangue con cui era stato vergato si confondeva parecchio con quella poca luce, ma lui, abituato a tenebre ben più profonde di quelle naturali, non perdeva una sola riga. Quello scritto era in suo possesso da anni ed era divenuto sua croce e delizia dal momento stesso in cui lo aveva acquisito dal cencioso mercante Kahilano per pochi spiccioli di bronzo. Lo aveva ispirato subito, quel libro, così come lo aveva colpito il fatto di non riuscire, almeno inizialmente, a decifrare null’altro se non il titolo sulla costola : “Libro della Mietitura” era lì impresso in lettere d’oro svolazzanti. Col tempo però lo aveva decifrato ne aveva appreso i contenuti. Grazie a quel tomo maledetto era venuto a conoscenza di antichi rituali per evocare i Geni dei Venti, aveva scoperto come allungare innaturalmente la propria vita o come troncare quella altrui… Eppure, ancora, dopo oltre quattro decenni di studio disciplinato, l’oramai ultracentenario Mekran, non era stato capace di apprendere ed applicare a suo vantaggio tutto quello che era scritto là su quelle pagine antiche. Ancora, alla sua collezione di nefandezze, mancava quella più grande: sottrarsi alla morte. Proprio quel rituale complicato ed infame era spiegato con meticolosa dovizia nell’ultimo capitolo. Aveva sempre rimandato il suo appuntamento con l’Immortalità non perché non possedesse i mezzi e le capacità di mettere in pratica il rito, ma solo e soltanto per paura. Paura della frase che chiudeva il libro, che recitava: “Ma si ricordi il valente che oserà sfidare la morte che il successo è assicurato solo ad una condizione: che nel suo cuore non vi sia spazio alcuno per pietà e compassione, nessun amor proprio o volontà di conservazione. Il minimo dubbio conduce all’averno, ad esser pasto di demoni e Geni, in eterno.” Era già stato nell’averno un paio di volte, per contrattare con i Vassalli Oscuri e non gli era piaciuto affatto. Quella terra nera e bruciata, quelle anime torturate in modi così crudeli…no, non gli sarebbe piaciuto essere al loro posto. Eppure, lentamente, stava cominciando ad acquisire coraggio e ripassarsi ulteriormente le formule e gli scongiuri necessari all’evocazione della Porta Divina gliene forniva in abbondanza. Poi con uno scatto chiuse il libro, facendo rintronare cupamente le sale vuote e sussultare di paura i suoi servi storpi, rannicchiati in pose grottesche negli angoli. Si era deciso. Basta, si disse, la paura poteva essergli solo d’impiccio. Si diresse rapido verso la stanza dei rituali, facendo strusciare il suo lungo abito sul pavimento. Svelte le figure lo seguirono, gobbe e riverenti, come uno stuolo di ratti. Il cerchio d’evocazione era pronto, alle quattro estremità della stanza gli altari insanguinati attendevano la loro vittima sacrificale. Dall’alto del suo blasfemo pulpito, il grimorio stretto in braccio, osservava i suoi servi più robusti e maligni che accompagnavano i sacrificandi incatenati verso il loro ultimo sonno. Con un ghigno soddisfatto appoggiò con lentezza il libro sul leggio e, quando i pugnali furono ben piantati nei cuori di quei quattro sventurati si schiarì la gola per dare inizio alla nenia demoniaca. Appena aprì bocca, però, successe qualcosa. Nelle sue orecchie, una voce sconosciuta o quantomeno dimenticata, risuonava, con parole di avvertimento e di supplica, bisbigliando qualcosa come “non lo fare mekran, puoi ancora salvarti” e così via, sullo stesso tono. Interdetto, il negromante alzò gli occhi dal libro e fissò esterrefatto e furioso i propri servi. Qualcuno di loro aveva forse parlato? Ma no, che idea sciocca, pensò, ho tagliato loro la lingua proprio per evitare simili interruzioni. Ma allora chi ha parlato? Sono forse impazzito, che odo le voci? Si lisciava il pizzetto adunco con le dita, lo sguardo più calmo, ma interrogativo, sui gobbi figuri nella sala, lì sotto. Questi da parte loro, come percependo l’agitazione del loro signore iniziarono a ritirarsi nell’ombra e negli angoli, preoccupati di poter essere trasformati in qualcosa di ancora più ripugnante. Erano passati già vari minuti, ma ancora Mekran rifletteva. Eppure, dannazione doveva sbrigarsi, altrimenti il sangue si sarebbe raffreddato ed avrebbe dovuto cercare altri quattro cani da sacrificare. Con un sonoro “Bah”, a testimonianza del suo ancor presente dubbio, ricominciò da dove era stato interrotto. Rassicurati, i servi, tornarono nuovamente al centro della sala ad osservare curiosi ed impazienti Mekran. Nonostante fosse concentrato sulla formula del rito, là sul suo pulpito blasfemo, continuava ad essere incerto. Cosa era quella voce? Erano i suoi dubbi e quindi la condanna ad una eternità di sofferenza, se avesse osato continuare? Era uno scherzo di qualcuno dei suoi nemici? Oppure erano i Geni stessi che cercavano di trarlo in inganno? Di nuovo, la voce. “Femati Mekran, basta, non andare oltre. Non riuscirai!”… “Adesso basta!!” tuonò il mago, spargendo con uno scatto attorno a sé la polvere di Ibn, che teneva sempre in un sacchetto alla cintura. Adesso avrebbe scoperto chi, celato allo sguardo si divertiva alle sue spalle. Ma tutto ciò che la polvere magica rivelò nel suo mescolarsi con l’aria furono solo i soliti demonietti alati, attirati dalle energie che il rito andava liberando. Questi, accortisi di non essere più invisibili, fuggirono vorticando nella stanza fino a svanire nelle pareti, lanciando stridii troppo acuti per essere uditi seguiti a ruota dai servi, (le cui grida beote si udivano anche fin troppo bene) che corsero via uscendo dalla stanza. Macchè, per il genio dei segreti! Cosa era quella voce! Mugugnando Mekran si appoggiò spazientito al parapetto e fissò il vuoto davanti a se. Doveva sapere cosa stava succedendo. Così aprì il Libro della Mietitura e cercò qualche indizio che lo potesse aiutare. Rapidamente lo scorse e vi trovò varie conferme ai suoi timori: erano certamente geni dell’inganno che gli stavano facendo perdere tempo. L’unica cosa che non riusciva a capire era il perché la polvere di Ibn non li avesse svelati all’occhio. Forse, pensò, sono lontani da qua e stanno giocando con la mia mente. Bravi bravi, adesso gli avrebbe fatto vedere lui. Con l’unghia affilata si aprì una profonda ferita sul palmo sinistro, dalla quale subito sgorgò il sangue. Con questo tracciò automaticamente sulla propria fronte alcuni simboli di protezione e bisbigliò la formula della Mente di pietra. Alla pronuncia, poi, di una altra semplice formula, il sangue si arrestò e la ferita scomparve. Sghignazzò. I simboli e la formula che proteggevano la sua mente erano i più potenti in assoluto e quei geni infidi potevano anche andarsene a tormentare gli asini selvatici per quanto lo riguardava. Sospirò. Aveva ancora poco tempo, ma in fondo cosa era il tempo per lui? Lo rallentò con l’aiuto del potere del libro e guadagnò giusto i cinque minuti di cui aveva bisogno. Terminò il rituale senza che la voce lo disturbasse, nonostante potesse percepire oltre la barriera protettiva dell’incantesimo la petulante presenza di parole che vi rimbalzavano, via via più insistenti, mentre lui proseguiva nel suo intento. Ovviamente non se ne curò. E così, alla fine, ce la fece. Davanti a lui, dalla rottura del velo di ciò che è reale, poteva vedere la porta dorata, il premio, il traguardo, l’Immortalità. Avanzò sicuro, mentre il mondo materiale tutto attorno scompariva e quella petulante presenza continuava a rimbalzare all’interno della sua testa. Un momento. Ma la voce non avrebbe dovuto trovarsi fuori da lui?? Allora perché l’incantesimo la stava tenendo dentro?? Mentre la porta infinita si apriva lenta, Mekran, se avesse avuto ancora un corpo, avrebbe tremato e sudato sale. Perchè aveva rimosso l’incanto che isolava la sua essenza ed aveva sentito. Aveva sentito la voce che, un tempo oramai perduto, lui avrebbe chiamato coscienza. E, soprattutto, aveva riconosciuto nello spiraglio che la porta andava formando, il distorto sorriso dei Vassalli Oscuri. Un racconto Fantasy per cadere sul classico. Che non guasta mai. COmmenti e critiche le benvenute! Spammate responsabilmente.
  18. Mister Master

    La Battaglia

    Si erano radunati tutti là, attorno al campo di battaglia, vestiti a festa. Erano venuti, per osservare, da debita distanza (i codardi), chi avrebbe vinto. Lo sapeva per esperienza, oramai, non avrebbero fatto alcun rumore; sarebbero stati lì, immobili come avvoltoi di cera, ad attendere. Tutt’al più avrebbero applaudito ogni tanto, per sottolineare il loro apprezzamento per qualche intuizione tattica particolarmente spettacolare o sanguinosa. Non gli erano mai piaciuti, ma non poteva farci nulla. Anche l’altro, dal lato opposto del campo, osservava quel pubblico imbellettato e bisbigliante. A testa alta entrambe i Re sostenevano le occhiate indagatrici ed i commenti delle figure che li circondavano. Pur essendo nemici ed apprestandosi a mandare al macello le proprie truppe, le une contro le altre, i due sovrani non poterono non scambiarsi una occhiata di conforto e sostegno reciproco: in un certo senso, l’esser parte di quel sadico gioco, li univa e li faceva sentire più vicini; provavano un certo sollievo al pensiero di non essere soli a dover sopportare gli sguardi indiscreti ed i brusii che si levavano dal pubblico. Al segnale convenuto presero il loro posto a capo delle rispettive armate. Si scrutarono con attenzione. Passarono in rassegna mentale le proprie truppe e poi si dettero a soppesare quelle dell’avversario. Ognuno poté notare la perfetta disciplina di ambedue le schiere, salde ed immobili, nell’attesa di ordini. Ognuno poté notare come le forze in campo fossero praticamente identiche: stessa quantità, stesso armamento e stessa disposizione sul campo. Quasi a voler rispettare un accordo arcano, entrambi, senza pensarci troppo, avevano schierato la propria forza come l’avversario. Magari avrebbero potuto continuare a riflettere sul fatto, avrebbero potuto accorgersi che l’unica cosa che li differenziava era il colore delle divise, ma… non era dato loro il potere di decidere. Per secoli si era fatto così e nessuno, men che mai loro, avrebbero cambiato le cose, pensarono i Re. Di nuovo un segnale ed a questo, la lunga linea scintillante d’armi della fanteria, avanzò in più punti, coprendo gli spostamenti dei veri assassini dell’esercito avversario: la possente cavalleria, rilucente come statue di metallo, e l’orgogliosa fanteria d’elite, con le loro insegne maestose, ritte contro il cielo, già pronte per essere alla testa dell’assalto finale. Per contro, dall’altro lato, anche la sua fanteria si muoveva, ma più lentamente. Che vengano pure, sogghignò, quando saranno ben impantanati tra le lance nere dei miei fanti,non avranno più tanta voglia di correre! E così ebbe inizio. Proprio come pronosticato, il pubblico, recitò in modo impeccabile la sua parte, quasi divertito mentre interi reggimenti di fantaccini venivano spazzati via dal tiro delle balestre spietate o calpestati dagli zoccoli ferrati dei giganteschi destrieri da guerra. Ma come applaudirono, invece, quando con mossa impeccabile il Re delle schiere di metallo bianco, tagliò in due la linea avversaria, abilmente giostrando lo scontro a suo favore. Il cozzo delle armi si univa allo scroscio del battito di mani, molto più forte anche del rombo della cavalleria, che si spostava qua e là come uno sciame di locuste nere, cercando i propri alter ego, per divorarli. Era un tripudio di follia, un orgia di morte dalla quale anche i due regnanti non poterono più tirarsi fuori: perché se prima avevano snobbato lo scontro, ebbene adesso, non esitarono a gettarvisi nel mezzo, le spade sguainate, pronte a cibarsi delle carni nemiche. Chi può dire perché lo fecero? Alla fine dello scontro molti dissero che anche i Re combatterono perché i loro eserciti erano decimati e vi furono costretti, ma pochi invece sanno ( e si guardano bene dal dirlo) che i due tiranni si gettarono nella mischia solo per brama di sangue e gloria.. Ben presto il campo di battaglia fu un carnaio, tanto che i morti divennero più dei vivi e perfino i due Re ed il pubblico s’impressionarono. I primi smisero di combattere e tentarono di mettersi in salvo, usando come scudi umani ciò che restava del loro esercito, mentre i secondi erano gelati dalla tensione, attendendo con trepidazione il momento in cui avrebbero potuto liberare, in un orgasmo di grida ed applausi la loro tensione, acclamando il vincitore. Passò ancora poco tempo, il giusto per far giungere il tramonto, e la battaglia finì. Il re che per primo si era gettato all’assalto era sconfitto e le sue bandiere ornate di madreperla ed argento sarebbero state legate alla coda di un asino e trascinate nel fango. Per quanto lo riguardava, lo sapeva, era libero di andare, ma quella sconfitta avrebbe pesato sul suo cuore per anni: non erano per lui gli applausi, non di lui si sarebbe parlato in tutto il mondo, l’indomani, ma dell’altro. E se anche il suo nome fosse comparso, per caso o gentilezza di qualcuno, allora lui sarebbe stato ricordato solo come “Lo Sfidante”. Quale vergogna! Si avvicinò a lui, sorridente, il Re delle schiere vittoriose, mentre ancora tutta l’aria rintronava del rumore delle mani sbattute le une contro le altre, nello sciocco rito dell’acclamazione. Chi lo aveva vinto gli porse la mano. Cortese, se non altro. Lui gliela strinse con decisione. “Sai che molto presto tornerò qui, sul campo, ad attenderti, vero?”, chiese lo sconfitto. “Certo. Non temere, mi troverai pronto. Sei un degno avversario.” Sorrisero, stringendosi ancora le mani e si allontanarono seguiti dal pubblico. Oramai era buio, nessuna luce rischiarava il campo ed i morti erano stati lasciati là come dimenticati, mentre i pochi vivi rimasti, impietriti dall’orrore, non avevano abbandonato né il campo né le armi. Semplicemente attendevano, cosa, neanche loro lo sapevano. Altro tempo trascorse e la luce si riaccese. Era arrivato l’uomo delle pulizie. Spazzò i pavimenti, li lucidò e, quando ebbe finito, si sedette per un attimo al posto di uno dei Re che si erano scontrati quel giorno. Con mano tremante, fantasticando chissà quali sciocche fantasie, rimise tutti i pezzi al loro posto, e li osservò estasiato. Lì, maestosi, immobili, gli Scacchi attiravano il suo sguardo, perso in sogni di battaglie e grandi Re. Questa è noiosetta, ma la posto uguale. Critiche e commenti i benvenuti. Spam solo su invito. Grazie!
  19. Non mi piacciono i cachi, ma certe cose proprio non le sopporto. Insomma, era lì da quando io riesco a ricordarmi, l’ho visto crescere (e lui avrebbe potuto dire lo stesso di me) e ricordo ancora i colori dei suoi frutti maturi e zuccherini, come di certo se li ricordano i merli golosi che lo assalivano in autunno. I miei anziani vicini sono appena morti, manco il tempo di arrivare al camposanto che subito – zac – i figli str°nzi ereditano la casa ed il bel giardino verdeggiante. Niente di male in questo, per carità, ma c’era proprio bisogno di eradicare qualsiasi forma di vita vegetale da quel riquadro di terra?? Cosa ha di tanto speciale il cemento, rispetto ai rododendri, all’edera selvatica ed al dispero, il mio preferito? Quell ’impasto in simil pietra non fiorisce, non profuma (anzi, quando è fresco, puzza di tumore ai polmoni), non cresce e l’unico colore che ha ti mette in corpo una voglia matta di suicidio. E allora, che c@zzo fanno questi??? Tagliano e segano. Poi però magari in casa hanno un ficus od un geranio, variabilmente morenti o finti. Quindi, ecco perché ho comprato questo motosegone. Bello lucido, a tre velocità, modernissimo, un misto fra “non aprite quella porta” e “guerre stellari”, presente il tipo, no? Non solo. La storia del caco di prima serve anche a capire perché nei giorni scorsi mi sono informato riguardo al nome ed all’indirizzo del responsabile dello spargimento di linfa. So tutto di lui, tranne il segno zodiacale. Lo dico perché mi sarebbe piaciuto leggere il suo oroscopo, giusto per vedere se c’era scritto qualcosa tipo “Pessima settimana, vi sentirete a pezzi” oppure “ Sarete disossati da una motosegona nuova di pacca”. Così, per curiosità. Non sono un ambientalista, intendiamoci. Di media me ne frega poco della natura, al massimo faccio la raccolta differenziata. E’ solo che quando ho visto un moncone di tronco dove prima era un ridente e odoroso alberello, ecco, non so cosa sia successo. Forse il concetto è lo stesso di quel film, come si chiama, ah si: “Un giorno di ordinaria follia”. C’è questo tizio, giaccaincravattato, tutto casa ed ufficio che un giorno si sveglia con le p@lle girate e fa una strage a fucilate. Più o meno lo stesso è successo a me. Ma, ehi, acqua in bocca. Già è stato difficile nascondere il mio acquisto a babbo e mamma. Ci mancherebbe solo che mi beccassero quando mi chiudo in camera ad affilare i denti della sega. In ogni caso, il gran giorno si avvicina: ho programmato la mia spedizione punitiva per sabato, visto che venerdì ho l’esame di psicologia criminale. E’ tosto, ma non mi preoccupa, sono preparatissimo. Ma non divaghiamo. Oggi è mercoledì quindi, andiamo un po’ avanti. Eccoci al giovedì. Quello sono io, che gioco a pallone con i miei compari di cassate. La sera studio, poi a nanna. Venerdì, mitico, c’è l’esame. Stupisco il prof che mi vorrebbe come collaboratore! Dice che sono un genio della psicologia, che riesco a pensare come un maniaco omicida. Bella forza. Incasso la lode, ringrazio e torno casa. Domani è il giorno x. Verso mezzanotte mi alzo dal letto e controllo l’equipaggiamento: Tuta nera da ninja urbano firmata Adidas, tanicozza da 5 di benza, zippo d’oro harley davidson, il segaccione, che ho purtroppo dovuto tingere di nero per via della sua eccessiva tendenza al riflesso, ed infine il sale grosso, 3 kili abbondanti. A che serve? Mi pare ovvio. In ogni caso se non ci arrivate, cassi vostri, lo vedete dopo. Mi vesto, metto tutto al suo posto fra zaino e cinghia da spalla e poi… Tahdaaah! Eccomi qua a rimirarmi davanti allo specchio: Un po’ rambo, un po’ naruto, con un tocco di sadomaso per via della tuta che mi esalta **** e pacco. E poi rido, perché ora viene il pezzo forte. Dall’armadietto tiro fuori lei, la maschera da Bossi! Trash è bello! Mi cambio di volto e sono pronto. La macchina ha poca benza, ma chissene, tanto l’ho f°ttuta da un parcheggio. Arrivo sotto casa del tipo. Carina, stile liberty, con un davanzale al primo piano, pieno guarda caso di gerani invasettati. Controllo che non ci sia nessuno intorno, ma è ovvio che no, la zona è piuttosto isolata. Così, senza preoccuparmi troppo del rumore, accendo la motosega. Romba ed inizia a borbottare. So che la camera da letto è al piano superiore, quindi non devo perdere tempo, la sorpresa è fondamentale. Il c°glione manco c’ha la porta blindata (ma non ha paura dei criminali? mah, di sicuro è comunista) e la riduco rapidamente in segatura (servirà dopo per il sangue) correndo come un forsennato entro nella casa, la sega alta che urla “WrEeEEeeEEEe”!!!! Salgo le scale, sento dei rumori, di certo m’ha sentito. Me lo ritrovo davanti con una ridicola mazza da baseball in mano, gonfio di sonno, infilato in un paio di mutandoni ascellari alla fantozzi. Ululo e quello si piscia sotto. Abbasso la segona sui suoi ginocchietti cicciosi e zam!, quanto c@zzo di sangue, altro che 5 litri! Imbratto tutte le pareti! Lui urla e crolla a terra, tarantolato. Io, ovviamente continuo il lavoro, stando ben attento a non ammazzarlo. Quando l’ho filettato il giusto, tiro fuori il sale. Lui mugugna qualcosa, ma tanto io faccio l’indiano. Glielo spargo addosso, dove ho scoperto i muscoli e le vene spruzzose. Che m&rda eh? Strilla come un porcello da latte. In fondo lo capisco: vedersi alle 3 di notte bossi che ti entra in casa e ti trita sul pavimento devono girare i c°glioni. Vabbè, una volta finito il sale, capisco che m’ho da muovere. Lo cospargo di benzina e lo zippo in mano gli dico, dove dovrebbe esserci l’orecchio: “Don Caco ti manda i suoi saluti, fetuso.” Simulo l’accento siciliano con disinvoltura e poi, via, verso le scale. Lo zippo colpisce il suolo e la luce accecante della giustizia lo avvolge. Continua a strillare, ma per poco. Io sono già in macchina, dopo essermi cambiato di faccia. La segona è sul seggiolino posteriore. Mi sbarazzarerò di lei nel caccoso Arno. Gli abiti sono neri ed il sangue non si vede, anche quelli poi, finiranno nel fiume. La macchina la lascio in zona cascine e con indosso un bel giubbottone lungo e nero, mi levo di torno. Tornando a casa mi sento improvvisamente stanco. Senza perdere tempo, mi faccio una doccia col vim, per levarmi il sangue di dosso. Si, si, lo so che così se fanno gli esami sulla vasca mi sgamano, ma in fondo non me ne importa. La valigia per la vacanza a sollicciano l’ho già preparata, anche se, infilandomi sotto le coperte, penso che ho sc@zzato. Eh già, quelli mica mi mandano in un carcere comune. Mi sa tanto che finirò coi grulli al manicomio criminale. Vabbè. Alla valigia da rifare ci penso domattina. Ora ho sonno. Buonanotte! Questo racconto l'ho scritto in un momento ispirato...si accettano critiche e commenti (e anche un pò di spam:-D).
  20. Che brutta discussione! E' proprio ciò su cui devo dare l'esame a breve!:cry: In verità l'eterna questione di cosa sia e con quale mezzo si possa produrre arte è molto interessante, anche se piuttosto viziosa. Innanzitutto vi dico cosa è per me l'arte: L'arte è tutto ciò che, nel bene e nel male, attrae la nostra attenzione ( ha un livello estetico) ed anche possiede per noi, od almeno per l'autore, un significato non necessariamente emozionale (possiede quindi un sotto-livello per così dire "psicologico"). Ciò significa che riuscire ad immortalare con un quadro od una foto un BELLISSIMO cielo azzurro con montagne innevate di contorno, per me, se riesco a vederci un significato, è arte (magari minore;-)). Non vi offendete quando aggiungo che anche quel bastardo che ha legato il cane e lo ha fatto morire di fame ha creato arte. Perversa e deplorevole, ma arte. Posso inoltre aggiungere che il concetto di cosa sia arte e di cosa la possa produrre è ALTAMENTE soggettivo, dato che anche i critici d'arte (a cui il sentire comune spesso demanda la decisione di accogliere una creazione umana e non tra la schiera delle "opere d'arte"), per quanto possano aver studiato, sono persone. Anche loro, molto spesso sono in divergenza di opinioni e si dividono in scuole di pensiero. Concludendo, la fotografia è arte, ma, Imho, solo quando corrisponde alle due condizioni sopra elencate. Così come il cinema, uno schizzo in carboncino su un sasso, una miniatura di warhammer perfettamente dipinta () ecc. Eppure sappiate che io stesso so che ciò che ho scritto sopra può risultare falso anche per me! In quanto la soggettività di una persona può mutare nel tempo. Negare però che la fotografia sia arte è impossibile: ogni tempo crea arte secondo i suoi mezzi. Così come i greci antichi non avevano che il marmo e le pietre dure per rendere fissa una immagine od un pensiero, noi adesso abbiamo alri metodi meno dispendiosi e più duraturi, meglio conservabili ecc. Perchè non sfruttarli? Il supporto su cui l'arte è "impressa" cambia di poco il valore in se dell'opera. Io sono convinto che se la gioconda fosse stata scolpita invece che dipinda ce ne sarebbe importato poco no? Concludo con un riassunto: si, la fotografia è arte. Spero di essermi spiegato bene!
  21. Grazie della fama! Ma sei sicuro che si possa dare fama per la cosa più Giusta ed Ovvia del mondo? CONAN FOR PRESIDENT! "E se tu non mi ascolti, va alla malora!":lol:

  22. Purtroppo da regole può funzionare. Ma ricordati che le regole non tengono conto dell'intelligenza del mostro. Essendo il tuo maseter ti direi: "Prova a farlo ad un drago rosso. Si guarda chi mangia arrosto, la sera."
  23. Ok. Domanda facile da un milione di dollari. COme faccio a far valutare i gioielli e simili ai pg? Per ora me la sono cavata con Bassifondi/Intuizione (inteso alla larga). Voi come fate, dite direttamente il valore o c'è una regola che ho perduto per strada???
  24. Se riesci a trovasre il rules cyclopedia del d&d base allora sei a cavallo. Se non lo trovi cercati glli ancora reperibilissimi Scatoloni verde e nero del D&d base (quello che usciva nelle scatole cromatiche). li dentro ci sono tutte le risposte alle tue domande, oltre ad un buon sisteema per la gestione di un terreno e di battaglie campali.
  25. Mister Master

    Il Ranger

    Ecco larin aspetta, perchè stiamop passando un pg da 3.0 a 3.5. Ed ho questo problòema. Come funziona, quindi, il compagno anim,ale per il ranger? Lo scelgo dalle listre, e quella penalità ai livelli scritta sopra cosa significa? Penalizza il livello del ranger in quanto a conferimento di bonus?
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