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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR8 Cities of Mystery
Un kit urbano nella storia dei Reami (1989)Nel giugno del 1989 la TSR pubblicò Cities of Mystery, ottavo supplemento della serie Forgotten Realms per AD&D, scritto da Jean Rabe e accompagnato dall’inconfondibile copertina firmata Larry Elmore. All’interno della scatola trovavano posto un manuale di 64 pagine, due grandi mappe ripiegate e una serie di fogli di cartoncini prefustellati, ideati da Dennis Kauth, per costruire ben 33 modellini di edifici a colori. Si trattava di un’uscita atipica: a differenza di altri moduli FR dell’epoca, FR8 offriva un vero e proprio toolkit generico per progettare città fantasy e animare avventure urbane. Il supplemento si inseriva in un momento di passaggio importante per D&D: era compatibile sia con AD&D 1ª Edizione sia con la neonata 2ª Edizione (come indicato sulla confezione), strizzando l’occhio a un pubblico ampio. In quegli anni la passione per i Forgotten Realms era alimentata non solo dai giochi ma anche dai romanzi: nel 1989 usciva la trilogia di Avatar, con eventi epocali ambientati proprio nella metropoli di Waterdeep, e le storie di Drizzt Do’Urden di R.A. Salvatore iniziavano a portare i lettori a Luskan, Calimport e altre città iconiche. Cities of Mystery rispondeva a questa atmosfera di entusiasmo fornendo ai Dungeon Master uno strumento universale per ricreare l’esperienza delle città dei Reami al tavolo da gioco. Pur recando il marchio Forgotten Realms, il contenuto è volutamente setting-free: il manuale sottolinea che “i fatti e i principi possono essere usati con qualsiasi gioco di ruolo fantasy. Una città è sempre una città, a prescindere dal sistema di gioco”. Questa impostazione storica fa di Cities of Mystery un supplemento peculiare, a metà strada tra espansione dei Reami e accessorio generico per Master esigenti. Dentro la scatola: contenuti e strutturaAprendo la scatola di Cities of Mystery ci si trovava davanti a un piccolo tesoro per ogni Dungeon Master amante dei dettagli. Il manuale di 64 pagine costituisce il cuore del prodotto, affiancato però da componenti speciali che rubano subito l’attenzione: 12 mappe modulabili (due fogli fronte-retro di grandi dimensioni, formato ~56×86 cm) raffiguranti strade, piazze e cortili, e soprattutto 33 edifici tridimensionali in cartoncino a colori. I modellini rappresentano case e costruzioni tipiche di un’ambientazione medievale-fantasy: cottage di un piano con tetti in paglia, locande e botteghe a due piani con tetti spioventi, perfino qualche palazzo con cortile interno. Le parti delle case sono già pretagliate e stampate in cartoncino spesso; grazie a linguette e incastri non è necessario l’uso della colla per montarli. Ogni edificio è curato con piccoli dettagli estetici, comignoli, abbaini, tetti a gronda, e pensato per l’uso con miniature in scala 25 mm, includendo anche supporti sul colmo dei tetti per posizionare le miniature senza farle scivolare. Le mappe fungono da layout stradale: ciascuna presenta varie planimetrie di quartiere (strade lastricate, piazzette con fontane o pozzi, persino i giardini di un palazzo) su cui il DM può disporre a piacimento gli edifici modulari. In totale, il materiale consentiva di costruire circa un isolato urbano completo, dando vita a uno scorcio di città tridimensionale direttamente sul tavolo. Il manuale è suddiviso in capitoli che guidano il DM nella creazione di città fantasy ricche di spunti narrativi. Si parte dalla fondazione della città (dove collocarla sulla mappa del mondo, tenendo conto di clima e risorse) e dalla scelta della dimensione dell’insediamento, dal piccolo borgo (hamlet) alla metropoli, con consigli su come calibrare popolazione e servizi in base alla scala. Viene poi affrontata l’organizzazione della società urbana in tutti i suoi aspetti: la forma di governo (dittatura, oligarchia, monarchia, teocrazia ecc.) e le sue figure di potere, complete di personalità e obiettivi che influenzano la gestione della città; le difese cittadine (mura, guardie, milizie) necessarie per proteggere i cittadini; le fonti economiche e commerciali, con un’utile lista di mestieri, negozi e servizi comunemente presenti (dall’alchimista al mercante di cavalli) per popolare i quartieri di mercato. Non mancano una sezione su usi, costumi e festività locali per dare colore alla vita quotidiana, e un intero capitolo dedicato a crimini e pene (dove si incoraggia il DM a definire un codice di leggi cittadine e relative punizioni, dal furto al tradimento). L’attenzione al realismo gestionale arriva fino a suggerire l’implementazione di un sistema di tasse per rendere credibile il funzionamento economico della città, dettaglio che rivela l’approccio quasi simulativo del supplemento. Una caratteristica piacevole del testo è l’uso di brevi scene narrative introduttive ad alcuni capitoli: stralci di dialogo in corsivo tra due avventurieri, Athormis (un mago) e Boliver (un nano), che viaggiano di città in città. Questi intermezzi offrono spunti umoristici e consigli indiretti, impersonando i “vecchi saggi” esperti di vita urbana. È un espediente letterario che rende la lettura più scorrevole e stimola l’immaginazione del DM con esempi di personaggi e situazioni. Ad esempio, in un passaggio Athormis e Boliver discutono delle differenze tra i vari quartieri di una città, dando al lettore l’idea di come suddividere l’area urbana in zone con caratteristiche diverse (distretti mercantili, zone malfamate, enclave razziali, ecc.). Questa tecnica narrativa contribuisce al tono appassionato e colloquiale del manuale, facendoci quasi sentire i racconti di due vecchi avventurieri in taverna. La seconda parte del manuale presenta strumenti pratici per arricchire le sessioni in città. Vi sono tabelle di incontro urbano basate su luogo e orario (incontri di giorno o di notte, in strada, in taverna, al mercato, ecc.), utilizzabili per improvvisare eventi durante le passeggiate dei PG. Queste tabelle bilanciano eventi amichevoli, ostili o insoliti, sottolineando che non tutti gli incontri devono sfociare in uno scontro: in città, anzi, molte interazioni possono essere sociali o di investigazione. Grande enfasi è posta sull’immersione tridimensionale grazie ai modellini: il manuale incoraggia a utilizzarli spesso e non solo per gli scontri pianificati, così che i giocatori non colleghino automaticamente la comparsa dei “cartoncini” a pericoli imminenti. Vengono descritti esempi di scene d’azione tra i vicoli: inseguimenti in cui un ladro guida i PG in una folle corsa tra vicoli e tetti, combattimenti con mostri nascosti dietro l’angolo, agguati in strade buie dove il Master può letteralmente sollevare un edificio di cartone per rivelare ciò che vi si nasconde sotto. L’effetto “teatrale” è garantito: con strade ed edifici fisici, i giocatori vedono chiaramente posizioni e coperture, eliminando discussioni sulla disposizione dei personaggi e aggiungendo un elemento tattile al gioco. Il manuale fornisce anche schede per progettare città (City Design Sheets) da compilare, aiutando il DM a tenere traccia di tutte le informazioni create: storia, popolazione suddivisa per razze, organizzazioni presenti, mappa dei quartieri, ecc. Come case study il supplemento offre Sauter, la Città sul Mare, un esempio di città interamente sviluppata con i criteri proposti. Sauter è un porto franco di 30.000 abitanti sul freddo Mare del Nord (il manuale non la localizza precisamente nei Reami, lasciando intendere che potrebbe trovarsi su qualunque costa settentrionale). La sua storia viene raccontata in dettaglio: fondata secoli fa da un gruppo di avventurieri a caccia di una miniera perduta, divenuta col tempo un florido centro di pesca e commercio marittimo, poi arricchita dalla scoperta dell’oro nelle colline vicine. La particolarità di Sauter è il governo a Triumvirato eletto dai proprietari terrieri, un sistema insolito che però ha assicurato stabilità e rappresentanza a tutte le razze presenti. Vengono descritti i leader attuali con i loro tratti e retroscena. Ogni aspetto cittadino è coperto: difese e forze armate (800 soldati regolari più milizie volontarie, navi da guerra e perfino narvali “amichevoli” a guardia del porto!), composizione etnica (un terzo non umani, con quartieri specifici per nani, elfi e halfling mescolati però da un forte spirito cosmopolita), quartieri distinti per ceto e razza, edilizia (case perlopiù in pietra e legno, con alcuni esperimenti architettonici in argilla cotta commissionati dai nani locali), e un articolato sistema di tassazione che copre ogni residente, proprietario o affittuario. Sauter funge sia da esempio pronto all’uso, il DM volenteroso potrebbe inserirla direttamente nella sua campagna, sia da modello didattico da smontare per capire come applicare le linee guida nella creazione di altre città. Da notare che, volutamente, non sono incluse mappe di Sauter: si invitano i DM a tracciarle da sé, magari usando proprio i moduli stradali e gli edifici del set. È un altro segnale dell’approccio “sandbox” del prodotto, più interessato a fornire strumenti che a imporre contenuti preconfezionati. Il capitolo finale del manuale presenta cinque avventure brevi ambientate in città, seguite da una pagina ricca di spunti aggiuntivi. Le avventure (dai titoli intriganti come “Ike Likes Spiders and Snakes” o “The Maltese Roc”) coprono vari generi: indagini di furti e omicidi, minacce mostruose nei vicoli, truffe magiche ai danni della cittadinanza, ecc. Ciascuna è pensata per dimostrare l’utilizzo creativo dei materiali 3D e delle idee esposte nel manuale. Chiude il tutto un elenco di plot hooks intitolato “Adventures for the Cities”: poche righe ciascuno, descrivono situazioni pronte a ispirare il DM. È emblematico che questa sezione si apra ribadendo che “ecco qualche trama base per avventure in città utilizzabili in quasi ogni sistema di gioco di ruolo fantasy”. Gli autori volevano chiaramente fornire semi narrativi versatili e non legati a regole specifiche. Scorrendo questi spunti, colpisce la varietà di idee e la loro modernità: ad esempio uno scenario vede un governante locale adottare tasse assurde e politiche egoistiche perché è stato segretamente rimpiazzato da un mostro mutaforma burlone, e starà ai PG smascherarlo e salvare l’ufficiale vero. Un altro spunto descrive una gang di borseggiatori travestiti da venditori ambulanti che derubano i clienti tra la folla del mercato, in combutta con un bottegaio ricettatore, finché i PG non vengono ingaggiati per infiltrarsi tra loro e porre fine ai furti. Ci sono idee che coinvolgono creature fantastiche (un mercante disonesto usa le piume di una cockatrice per pietrificare animali e venderli come statue viventi!), problemi cittadini molto “terreni” (un racket di estorsioni con l’ausilio di non morti controllati da un chierico corrotto), situazioni curiose e quasi umoristiche (il campione imbattuto di braccio di ferro che in realtà è un gigante sotto mentite spoglie). Insomma, il manuale si conclude con un vero arsenale di spunti che il DM può sviluppare a proprio piacere, a conferma della natura altamente creativa e open-ended di questo supplemento. Analisi critica: pregi, difetti e paragoniCities of Mystery rappresenta un esperimento affascinante nel panorama dei supplementi anni ’80, con punti di forza notevoli ma anche limiti dovuti alla sua natura ibrida. Tra i pregi spicca sicuramente l’innovativa componente tridimensionale: all’epoca fu lodata dai recensori per la sua utilità e il divertimento che aggiungeva al gioco, specialmente per chi già amava usare miniature. I modellini 3D e le mappe modulabili riescono tutt’oggi a trasmettere un senso di meraviglia fanciullesca, trasformando l’allestimento della sessione quasi in un gioco di costruzioni e offrendo ai giocatori un livello di immersione tangibile (vedere davvero la taverna o la torre su cui si trovano i propri personaggi non è cosa da poco!). Anche il manuale in sé è ricco di contenuti utili: copre un ampio spettro di argomenti sul design delle città fantasy, funzionando bene come checklist per il Master. La scrittura è scorrevole e arricchita di esempi, il che rende facile assimilare concetti che altrimenti potrebbero risultare aridi (urbanistica, governo, tasse...). In particolare, l’idea di coinvolgere attivamente i personaggi giocanti nella vita urbana, come mercanti, guardie o governanti, è piuttosto lungimirante: anticipa temi che diventeranno comuni in prodotti successivi (ad esempio l’ascesa dei PG a nobili o leader, o la gestione di proprietà in città nelle campagne). Si può dire che Cities of Mystery incoraggia forme di gioco più sandbox e narrative rispetto al tipico “dungeon crawling”, spingendo i DM a vedere la città non solo come sfondo ma come protagonista attiva delle avventure. D’altra parte, alcuni limiti furono evidenziati già all’uscita. Uno dei principali è la blanda specificità ambientativa: malgrado il logo Forgotten Realms, nel modulo non c’è praticamente nulla di distintivo dei Reami. Questo attirò critiche da parte di chi si aspettava un approfondimento di qualche città famosa: il recensore Ken Rolston sottolineò che il prodotto “non è ben collegato all’ambientazione dei Forgotten Realms” e che molti elementi risultano generici, di valore limitato per chi cercava materiale già contestualizzato. In effetti Cities of Mystery poteva deludere il fan dei Reami in cerca di lore: nessun riferimento a luoghi come Waterdeep, Suzail o Baldur’s Gate, né apparizioni di personaggi o divinità iconiche (persino il pantheon usato nell’esempio Sauter nomina Poseidone invece di divinità dei mari più pertinenti ai FR!). Il supplemento sacrifica l’atmosfera di Faerûn per privilegiare l’uso universale: una scelta progettuale comprensibile, ma che lo rende un unicum un po’ ai margini del canone dell’ambientazione. Da questo punto di vista è interessante il confronto con i contemporanei Waterdeep and the North (FR1) e The Savage Frontier (FR5). Questi ultimi fornivano descrizioni specifiche rispettivamente della città di Waterdeep (con tutti i suoi personaggi illustri, vicoli e segreti) e delle Frontiere Selvagge del Nord, fungendo da guide “pronte all’uso” per ambientare avventure nei luoghi più celebri dei Reami. Cities of Mystery invece offre una cassetta degli attrezzi generica: eccellente per costruire da zero città proprie, ma meno immediata se lo scopo è approfondire un luogo ufficiale. Un DM intenzionato a dettagliare Waterdeep o un’altra metropoli dei FR avrebbe comunque preferito attingere ai supplementi dedicati a quella città (o ai romanzi) per coglierne il sapore unico, usando semmai Cities of Mystery come complemento per aggiungere mappe 3D e strutture fisiche al tavolo. Un altro punto debole risiede nella varietà limitata dei modelli inclusi: come osservò la recensione su Dragon, le costruzioni sono tutte di stile europeo medievale. Se da un lato ciò copre bene le città “standard” dei Forgotten Realms (che in molti casi si ispirano a modelli occidentali), dall’altro non permette di rappresentare architetture più esotiche o differenti (si pensi alle cupole e minareti di Calimshan, alle pagode di Kara-Tur, o anche solo a edifici più imponenti come castelli e templi). TSR in seguito pubblicherà un set analogo dedicato ai castelli (Castles, 1990) proprio per supplire a questa mancanza, ma nel 1989 chi avesse voluto diversificare gli edifici avrebbe dovuto metterci del proprio. Persino all’interno dello stile europeo, Bigelow su Dragon notò che sarebbe servita una maggiore diversità di forme (ad esempio edifici più alti, strutture particolari) e trovò le istruzioni di montaggio un po’ scarse, potenzialmente fonte di confusione. In pratica TSR puntò su robustezza e modularità (case impilabili per creare palazzi più alti, possibilità di combinare più set insieme) a scapito dell’estetica varia: scelta pragmatica, ma che lascia al collezionista di oggi la curiosità di come sarebbero stati degli edifici di altre culture o fogge. È interessante notare che Cities of Mystery fu concepito in una fase di sperimentazione da parte della TSR. Negli anni precedenti erano già apparsi accessori 3D (ad esempio alcuni Dragon Magazine includevano progetti di costruzioni di carta, e il boxed set Battlesystem del 1985 conteneva alcuni edifici pieghevoli), ma qui la componente tridimensionale divenne il fulcro. La stessa linea FR aveva visto nel 1988 City System, un set di mappe di Waterdeep pensato sia per i fan dei Reami sia per essere riutilizzato in contesti generici. In un certo senso, Cities of Mystery e City System furono due approcci complementari al tema “città nei GDR”: City System offriva mappe dettagliatissime di una città reale (Waterdeep) ma con informazioni ridotte e generiche, mentre Cities of Mystery offriva tante informazioni e materiali pratici ma una città fittizia e nessuna mappa specifica di luoghi celebri. All’epoca questa strategia confusa fu criticata (Wayne’s Books la definì una “bizzarra politica evitante” nel marketing di Waterdeep), ma col senno di poi ci mostra la TSR alle prese col bilanciare worldbuilding narrativo e strumenti di gioco. Sta di fatto che Cities of Mystery, pur essendo un supplemento ufficiale FR, rimane un prodotto a sé stante. Forse proprio per questo, nel bene e nel male, ha saputo conservare un’aura particolare: non legandolo troppo ai Reami, gli autori gli hanno implicitamente garantito una longevità e utilità che trascendono la sua epoca. Attualità e valore oggiA distanza di oltre trent’anni, viene spontaneo chiedersi quale possa essere l’utilità di Cities of Mystery per i giocatori e i Master di oggi. La risposta sorprende in positivo: questo vecchio box set ha ancora molto da offrire, sia agli appassionati dell’OSR (Old School Renaissance) sia ai giocatori di D&D 5ª Edizione e oltre. In primo luogo, il manuale costituisce un ottimo compendio di consigli per il design urbano che prescinde dal regolamento. Le linee guida sulla creazione di città, le tabelle di incontri, gli elenchi di mestieri e governi sono facilmente applicabili a qualunque gioco fantasy. Anzi, la loro natura generica li rende perfetti per i gruppi OSR, che spesso mescolano materiali di varie edizioni: qui non c’è bisogno di conversioni, perché praticamente non ci sono statistiche di gioco da adattare (tutto il materiale, a parte qualche mostro o PNG nelle mini-avventure, è system-neutral). Anche per un Master di D&D 5e in cerca di ispirazione, sfogliare Cities of Mystery può rivelarsi illuminante: molti dei tip presentati, come coinvolgere i PG nella comunità, creare festività uniche, usare eventi urbani come quest, risuonano con lo stile di gioco odierno, più narrativo e orientato alla costruzione collettiva della storia. Il capitolo degli “Adventure Ideas” poi è praticamente senza tempo: leggendo spunti come il governatore sostituito dal doppleganger o i ladri travestiti da venditori ambulanti, si possono facilmente immaginare avventure da giocare domani stesso con un gruppo di D&D contemporaneo, e questo testimonia la freschezza del design di Jean Rabe nel 1989. Dal punto di vista dei materiali fisici, Cities of Mystery conserva un fascino artigianale che nell’era digitale può sembrare quasi vintage, ma che molti appassionati riscoprono con piacere. I modellini 3D in cartoncino richiedono un po’ di pazienza per essere assemblati, è vero, ma una volta pronti hanno il pregio di essere riutilizzabili all’infinito. In tempi recenti, dove i giochi di ruolo sono tornati a valorizzare l’aspetto tattile e visuale (si pensi alle scenografie di Critical Role o agli accessori prodotti tramite stampanti 3D), rispolverare questi edifici di cartone può aggiungere un gusto retro e creativo alle sessioni. Non si può ignorare anche l’aspetto collezionistico. Cities of Mystery oggi è fuori produzione e sul mercato dell’usato è un oggetto relativamente raro, soprattutto se completo di tutte le sue componenti. Trovare una scatola con i fogli di cartoncino intatti è difficile e costoso, molti set in vendita hanno alcuni edifici già staccati o montati, segno che i proprietari originali non hanno resistito alla tentazione di usarli (come del resto era previsto!). Chi ha la fortuna di possederlo in ottimo stato si trova tra le mani un piccolo pezzo di storia di D&D, ricercato da collezionisti nostalgici. Fortunatamente, per chi è interessato ai contenuti più che al feticcio, la Wizard of the Coast ha reso disponibile Cities of Mystery in formato digitale (PDF) tramite Dungeon Masters Guild/DriveThruRPG, talvolta anche con opzione Print-on-Demand. Certo, una stampa casalinga difficilmente eguaglierà la qualità dei cartoncini originali, ma è un modo accessibile per recuperare il manuale e magari stampare le mappe stradali da usare con i propri scenari. Questo supplemento ci ricorda che, con un po’ di inventiva, anche prodotti di decenni fa possono arricchire le campagne odierne, sia in termini di idee che di materiali di gioco. ConclusioniCities of Mystery (FR8) è un piccolo gioiello d’altri tempi che merita di essere riscoperto. Nato in un’era di sperimentazione, ha saputo combinare l’anima enciclopedica dei primi manuali dei Forgotten Realms con la creatività manuale del gioco tridimensionale. Il risultato è un supplemento che insegna al DM come costruire città vive, dove ogni strada può celare un’avventura, e al contempo fornisce gli strumenti fisici per rendere quella città una realtà tangibile sul tavolo. Certo, non è privo di difetti: la mancanza di un forte legame con la specificità dei Reami lo rende meno imprescindibile per il canon di Faerûn, e il materiale 3D richiede tempo e cura per essere sfruttato appieno. Eppure, proprio il suo carattere “generico” e modulare ha permesso a Cities of Mystery di attraversare le edizioni e restare rilevante. In un hobby in cui spesso si guarda alle ultime novità, questo box set del 1989 ci ricorda il valore delle idee senza tempo: quelle che prescindono dalle mode e parlano direttamente all’immaginazione del giocatore. Riscoprirlo significa anche riflettere sull’evoluzione dei Reami Dimenticati, da quando erano un “mistero” tutto da costruire, ad oggi che sono un universo consolidato, e magari recuperare un pizzico dello spirito pionieristico di quegli anni. Consigliamo quindi, a chi ne avrà l’occasione, di dare un’occhiata a Cities of Mystery: sfogliarne le pagine, ritagliare (anche solo con la mente) i suoi edifici e lasciarsi accompagnare da un recensore esperto, anzi, da due vecchi avventurieri come Athormis e Boliver, alla (ri)scoperta del fascino senza tempo delle città dimenticate nei nostri mondi di gioco. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR5 The Savage Frontier Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR6 Dreams of the Red Wizards Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR7 Hall of Heroes
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR8 Cities of Mystery
Certe immagini rimangono impresse nella memoria di un giocatore di ruolo: un tavolo pieno di mappe e sagome di edifici in cartoncino, un gruppo di avventurieri in miniatura che si aggira per vicoli di una città. Ricordo la meraviglia nel costruire quelle case tridimensionali dai fogli fustellati di Cities of Mystery: ogni parete piegata e ogni tetto incastrato davano forma a strade misteriose, pronte a ospitare inseguimenti sui tetti o imboscate dietro l’angolo. Quei luoghi potevano diventare qualsiasi borgo o metropoli: la piccola cittadina di frontiera dove i personaggi si fermano solo per una notte, oppure lo scenario di una campagna urbana intera ricca di intrighi. La scatola stessa invitava a creare e sognare: le mappe stradali senza nome e gli edifici modulari lasciavano a noi il compito di riempirli di vita. In un’epoca in cui si era abituati a immaginare città solo attraverso descrizioni scritte o mappe bidimensionali, trovarsi tra le mani materiali tridimensionali così tangibili fu quasi magico. Bastava posare quelle costruzioni sul tavolo perché, all’istante, la città prendesse vita sotto i nostri occhi, trasformandosi in un’esperienza nuova e memorabile. Un kit urbano nella storia dei Reami (1989)Nel giugno del 1989 la TSR pubblicò Cities of Mystery, ottavo supplemento della serie Forgotten Realms per AD&D, scritto da Jean Rabe e accompagnato dall’inconfondibile copertina firmata Larry Elmore. All’interno della scatola trovavano posto un manuale di 64 pagine, due grandi mappe ripiegate e una serie di fogli di cartoncini prefustellati, ideati da Dennis Kauth, per costruire ben 33 modellini di edifici a colori. Si trattava di un’uscita atipica: a differenza di altri moduli FR dell’epoca, FR8 offriva un vero e proprio toolkit generico per progettare città fantasy e animare avventure urbane. Il supplemento si inseriva in un momento di passaggio importante per D&D: era compatibile sia con AD&D 1ª Edizione sia con la neonata 2ª Edizione (come indicato sulla confezione), strizzando l’occhio a un pubblico ampio. In quegli anni la passione per i Forgotten Realms era alimentata non solo dai giochi ma anche dai romanzi: nel 1989 usciva la trilogia di Avatar, con eventi epocali ambientati proprio nella metropoli di Waterdeep, e le storie di Drizzt Do’Urden di R.A. Salvatore iniziavano a portare i lettori a Luskan, Calimport e altre città iconiche. Cities of Mystery rispondeva a questa atmosfera di entusiasmo fornendo ai Dungeon Master uno strumento universale per ricreare l’esperienza delle città dei Reami al tavolo da gioco. Pur recando il marchio Forgotten Realms, il contenuto è volutamente setting-free: il manuale sottolinea che “i fatti e i principi possono essere usati con qualsiasi gioco di ruolo fantasy. Una città è sempre una città, a prescindere dal sistema di gioco”. Questa impostazione storica fa di Cities of Mystery un supplemento peculiare, a metà strada tra espansione dei Reami e accessorio generico per Master esigenti. Dentro la scatola: contenuti e strutturaAprendo la scatola di Cities of Mystery ci si trovava davanti a un piccolo tesoro per ogni Dungeon Master amante dei dettagli. Il manuale di 64 pagine costituisce il cuore del prodotto, affiancato però da componenti speciali che rubano subito l’attenzione: 12 mappe modulabili (due fogli fronte-retro di grandi dimensioni, formato ~56×86 cm) raffiguranti strade, piazze e cortili, e soprattutto 33 edifici tridimensionali in cartoncino a colori. I modellini rappresentano case e costruzioni tipiche di un’ambientazione medievale-fantasy: cottage di un piano con tetti in paglia, locande e botteghe a due piani con tetti spioventi, perfino qualche palazzo con cortile interno. Le parti delle case sono già pretagliate e stampate in cartoncino spesso; grazie a linguette e incastri non è necessario l’uso della colla per montarli. Ogni edificio è curato con piccoli dettagli estetici, comignoli, abbaini, tetti a gronda, e pensato per l’uso con miniature in scala 25 mm, includendo anche supporti sul colmo dei tetti per posizionare le miniature senza farle scivolare. Le mappe fungono da layout stradale: ciascuna presenta varie planimetrie di quartiere (strade lastricate, piazzette con fontane o pozzi, persino i giardini di un palazzo) su cui il DM può disporre a piacimento gli edifici modulari. In totale, il materiale consentiva di costruire circa un isolato urbano completo, dando vita a uno scorcio di città tridimensionale direttamente sul tavolo. Il manuale è suddiviso in capitoli che guidano il DM nella creazione di città fantasy ricche di spunti narrativi. Si parte dalla fondazione della città (dove collocarla sulla mappa del mondo, tenendo conto di clima e risorse) e dalla scelta della dimensione dell’insediamento, dal piccolo borgo (hamlet) alla metropoli, con consigli su come calibrare popolazione e servizi in base alla scala. Viene poi affrontata l’organizzazione della società urbana in tutti i suoi aspetti: la forma di governo (dittatura, oligarchia, monarchia, teocrazia ecc.) e le sue figure di potere, complete di personalità e obiettivi che influenzano la gestione della città; le difese cittadine (mura, guardie, milizie) necessarie per proteggere i cittadini; le fonti economiche e commerciali, con un’utile lista di mestieri, negozi e servizi comunemente presenti (dall’alchimista al mercante di cavalli) per popolare i quartieri di mercato. Non mancano una sezione su usi, costumi e festività locali per dare colore alla vita quotidiana, e un intero capitolo dedicato a crimini e pene (dove si incoraggia il DM a definire un codice di leggi cittadine e relative punizioni, dal furto al tradimento). L’attenzione al realismo gestionale arriva fino a suggerire l’implementazione di un sistema di tasse per rendere credibile il funzionamento economico della città, dettaglio che rivela l’approccio quasi simulativo del supplemento. Una caratteristica piacevole del testo è l’uso di brevi scene narrative introduttive ad alcuni capitoli: stralci di dialogo in corsivo tra due avventurieri, Athormis (un mago) e Boliver (un nano), che viaggiano di città in città. Questi intermezzi offrono spunti umoristici e consigli indiretti, impersonando i “vecchi saggi” esperti di vita urbana. È un espediente letterario che rende la lettura più scorrevole e stimola l’immaginazione del DM con esempi di personaggi e situazioni. Ad esempio, in un passaggio Athormis e Boliver discutono delle differenze tra i vari quartieri di una città, dando al lettore l’idea di come suddividere l’area urbana in zone con caratteristiche diverse (distretti mercantili, zone malfamate, enclave razziali, ecc.). Questa tecnica narrativa contribuisce al tono appassionato e colloquiale del manuale, facendoci quasi sentire i racconti di due vecchi avventurieri in taverna. La seconda parte del manuale presenta strumenti pratici per arricchire le sessioni in città. Vi sono tabelle di incontro urbano basate su luogo e orario (incontri di giorno o di notte, in strada, in taverna, al mercato, ecc.), utilizzabili per improvvisare eventi durante le passeggiate dei PG. Queste tabelle bilanciano eventi amichevoli, ostili o insoliti, sottolineando che non tutti gli incontri devono sfociare in uno scontro: in città, anzi, molte interazioni possono essere sociali o di investigazione. Grande enfasi è posta sull’immersione tridimensionale grazie ai modellini: il manuale incoraggia a utilizzarli spesso e non solo per gli scontri pianificati, così che i giocatori non colleghino automaticamente la comparsa dei “cartoncini” a pericoli imminenti. Vengono descritti esempi di scene d’azione tra i vicoli: inseguimenti in cui un ladro guida i PG in una folle corsa tra vicoli e tetti, combattimenti con mostri nascosti dietro l’angolo, agguati in strade buie dove il Master può letteralmente sollevare un edificio di cartone per rivelare ciò che vi si nasconde sotto. L’effetto “teatrale” è garantito: con strade ed edifici fisici, i giocatori vedono chiaramente posizioni e coperture, eliminando discussioni sulla disposizione dei personaggi e aggiungendo un elemento tattile al gioco. Il manuale fornisce anche schede per progettare città (City Design Sheets) da compilare, aiutando il DM a tenere traccia di tutte le informazioni create: storia, popolazione suddivisa per razze, organizzazioni presenti, mappa dei quartieri, ecc. Come case study il supplemento offre Sauter, la Città sul Mare, un esempio di città interamente sviluppata con i criteri proposti. Sauter è un porto franco di 30.000 abitanti sul freddo Mare del Nord (il manuale non la localizza precisamente nei Reami, lasciando intendere che potrebbe trovarsi su qualunque costa settentrionale). La sua storia viene raccontata in dettaglio: fondata secoli fa da un gruppo di avventurieri a caccia di una miniera perduta, divenuta col tempo un florido centro di pesca e commercio marittimo, poi arricchita dalla scoperta dell’oro nelle colline vicine. La particolarità di Sauter è il governo a Triumvirato eletto dai proprietari terrieri, un sistema insolito che però ha assicurato stabilità e rappresentanza a tutte le razze presenti. Vengono descritti i leader attuali con i loro tratti e retroscena. Ogni aspetto cittadino è coperto: difese e forze armate (800 soldati regolari più milizie volontarie, navi da guerra e perfino narvali “amichevoli” a guardia del porto!), composizione etnica (un terzo non umani, con quartieri specifici per nani, elfi e halfling mescolati però da un forte spirito cosmopolita), quartieri distinti per ceto e razza, edilizia (case perlopiù in pietra e legno, con alcuni esperimenti architettonici in argilla cotta commissionati dai nani locali), e un articolato sistema di tassazione che copre ogni residente, proprietario o affittuario. Sauter funge sia da esempio pronto all’uso, il DM volenteroso potrebbe inserirla direttamente nella sua campagna, sia da modello didattico da smontare per capire come applicare le linee guida nella creazione di altre città. Da notare che, volutamente, non sono incluse mappe di Sauter: si invitano i DM a tracciarle da sé, magari usando proprio i moduli stradali e gli edifici del set. È un altro segnale dell’approccio “sandbox” del prodotto, più interessato a fornire strumenti che a imporre contenuti preconfezionati. Il capitolo finale del manuale presenta cinque avventure brevi ambientate in città, seguite da una pagina ricca di spunti aggiuntivi. Le avventure (dai titoli intriganti come “Ike Likes Spiders and Snakes” o “The Maltese Roc”) coprono vari generi: indagini di furti e omicidi, minacce mostruose nei vicoli, truffe magiche ai danni della cittadinanza, ecc. Ciascuna è pensata per dimostrare l’utilizzo creativo dei materiali 3D e delle idee esposte nel manuale. Chiude il tutto un elenco di plot hooks intitolato “Adventures for the Cities”: poche righe ciascuno, descrivono situazioni pronte a ispirare il DM. È emblematico che questa sezione si apra ribadendo che “ecco qualche trama base per avventure in città utilizzabili in quasi ogni sistema di gioco di ruolo fantasy”. Gli autori volevano chiaramente fornire semi narrativi versatili e non legati a regole specifiche. Scorrendo questi spunti, colpisce la varietà di idee e la loro modernità: ad esempio uno scenario vede un governante locale adottare tasse assurde e politiche egoistiche perché è stato segretamente rimpiazzato da un mostro mutaforma burlone, e starà ai PG smascherarlo e salvare l’ufficiale vero. Un altro spunto descrive una gang di borseggiatori travestiti da venditori ambulanti che derubano i clienti tra la folla del mercato, in combutta con un bottegaio ricettatore, finché i PG non vengono ingaggiati per infiltrarsi tra loro e porre fine ai furti. Ci sono idee che coinvolgono creature fantastiche (un mercante disonesto usa le piume di una cockatrice per pietrificare animali e venderli come statue viventi!), problemi cittadini molto “terreni” (un racket di estorsioni con l’ausilio di non morti controllati da un chierico corrotto), situazioni curiose e quasi umoristiche (il campione imbattuto di braccio di ferro che in realtà è un gigante sotto mentite spoglie). Insomma, il manuale si conclude con un vero arsenale di spunti che il DM può sviluppare a proprio piacere, a conferma della natura altamente creativa e open-ended di questo supplemento. Analisi critica: pregi, difetti e paragoniCities of Mystery rappresenta un esperimento affascinante nel panorama dei supplementi anni ’80, con punti di forza notevoli ma anche limiti dovuti alla sua natura ibrida. Tra i pregi spicca sicuramente l’innovativa componente tridimensionale: all’epoca fu lodata dai recensori per la sua utilità e il divertimento che aggiungeva al gioco, specialmente per chi già amava usare miniature. I modellini 3D e le mappe modulabili riescono tutt’oggi a trasmettere un senso di meraviglia fanciullesca, trasformando l’allestimento della sessione quasi in un gioco di costruzioni e offrendo ai giocatori un livello di immersione tangibile (vedere davvero la taverna o la torre su cui si trovano i propri personaggi non è cosa da poco!). Anche il manuale in sé è ricco di contenuti utili: copre un ampio spettro di argomenti sul design delle città fantasy, funzionando bene come checklist per il Master. La scrittura è scorrevole e arricchita di esempi, il che rende facile assimilare concetti che altrimenti potrebbero risultare aridi (urbanistica, governo, tasse...). In particolare, l’idea di coinvolgere attivamente i personaggi giocanti nella vita urbana, come mercanti, guardie o governanti, è piuttosto lungimirante: anticipa temi che diventeranno comuni in prodotti successivi (ad esempio l’ascesa dei PG a nobili o leader, o la gestione di proprietà in città nelle campagne). Si può dire che Cities of Mystery incoraggia forme di gioco più sandbox e narrative rispetto al tipico “dungeon crawling”, spingendo i DM a vedere la città non solo come sfondo ma come protagonista attiva delle avventure. D’altra parte, alcuni limiti furono evidenziati già all’uscita. Uno dei principali è la blanda specificità ambientativa: malgrado il logo Forgotten Realms, nel modulo non c’è praticamente nulla di distintivo dei Reami. Questo attirò critiche da parte di chi si aspettava un approfondimento di qualche città famosa: il recensore Ken Rolston sottolineò che il prodotto “non è ben collegato all’ambientazione dei Forgotten Realms” e che molti elementi risultano generici, di valore limitato per chi cercava materiale già contestualizzato. In effetti Cities of Mystery poteva deludere il fan dei Reami in cerca di lore: nessun riferimento a luoghi come Waterdeep, Suzail o Baldur’s Gate, né apparizioni di personaggi o divinità iconiche (persino il pantheon usato nell’esempio Sauter nomina Poseidone invece di divinità dei mari più pertinenti ai FR!). Il supplemento sacrifica l’atmosfera di Faerûn per privilegiare l’uso universale: una scelta progettuale comprensibile, ma che lo rende un unicum un po’ ai margini del canone dell’ambientazione. Da questo punto di vista è interessante il confronto con i contemporanei Waterdeep and the North (FR1) e The Savage Frontier (FR5). Questi ultimi fornivano descrizioni specifiche rispettivamente della città di Waterdeep (con tutti i suoi personaggi illustri, vicoli e segreti) e delle Frontiere Selvagge del Nord, fungendo da guide “pronte all’uso” per ambientare avventure nei luoghi più celebri dei Reami. Cities of Mystery invece offre una cassetta degli attrezzi generica: eccellente per costruire da zero città proprie, ma meno immediata se lo scopo è approfondire un luogo ufficiale. Un DM intenzionato a dettagliare Waterdeep o un’altra metropoli dei FR avrebbe comunque preferito attingere ai supplementi dedicati a quella città (o ai romanzi) per coglierne il sapore unico, usando semmai Cities of Mystery come complemento per aggiungere mappe 3D e strutture fisiche al tavolo. Un altro punto debole risiede nella varietà limitata dei modelli inclusi: come osservò la recensione su Dragon, le costruzioni sono tutte di stile europeo medievale. Se da un lato ciò copre bene le città “standard” dei Forgotten Realms (che in molti casi si ispirano a modelli occidentali), dall’altro non permette di rappresentare architetture più esotiche o differenti (si pensi alle cupole e minareti di Calimshan, alle pagode di Kara-Tur, o anche solo a edifici più imponenti come castelli e templi). TSR in seguito pubblicherà un set analogo dedicato ai castelli (Castles, 1990) proprio per supplire a questa mancanza, ma nel 1989 chi avesse voluto diversificare gli edifici avrebbe dovuto metterci del proprio. Persino all’interno dello stile europeo, Bigelow su Dragon notò che sarebbe servita una maggiore diversità di forme (ad esempio edifici più alti, strutture particolari) e trovò le istruzioni di montaggio un po’ scarse, potenzialmente fonte di confusione. In pratica TSR puntò su robustezza e modularità (case impilabili per creare palazzi più alti, possibilità di combinare più set insieme) a scapito dell’estetica varia: scelta pragmatica, ma che lascia al collezionista di oggi la curiosità di come sarebbero stati degli edifici di altre culture o fogge. È interessante notare che Cities of Mystery fu concepito in una fase di sperimentazione da parte della TSR. Negli anni precedenti erano già apparsi accessori 3D (ad esempio alcuni Dragon Magazine includevano progetti di costruzioni di carta, e il boxed set Battlesystem del 1985 conteneva alcuni edifici pieghevoli), ma qui la componente tridimensionale divenne il fulcro. La stessa linea FR aveva visto nel 1988 City System, un set di mappe di Waterdeep pensato sia per i fan dei Reami sia per essere riutilizzato in contesti generici. In un certo senso, Cities of Mystery e City System furono due approcci complementari al tema “città nei GDR”: City System offriva mappe dettagliatissime di una città reale (Waterdeep) ma con informazioni ridotte e generiche, mentre Cities of Mystery offriva tante informazioni e materiali pratici ma una città fittizia e nessuna mappa specifica di luoghi celebri. All’epoca questa strategia confusa fu criticata (Wayne’s Books la definì una “bizzarra politica evitante” nel marketing di Waterdeep), ma col senno di poi ci mostra la TSR alle prese col bilanciare worldbuilding narrativo e strumenti di gioco. Sta di fatto che Cities of Mystery, pur essendo un supplemento ufficiale FR, rimane un prodotto a sé stante. Forse proprio per questo, nel bene e nel male, ha saputo conservare un’aura particolare: non legandolo troppo ai Reami, gli autori gli hanno implicitamente garantito una longevità e utilità che trascendono la sua epoca. Attualità e valore oggiA distanza di oltre trent’anni, viene spontaneo chiedersi quale possa essere l’utilità di Cities of Mystery per i giocatori e i Master di oggi. La risposta sorprende in positivo: questo vecchio box set ha ancora molto da offrire, sia agli appassionati dell’OSR (Old School Renaissance) sia ai giocatori di D&D 5ª Edizione e oltre. In primo luogo, il manuale costituisce un ottimo compendio di consigli per il design urbano che prescinde dal regolamento. Le linee guida sulla creazione di città, le tabelle di incontri, gli elenchi di mestieri e governi sono facilmente applicabili a qualunque gioco fantasy. Anzi, la loro natura generica li rende perfetti per i gruppi OSR, che spesso mescolano materiali di varie edizioni: qui non c’è bisogno di conversioni, perché praticamente non ci sono statistiche di gioco da adattare (tutto il materiale, a parte qualche mostro o PNG nelle mini-avventure, è system-neutral). Anche per un Master di D&D 5e in cerca di ispirazione, sfogliare Cities of Mystery può rivelarsi illuminante: molti dei tip presentati, come coinvolgere i PG nella comunità, creare festività uniche, usare eventi urbani come quest, risuonano con lo stile di gioco odierno, più narrativo e orientato alla costruzione collettiva della storia. Il capitolo degli “Adventure Ideas” poi è praticamente senza tempo: leggendo spunti come il governatore sostituito dal doppleganger o i ladri travestiti da venditori ambulanti, si possono facilmente immaginare avventure da giocare domani stesso con un gruppo di D&D contemporaneo, e questo testimonia la freschezza del design di Jean Rabe nel 1989. Dal punto di vista dei materiali fisici, Cities of Mystery conserva un fascino artigianale che nell’era digitale può sembrare quasi vintage, ma che molti appassionati riscoprono con piacere. I modellini 3D in cartoncino richiedono un po’ di pazienza per essere assemblati, è vero, ma una volta pronti hanno il pregio di essere riutilizzabili all’infinito. In tempi recenti, dove i giochi di ruolo sono tornati a valorizzare l’aspetto tattile e visuale (si pensi alle scenografie di Critical Role o agli accessori prodotti tramite stampanti 3D), rispolverare questi edifici di cartone può aggiungere un gusto retro e creativo alle sessioni. Non si può ignorare anche l’aspetto collezionistico. Cities of Mystery oggi è fuori produzione e sul mercato dell’usato è un oggetto relativamente raro, soprattutto se completo di tutte le sue componenti. Trovare una scatola con i fogli di cartoncino intatti è difficile e costoso, molti set in vendita hanno alcuni edifici già staccati o montati, segno che i proprietari originali non hanno resistito alla tentazione di usarli (come del resto era previsto!). Chi ha la fortuna di possederlo in ottimo stato si trova tra le mani un piccolo pezzo di storia di D&D, ricercato da collezionisti nostalgici. Fortunatamente, per chi è interessato ai contenuti più che al feticcio, la Wizard of the Coast ha reso disponibile Cities of Mystery in formato digitale (PDF) tramite Dungeon Masters Guild/DriveThruRPG, talvolta anche con opzione Print-on-Demand. Certo, una stampa casalinga difficilmente eguaglierà la qualità dei cartoncini originali, ma è un modo accessibile per recuperare il manuale e magari stampare le mappe stradali da usare con i propri scenari. Questo supplemento ci ricorda che, con un po’ di inventiva, anche prodotti di decenni fa possono arricchire le campagne odierne, sia in termini di idee che di materiali di gioco. ConclusioniCities of Mystery (FR8) è un piccolo gioiello d’altri tempi che merita di essere riscoperto. Nato in un’era di sperimentazione, ha saputo combinare l’anima enciclopedica dei primi manuali dei Forgotten Realms con la creatività manuale del gioco tridimensionale. Il risultato è un supplemento che insegna al DM come costruire città vive, dove ogni strada può celare un’avventura, e al contempo fornisce gli strumenti fisici per rendere quella città una realtà tangibile sul tavolo. Certo, non è privo di difetti: la mancanza di un forte legame con la specificità dei Reami lo rende meno imprescindibile per il canon di Faerûn, e il materiale 3D richiede tempo e cura per essere sfruttato appieno. Eppure, proprio il suo carattere “generico” e modulare ha permesso a Cities of Mystery di attraversare le edizioni e restare rilevante. In un hobby in cui spesso si guarda alle ultime novità, questo box set del 1989 ci ricorda il valore delle idee senza tempo: quelle che prescindono dalle mode e parlano direttamente all’immaginazione del giocatore. Riscoprirlo significa anche riflettere sull’evoluzione dei Reami Dimenticati, da quando erano un “mistero” tutto da costruire, ad oggi che sono un universo consolidato, e magari recuperare un pizzico dello spirito pionieristico di quegli anni. Consigliamo quindi, a chi ne avrà l’occasione, di dare un’occhiata a Cities of Mystery: sfogliarne le pagine, ritagliare (anche solo con la mente) i suoi edifici e lasciarsi accompagnare da un recensore esperto, anzi, da due vecchi avventurieri come Athormis e Boliver, alla (ri)scoperta del fascino senza tempo delle città dimenticate nei nostri mondi di gioco. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR5 The Savage Frontier Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR6 Dreams of the Red Wizards Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR7 Hall of Heroes View full articolo
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR7 Hall of Heroes
C'è un momento preciso nella storia dei Forgotten Realms in cui il setting smise di essere solo geografia e regole per diventare una narrazione popolata da volti familiari. Era il febbraio del 1989, e sulla scrivania degli appassionati compariva un volume dalla copertina di Jeff Easley che prometteva qualcosa di nuovo: non mappe, non città, ma eroi. Drizzt Do'Urden, l'elfo oscuro con le scimitarre gemelle. Alias, la guerriera dai tatuaggi misteriosi. Elminster, il vecchio mago burbero. Bruenor MartellodaGuerra e i suoi compagni delle Terre Ghiacciate. Nomi che già risuonavano nelle menti di chi aveva letto The Crystal Shard o Azure Bonds, ora finalmente tradotti in numeri, statistiche, livelli di esperienza. Hall of Heroes (FR7) rappresentava una scommessa audace: trasformare i protagonisti dei romanzi in PNG utilizzabili nelle campagne di AD&D. L'idea era ambiziosa quanto rischiosa. Da un lato, offriva ai DM la possibilità di far incontrare ai propri giocatori quegli stessi personaggi che avevano amato sulla carta. Dall'altro, aprì un dibattito che continua ancora oggi: quanto spazio può occupare un eroe "canonico" in una storia che dovrebbe appartenere ai giocatori? Quel libretto di 128 pagine, con le sue illustrazioni in bianco e nero e i suoi blocchi di statistiche dettagliati, segnò un punto di svolta nell'identità dei Forgotten Realms, per il meglio e per il peggio. Un supplemento al crocevia delle edizioniPubblicato nel febbraio 1989 dalla TSR, Hall of Heroes arrivò in un momento cruciale per Dungeons & Dragons. Sulla copertina campeggiava il logo della seconda edizione di AD&D, appena uscita contemporaneamente al Manuale del Giocatore. Eppure, sfogliando le pagine interne, ci si accorgeva subito dell'anomalia: le statistiche erano ancora in formato prima edizione, con barbari, cavalieri e maghi non specializzati. Questa ibridazione non era casuale, ma rifletteva la transizione caotica tra le due ere del gioco, con prodotti concepiti sotto la vecchia edizione che venivano commercializzati con il nuovo marchio. Il progetto coinvolse un team impressionante di autori, ciascuno responsabile dei personaggi legati alle proprie opere. R.A. Salvatore scrisse le schede di Bruenor, Drizzt e Wulfgar; Jeff Grubb e Kate Novak si occuparono di Alias e Dragonbait; Bruce Nesmith dettagliò Elminster e i personaggi di Spellfire. L'introduzione, firmata da Jim Lowder (editore della linea narrativa TSR), chiariva l'intento: fornire ai DM tutti gli strumenti per integrare gli eroi dei romanzi nelle proprie campagne. Ed Greenwood, creatore dei Forgotten Realms, supervisionò l'intero progetto per garantire coerenza con la lore complessiva. Hall of Heroes si collocava come settimo volume della serie FR, ma rappresentava una rottura rispetto ai precedenti. Mentre FR1-FR6 avevano tutti esplorato regioni geografiche (Waterdeep, le Moonshae, la Savage Frontier, il Thay), FR7 fu il primo a concentrarsi esclusivamente sui personaggi, senza mappe o descrizioni di luoghi. Questa scelta rifletteva la strategia multimediale della TSR: i romanzi dei Forgotten Realms stavano diventando best-seller, e il confine tra fiction e materiale di gioco si assottigliava sempre più. Il supplemento era anche intrinsecamente legato alla Avatar Crisis, l'evento metaplot che avrebbe ridefinito i Reami. Come documenta Shannon Appelcline in Designers & Dragons, "tutto cominciò proprio in Hall of Heroes", con quattro personaggi presentati in anteprima (Adon, Cyric, Kelemvor e Midnight) che sarebbero diventati protagonisti della trilogia Avatar in uscita contemporaneamente. Il Tempo dei Disordini stava per iniziare, e questo manuale ne costituiva il prologo. Anatomia di un pantheon di cartaIl volume di 128 pagine si articola in tre sezioni distinte, ciascuna con il proprio formato e scopo. La prima sezione presenta 15 eroi principali, ciascuno con un'entrata di 1-7 pagine complete di illustrazione, biografia estesa, blocco statistiche dettagliato, suggerimenti interpretativi e tattiche di combattimento. Qui troviamo i volti più noti dei romanzi: da Drizzt (ranger di 10° livello, con le sue straordinarie abilità da ladro ereditate dalla natura drow) a Elminster (mago di 26° livello, con sette pagine dedicate alla sua complessità), passando per Alias e il suo compagno saurial Dragonbait, i protagonisti della trilogia Moonshae e i futuri dèi della Avatar Crisis. La cura nella presentazione è evidente. Ogni personaggio non è solo una sequenza di numeri: c'è la storia personale (come Bruenor abbandonò Mithril Hall da giovane imberbe, o come Drizzt uccise l'unico drow della sua vita durante la fuga da Menzoberranzan), ci sono note sul comportamento in combattimento (Adon che "non riesce a muoversi per attaccare una donna"), ci sono gli oggetti iconici con statistiche complete (Aegis-fang di Wulfgar, la Frostbrand di Drizzt, la Spada Sacra Vendicatrice +5 di Dragonbait). Una particolarità affascinante è il sistema di comunicazione olfattiva di Dragonbait, completamente codificato: zolfo significa confusione, rose tristezza, limone gioia, pane cotto rabbia, violette paura. Questa attenzione al dettaglio narrativo trasformato in meccanica di gioco è uno dei punti di forza del manuale. La seconda sezione raccoglie 48 personaggi secondari in formato più compatto: da Khelben "Bastone Nero" Arunsun (sorprendentemente relegato a comparsa nonostante la sua potenza) a figure come Catti-brie, Regis, Artemis Entreri, Manshoon degli Zhentarim, re Azoun IV di Cormyr, e diverse delle Sette Sorelle (Alustriel, Storm Silverhand, The Simbul, Sylune). La scelta di chi meritasse un'entrata maggiore e chi una minore rivela le priorità editoriali dell'epoca: centralità nei romanzi pubblicati più che effettiva importanza nella lore. La terza sezione presenta due compagnie d'avventurieri: i Cavalieri di Myth Drannor (il gruppo originale di Ed Greenwood dalla sua campagna casalinga, con 13 pagine dedicate alla loro storia) e la Compagnia degli Otto (dal modulo Empire of the Sands). Qui il manuale offre qualcosa di diverso: non singoli eroi da incontrare, ma gruppi funzionanti da cui trarre ispirazione. Completano il volume saggi su vari argomenti: un'analisi di nove pagine sulla "vita magica" (golem, automi, simulacri, cloni e la natura unica di Alias come essere artificiale), discussioni sulle razze (drow, nani del nord, sauriali come potenziali PG), e riferimenti a oggetti magici, incantesimi e sottosistemi meccanici specifici. Tra ambizione e contraddizioniLa forza concettuale di Hall of Heroes è innegabile. Il supplemento riuscì a creare un ponte tra due pubblici: lettori di romanzi che volevano vedere "come funzionavano" i loro eroi preferiti in termini di gioco, e giocatori di AD&D che desideravano incontrare personaggi già dotati di profondità narrativa. La caratterizzazione è generalmente eccellente, merito del coinvolgimento diretto degli autori dei romanzi. Quando Salvatore scrive Drizzt, quando Grubb e Novak descrivono Alias, si percepisce l'autenticità della voce. Dal punto di vista produttivo, il coordinamento di James Lowder permise una coerenza rara per l'epoca. Le storie dei personaggi si intrecciano organicamente, i riferimenti incrociati funzionano, e il tutto è inserito nel contesto più ampio dei Reami e della Avatar Crisis in arrivo. Per chi cercava una risorsa completa sugli eroi della "prima generazione" di romanzi FR, questo manuale era (ed è) prezioso. Tuttavia, le criticità emersero presto e si amplificarono con il tempo. Il problema fondamentale riguarda l'utilizzo pratico in campagna. Nonostante le dichiarazioni d'intenti dell'introduzione, questi personaggi sono troppo potenti e caratterizzati per integrarsi senza rubare la scena ai PG. Un Drizzt di 10° livello o un Elminster di 26° possono solo due cose: risolvere i problemi al posto dei giocatori (frustrante) o astenersi dall'aiutare per ragioni artificiose (incoerente). Il supplemento non offre soluzioni reali a questo dilemma. La dipendenza dai romanzi costituisce un secondo limite. Molte entrate presuppongono che DM e giocatori abbiano letto le opere di riferimento, altrimenti interi passaggi biografici risultano oscuri. Inoltre, il manuale include personaggi da un romanzo di Kara-Tur mai pubblicato (quello di David "Zeb" Cook), rendendo quegli eroi decontestualizzati. La promessa che questi personaggi fossero "disponibili per i giocatori di AD&D" si rivelò ingannevole: erano materiale di consultazione, non contenuto davvero giocabile. Hall of Heroes si collocava come settimo volume della serie FR, ma rappresentava una rottura rispetto ai precedenti. Mentre FR1-FR3 e FR5-FR6 avevano tutti esplorato regioni geografiche (Waterdeep, le Moonshae, Empires of the Sands, la Savage Frontier, il Thay), solo FR4: The Magister aveva deviato da questo schema, concentrandosi su incantesimi, oggetti magici e meccaniche della magia invece che su aree geografiche. FR7 proseguiva su questa strada innovativa, diventando il primo supplemento della linea interamente dedicato ai personaggi, senza mappe o descrizioni di luoghi. Questa scelta rifletteva la strategia multimediale di TSR: i romanzi dei Forgotten Realms stavano diventando best-seller, e il confine tra fiction e materiale di gioco si assottigliava sempre più. L'eredità di un supplemento spartiacqueL'influenza di Hall of Heroes sullo sviluppo dei Reami negli anni '90 fu profonda e ambivalente. Il manuale stabilì il modello del "supplemento centrato sui personaggi iconici", seguito da Heroes' Lorebook nel 1996 (aggiornamento diretto che portò gli stessi personaggi a livelli ancora più elevati) e da numerosi altri prodotti simili durante la seconda edizione. Creò anche il pericoloso precedente del power creep progressivo: Drizzt passò dal livello 10 al 16 in sette anni, per poi diventare un multiclasse epico in terza edizione. Il supplemento contribuì a definire i Forgotten Realms come "l'ambientazione degli eroi famosi", per contrasto con Greyhawk delle grandi avventure o Dragonlance dei drammi epici. Questa identità ha avuto conseguenze durature: ancora oggi, molti giocatori associano FR a Drizzt, Elminster e agli altri "super PNG", percependoli come limiti alla libertà creativa. Il dibattito sul rapporto tra personaggi canonici e agentività dei giocatori iniziato con FR7 continua nelle community online. È significativo che la quinta edizione di D&D abbia deliberatamente evitato di fornire statistiche complete per i grandi PNG dei Reami. A memoria, Waterdeep: Dragon Heist include solo Laeral Silverhand, notevolmente depotenziata. Chris Perkins, quando ha dovuto usare Drizzt per Acquisitions Incorporated, lo ha semplificato drasticamente. Il design moderno ha imparato la lezione: i personaggi iconici servono la narrativa, ma non hanno bisogno di schede complete che invitano i giocatori a sfidarli o che rubano il protagonismo. Riscoprire Hall of Heroes oggiPer chi gioca AD&D o sistemi OSR con ambientazione nei Forgotten Realms, Hall of Heroes mantiene alto valore di riferimento. Le statistiche sono autentiche per il periodo, mostrano i personaggi prima dell'inflazione di potere successiva, e offrono una base solida per campagne ambientate nell'era pre-Avatar Crisis. Per chi gioca sistemi moderni come la quinta edizione, il valore è principalmente ispirativo e storico. Le meccaniche non sono direttamente trasferibili, ma le biografie, le personalità, le relazioni tra personaggi e i riferimenti alla lore restano preziosi. La community ha creato conversioni non ufficiali disponibili su piattaforme come GM Binder e DMs Guild, anche se la filosofia di design di 5e scoraggia l'uso di statistiche complete per questi PNG. Il supplemento eccelle come documento storico che testimonia un momento specifico della cultura del gioco di ruolo: quando la TSR sperimentava l'integrazione tra fiction e regolamento, quando i "personaggi famosi" sembravano un'aggiunta eccitante piuttosto che problematica, quando il passaggio tra le edizioni creava prodotti ibridi affascinanti. Per chi studia l'evoluzione del design dei GdR o l'identità dei Forgotten Realms, è una lettura essenziale che spiega come nacque la peculiarità di questo setting. I saggi su vita magica, razze e sottosistemi offrono spunti trasferibili a qualsiasi campagna nei Reami, indipendentemente dal sistema. Le descrizioni delle compagnie d'avventurieri forniscono modelli per le dinamiche di gruppo. E per gli appassionati di lore, avere una "fotografia" di questi personaggi nel 1989, prima dei grandi sconvolgimenti metaplot, è inestimabile per comprendere le loro evoluzioni narrative. L'eterno dilemma dell'eroeTornando oggi a sfogliare Hall of Heroes, colpisce la sua natura paradossale. È insieme un prodotto ambizioso e riuscito nella sua concezione, e un simbolo delle contraddizioni che avrebbero definito i Forgotten Realms per decenni. Voleva dare ai giocatori la possibilità di incontrare gli eroi dei romanzi, ma finì per creare aspettative irrealizzabili. Voleva arricchire le campagne con personaggi profondi, ma rischiò di trasformare i PG in spettatori. Eppure, c'è qualcosa di affascinante in questo tentativo di unire mondi narrativi separati. L'idea che Drizzt potesse sedere al tavolo della tua campagna, che Elminster potesse offrire un consiglio criptico ai tuoi personaggi, che Alias potesse incrociarsi con le loro storie, aveva (e ha) un innegabile fascino. Il supplemento testimonia un'epoca in cui l'industria del GdR stava ancora scoprendo come raccontare storie attraverso media diversi, quando ogni esperimento poteva aprire nuove possibilità. Hall of Heroes resta dunque una testimonianza preziosa dell'identità dei Forgotten Realms: un setting che ha sempre cercato di essere contemporaneamente un palcoscenico vuoto per le storie dei giocatori e una saga epica popolata da eroi indimenticabili. Forse la vera lezione di questo supplemento è che quell'equilibrio perfetto non esiste, ma che vale la pena continuare a cercarlo. E voi, avete mai usato questi eroi nelle vostre campagne? Li avete incontrati come alleati, mentori o rivali? O avete preferito lasciare che Drizzt, Elminster e gli altri restassero dove forse appartengono davvero: nelle pagine dei romanzi e nell'immaginazione? 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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR7 Hall of Heroes
Hall of Heroes (FR7) rappresentava una scommessa audace: trasformare i protagonisti dei romanzi in PNG utilizzabili nelle campagne di AD&D. L'idea era ambiziosa quanto rischiosa. Da un lato, offriva ai DM la possibilità di far incontrare ai propri giocatori quegli stessi personaggi che avevano amato sulla carta. Dall'altro, aprì un dibattito che continua ancora oggi: quanto spazio può occupare un eroe "canonico" in una storia che dovrebbe appartenere ai giocatori? Quel libretto di 128 pagine, con le sue illustrazioni in bianco e nero e i suoi blocchi di statistiche dettagliati, segnò un punto di svolta nell'identità dei Forgotten Realms, per il meglio e per il peggio. Un supplemento al crocevia delle edizioniPubblicato nel febbraio 1989 dalla TSR, Hall of Heroes arrivò in un momento cruciale per Dungeons & Dragons. Sulla copertina campeggiava il logo della seconda edizione di AD&D, appena uscita contemporaneamente al Manuale del Giocatore. Eppure, sfogliando le pagine interne, ci si accorgeva subito dell'anomalia: le statistiche erano ancora in formato prima edizione, con barbari, cavalieri e maghi non specializzati. Questa ibridazione non era casuale, ma rifletteva la transizione caotica tra le due ere del gioco, con prodotti concepiti sotto la vecchia edizione che venivano commercializzati con il nuovo marchio. Il progetto coinvolse un team impressionante di autori, ciascuno responsabile dei personaggi legati alle proprie opere. R.A. Salvatore scrisse le schede di Bruenor, Drizzt e Wulfgar; Jeff Grubb e Kate Novak si occuparono di Alias e Dragonbait; Bruce Nesmith dettagliò Elminster e i personaggi di Spellfire. L'introduzione, firmata da Jim Lowder (editore della linea narrativa TSR), chiariva l'intento: fornire ai DM tutti gli strumenti per integrare gli eroi dei romanzi nelle proprie campagne. Ed Greenwood, creatore dei Forgotten Realms, supervisionò l'intero progetto per garantire coerenza con la lore complessiva. Hall of Heroes si collocava come settimo volume della serie FR, ma rappresentava una rottura rispetto ai precedenti. Mentre FR1-FR6 avevano tutti esplorato regioni geografiche (Waterdeep, le Moonshae, la Savage Frontier, il Thay), FR7 fu il primo a concentrarsi esclusivamente sui personaggi, senza mappe o descrizioni di luoghi. Questa scelta rifletteva la strategia multimediale della TSR: i romanzi dei Forgotten Realms stavano diventando best-seller, e il confine tra fiction e materiale di gioco si assottigliava sempre più. Il supplemento era anche intrinsecamente legato alla Avatar Crisis, l'evento metaplot che avrebbe ridefinito i Reami. Come documenta Shannon Appelcline in Designers & Dragons, "tutto cominciò proprio in Hall of Heroes", con quattro personaggi presentati in anteprima (Adon, Cyric, Kelemvor e Midnight) che sarebbero diventati protagonisti della trilogia Avatar in uscita contemporaneamente. Il Tempo dei Disordini stava per iniziare, e questo manuale ne costituiva il prologo. Anatomia di un pantheon di cartaIl volume di 128 pagine si articola in tre sezioni distinte, ciascuna con il proprio formato e scopo. La prima sezione presenta 15 eroi principali, ciascuno con un'entrata di 1-7 pagine complete di illustrazione, biografia estesa, blocco statistiche dettagliato, suggerimenti interpretativi e tattiche di combattimento. Qui troviamo i volti più noti dei romanzi: da Drizzt (ranger di 10° livello, con le sue straordinarie abilità da ladro ereditate dalla natura drow) a Elminster (mago di 26° livello, con sette pagine dedicate alla sua complessità), passando per Alias e il suo compagno saurial Dragonbait, i protagonisti della trilogia Moonshae e i futuri dèi della Avatar Crisis. La cura nella presentazione è evidente. Ogni personaggio non è solo una sequenza di numeri: c'è la storia personale (come Bruenor abbandonò Mithril Hall da giovane imberbe, o come Drizzt uccise l'unico drow della sua vita durante la fuga da Menzoberranzan), ci sono note sul comportamento in combattimento (Adon che "non riesce a muoversi per attaccare una donna"), ci sono gli oggetti iconici con statistiche complete (Aegis-fang di Wulfgar, la Frostbrand di Drizzt, la Spada Sacra Vendicatrice +5 di Dragonbait). Una particolarità affascinante è il sistema di comunicazione olfattiva di Dragonbait, completamente codificato: zolfo significa confusione, rose tristezza, limone gioia, pane cotto rabbia, violette paura. Questa attenzione al dettaglio narrativo trasformato in meccanica di gioco è uno dei punti di forza del manuale. La seconda sezione raccoglie 48 personaggi secondari in formato più compatto: da Khelben "Bastone Nero" Arunsun (sorprendentemente relegato a comparsa nonostante la sua potenza) a figure come Catti-brie, Regis, Artemis Entreri, Manshoon degli Zhentarim, re Azoun IV di Cormyr, e diverse delle Sette Sorelle (Alustriel, Storm Silverhand, The Simbul, Sylune). La scelta di chi meritasse un'entrata maggiore e chi una minore rivela le priorità editoriali dell'epoca: centralità nei romanzi pubblicati più che effettiva importanza nella lore. La terza sezione presenta due compagnie d'avventurieri: i Cavalieri di Myth Drannor (il gruppo originale di Ed Greenwood dalla sua campagna casalinga, con 13 pagine dedicate alla loro storia) e la Compagnia degli Otto (dal modulo Empire of the Sands). Qui il manuale offre qualcosa di diverso: non singoli eroi da incontrare, ma gruppi funzionanti da cui trarre ispirazione. Completano il volume saggi su vari argomenti: un'analisi di nove pagine sulla "vita magica" (golem, automi, simulacri, cloni e la natura unica di Alias come essere artificiale), discussioni sulle razze (drow, nani del nord, sauriali come potenziali PG), e riferimenti a oggetti magici, incantesimi e sottosistemi meccanici specifici. Tra ambizione e contraddizioniLa forza concettuale di Hall of Heroes è innegabile. Il supplemento riuscì a creare un ponte tra due pubblici: lettori di romanzi che volevano vedere "come funzionavano" i loro eroi preferiti in termini di gioco, e giocatori di AD&D che desideravano incontrare personaggi già dotati di profondità narrativa. La caratterizzazione è generalmente eccellente, merito del coinvolgimento diretto degli autori dei romanzi. Quando Salvatore scrive Drizzt, quando Grubb e Novak descrivono Alias, si percepisce l'autenticità della voce. Dal punto di vista produttivo, il coordinamento di James Lowder permise una coerenza rara per l'epoca. Le storie dei personaggi si intrecciano organicamente, i riferimenti incrociati funzionano, e il tutto è inserito nel contesto più ampio dei Reami e della Avatar Crisis in arrivo. Per chi cercava una risorsa completa sugli eroi della "prima generazione" di romanzi FR, questo manuale era (ed è) prezioso. Tuttavia, le criticità emersero presto e si amplificarono con il tempo. Il problema fondamentale riguarda l'utilizzo pratico in campagna. Nonostante le dichiarazioni d'intenti dell'introduzione, questi personaggi sono troppo potenti e caratterizzati per integrarsi senza rubare la scena ai PG. Un Drizzt di 10° livello o un Elminster di 26° possono solo due cose: risolvere i problemi al posto dei giocatori (frustrante) o astenersi dall'aiutare per ragioni artificiose (incoerente). Il supplemento non offre soluzioni reali a questo dilemma. La dipendenza dai romanzi costituisce un secondo limite. Molte entrate presuppongono che DM e giocatori abbiano letto le opere di riferimento, altrimenti interi passaggi biografici risultano oscuri. Inoltre, il manuale include personaggi da un romanzo di Kara-Tur mai pubblicato (quello di David "Zeb" Cook), rendendo quegli eroi decontestualizzati. La promessa che questi personaggi fossero "disponibili per i giocatori di AD&D" si rivelò ingannevole: erano materiale di consultazione, non contenuto davvero giocabile. Hall of Heroes si collocava come settimo volume della serie FR, ma rappresentava una rottura rispetto ai precedenti. Mentre FR1-FR3 e FR5-FR6 avevano tutti esplorato regioni geografiche (Waterdeep, le Moonshae, Empires of the Sands, la Savage Frontier, il Thay), solo FR4: The Magister aveva deviato da questo schema, concentrandosi su incantesimi, oggetti magici e meccaniche della magia invece che su aree geografiche. FR7 proseguiva su questa strada innovativa, diventando il primo supplemento della linea interamente dedicato ai personaggi, senza mappe o descrizioni di luoghi. Questa scelta rifletteva la strategia multimediale di TSR: i romanzi dei Forgotten Realms stavano diventando best-seller, e il confine tra fiction e materiale di gioco si assottigliava sempre più. L'eredità di un supplemento spartiacqueL'influenza di Hall of Heroes sullo sviluppo dei Reami negli anni '90 fu profonda e ambivalente. Il manuale stabilì il modello del "supplemento centrato sui personaggi iconici", seguito da Heroes' Lorebook nel 1996 (aggiornamento diretto che portò gli stessi personaggi a livelli ancora più elevati) e da numerosi altri prodotti simili durante la seconda edizione. Creò anche il pericoloso precedente del power creep progressivo: Drizzt passò dal livello 10 al 16 in sette anni, per poi diventare un multiclasse epico in terza edizione. Il supplemento contribuì a definire i Forgotten Realms come "l'ambientazione degli eroi famosi", per contrasto con Greyhawk delle grandi avventure o Dragonlance dei drammi epici. Questa identità ha avuto conseguenze durature: ancora oggi, molti giocatori associano FR a Drizzt, Elminster e agli altri "super PNG", percependoli come limiti alla libertà creativa. Il dibattito sul rapporto tra personaggi canonici e agentività dei giocatori iniziato con FR7 continua nelle community online. È significativo che la quinta edizione di D&D abbia deliberatamente evitato di fornire statistiche complete per i grandi PNG dei Reami. A memoria, Waterdeep: Dragon Heist include solo Laeral Silverhand, notevolmente depotenziata. Chris Perkins, quando ha dovuto usare Drizzt per Acquisitions Incorporated, lo ha semplificato drasticamente. Il design moderno ha imparato la lezione: i personaggi iconici servono la narrativa, ma non hanno bisogno di schede complete che invitano i giocatori a sfidarli o che rubano il protagonismo. Riscoprire Hall of Heroes oggiPer chi gioca AD&D o sistemi OSR con ambientazione nei Forgotten Realms, Hall of Heroes mantiene alto valore di riferimento. Le statistiche sono autentiche per il periodo, mostrano i personaggi prima dell'inflazione di potere successiva, e offrono una base solida per campagne ambientate nell'era pre-Avatar Crisis. Per chi gioca sistemi moderni come la quinta edizione, il valore è principalmente ispirativo e storico. Le meccaniche non sono direttamente trasferibili, ma le biografie, le personalità, le relazioni tra personaggi e i riferimenti alla lore restano preziosi. La community ha creato conversioni non ufficiali disponibili su piattaforme come GM Binder e DMs Guild, anche se la filosofia di design di 5e scoraggia l'uso di statistiche complete per questi PNG. Il supplemento eccelle come documento storico che testimonia un momento specifico della cultura del gioco di ruolo: quando la TSR sperimentava l'integrazione tra fiction e regolamento, quando i "personaggi famosi" sembravano un'aggiunta eccitante piuttosto che problematica, quando il passaggio tra le edizioni creava prodotti ibridi affascinanti. Per chi studia l'evoluzione del design dei GdR o l'identità dei Forgotten Realms, è una lettura essenziale che spiega come nacque la peculiarità di questo setting. I saggi su vita magica, razze e sottosistemi offrono spunti trasferibili a qualsiasi campagna nei Reami, indipendentemente dal sistema. Le descrizioni delle compagnie d'avventurieri forniscono modelli per le dinamiche di gruppo. E per gli appassionati di lore, avere una "fotografia" di questi personaggi nel 1989, prima dei grandi sconvolgimenti metaplot, è inestimabile per comprendere le loro evoluzioni narrative. L'eterno dilemma dell'eroeTornando oggi a sfogliare Hall of Heroes, colpisce la sua natura paradossale. È insieme un prodotto ambizioso e riuscito nella sua concezione, e un simbolo delle contraddizioni che avrebbero definito i Forgotten Realms per decenni. Voleva dare ai giocatori la possibilità di incontrare gli eroi dei romanzi, ma finì per creare aspettative irrealizzabili. Voleva arricchire le campagne con personaggi profondi, ma rischiò di trasformare i PG in spettatori. Eppure, c'è qualcosa di affascinante in questo tentativo di unire mondi narrativi separati. L'idea che Drizzt potesse sedere al tavolo della tua campagna, che Elminster potesse offrire un consiglio criptico ai tuoi personaggi, che Alias potesse incrociarsi con le loro storie, aveva (e ha) un innegabile fascino. Il supplemento testimonia un'epoca in cui l'industria del GdR stava ancora scoprendo come raccontare storie attraverso media diversi, quando ogni esperimento poteva aprire nuove possibilità. Hall of Heroes resta dunque una testimonianza preziosa dell'identità dei Forgotten Realms: un setting che ha sempre cercato di essere contemporaneamente un palcoscenico vuoto per le storie dei giocatori e una saga epica popolata da eroi indimenticabili. Forse la vera lezione di questo supplemento è che quell'equilibrio perfetto non esiste, ma che vale la pena continuare a cercarlo. E voi, avete mai usato questi eroi nelle vostre campagne? Li avete incontrati come alleati, mentori o rivali? O avete preferito lasciare che Drizzt, Elminster e gli altri restassero dove forse appartengono davvero: nelle pagine dei romanzi e nell'immaginazione? Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR5 The Savage Frontier Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR6 Dreams of the Red Wizards
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR6 Dreams of the Red Wizards
Il teschio rasato, decorato con tatuaggi arcani che brillano di luce propria. La veste scarlatta che ondeggia nell'aria satura di ozono e incenso. Lo sguardo freddo di chi ha barattato la propria umanità per potere assoluto. Pochi archetipi hanno segnato l'immaginario collettivo di Dungeons & Dragons come i Maghi Rossi di Thay, e tutto è iniziato con un supplemento di 64 pagine pubblicato alla fine del 1988, proprio mentre Advanced Dungeons & Dragons chiudeva la sua prima edizione. "Dreams of the Red Wizards" non era solo un manuale geografico: era la visione di una società dove la magia regna suprema, dove la tirannia ha il volto di otto arcimagi immortali, e dove l'ambizione non conosce limiti morali. In un'epoca in cui i Forgotten Realms erano ancora un territorio vergine da esplorare, Steve Perrin prese gli appunti originali di Ed Greenwood su Thay e costruì qualcosa di più inquietante di un semplice regno malvagio. Creò una magiocrazia funzionante, con una burocrazia, un'economia basata sulla schiavitù, miniere d'oro che finanziavano esperimenti necromantici, e una classe dirigente dove l'omicidio politico era la norma per l'avanzamento di carriera. I Maghi Rossi non erano stregoni solitari nelle loro torri: erano un'élite organizzata, spietata, che governava un impero di un milione e mezzo di anime con metodi che avrebbero fatto impallidire i peggiori despoti della storia. Contesto della pubblicazione"Dreams of the Red Wizards" vide la luce nel novembre 1988, e rappresenta il sesto e ultimo supplemento "FR" dell'era AD&D prima edizione. Dietro la copertina dipinta a olio da Clyde Caldwell, raffigurante un Mago Rosso che osserva voyeuristicamente una donna, forse la Simbul di Aglarond, si celava il lavoro di Steve Perrin, designer leggendario meglio conosciuto come creatore di RuneQuest (1978) e autore di innumerevoli giochi per Chaosium. Perrin, che aveva già collaborato con la TSR per "Under Illefarn" (N5, 1987) e "The Magister" (FR4, 1988), ricevette da Ed Greenwood gli appunti originali su Thay e i Maghi Rossi, sviluppandoli in direzioni proprie. Un esempio paradigmatico della filosofia collaborativa della TSR: Greenwood aveva concepito la capitale Eltabbar come città "non mappabile", Perrin trasformò questo dettaglio in un plot geniale, rivelando che il tracciato urbanistico di Eltabbar è in realtà un glifo magico che imprigiona il principe demone Eltab, e mappare la città ne indebolisce i vincoli. Come nota lo storico Shannon Appelcline, questo dimostra come "i Forgotten Realms della TSR fossero opera di molte mani". Dal punto di vista editoriale, Dreams of the Red Wizards si presentava nel classico formato a cartellina dell’epoca, con prezzo intorno agli 8 dollari. La tiratura fu quella tipica dei moduli TSR. All’uscita fu accolto positivamente dai fan desiderosi di esplorare nuove frontiere: l’idea di un’intera nazione governata da perfidi arcimaghi aggiungeva una sfumatura più cupa ai Forgotten Realms. I Maghi Rossi di Thay diventarono presto antagonisti ricorrenti anche in altri prodotti: comparvero nei romanzi (ad esempio Red Magic, 1991) e nei videogiochi (un Mago Rosso è tra i villain di Curse of the Azure Bonds, 1989). FR6 gettò dunque le basi per uno degli elementi più iconici del Faerûn, base che sarebbe stata ampliata da supplementi successivi come il box set Spellbound (1995, dedicato a Thay, Rashemen e Aglarond). Contenuti del manualeAmbientazione e geografia: Gran parte del supplemento è dedicata a descrivere Thay, il reame orientale dei Maghi Rossi. Il territorio è un altopiano vulcanico circondato da confini insidiosi: a ovest Thesk (porta dei commerci) e Aglarond, a nord le brughiere di Rashemen, a sud l’impero di Mulhorand, a est una imponente catena mointuosa. La geografia è meticolosamente dettagliata: il Priador, altopiano agricolo lavorato da schiavi; il Thaymount vulcanico con miniere d'oro; il Lago Thaylambar abitato da tartarughe drago; le rovine di Delhumide, prima capitale distrutta da un demone; la Cittadella, fortezza antica con segrete inesplorate popolate da trogloditi e forse drow. Il "Lungo Trasbordo" è interamente gestito da zombie mantenuti dalla famiglia Tam da oltre un secolo, dettaglio macabro che riassume perfettamente l'approccio thayano alla forza lavoro. Thay viene dipinta come una terra feroce: fertili pianure e città sfarzose sorgono all’ombra di vulcani fumanti, punteggiate da mercati di schiavi e templi oscuri. Il governo è una rigida magocrazia retta da otto Zulkir (uno per ogni scuola di magia), arcimaghi che si spartiscono potere e province. Sotto di loro, una classe di maghi minori e funzionari tiene in pugno la società, mentre la maggioranza della popolazione vive in catene. Il manuale mostra bene come un intero paese possa essere malvagio: dall’élite crudele alla massa di schiavi terrorizzati, ogni livello sociale è corrotto o oppresso. Anche la religione riflette l’oppressione: i Maghi Rossi onorano gli dèi solo per facciata (affidandosi in realtà alla propria magia), mentre gli schiavi pregano Ilmater, dio dei martiri, sperando in sollievo. Il risultato è un quadro vivido di una nazione crudele, ricco di spunti da esplorare. FR6 abbonda di idee per avventure. Vengono introdotti PNG di primo piano, su tutti il lich Szass Tam, Zulkir della Necromanzia e mente dietro molti complotti, insieme ad altri arcimaghi e personaggi notevoli di Thay (governatori, mercanti, schiavi ribelli, ecc.). Si delineano anche le fazioni interne: i Maghi Rossi complottano costantemente gli uni contro gli altri, impegnati in faide e tradimenti continui per la supremazia. Sul fronte esterno, i vicini ostili non mancano: la Simbul, sovrana di Aglarond, spia ogni mossa di Thay pronta a intervenire, mentre le streghe di Rashemen respingono con ferocia ogni invasione. Intrighi politici, guerre striscianti e minacce soprannaturali sono all’ordine del giorno, e il tono generale è decisamente cupo. Il supplemento incoraggia campagne di cospirazione, esplorazione e orrore: spionaggio a corte, spedizioni tra rovine maledette, fino alle rivolte degli schiavi. Una sezione (Adventures in Thay) elenca vari spunti di trama, lasciando però al DM il compito di svilupparli. Invece di offrire una singola storia predefinita, FR6 propone un ventaglio di possibilità narrative aperte in un contesto “sandbox” malvagio. Oltre al materiale di ambientazione, Dreams of the Red Wizards include anche nuovi contenuti di gioco per AD&D. La sezione Magic of Thay presenta numerosi incantesimi inediti dal taglio oscuro, ad esempio Belten’s Burning Blood e Charm Undead, pensati per caratterizzare la magia dei Maghi Rossi. Troviamo inoltre qualche oggetto magico unico legato a Thay e le statistiche dei principali PNG, pronte per l’uso. Non manca un glossario di termini locali e un breve vademecum per chi viaggia in Thay (una sorta di guida per i giocatori sugli usi e costumi locali). Viene persino suggerito l’uso di Battlesystem per gestire battaglie campali, sebbene il manuale non offra scenari di massa già pronti. In definitiva, FR6 offre una ricca dose di lore (storia, geografia, fazioni) unita a elementi più pratici, incantesimi, mappe, trame, così da arricchire l’ambientazione dei Reami e al contempo fornire nuove sfide pronte da giocare. Analisi criticaPunti di Forza. Uno dei maggiori punti di forza di FR6 è la sua impostazione originale e la cura del worldbuilding. Thay viene descritta in modo credibile in ogni aspetto (politica, economia, cultura), e ogni elemento, dalla schiavitù diffusa ai commerci magici, ha un ruolo logico nel quadro generale. Il tono politico e cupo del manuale spicca per l’epoca: mentre la maggior parte dei moduli AD&D anni ‘80 presentava terre positive o “eroiche”, Dreams of the Red Wizards esplora senza remore una nazione apertamente malvagia, anticipando temi di intrigo e orrore. Ne risulta una risorsa preziosa per DM interessati a campagne più strategiche, dove i villain muovono le fila su larga scala e le trame coinvolgono intere regioni. Inoltre, FR6 brilla per la quantità di spunti offerti: pur senza un’avventura preconfezionata, il manuale pullula di idee, personaggi e conflitti che un DM creativo può combinare liberamente, offrendo un vero sandbox a cui attingere. Punti di Debolezza. Di contro, Dreams of the Red Wizards rivela alcuni limiti tipici dei supplementi TSR anni ‘80. Lo stile è spesso enciclopedico e poco coinvolgente: l’abbondanza di dati e descrizioni (città, gerarchie, cronologie) rende la lettura un po’ fredda. Il manuale fornisce un ricco scenario, ma lascia al lettore il compito di animarlo: chi preferisce moduli narrativi preconfezionati potrebbe trovarlo poco adatto. La rappresentazione del “male” è piuttosto stereotipata e monolitica: maghi crudeli da un lato, popolo oppresso dall’altro, senza sfumature o punti di vista alternativi, un approccio figlio degli anni ‘80. Sul piano del gioco, si sente l’assenza di un modulo d’avventura: chi cercava materiale pronto rimane con soli hook da sviluppare. Anche la parte meccanica è ridotta all’osso: oltre a incantesimi e oggetti non vengono introdotte nuove regole, in linea con la filosofia descrittiva del tempo. Confronti. Mentre moduli coevi come The Savage Frontier (FR5, 1988) presentavano regioni selvagge ma essenzialmente eroiche, o Empires of the Sands (FR3, 1988) tratteggiavano culture esotiche ma neutrali, FR6 si distingue per l’atmosfera più oscura e focalizzata: mette in scena un’intera nazione malvagia come fulcro delle avventure, un approccio praticamente unico per quegli anni. Nel 1995 la TSR tornò su Thay con Spellbound (AD&D 2ª Ed.), un cofanetto che espanse i Maghi Rossi e i regni limitrofi aggiungendo dettagli e alcune avventure, a riprova del duraturo fascino di questo angolo di Faerûn. Nelle pubblicazioni recenti i Maghi Rossi compaiono ancora (ad esempio nella campagna Tyranny of Dragons per D&D 5ª Edizione), ma relegati a antagonisti minori all’interno di trame più ampie, segno di un cambio di prospettiva rispetto al focus assoluto che avevano in FR6. Resta il fatto che Dreams of the Red Wizards rimane un caso quasi unico: un intero manuale dedicato a far risaltare i villain e le loro terre, un sandbox politico-malvagio che offre ai DM un ricco repertorio di idee e atmosfere tuttora intriganti. Utilità oggiA oltre trent’anni dalla sua uscita, Dreams of the Red Wizards mantiene una sua utilità sia per i nostalgici di AD&D/OSR, sia per i giocatori delle edizioni moderne in cerca di ispirazione “old school”. Per chi gioca ancora a AD&D 1ª-2ª Edizione (o sistemi OSR affini), questo modulo resta una fonte di lore preziosa: offre tutto il necessario su Thay al culmine del suo potere (1357 DR circa) e integrarlo in una campagna classica è immediato, essendo materiale già calibrato per quel sistema e periodo. Le statistiche dei PNG e degli incantesimi sono pronte all’uso, e la visione geopolitica si incastra perfettamente nel contesto dei Forgotten Realms pre-Time of Troubles. Alcuni dettagli risultano superati dalle metatrame successive (nei decenni seguenti Thay ha vissuto vari sconvolgimenti, ad esempio durante la Spellplague), ma giocando nell’era classica dei Reami il quadro rimane coerente e utilizzabile in toto. Per chi invece adotta D&D 5ª Edizione (o altre edizioni moderne), FR6 non offre regole aggiornate, ma rimane una miniera di idee e atmosfere da riutilizzare. La figura dei Maghi Rossi di Thay è tuttora iconica, e molti spunti del manuale possono arricchire le campagne odierne: le lotte interne fra arcimaghi rivali, la tensione tra potere arcano e libertà, l’idea di una nazione malvagia che cospira nell’ombra, tutti ingredienti narrativi di grande efficacia anche oggi. Un Dungeon Master di quinta edizione potrebbe ispirarsi a Dreams of the Red Wizards per creare trame politiche complesse, aggiornando le statistiche ma conservandone il feeling oscuro e intrigante. Infine, come documento storico, questo manuale ha un valore indubbio: fu il primo a definire compiutamente i Maghi Rossi nei Forgotten Realms, ponendo le basi di un’icona che perdura. Per collezionisti e appassionati, resta un pezzo di storia del GdR, testimonianza di un’epoca in cui i supplementi sapevano accendere l’immaginazione con dettagli dal fascino narrativo. ConclusioneIn definitiva, Dreams of the Red Wizards (FR6) si rivela più di un semplice supplemento geografico: è un viaggio nell’oscurità seducente del potere. Tra le sue pagine prende vita il fascino perverso dei Maghi Rossi e del loro dominio, ricordandoci quanto sia sottile il confine tra conoscenza e corruzione. Anche a distanza di decenni, il manuale mantiene intatta la sua capacità di farci sognare (e tremare) davanti a un impero di stregoni spietati. Il mio giudizio complessivo è positivo: nonostante qualche ingenuità figlia del suo tempo, FR6 resta un’opera ricca di atmosfera e idee. Viene quasi da chiedersi se siamo pronti, oggi, a raccogliere quel guanto di sfida lanciato nel 1988 e tornare a confrontarci con Thay sul suo terreno, magari per scoprire, tra intrighi e sortilegi, quanto ancora ha da offrirci questa temibile terra dimenticata. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR5 The Savage Frontier Visualizza articolo completo
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR6 Dreams of the Red Wizards
In un'epoca in cui i Forgotten Realms erano ancora un territorio vergine da esplorare, Steve Perrin prese gli appunti originali di Ed Greenwood su Thay e costruì qualcosa di più inquietante di un semplice regno malvagio. Creò una magiocrazia funzionante, con una burocrazia, un'economia basata sulla schiavitù, miniere d'oro che finanziavano esperimenti necromantici, e una classe dirigente dove l'omicidio politico era la norma per l'avanzamento di carriera. I Maghi Rossi non erano stregoni solitari nelle loro torri: erano un'élite organizzata, spietata, che governava un impero di un milione e mezzo di anime con metodi che avrebbero fatto impallidire i peggiori despoti della storia. Contesto della pubblicazione"Dreams of the Red Wizards" vide la luce nel novembre 1988, e rappresenta il sesto e ultimo supplemento "FR" dell'era AD&D prima edizione. Dietro la copertina dipinta a olio da Clyde Caldwell, raffigurante un Mago Rosso che osserva voyeuristicamente una donna, forse la Simbul di Aglarond, si celava il lavoro di Steve Perrin, designer leggendario meglio conosciuto come creatore di RuneQuest (1978) e autore di innumerevoli giochi per Chaosium. Perrin, che aveva già collaborato con la TSR per "Under Illefarn" (N5, 1987) e "The Magister" (FR4, 1988), ricevette da Ed Greenwood gli appunti originali su Thay e i Maghi Rossi, sviluppandoli in direzioni proprie. Un esempio paradigmatico della filosofia collaborativa della TSR: Greenwood aveva concepito la capitale Eltabbar come città "non mappabile", Perrin trasformò questo dettaglio in un plot geniale, rivelando che il tracciato urbanistico di Eltabbar è in realtà un glifo magico che imprigiona il principe demone Eltab, e mappare la città ne indebolisce i vincoli. Come nota lo storico Shannon Appelcline, questo dimostra come "i Forgotten Realms della TSR fossero opera di molte mani". Dal punto di vista editoriale, Dreams of the Red Wizards si presentava nel classico formato a cartellina dell’epoca, con prezzo intorno agli 8 dollari. La tiratura fu quella tipica dei moduli TSR. All’uscita fu accolto positivamente dai fan desiderosi di esplorare nuove frontiere: l’idea di un’intera nazione governata da perfidi arcimaghi aggiungeva una sfumatura più cupa ai Forgotten Realms. I Maghi Rossi di Thay diventarono presto antagonisti ricorrenti anche in altri prodotti: comparvero nei romanzi (ad esempio Red Magic, 1991) e nei videogiochi (un Mago Rosso è tra i villain di Curse of the Azure Bonds, 1989). FR6 gettò dunque le basi per uno degli elementi più iconici del Faerûn, base che sarebbe stata ampliata da supplementi successivi come il box set Spellbound (1995, dedicato a Thay, Rashemen e Aglarond). Contenuti del manualeAmbientazione e geografia: Gran parte del supplemento è dedicata a descrivere Thay, il reame orientale dei Maghi Rossi. Il territorio è un altopiano vulcanico circondato da confini insidiosi: a ovest Thesk (porta dei commerci) e Aglarond, a nord le brughiere di Rashemen, a sud l’impero di Mulhorand, a est una imponente catena mointuosa. La geografia è meticolosamente dettagliata: il Priador, altopiano agricolo lavorato da schiavi; il Thaymount vulcanico con miniere d'oro; il Lago Thaylambar abitato da tartarughe drago; le rovine di Delhumide, prima capitale distrutta da un demone; la Cittadella, fortezza antica con segrete inesplorate popolate da trogloditi e forse drow. Il "Lungo Trasbordo" è interamente gestito da zombie mantenuti dalla famiglia Tam da oltre un secolo, dettaglio macabro che riassume perfettamente l'approccio thayano alla forza lavoro. Thay viene dipinta come una terra feroce: fertili pianure e città sfarzose sorgono all’ombra di vulcani fumanti, punteggiate da mercati di schiavi e templi oscuri. Il governo è una rigida magocrazia retta da otto Zulkir (uno per ogni scuola di magia), arcimaghi che si spartiscono potere e province. Sotto di loro, una classe di maghi minori e funzionari tiene in pugno la società, mentre la maggioranza della popolazione vive in catene. Il manuale mostra bene come un intero paese possa essere malvagio: dall’élite crudele alla massa di schiavi terrorizzati, ogni livello sociale è corrotto o oppresso. Anche la religione riflette l’oppressione: i Maghi Rossi onorano gli dèi solo per facciata (affidandosi in realtà alla propria magia), mentre gli schiavi pregano Ilmater, dio dei martiri, sperando in sollievo. Il risultato è un quadro vivido di una nazione crudele, ricco di spunti da esplorare. FR6 abbonda di idee per avventure. Vengono introdotti PNG di primo piano, su tutti il lich Szass Tam, Zulkir della Necromanzia e mente dietro molti complotti, insieme ad altri arcimaghi e personaggi notevoli di Thay (governatori, mercanti, schiavi ribelli, ecc.). Si delineano anche le fazioni interne: i Maghi Rossi complottano costantemente gli uni contro gli altri, impegnati in faide e tradimenti continui per la supremazia. Sul fronte esterno, i vicini ostili non mancano: la Simbul, sovrana di Aglarond, spia ogni mossa di Thay pronta a intervenire, mentre le streghe di Rashemen respingono con ferocia ogni invasione. Intrighi politici, guerre striscianti e minacce soprannaturali sono all’ordine del giorno, e il tono generale è decisamente cupo. Il supplemento incoraggia campagne di cospirazione, esplorazione e orrore: spionaggio a corte, spedizioni tra rovine maledette, fino alle rivolte degli schiavi. Una sezione (Adventures in Thay) elenca vari spunti di trama, lasciando però al DM il compito di svilupparli. Invece di offrire una singola storia predefinita, FR6 propone un ventaglio di possibilità narrative aperte in un contesto “sandbox” malvagio. Oltre al materiale di ambientazione, Dreams of the Red Wizards include anche nuovi contenuti di gioco per AD&D. La sezione Magic of Thay presenta numerosi incantesimi inediti dal taglio oscuro, ad esempio Belten’s Burning Blood e Charm Undead, pensati per caratterizzare la magia dei Maghi Rossi. Troviamo inoltre qualche oggetto magico unico legato a Thay e le statistiche dei principali PNG, pronte per l’uso. Non manca un glossario di termini locali e un breve vademecum per chi viaggia in Thay (una sorta di guida per i giocatori sugli usi e costumi locali). Viene persino suggerito l’uso di Battlesystem per gestire battaglie campali, sebbene il manuale non offra scenari di massa già pronti. In definitiva, FR6 offre una ricca dose di lore (storia, geografia, fazioni) unita a elementi più pratici, incantesimi, mappe, trame, così da arricchire l’ambientazione dei Reami e al contempo fornire nuove sfide pronte da giocare. Analisi criticaPunti di Forza. Uno dei maggiori punti di forza di FR6 è la sua impostazione originale e la cura del worldbuilding. Thay viene descritta in modo credibile in ogni aspetto (politica, economia, cultura), e ogni elemento, dalla schiavitù diffusa ai commerci magici, ha un ruolo logico nel quadro generale. Il tono politico e cupo del manuale spicca per l’epoca: mentre la maggior parte dei moduli AD&D anni ‘80 presentava terre positive o “eroiche”, Dreams of the Red Wizards esplora senza remore una nazione apertamente malvagia, anticipando temi di intrigo e orrore. Ne risulta una risorsa preziosa per DM interessati a campagne più strategiche, dove i villain muovono le fila su larga scala e le trame coinvolgono intere regioni. Inoltre, FR6 brilla per la quantità di spunti offerti: pur senza un’avventura preconfezionata, il manuale pullula di idee, personaggi e conflitti che un DM creativo può combinare liberamente, offrendo un vero sandbox a cui attingere. Punti di Debolezza. Di contro, Dreams of the Red Wizards rivela alcuni limiti tipici dei supplementi TSR anni ‘80. Lo stile è spesso enciclopedico e poco coinvolgente: l’abbondanza di dati e descrizioni (città, gerarchie, cronologie) rende la lettura un po’ fredda. Il manuale fornisce un ricco scenario, ma lascia al lettore il compito di animarlo: chi preferisce moduli narrativi preconfezionati potrebbe trovarlo poco adatto. La rappresentazione del “male” è piuttosto stereotipata e monolitica: maghi crudeli da un lato, popolo oppresso dall’altro, senza sfumature o punti di vista alternativi, un approccio figlio degli anni ‘80. Sul piano del gioco, si sente l’assenza di un modulo d’avventura: chi cercava materiale pronto rimane con soli hook da sviluppare. Anche la parte meccanica è ridotta all’osso: oltre a incantesimi e oggetti non vengono introdotte nuove regole, in linea con la filosofia descrittiva del tempo. Confronti. Mentre moduli coevi come The Savage Frontier (FR5, 1988) presentavano regioni selvagge ma essenzialmente eroiche, o Empires of the Sands (FR3, 1988) tratteggiavano culture esotiche ma neutrali, FR6 si distingue per l’atmosfera più oscura e focalizzata: mette in scena un’intera nazione malvagia come fulcro delle avventure, un approccio praticamente unico per quegli anni. Nel 1995 la TSR tornò su Thay con Spellbound (AD&D 2ª Ed.), un cofanetto che espanse i Maghi Rossi e i regni limitrofi aggiungendo dettagli e alcune avventure, a riprova del duraturo fascino di questo angolo di Faerûn. Nelle pubblicazioni recenti i Maghi Rossi compaiono ancora (ad esempio nella campagna Tyranny of Dragons per D&D 5ª Edizione), ma relegati a antagonisti minori all’interno di trame più ampie, segno di un cambio di prospettiva rispetto al focus assoluto che avevano in FR6. Resta il fatto che Dreams of the Red Wizards rimane un caso quasi unico: un intero manuale dedicato a far risaltare i villain e le loro terre, un sandbox politico-malvagio che offre ai DM un ricco repertorio di idee e atmosfere tuttora intriganti. Utilità oggiA oltre trent’anni dalla sua uscita, Dreams of the Red Wizards mantiene una sua utilità sia per i nostalgici di AD&D/OSR, sia per i giocatori delle edizioni moderne in cerca di ispirazione “old school”. Per chi gioca ancora a AD&D 1ª-2ª Edizione (o sistemi OSR affini), questo modulo resta una fonte di lore preziosa: offre tutto il necessario su Thay al culmine del suo potere (1357 DR circa) e integrarlo in una campagna classica è immediato, essendo materiale già calibrato per quel sistema e periodo. Le statistiche dei PNG e degli incantesimi sono pronte all’uso, e la visione geopolitica si incastra perfettamente nel contesto dei Forgotten Realms pre-Time of Troubles. Alcuni dettagli risultano superati dalle metatrame successive (nei decenni seguenti Thay ha vissuto vari sconvolgimenti, ad esempio durante la Spellplague), ma giocando nell’era classica dei Reami il quadro rimane coerente e utilizzabile in toto. Per chi invece adotta D&D 5ª Edizione (o altre edizioni moderne), FR6 non offre regole aggiornate, ma rimane una miniera di idee e atmosfere da riutilizzare. La figura dei Maghi Rossi di Thay è tuttora iconica, e molti spunti del manuale possono arricchire le campagne odierne: le lotte interne fra arcimaghi rivali, la tensione tra potere arcano e libertà, l’idea di una nazione malvagia che cospira nell’ombra, tutti ingredienti narrativi di grande efficacia anche oggi. Un Dungeon Master di quinta edizione potrebbe ispirarsi a Dreams of the Red Wizards per creare trame politiche complesse, aggiornando le statistiche ma conservandone il feeling oscuro e intrigante. Infine, come documento storico, questo manuale ha un valore indubbio: fu il primo a definire compiutamente i Maghi Rossi nei Forgotten Realms, ponendo le basi di un’icona che perdura. Per collezionisti e appassionati, resta un pezzo di storia del GdR, testimonianza di un’epoca in cui i supplementi sapevano accendere l’immaginazione con dettagli dal fascino narrativo. ConclusioneIn definitiva, Dreams of the Red Wizards (FR6) si rivela più di un semplice supplemento geografico: è un viaggio nell’oscurità seducente del potere. Tra le sue pagine prende vita il fascino perverso dei Maghi Rossi e del loro dominio, ricordandoci quanto sia sottile il confine tra conoscenza e corruzione. Anche a distanza di decenni, il manuale mantiene intatta la sua capacità di farci sognare (e tremare) davanti a un impero di stregoni spietati. Il mio giudizio complessivo è positivo: nonostante qualche ingenuità figlia del suo tempo, FR6 resta un’opera ricca di atmosfera e idee. Viene quasi da chiedersi se siamo pronti, oggi, a raccogliere quel guanto di sfida lanciato nel 1988 e tornare a confrontarci con Thay sul suo terreno, magari per scoprire, tra intrighi e sortilegi, quanto ancora ha da offrirci questa temibile terra dimenticata. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR5 The Savage Frontier
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR5 The Savage Frontier
Il vento ulula tra le cime innevate del Dorso del Mondo, portando con sé l’eco di tamburi lontani e il ringhio di creature fameliche. Una slitta sfreccia giù per un passo ghiacciato, inseguita dalle sagome possenti di un gigante delle nevi e dal baluginare spettrale di non-morti avvolti nella tormenta. Nel cielo del Nord danzano veli d’aurora, illuminando foreste remote e antiche rovine sepolte dal tempo. Davanti a questo panorama selvaggio, è facile capire perché “la civiltà finisce qui”. A nord di Waterdeep ogni passo fuori dalle palizzate dei villaggi significa affidarsi solo al proprio acciaio e al proprio coraggio, in terre dove l’uomo non ha ancora domato né la natura né le sue creature. Eppure, questo confine estremo esercita un fascino irresistibile. Ricordo ancora la copertina di The Savage Frontier di Larry Elmore: un’istantanea di avventura gelida e feroce, capace di evocare scene come quelle delle nostre sessioni di gioco nel Nord. È un invito a esplorare un mondo dove ogni radura può celare un mistero, dove attorno al fuoco si narrano leggende di nani, barbari e draghi, e dove anche un ranger drow dai regni oscuri potrebbe emergere come eroe inatteso. Contesto della pubblicazioneThe Savage Frontier esce nel 1988, nel pieno della “Golden Age” di AD&D, come quinto modulo della serie FR dedicata ai Forgotten Realms. Scritto da Paul Jaquays e arricchito dalle illustrazioni di Larry Elmore (copertina) ed Esteban Maroto (interni), FR5 si colloca subito dopo i manuali regionali su Waterdeep (FR1), Moonshae (FR2), Empires of the Sands (FR3) e The Magister (FR4). A differenza di FR1, incentrato sulla metropoli civilizzata di Waterdeep e dintorni, questo supplemento espande l’orizzonte verso “la Frontiera Selvaggia a nord di Waterdeep”, offrendo una descrizione dettagliata delle terre selvagge popolate da barbari, rovine naniche e dai pericoli delle montagne del Dorso del Mondo. Nella visione TSR degli anni ‘80, la frontiera rappresenta il limite estremo della civiltà, un territorio liminare dove ordine e natura selvaggia si scontrano. Non è un caso che la frase “Civilization ends here” campeggi idealmente su queste pagine: la Frontiera Selvaggia incarna il confine oltre il quale iniziano l’ignoto e l’avventura. Dal punto di vista editoriale, FR5 fu importante perché per la prima volta mappò compiutamente il Nord dei Forgotten Realms. Il manuale includeva una copertina ripiegabile con la mappa regionale e varie mappe minori stampate all’interno delle copertine (come Luskan, Ascore e altri luoghi). Ciò permise ai Dungeon Master di visualizzare città, montagne e isole fino ad allora solo accennate. Pubblicato a $7,95, ebbe la tiratura tipica dei moduli TSR dell’epoca, rendendolo non troppo raro sul mercato anglofono (in Italia, all’epoca, restava un oggetto quasi esotico). In breve, The Savage Frontier segnò un tassello fondamentale nell’espansione dei Reami: definì geograficamente e culturalmente il “Nord selvaggio”, ponendo basi che gli autori avrebbero ripreso per decenni. Contenuti del manualeLeggendo The Savage Frontier si ha la sensazione di sfogliare un compendio vivo del Nord, organizzato come una guida geografica arricchita di storia e spunti di avventura. Dopo un’introduzione in voce narrante (affidata al saggio Amelior Amanitas) e un capitolo di storia antica del Nord, il manuale passa in rassegna le regioni principali: dalla costa alle montagne. Ci imbattiamo nelle città di Neverwinter e Luskan, nei gelidi insediamenti di Icewind Dale e nelle vette impervie del Dorso del Mondo. Vengono delineate le caratteristiche di ogni zona: ad esempio Neverwinter appare come un faro di civiltà temprato dal clima mite del suo fiume termale, mentre Luskan è descritta come una città mercantile dura e spregiudicata, covo di pirati e di intriganti maghi della Hosttower of the Arcane (Torre degli Arcani). Più a nord, le Dieci Cittadine di Icewind Dale, fondate appena da una generazione, sono tratteggiate come l’ultimo avamposto di anime avventurose in cerca di anonimato e nuove opportunità, ai confini del gelo eterno. Proprio Icewind Dale fa da sfondo a eventi epocali: il manuale riferisce che le Ten Towns si stanno riprendendo a stento dopo essere state quasi distrutte dall’armata del mago Akar Kessell, evento in cui barbari e cittadini hanno unito le forze. Una nota di “cronaca” racconta persino la leggenda della loro salvezza grazie a un nano, un halfling, un’orda di barbari e… perfino un drow ranger, notizia accolta con scetticismo dai più, chiaro riferimento alla saga di Drizzt Do’Urden e soci, integrata nel canone del gioco. Oltre alle città (che includono anche Silverymoon, Mirabar, Sundabar e molti altri centri minori), The Savage Frontier dettaglia le culture del Nord. Spiccano gli Uthgardt, le potenti tribù barbariche umane dell’interno, suddivise in clan legati a spiriti animali e custodi dei misteriosi tumuli ancestrali disseminati nella foresta (luoghi sacri come Beorunna’s Well e Grandfather Tree). Questi barbari vengono ritratti come selvaggi bellicosi che combattono fra loro e assaltano orchi e avamposti civilizzati in egual misura. Ci sono poi i Northmen, i feroci uomini del nord dalle tradizioni marinare: discendenti di antichi coloni Illuski e vichinghi di Faerûn, stanziati lungo la Costa della Spada settentrionale e sulle isole oltre il Mare Senza Tracce (Ruathym, Tuern, Gundarlun). I Northmen disprezzano l’agricoltura e preferiscono vivere di razzie e guerra; le loro lunghe navi solcano il mare gelido portando tanto commercio quanto saccheggi. Il manuale sottolinea come i Northmen controllino le isole esterne e come la loro cultura, già introdotta in FR2 Moonshae, sia ispirata ai vichinghi fantasy di Douglas Niles. In contrasto, le città come Silverymoon, Everlund e Sundabar rappresentano la faccia più civilizzata del Nord: piccoli bastioni di conoscenza (Silverymoon è famosa per bardi e sapienti) fondati da discendenti dei colti Netheresi. Tutte le razze classiche sono menzionate: i nani (soprattutto i clan di Ironmaster a ovest e Adbar a est) resistono in roccaforti sotterranee sempre più spopolate, mentre i popoli elfici sopravvivono in piccoli nuclei isolati dopo l’esodo verso Evermeet, il manuale cita la diffidenza di molti umani e nani verso gli elfi rimasti, considerati quasi dei disertori. Anche gnomi e halfling compaiono brevemente: gli gnomi sono ormai rari (scacciati dagli orchi), e gli halfling preferiscono climi più temperati, essendo una vera rarità nelle lande dal freddo pungente. Il capitolo sul clima e la geografia del Nord dipinge un ambiente estremo: estati brevi e fresche e inverni lunghi e gelidi, con nevicate che isolano intere regioni. Le terre selvagge brulicano di minacce: vaste foreste come l’Alto Bosco celano antiche rovine elfiche e creature fatate; brughiere e brughiere (le Rough Lands) sono infestate da tribù di orchi, troll e giganti che periodicamente scendono a valle per assaltare villaggi e carovane. Vengono descritti luoghi evocativi come la Valle del Vento Gelido (alcuni dettagli su Kelvins’ Cairn e il Reghed Glacier), il tratto di costa noto come Mare dei Ghiacci Moventi (con i suoi iceberg abitati dai cacciatori di foche Ice Hunter), e i misteriosi Picchi Ghiacciati a ovest. Non mancano riferimenti a rovine perdute: ad esempio Hellgate Keep, l’antica fortezza demoniaca fra le montagne, i resti di antichi regni nanici come Delzoun, e quelli elfici (Illefarn, Eaerlann) dispersi tra foreste e colline. Ciascuno di questi siti viene brevemente caratterizzato e spesso accompagnato da agganci narrativi. Il manuale infatti “graffia appena la superficie” delle possibilità di avventura, lasciando il resto alla fantasia del DM. Per aiutare il Master, però, l’opera offre numerosi strumenti: tabelle (ad esempio una mappa economica del Nord con rotte commerciali, o gli incontri mensili riassunti nella sezione News of the Land), organizzazioni influenti e PNG. Troviamo descrizioni dei gruppi principali in azione nel Nord, come i L’alleanza dei Lord (la lega fra Waterdeep, Neverwinter e altre città contro le minacce comuni), i già citati Arcani Fratelli di Luskan (con nomi come Arklem Greeth, Dendybar ed Eldeluc tra i loro arcimaghi intriganti), la rete malvagia degli Zhentarim (decisi a espandere il loro monopolio commerciale da Zhentil Keep fin quassù), e naturalmente i Arpisti (bardi e agenti segreti votati a proteggere il Nord dalle insidie). Ogni fazione è riassunta con obiettivi, alleati e nemici principali, delineando un gioco di alleanze e conflitti: per esempio, scopriamo che a Llorkh un mago traditore, Lord Geildarr, ha preso il potere in combutta con i mercanti Zhentarim, costringendo i nani locali alla fuga. Invece a Luskan i cinque Capitani pirati sono segretamente manovrati dall’Arcimago Greeth della Torre degli Arcani, in una pericolosa oligarchia di pirati e stregoni. Chiude il manuale un’appendice con spunti di avventura: mini-trame e “voci” che un DM può sviluppare. Vi si parla di spiriti che profanano tutti i tumuli Uthgardt lasciando totem misteriosi, di pattuglie attaccate da grifoni fuori Sellalunga, di manovre di pirateria nonostante la tregua tra Luskan e Ruathym, e di molte altre scintille narrative. In sintesi, The Savage Frontier offre un vero sandbox del Nord: un quadro d’insieme ricchissimo di luoghi, popolazioni e trame, corredato da mappe utili e da un comparto artistico immersivo (le illustrazioni in bianco e nero di Maroto aggiungono un tocco cupo e fiabesco alle pagine). Analisi criticaPunti di Forza. Il pregio maggiore di FR5 è senza dubbio l’atmosfera: pagina dopo pagina si respira il fascino del Nord selvaggio, con descrizioni evocative che stimolano l’immaginazione del DM. Pur nella sinteticità, ogni paragrafo suggerisce un mondo più grande dietro le singole voci, dalle usanze barbariche alle leggende sui tesori sepolti, fornendo spunti per infinite campagne. La coerenza della lore è un altro punto forte: Jaquays intreccia armoniosamente materiale proveniente dai romanzi (ad esempio la trilogia di Icewind Dale) e dagli spunti di Ed Greenwood, creando un Nord consistente all’interno del canone dei Forgotten Realms. Si percepisce il lavoro di squadra dietro le quinte: l’autore ringrazia Greenwood e gli altri per aver gettato le basi, e costruisce su di esse. Ne risulta un modulo che funge da collante per vari elementi disparati (città, razze, eventi letterari) in un quadro unitario e credibile. Infine, FR5 brilla per utilità in gioco: è un toolkit flessibile, pieno di idee che un DM può adattare a piacimento. L’organizzazione “a gazetteer” rende facile consultarlo al volo durante il gioco, e le numerose trame abbozzate (dai complotti Zhentarim alle faide tribali) sono carburante immediato per l’avventura. In un’epoca in cui i manuali tendevano a essere brevi, The Savage Frontier riuscì a condensare una quantità sorprendente di informazioni in 64 pagine, aprendo al gruppo di gioco un intero angolo di Faerûn tutto da esplorare. Punti di Debolezza. La medaglia ha però il rovescio. Nel coprire così tanto territorio, FR5 adotta spesso un tono enciclopedico e stringato: alcune descrizioni risultano ridotte all’osso. Città affascinanti come Silverymoon o Mirabar vengono liquidate in pochi paragrafi con dati essenziali (popolazione, emblema araldico, milizia, ecc.), lasciando il lettore desideroso di “vederne di più”. Questa sintesi era inevitabile dato lo spazio, ma può far sembrare il manuale un elenco di note geografiche più che una lettura avvincente. Leggendolo oggi, ci si accorge che mancano regole o suggerimenti meccanici per affrontare le sfide ambientali: ad esempio, non troviamo sistemi specifici per il freddo estremo, l’esaurimento da viaggio o la scarsità di risorse. All’epoca tali dettagli erano lasciati al Dungeoneer’s Survival Guide o al buonsenso del DM, poiché i supplementi FR privilegiavano la narrazione al “crunch” regolistico. Ciò rende FR5 molto ricco di flavour ma povero di indicazioni pratiche sulla sopravvivenza in un ambiente ostile (elemento che moduli moderni come Rime of the Frostmaiden invece sviluppano con apposite meccaniche). Inoltre, l’organizzazione a blocchi tematici (storia, geografia, città, rovine, personalità) comporta qualche ripetizione e frammentazione: il DM deve saltare da una sezione all’altra per collegare tutti i pezzi di una stessa sotto-regione. Confronti. È interessante confrontare FR5 con altri moduli dell’epoca e con prodotti più recenti. Rispetto a FR1 Waterdeep and the North (1987), The Savage Frontier è molto più ampio come respiro geografico: FR1 presentava Waterdeep e pochi territori limitrofi in grande dettaglio, mentre FR5 doveva tracciare un quadro generale di un’intera macro-regione. Ne consegue che FR5 sacrifica dettaglio per coprire più terre, una scelta che Empires of the Sands (FR3) aveva fatto in modo simile per le regioni del sud-ovest. Guardando alle opere moderne ambientate nel Nord, come Storm King’s Thunder (D&D 5ª Edizione) o Icewind Dale: Rime of the Frostmaiden, notiamo un cambio di approccio: questi volumi recenti dedicano molte pagine a scenari specifici, personaggi e trame pronte da giocare, offrendo un’esperienza più guidata. Storm King’s Thunder ad esempio aggiorna luoghi classici della Savage Frontier (Triboar, Bryn Shander, ecc.) inserendoli in un plot unitario sui giganti, mentre Rime of the Frostmaiden espande enormemente l’ambientazione di Icewind Dale con regole di sopravvivenza, segreti per ognuna delle dieci città e un’atmosfera horror soprannaturale. Al confronto, FR5 appare più scarno ma più flessibile: un arsenale di informazioni neutre su cui costruire qualsiasi storia nel Nord, anziché una singola grande storia predefinita. Per alcuni “vecchia scuola” questo è un pregio, lascia piena libertà creativa, mentre per altri Master abituati alle 5ª Edizione potrebbe sembrare mancare di “trama”. In definitiva, FR5 va visto come uno snapshot del design tardo anni ‘80: tanta ambientazione, pochissime regole, nessuna avventura lineare ma tanti semi da coltivare. E su questo fronte, regge bene il confronto col materiale più nuovo, risultando ancora oggi una miniera di idee per arricchire qualsiasi campagna ambientata nei Forgotten Realms. Utilità oggiA oltre trent’anni dalla sua uscita, The Savage Frontier mantiene una sua utilità sia per i nostalgici di AD&D/OSR, sia per i giocatori delle edizioni moderne in cerca di ispirazione “old school”. Per chi gioca ancora a AD&D 1ª-2ª Edizione (o sistemi OSR simili), questo modulo rimane un riferimento prezioso: offre la lore completa del Nord Faerûn classico (circa 1357 DR) con tutti i luoghi chiave, personaggi e intrighi dell’epoca. Integrarlo in una campagna AD&D richiede pochissimo sforzo, dato che nasce per quel sistema. Anche gli eventuali nuovi oggetti magici o proficiency presentati in appendice sono immediatamente utilizzabili con le regole originali. Certo, alcune informazioni sullo stato politico potrebbero essere “superate” dalle metatrame successive dei Forgotten Realms (ad esempio, Hellgate Keep venne distrutta in un racconto degli anni ‘90, Luskan in 5ª Edizione ha una situazione diversa, ecc.), ma se si ambienta l’avventura in quegli anni del calendario delle valli (il periodo pre-Time of Troubles) nulla stona. Anzi, molti giocatori old school apprezzano proprio quel feeling da Grey Box che FR5 completa ed espande Per le edizioni moderne di D&D (dalla 3ª alla 5ª), FR5 non fornisce statistiche compatibili né regole pronte all’uso, ma rimane una fonte d’idee straordinaria. Molti concetti presentati nel modulo sono esportabili nei giochi attuali: l’idea di una campagna incentrata sulla sopravvivenza e l’isolamento in terre estreme, il conflitto tra civiltà e barbarie incarnato dalle città costiere e dalle tribù Uthgardt, o le lotte di potere sotterranee tra fazioni (Harpers vs Zhentarim vs Arcani Fratelli) possono arricchire qualsiasi tavolo di D&D 5e. Ad esempio, un Dungeon Master di 5e potrebbe usare The Savage Frontier per ottenere dettagli di background sulle varie città del Nord (Neverwinter, Luskan, Longsaddle, etc.) da inserire in una campagna di Storm King’s Thunder o per creare side-quest aggiuntive in Rime of the Frostmaiden. Molti dei luoghi descritti in FR5 compaiono ancora nei manuali recenti, ma spesso solo accennati: avere a disposizione il supplemento classico significa poter stupire i giocatori con approfondimenti inaspettati (come la storia di un tumulo Uthgardt profanato, o una voce di corridoio su un artefatto nelle rovine di Ascore) che i manuali moderni non trattano in dettaglio. Naturalmente bisognerà riadattare cronologia e dettagli per tenere conto degli eventi successivi (dal Time of Troubles del 1358 alla situazione post-Sundering del 1480+), ma a livello di idee grezze FR5 è atemporale. ConclusioneIn conclusione, The Savage Frontier (FR5) è più di un semplice supplemento geografico: è un invito a tuffarsi nell’era pionieristica dei Forgotten Realms, quando ogni foresta oscura o vetta innevata poteva celare meraviglie e terrori sconosciuti. Attraverso le sue pagine traspare tutto il fascino del Nord selvaggio, una terra di frontiera dove la linea tra leggenda e realtà è sottile come il ghiaccio d’inverno. Personalmente, rileggere questo modulo significa risentire quel richiamo dell’avventura pura – senza reti di salvataggio – che caratterizzava il D&D dei miei esordi. Certo, il manuale mostra la patina del tempo in alcuni aspetti, ma il suo valore storico è inestimabile: ha gettato le fondamenta per decenni di storie nei Reami Dimenticati, definendo luoghi e culture che ancora oggi popolano l’immaginario dei giocatori. Se amate i Forgotten Realms e volete riscoprirne le radici, FR5 The Savage Frontier è una lettura obbligata. Chiudendo il volume, vi ritroverete con la mente colma di idee e il cuore un po’ più a nord, tra picchi gelati e antichi sentieri dimenticati – pronti a guidare una nuova generazione di avventurieri alla conquista della Frontiera Selvaggia. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister View full articolo
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR5 The Savage Frontier
A nord di Waterdeep ogni passo fuori dalle palizzate dei villaggi significa affidarsi solo al proprio acciaio e al proprio coraggio, in terre dove l’uomo non ha ancora domato né la natura né le sue creature. Eppure, questo confine estremo esercita un fascino irresistibile. Ricordo ancora la copertina di The Savage Frontier di Larry Elmore: un’istantanea di avventura gelida e feroce, capace di evocare scene come quelle delle nostre sessioni di gioco nel Nord. È un invito a esplorare un mondo dove ogni radura può celare un mistero, dove attorno al fuoco si narrano leggende di nani, barbari e draghi, e dove anche un ranger drow dai regni oscuri potrebbe emergere come eroe inatteso. Contesto della pubblicazioneThe Savage Frontier esce nel 1988, nel pieno della “Golden Age” di AD&D, come quinto modulo della serie FR dedicata ai Forgotten Realms. Scritto da Paul Jaquays e arricchito dalle illustrazioni di Larry Elmore (copertina) ed Esteban Maroto (interni), FR5 si colloca subito dopo i manuali regionali su Waterdeep (FR1), Moonshae (FR2), Empires of the Sands (FR3) e The Magister (FR4). A differenza di FR1, incentrato sulla metropoli civilizzata di Waterdeep e dintorni, questo supplemento espande l’orizzonte verso “la Frontiera Selvaggia a nord di Waterdeep”, offrendo una descrizione dettagliata delle terre selvagge popolate da barbari, rovine naniche e dai pericoli delle montagne del Dorso del Mondo. Nella visione TSR degli anni ‘80, la frontiera rappresenta il limite estremo della civiltà, un territorio liminare dove ordine e natura selvaggia si scontrano. Non è un caso che la frase “Civilization ends here” campeggi idealmente su queste pagine: la Frontiera Selvaggia incarna il confine oltre il quale iniziano l’ignoto e l’avventura. Dal punto di vista editoriale, FR5 fu importante perché per la prima volta mappò compiutamente il Nord dei Forgotten Realms. Il manuale includeva una copertina ripiegabile con la mappa regionale e varie mappe minori stampate all’interno delle copertine (come Luskan, Ascore e altri luoghi). Ciò permise ai Dungeon Master di visualizzare città, montagne e isole fino ad allora solo accennate. Pubblicato a $7,95, ebbe la tiratura tipica dei moduli TSR dell’epoca, rendendolo non troppo raro sul mercato anglofono (in Italia, all’epoca, restava un oggetto quasi esotico). In breve, The Savage Frontier segnò un tassello fondamentale nell’espansione dei Reami: definì geograficamente e culturalmente il “Nord selvaggio”, ponendo basi che gli autori avrebbero ripreso per decenni. Contenuti del manualeLeggendo The Savage Frontier si ha la sensazione di sfogliare un compendio vivo del Nord, organizzato come una guida geografica arricchita di storia e spunti di avventura. Dopo un’introduzione in voce narrante (affidata al saggio Amelior Amanitas) e un capitolo di storia antica del Nord, il manuale passa in rassegna le regioni principali: dalla costa alle montagne. Ci imbattiamo nelle città di Neverwinter e Luskan, nei gelidi insediamenti di Icewind Dale e nelle vette impervie del Dorso del Mondo. Vengono delineate le caratteristiche di ogni zona: ad esempio Neverwinter appare come un faro di civiltà temprato dal clima mite del suo fiume termale, mentre Luskan è descritta come una città mercantile dura e spregiudicata, covo di pirati e di intriganti maghi della Hosttower of the Arcane (Torre degli Arcani). Più a nord, le Dieci Cittadine di Icewind Dale, fondate appena da una generazione, sono tratteggiate come l’ultimo avamposto di anime avventurose in cerca di anonimato e nuove opportunità, ai confini del gelo eterno. Proprio Icewind Dale fa da sfondo a eventi epocali: il manuale riferisce che le Ten Towns si stanno riprendendo a stento dopo essere state quasi distrutte dall’armata del mago Akar Kessell, evento in cui barbari e cittadini hanno unito le forze. Una nota di “cronaca” racconta persino la leggenda della loro salvezza grazie a un nano, un halfling, un’orda di barbari e… perfino un drow ranger, notizia accolta con scetticismo dai più, chiaro riferimento alla saga di Drizzt Do’Urden e soci, integrata nel canone del gioco. Oltre alle città (che includono anche Silverymoon, Mirabar, Sundabar e molti altri centri minori), The Savage Frontier dettaglia le culture del Nord. Spiccano gli Uthgardt, le potenti tribù barbariche umane dell’interno, suddivise in clan legati a spiriti animali e custodi dei misteriosi tumuli ancestrali disseminati nella foresta (luoghi sacri come Beorunna’s Well e Grandfather Tree). Questi barbari vengono ritratti come selvaggi bellicosi che combattono fra loro e assaltano orchi e avamposti civilizzati in egual misura. Ci sono poi i Northmen, i feroci uomini del nord dalle tradizioni marinare: discendenti di antichi coloni Illuski e vichinghi di Faerûn, stanziati lungo la Costa della Spada settentrionale e sulle isole oltre il Mare Senza Tracce (Ruathym, Tuern, Gundarlun). I Northmen disprezzano l’agricoltura e preferiscono vivere di razzie e guerra; le loro lunghe navi solcano il mare gelido portando tanto commercio quanto saccheggi. Il manuale sottolinea come i Northmen controllino le isole esterne e come la loro cultura, già introdotta in FR2 Moonshae, sia ispirata ai vichinghi fantasy di Douglas Niles. In contrasto, le città come Silverymoon, Everlund e Sundabar rappresentano la faccia più civilizzata del Nord: piccoli bastioni di conoscenza (Silverymoon è famosa per bardi e sapienti) fondati da discendenti dei colti Netheresi. Tutte le razze classiche sono menzionate: i nani (soprattutto i clan di Ironmaster a ovest e Adbar a est) resistono in roccaforti sotterranee sempre più spopolate, mentre i popoli elfici sopravvivono in piccoli nuclei isolati dopo l’esodo verso Evermeet, il manuale cita la diffidenza di molti umani e nani verso gli elfi rimasti, considerati quasi dei disertori. Anche gnomi e halfling compaiono brevemente: gli gnomi sono ormai rari (scacciati dagli orchi), e gli halfling preferiscono climi più temperati, essendo una vera rarità nelle lande dal freddo pungente. Il capitolo sul clima e la geografia del Nord dipinge un ambiente estremo: estati brevi e fresche e inverni lunghi e gelidi, con nevicate che isolano intere regioni. Le terre selvagge brulicano di minacce: vaste foreste come l’Alto Bosco celano antiche rovine elfiche e creature fatate; brughiere e brughiere (le Rough Lands) sono infestate da tribù di orchi, troll e giganti che periodicamente scendono a valle per assaltare villaggi e carovane. Vengono descritti luoghi evocativi come la Valle del Vento Gelido (alcuni dettagli su Kelvins’ Cairn e il Reghed Glacier), il tratto di costa noto come Mare dei Ghiacci Moventi (con i suoi iceberg abitati dai cacciatori di foche Ice Hunter), e i misteriosi Picchi Ghiacciati a ovest. Non mancano riferimenti a rovine perdute: ad esempio Hellgate Keep, l’antica fortezza demoniaca fra le montagne, i resti di antichi regni nanici come Delzoun, e quelli elfici (Illefarn, Eaerlann) dispersi tra foreste e colline. Ciascuno di questi siti viene brevemente caratterizzato e spesso accompagnato da agganci narrativi. Il manuale infatti “graffia appena la superficie” delle possibilità di avventura, lasciando il resto alla fantasia del DM. Per aiutare il Master, però, l’opera offre numerosi strumenti: tabelle (ad esempio una mappa economica del Nord con rotte commerciali, o gli incontri mensili riassunti nella sezione News of the Land), organizzazioni influenti e PNG. Troviamo descrizioni dei gruppi principali in azione nel Nord, come i L’alleanza dei Lord (la lega fra Waterdeep, Neverwinter e altre città contro le minacce comuni), i già citati Arcani Fratelli di Luskan (con nomi come Arklem Greeth, Dendybar ed Eldeluc tra i loro arcimaghi intriganti), la rete malvagia degli Zhentarim (decisi a espandere il loro monopolio commerciale da Zhentil Keep fin quassù), e naturalmente i Arpisti (bardi e agenti segreti votati a proteggere il Nord dalle insidie). Ogni fazione è riassunta con obiettivi, alleati e nemici principali, delineando un gioco di alleanze e conflitti: per esempio, scopriamo che a Llorkh un mago traditore, Lord Geildarr, ha preso il potere in combutta con i mercanti Zhentarim, costringendo i nani locali alla fuga. Invece a Luskan i cinque Capitani pirati sono segretamente manovrati dall’Arcimago Greeth della Torre degli Arcani, in una pericolosa oligarchia di pirati e stregoni. Chiude il manuale un’appendice con spunti di avventura: mini-trame e “voci” che un DM può sviluppare. Vi si parla di spiriti che profanano tutti i tumuli Uthgardt lasciando totem misteriosi, di pattuglie attaccate da grifoni fuori Sellalunga, di manovre di pirateria nonostante la tregua tra Luskan e Ruathym, e di molte altre scintille narrative. In sintesi, The Savage Frontier offre un vero sandbox del Nord: un quadro d’insieme ricchissimo di luoghi, popolazioni e trame, corredato da mappe utili e da un comparto artistico immersivo (le illustrazioni in bianco e nero di Maroto aggiungono un tocco cupo e fiabesco alle pagine). Analisi criticaPunti di Forza. Il pregio maggiore di FR5 è senza dubbio l’atmosfera: pagina dopo pagina si respira il fascino del Nord selvaggio, con descrizioni evocative che stimolano l’immaginazione del DM. Pur nella sinteticità, ogni paragrafo suggerisce un mondo più grande dietro le singole voci, dalle usanze barbariche alle leggende sui tesori sepolti, fornendo spunti per infinite campagne. La coerenza della lore è un altro punto forte: Jaquays intreccia armoniosamente materiale proveniente dai romanzi (ad esempio la trilogia di Icewind Dale) e dagli spunti di Ed Greenwood, creando un Nord consistente all’interno del canone dei Forgotten Realms. Si percepisce il lavoro di squadra dietro le quinte: l’autore ringrazia Greenwood e gli altri per aver gettato le basi, e costruisce su di esse. Ne risulta un modulo che funge da collante per vari elementi disparati (città, razze, eventi letterari) in un quadro unitario e credibile. Infine, FR5 brilla per utilità in gioco: è un toolkit flessibile, pieno di idee che un DM può adattare a piacimento. L’organizzazione “a gazetteer” rende facile consultarlo al volo durante il gioco, e le numerose trame abbozzate (dai complotti Zhentarim alle faide tribali) sono carburante immediato per l’avventura. In un’epoca in cui i manuali tendevano a essere brevi, The Savage Frontier riuscì a condensare una quantità sorprendente di informazioni in 64 pagine, aprendo al gruppo di gioco un intero angolo di Faerûn tutto da esplorare. Punti di Debolezza. La medaglia ha però il rovescio. Nel coprire così tanto territorio, FR5 adotta spesso un tono enciclopedico e stringato: alcune descrizioni risultano ridotte all’osso. Città affascinanti come Silverymoon o Mirabar vengono liquidate in pochi paragrafi con dati essenziali (popolazione, emblema araldico, milizia, ecc.), lasciando il lettore desideroso di “vederne di più”. Questa sintesi era inevitabile dato lo spazio, ma può far sembrare il manuale un elenco di note geografiche più che una lettura avvincente. Leggendolo oggi, ci si accorge che mancano regole o suggerimenti meccanici per affrontare le sfide ambientali: ad esempio, non troviamo sistemi specifici per il freddo estremo, l’esaurimento da viaggio o la scarsità di risorse. All’epoca tali dettagli erano lasciati al Dungeoneer’s Survival Guide o al buonsenso del DM, poiché i supplementi FR privilegiavano la narrazione al “crunch” regolistico. Ciò rende FR5 molto ricco di flavour ma povero di indicazioni pratiche sulla sopravvivenza in un ambiente ostile (elemento che moduli moderni come Rime of the Frostmaiden invece sviluppano con apposite meccaniche). Inoltre, l’organizzazione a blocchi tematici (storia, geografia, città, rovine, personalità) comporta qualche ripetizione e frammentazione: il DM deve saltare da una sezione all’altra per collegare tutti i pezzi di una stessa sotto-regione. Confronti. È interessante confrontare FR5 con altri moduli dell’epoca e con prodotti più recenti. Rispetto a FR1 Waterdeep and the North (1987), The Savage Frontier è molto più ampio come respiro geografico: FR1 presentava Waterdeep e pochi territori limitrofi in grande dettaglio, mentre FR5 doveva tracciare un quadro generale di un’intera macro-regione. Ne consegue che FR5 sacrifica dettaglio per coprire più terre, una scelta che Empires of the Sands (FR3) aveva fatto in modo simile per le regioni del sud-ovest. Guardando alle opere moderne ambientate nel Nord, come Storm King’s Thunder (D&D 5ª Edizione) o Icewind Dale: Rime of the Frostmaiden, notiamo un cambio di approccio: questi volumi recenti dedicano molte pagine a scenari specifici, personaggi e trame pronte da giocare, offrendo un’esperienza più guidata. Storm King’s Thunder ad esempio aggiorna luoghi classici della Savage Frontier (Triboar, Bryn Shander, ecc.) inserendoli in un plot unitario sui giganti, mentre Rime of the Frostmaiden espande enormemente l’ambientazione di Icewind Dale con regole di sopravvivenza, segreti per ognuna delle dieci città e un’atmosfera horror soprannaturale. Al confronto, FR5 appare più scarno ma più flessibile: un arsenale di informazioni neutre su cui costruire qualsiasi storia nel Nord, anziché una singola grande storia predefinita. Per alcuni “vecchia scuola” questo è un pregio, lascia piena libertà creativa, mentre per altri Master abituati alle 5ª Edizione potrebbe sembrare mancare di “trama”. In definitiva, FR5 va visto come uno snapshot del design tardo anni ‘80: tanta ambientazione, pochissime regole, nessuna avventura lineare ma tanti semi da coltivare. E su questo fronte, regge bene il confronto col materiale più nuovo, risultando ancora oggi una miniera di idee per arricchire qualsiasi campagna ambientata nei Forgotten Realms. Utilità oggiA oltre trent’anni dalla sua uscita, The Savage Frontier mantiene una sua utilità sia per i nostalgici di AD&D/OSR, sia per i giocatori delle edizioni moderne in cerca di ispirazione “old school”. Per chi gioca ancora a AD&D 1ª-2ª Edizione (o sistemi OSR simili), questo modulo rimane un riferimento prezioso: offre la lore completa del Nord Faerûn classico (circa 1357 DR) con tutti i luoghi chiave, personaggi e intrighi dell’epoca. Integrarlo in una campagna AD&D richiede pochissimo sforzo, dato che nasce per quel sistema. Anche gli eventuali nuovi oggetti magici o proficiency presentati in appendice sono immediatamente utilizzabili con le regole originali. Certo, alcune informazioni sullo stato politico potrebbero essere “superate” dalle metatrame successive dei Forgotten Realms (ad esempio, Hellgate Keep venne distrutta in un racconto degli anni ‘90, Luskan in 5ª Edizione ha una situazione diversa, ecc.), ma se si ambienta l’avventura in quegli anni del calendario delle valli (il periodo pre-Time of Troubles) nulla stona. Anzi, molti giocatori old school apprezzano proprio quel feeling da Grey Box che FR5 completa ed espande Per le edizioni moderne di D&D (dalla 3ª alla 5ª), FR5 non fornisce statistiche compatibili né regole pronte all’uso, ma rimane una fonte d’idee straordinaria. Molti concetti presentati nel modulo sono esportabili nei giochi attuali: l’idea di una campagna incentrata sulla sopravvivenza e l’isolamento in terre estreme, il conflitto tra civiltà e barbarie incarnato dalle città costiere e dalle tribù Uthgardt, o le lotte di potere sotterranee tra fazioni (Harpers vs Zhentarim vs Arcani Fratelli) possono arricchire qualsiasi tavolo di D&D 5e. Ad esempio, un Dungeon Master di 5e potrebbe usare The Savage Frontier per ottenere dettagli di background sulle varie città del Nord (Neverwinter, Luskan, Longsaddle, etc.) da inserire in una campagna di Storm King’s Thunder o per creare side-quest aggiuntive in Rime of the Frostmaiden. Molti dei luoghi descritti in FR5 compaiono ancora nei manuali recenti, ma spesso solo accennati: avere a disposizione il supplemento classico significa poter stupire i giocatori con approfondimenti inaspettati (come la storia di un tumulo Uthgardt profanato, o una voce di corridoio su un artefatto nelle rovine di Ascore) che i manuali moderni non trattano in dettaglio. Naturalmente bisognerà riadattare cronologia e dettagli per tenere conto degli eventi successivi (dal Time of Troubles del 1358 alla situazione post-Sundering del 1480+), ma a livello di idee grezze FR5 è atemporale. ConclusioneIn conclusione, The Savage Frontier (FR5) è più di un semplice supplemento geografico: è un invito a tuffarsi nell’era pionieristica dei Forgotten Realms, quando ogni foresta oscura o vetta innevata poteva celare meraviglie e terrori sconosciuti. Attraverso le sue pagine traspare tutto il fascino del Nord selvaggio, una terra di frontiera dove la linea tra leggenda e realtà è sottile come il ghiaccio d’inverno. Personalmente, rileggere questo modulo significa risentire quel richiamo dell’avventura pura – senza reti di salvataggio – che caratterizzava il D&D dei miei esordi. Certo, il manuale mostra la patina del tempo in alcuni aspetti, ma il suo valore storico è inestimabile: ha gettato le fondamenta per decenni di storie nei Reami Dimenticati, definendo luoghi e culture che ancora oggi popolano l’immaginario dei giocatori. Se amate i Forgotten Realms e volete riscoprirne le radici, FR5 The Savage Frontier è una lettura obbligata. Chiudendo il volume, vi ritroverete con la mente colma di idee e il cuore un po’ più a nord, tra picchi gelati e antichi sentieri dimenticati – pronti a guidare una nuova generazione di avventurieri alla conquista della Frontiera Selvaggia. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister
La copertina di The Magister non lascia spazio ai dubbi: siamo nel cuore della magia dei Forgotten Realms, là dove il potere arcano è tanto sublime quanto pericoloso. Un mago dal volto segnato, le vesti scosse dal vento soprannaturale, leva la mano destra in un gesto di dominio, mentre un’ondata di energia gli esplode attorno, illuminando scheletri fiammeggianti e ombre danzanti. Jeff Easley, con il suo inconfondibile tratto, cattura l’essenza del mago errante di AD&D: non un eroe da accademia, ma un cercatore di segreti che sfida forze più grandi di lui, con la follia e la grandezza tipiche degli studiosi della Trama. Sfogliare The Magister significa tornare a quell’istante sospeso tra curiosità e terrore, in cui la magia non è solo potere, ma conoscenza proibita da toccare con mano tremante. È un manuale che promette di svelare i segreti di Mystra e dei suoi eletti, e al tempo stesso di ricordarci che, nei Reami Dimenticati, la magia ha sempre un prezzo, e raramente chi la usa rimane illeso. Contesto della pubblicazioneFacciamo un salto indietro al 1988. La TSR era nel pieno della sua “Golden Age” e sfornava a raffica manuali per AD&D 1ª Edizione. I Forgotten Realms erano un’ambientazione neonata (il celebre Grey Box è del 1987) e c’era un’enorme fame di espansioni da parte dei giocatori. The Magister esce proprio in quell’anno, scritto dal creatore dei Reami Ed Greenwood con il contributo di Steve Perrin. È il quarto modulo della serie “FR” e il primo davvero dedicato alla magia e agli incantatori dei Reami, in contrasto con i precedenti FR1-3 che descrivevano regioni geografiche. Immaginate il contesto: AD&D stava per passare alla 2ª Edizione (in arrivo l’anno successivo), e Greenwood colse l’occasione per consolidare l’identità magica del suo mondo prima del cambio di edizione. Dietro le quinte, The Magister rappresenta anche un momento di ritorno alle origini: dopo aver delegato ad altri autori alcuni manuali regionali (come Empires of the Sands di Scott Haring), Greenwood riprende in mano il cuore dei Forgotten Realms, la magia, per definirne filosofia e sapore inconfondibili. Dal punto di vista editoriale, The Magister si presenta come un manualetto di 64 pagine con copertina a colori e interno in colore pergamena. La qualità produttiva è quella tipica dei moduli TSR di fine anni ’80: stampa nitida, impaginazione a tre colonne e artwork evocativi. La copertina di Easley, come detto, fa la sua figura, mentre le illustrazioni interne di Valerie Valusek (meno note di quelle di Easley, ma efficaci) aggiungono atmosfera alle pagine. A differenza di alcuni supplementi precedenti, qui ogni spazio è sfruttato: perfino l’interno di copertina anteriore e posteriore ospita tabelle di gioco utili (per generare tesori magici e per i tiri salvezza nella creazione di oggetti). Ma che tipo di segreti racchiude esattamente questo manuale? Apriamolo e diamo uno sguardo ai suoi contenuti. I contenuti di The MagisterIl cuore concettuale del manuale è racchiuso nel suo titolo: “The Magister”. Nei Forgotten Realms questo non è solo un nome altisonante, ma un vero e proprio titolo onorifico concesso dalla dea della magia Mystra a un singolo prescelto. Il Magister è il campione personale di Mystra, un mago destinato a vagare per i Reami custodendo e diffondendo le arti arcane, e, allo stesso tempo, a essere sfidato da altri incantatori ambiziosi. Si tratta di una figura leggendaria che incarna l’idea che la magia nei Reami sia viva e in costante evoluzione attraverso conflitti e successioni. Il manuale, però, non si limita a presentarci questo spunto di lore (viene citata ad esempio l’ultima Magister nota, Noume’a, eletta nel 1354 CV, di cui si sono perse le tracce); anzi, usa il concetto come filo conduttore per introdurci a un intero arsenale di incantesimi, tomi e oggetti magici caratteristici dell’ambientazione. The Magister è strutturato come un compendio arcano narrato in prima persona da Elminster, l’Arcimago di Shadowdale, il quale ci guida tra le pagine con i suoi commenti da “vecchio saggio”. In apertura troviamo un’introduzione di Greenwood, che spiega come nel manuale sia raccolta solo una porzione del vasto “Realmslore” magico (molto materiale proveniva dai suoi articoli su Dragon Magazine, in particolare la serie Pages from the Mages, e altro è stato lasciato fuori per ragioni di spazio). Subito dopo, l’esperto game designer Steve Perrin aggiunge una sezione “How to Use This Book” con consigli su come integrare il contenuto nel gioco, segno che questo supplemento si propone sia come lettura di lore che come strumento pratico al tavolo. Il primo grande blocco del manuale è dedicato ai Libri Magici dei Reami: una sfilata di antichi tomi incantati, ciascuno con la sua storia, le sue peculiarità e, naturalmente, una collezione di incantesimi contenuti al suo interno. Invece di elencare semplicemente nuovi incantesimi in modo asettico, Greenwood ce li presenta attraverso il worldbuilding: ogni grimorio viene descritto in termini di aspetto fisico, origine, autore (spesso un mago leggendario) e contenuto. Ad esempio, Il Libro dei Pipistrelli ha le copertine di lastre di quercia annerita e sigillata, rilegata con le pelli e le ali coriacee e lacerate di grandi pipistrelli neri, con gli artigli ancora attaccati, racchiude formule appartenute a due arcimaghi del passato, Beltyn e Shaeroon. Sfogliando le pagine del Libro dei Pipistrelli, il lettore/tipo Dungeon Master scopre incantesimi tanto rari quanto evocativi, come Beltyn’s Burning Blood (Sangue Ardente di Beltyn) e Shaeroon’s Scimitar (la Scimitarra di Shaeroon), accanto a spell più familiari. Greenwood non si limita a darne la descrizione meccanica: per ognuno c’è un background, magari l’aneddoto di come Beltyn lo utilizzò in una battaglia o avvertimenti sul pericolo che corre chi abusa di quel potere. Questo approccio intreccia regole e narrazione, facendo sì che ogni incantesimo diventi uno spunto di avventura. Nel complesso il manuale aggiunge dozzine di nuovi incantesimi mai visti altrove (principalmente per maghi, ma non solo, ci sono anche preghiere clericali rare, rituali druidici dimenticati, ecc.), spesso con effetti curiosi e “twist” originali rispetto alle magie base di AD&D. Si va da incantesimi offensivi cruenti come Sangue Ardente, che fa ribollire il sangue nei corpi feriti di un nemico, infliggendo danni terribili a meno di superare una serie di tiri salvezza, a incantesimi più sottili e situazionali come Hold Vapor, una magia capace di arrestare immobilmente nebbie, fumi o creature in forma gassosa. Molti incantesimi portano il nome del mago che li ha creati (Beltyn, Shaeroon, Elmister stesso in alcuni casi), sottolineando come nei Reami la conoscenza arcana sia tramandata come un patrimonio personale e storico, non solo come liste anonime di effetti da manuale. La seconda parte del supplemento è dedicata agli Oggetti Magici unici dei Forgotten Realms. Anche qui, invece di limitarsi a fornire statistiche, Greenwood infarcisce ogni voce di lore: gli oggetti sono spesso legati a personaggi famosi o eventi storici, il che li rende immediatamente più intriganti. Troviamo armi, armature, anelli, bacchette e reliquie varie, ciascuna con un nome proprio e particolarità distintive. Qualche esempio? C’è Laeral’s Storm Armor, un’armatura incantata appartenuta a Laeral Arunsun (una delle leggendarie Sette Sorelle) che si dice sprigioni fulmini a comando. Oppure il Mantello delle Stelle (Cloak of Stars), un mantello che di notte brilla del riflesso di un cielo stellato e offre protezione in viaggio. Alcuni oggetti trasmettono tutto il sapore dei Reami: Shoon’s Buckler è uno scudo legato all’antico impero di Shoon (un imperatore-mago di Calimshan), mentre la Spada dell’Agilità di Arbane è un’antica arma magica creata dall’elfo mago Arbane di Myth Drannor. Spiccano poi i riferimenti a luoghi e fatti della storia dei FR: ad esempio, le Arpe di Myth Drannor sono una collezione di arpe magiche create nell’antica città elfica di Myth Drannor, ognuna con poteri incantatori unici, una di esse è posseduta dalla famosa arpista Dove Falconhand, tanto che il suo nome ha soppiantato il nome originale dello strumento. In un altro caso, leggendo la descrizione di un oggetto veniamo a sapere di un astio tra un potente mago di Thay (il Red Wizard Lauzoril) e gli Arpisti, lasciando intendere trame più grandi in cui quell’oggetto potrebbe essere coinvolto. Insomma, ogni oggetto diventa un potenziale gancio narrativo: chi lo forgiò? Perché esiste? Dove è finito ora? Per un Dungeon Master, è difficile non iniziare subito a fantasticare su come inserire questi tesori in una campagna. Chiudono il manuale alcune sezioni di supporto al DM altrettanto interessanti. Una pagina spiega come creare nuovi oggetti magici in gioco, espandendo le regole standard di AD&D con considerazioni “ambientate”, per esempio dettaglia ingredienti speciali o rituali che un mago dei Reami potrebbe dover compiere per incantare un oggetto. Queste regole aggiuntive restano fedeli alle linee guida base di AD&D, ma offrono spunti originali e giustificazioni più in-world (come le limitazioni sul numero di oggetti creabili, o gli effetti collaterali che certi incanti potrebbero comportare). Sulla copertina interna anteriore troviamo inoltre una comoda tabella: in pratica, un sistema per integrare gli oggetti di The Magister nelle tabelle casuali del Dungeon Master’s Guide. All’interno della copertina posteriore, infine, c’è una tabella riepilogativa dei tiri salvezza coinvolti proprio nella creazione degli oggetti magici (utile per chi vuole usare le regole aggiuntive senza sfogliare continuamente la DMG). Completa il tutto un indice analitico dei nomi di incantesimi e oggetti, e qua e là consigli su come inserire questi elementi in campagna. È evidente che The Magister ambiva a essere non solo una raccolta di nuovo materiale arcano per AD&D, ma anche un vero supplemento di worldbuilding: ogni pagina ci racconta qualcosa in più su come funziona la magia nei Forgotten Realms, rendendo palpabile l’idea che, nei Reami, l’Artificio Arcano (The Art) sia una forza culturale, venerata e temuta al pari degli dei. Analisi criticaDopo aver esplorato i contenuti, viene spontaneo chiedersi: The Magister regge ancora il confronto con le aspettative? Quali sono i suoi punti di forza, e dove invece mostra i limiti? Vediamoli nel dettaglio. Punti di Forza: Fedeltà alla visione dei Reami: Il manuale incarna perfettamente la visione di Ed Greenwood, in cui la magia è un elemento vivo, pericoloso e profondamente intrecciato col mondo. Leggendo The Magister si respira quella tipica atmosfera “greenwoodiana” dove ogni incantesimo o oggetto ha una storia, una leggenda, un prezzo da pagare. Questa coerenza tematica dà al supplemento un valore quasi narrativo: ci sentiamo davvero immersi nei Reami Dimenticati e nella loro concezione unica dell’Artificio. Creatività e varietà: Gli incantesimi e gli oggetti introdotti sono pieni di trovate originali. Non ci troviamo di fronte a semplici copie sbiadite delle magie base, ma a effetti particolari con “twist” intriganti. Ken Rolston sulle pagine di Dragon definì The Magister “una superba espressione della magia AD&D al suo meglio”, lodando proprio l’immaginazione e la vivacità di queste aggiunte. Importante, aggiungeva, è che tali magie risultavano utili in gioco senza rompere l’equilibrio delle regole, segno di un buon design dietro l’estro creativo. Ricchezza di spunti narrativi: Come già evidenziato, The Magister offre idee per avventure praticamente ad ogni pagina. Ogni tomo può essere l’oggetto di una quest (magari i PG devono recuperare il Libro di Num il Folle da una rovina sotterranea), ogni incantesimo raro può generare trame (chi ha insegnato a quel necromante Sangue Ardente? E a quale scopo?) e ogni oggetto è un MacGuffin in potenza. In un’epoca in cui molti supplementi erano freddi elenchi di statistiche, questo modulo spicca perché lega strettamente regole e worldbuilding. Il risultato è che può essere letto quasi come un’antologia di racconti brevi mascherata da manuale tecnico, cosa che lo rende piacevole da sfogliare anche fuori dal gioco attivo. Magia come fenomeno culturale: The Magister tratta la magia non solo come un insieme di meccaniche, ma come parte integrante della società e della storia dei Reami. Ci mostra accademie e biblioteche (anche se solo accennandole tramite i libri), ordini segreti di maghi, duelli rituali per il titolo di Magister, reliquie di imperi passati… In altre parole, dipinge un quadro in cui la magia è un fenomeno culturale con tradizioni, rivalità e conseguenze. Questo dà grande profondità all’ambientazione e ha contribuito a fissare nei fan l’idea che nei Forgotten Realms l’uso delle arti arcane non sia mai banale o privo di rischi. Un pregio intangibile, ma fondamentale per il fascino di questo manuale. Punti deboli: Struttura densa e disomogenea: Paradossalmente, la ricchezza di informazioni è anche uno degli ostacoli. The Magister può risultare un po’ caotico nella consultazione. Il materiale è organizzato in sezioni (libri, incantesimi, oggetti, ecc.), ma all’interno di esse i contenuti scorrono come un testo unico, senza suddivisioni chiarissime per un uso rapido durante il gioco. Ad esempio, i nuovi incantesimi non sono elencati in ordine alfabetico generale, ma presentati tomo per tomo e poi ricapitolati in una tabella: ottimo per la lettura immersiva, meno per trovare al volo “quel certo incantesimo” durante una sessione. Similmente, gli oggetti magici sono descritti in un lungo elenco continuo per categorie, senza distinzione netta tra quelli più comuni e quelli potentissimi. Insomma, è un manuale da studiare con calma e da assaporare, più che un prontuario da sfogliare al volo a partita in corso. Approccio enciclopedico poco orientato al gioco immediato: Legato al punto sopra, The Magister a volte dà la sensazione di essere più un “libro di lore” che un accessorio pratico. Le informazioni tecniche ci sono, ma sono annegate in tanto testo descrittivo. Questo è un bene per l’ispirazione, ma implica che un Dungeon Master, per usare davvero questi contenuti, debba fare un lavoro di estrapolazione e adattamento. Per esempio, se un giocatore trovasse uno degli incantesimi qui presenti, il DM dovrebbe estrarre la descrizione meccanica (spesso mescolata alla narrazione) e magari valutarne l’equilibrio nel contesto della propria campagna. All’epoca il pubblico di AD&D era abituato a questo stile, ma il master moderno, abituato a manuali più schematici, potrebbe trovarlo meno immediato. Bilanciamento e “invecchiamento” di alcuni contenuti: Pur essendo notevolmente creativo, il supplemento mostra gli anni su certi dettagli. Alcuni incantesimi e oggetti, riletti oggi, potrebbero apparire sproporzionati o al contrario troppo situazionali. AD&D 1ª Edizione aveva un suo equilibrio particolare, più libero e affidato al giudizio del DM, mentre i giocatori odierni (tra 5ª edizione e giochi moderni) sono abituati a una maggiore rifinitura delle regole. Così, incantesimi come Sangue Ardente di Beltyn, che in tre round può infliggere danni devastanti senza tiro per colpire, oppure oggetti come certe spade magiche potentissime, potrebbero richiedere un occhio attento per non destabilizzare una campagna contemporanea. Nulla che un DM esperto non possa gestire, ma è un aspetto da considerare. Allo stesso modo, alcune idee rispecchiano il design old school e possono sembrare “datate” (ad esempio, tabelle casuali dettagliatissime, effetti magici con tanti modificatori specifici, ecc.). Chi è cresciuto a pane e THAC0 li troverà parte del fascino; altri potrebbero vederli come un limite nell’uso pratico. Confronto con i supplementi successivi: The Magister è un prodotto del suo tempo e va apprezzato anche in quest’ottica. Manuali usciti in seguito, basti pensare a Tasha’s Cauldron of Everything per D&D 5e, o a raccolte di incantesimi più moderne, presentano materiale magico in modo molto più bilanciato, modulare e plug-and-play. Inoltre, negli anni ‘90 la stessa TSR pubblicherà compendi per la 2ª Edizione (come Pages from the Mages per AD&D 2e) che aggiornano e ampliano alcuni contenuti di FR4, con un’organizzazione più user-friendly. Di conseguenza, The Magister può sembrare meno rifinito se paragonato a prodotti odierni. Tuttavia, va detto che raramente i supplementi successivi hanno eguagliato la ricchezza di lore contenuta qui. In termini di pura ispirazione, questo vecchio manuale ha ancora pochi rivali. In sintesi, i pregi di The Magister risiedono soprattutto nel “contorno”, le “trappings”, come le definì Rolston: i dettagli descrittivi, gli effetti coloriti, le storie e leggende abbinate a incantesimi e oggetti. I difetti, dal punto di vista moderno, stanno più che altro nella fruibilità immediata e in qualche spigolosità di design figlia degli anni ’80. Ma come vedremo, anche questi limiti possono svanire se si considera il valore storico e creativo dell’opera. Utilità e retaggio oggiArrivati a questo punto, la domanda sorge spontanea: ha senso leggere o usare The Magister oggi, nel 2025? La risposta, come spesso accade, è: dipende da che tipo di giocatore o DM siete, ma in molti casi sì, vale la pena, fosse anche solo per trarne ispirazione. Vediamo perché. Per chi gioca ancora AD&D 1ª Edizione (o OSR): The Magister resta una miniera d’oro. Se conducete campagne old school nei Forgotten Realms (o simil-Greyhawk con varianti), questo supplemento vi fornirà incantesimi freschi e oggetti magici sorprendenti per i vostri giocatori. Essendo materiale nato per AD&D, l’integrazione nelle regole originali è immediata e senza conversioni. Certo, come DM dovrete comunque scegliere cosa includere e cosa no (in AD&D la parola finale sull’equilibrio spettava sempre al master), ma il divertimento sta proprio nel selezionare la “ricetta magica” per la vostra tavolata. Anche molti giochi OSR ispirati alla 1ª Edizione possono beneficiare di queste idee: bastano piccoli adattamenti, e improvvisamente i vostri maghi nei dungeon crawler old school avranno a disposizione incantesimi davvero unici. Per non parlare del fatto che leggere questo manuale vi darà tantissimi spunti su come caratterizzare gli incantatori non giocanti (PNG) e renderli memorabili. Un lich custode di uno dei tomi descritti qui, ad esempio, avrà più personalità di un generico lich con qualche incantesimo standard. Per chi gioca a D&D 5ª Edizione (o Pathfinder e simili): il valore di The Magister sta più nell’ispirazione che nell’utilizzo delle regole come scritte. Le meccaniche AD&D vanno tradotte e bilanciate per un sistema moderno, operazione non sempre immediata. Tuttavia, nulla vieta di trasporre idee: potete prendere un incantesimo vintage e ricrearlo in 5e (magari Sangue Ardente diventa un incantesimo da stregone di 5° livello con danno continuato e save ogni turno), oppure introdurre un oggetto come artefatto leggendario nella vostra campagna attuale (immaginate la faccia dei giocatori di 5e quando incontreranno la Storm Armor di Laeral, opportunamente adattata alle regole nuove!). Allo stesso modo, il concetto stesso di Magister, questo misterioso “campione di Mystra” che vaga per i Reami, può essere integrato nel vostro gioco come PNG, come obiettivo per un personaggio incantatore particolarmente ambizioso, o come spunto per un’intera storyline. I manuali recenti di D&D spesso forniscono regole pulite ma relativamente generiche; attingere da The Magister vi permette di aggiungere alla vostra campagna quella patina di lore e meraviglia che caratterizzava i Reami classici. Valore storico: Al di là dell’uso diretto in gioco, The Magister è un pezzo di storia del gioco di ruolo. Rappresenta il momento in cui i Forgotten Realms hanno fissato nero su bianco la loro “filosofia magica”, differenziandosi da altre ambientazioni fantasy. È affascinante vedere come Ed Greenwood concepiva la magia decenni fa e confrontarlo con l’evoluzione successiva (ad esempio, concetti come la Weave, la “Trama” della magia di Mystra, qui si respirano in ogni riga, ancor prima che venissero formalizzati nelle edizioni seguenti). Per un appassionato dei Reami, leggere questo manuale significa anche riscoprire tanti riferimenti incrociati: nomi di maghi e oggetti che magari ricompaiono nei romanzi o in prodotti successivi, trovando qui la loro origine. E credetemi, vale la pena sfogliarlo almeno una volta, anche solo per apprezzare le illustrazioni d’epoca e lo stile di scrittura “colto” di Greenwood, denso di terminologia antiquata e citazioni di saggi immaginari. In definitiva, l’utilità odierna di The Magister è duplice: pratica per i giocatori old school in cerca di espansioni classiche, ed ispirativa per i giocatori moderni che vogliono arricchire il proprio gioco con un po’ di quel senso di meraviglia anni ’80. È uno di quei supplementi che, più che per le regole in sé, brillano per la capacità di alimentare la fantasia e la comprensione del mondo di gioco. E da questo punto di vista, The Magister contribuisce ancora oggi a rendere i Forgotten Realms un luogo dove la magia non è solo una lista di incantesimi, ma una vera mitologia viva, con i suoi eroi, i suoi segreti e le sue lotte attraverso le ere. ConclusioniCosa rappresenta The Magister nel percorso dei Forgotten Realms? In una parola, meraviglia. Questo supplemento incarna lo spirito di un’epoca in cui la magia nei giochi di ruolo era avvolta da un’aura di mistero e pericolo, qualcosa di raro e prezioso da scoprire gradualmente. Nei Reami Dimenticati della fine anni ’80, non c’erano ancora gli incantatori da battaglia onnipresenti o le scatole degli incantesimi preconfezionate: c’erano strani tomi polverosi nascosti in rovine dimenticate, maghi erranti custodi di verità indicibili, duelli all’ultimo incantesimo sotto lo sguardo imperscrutabile di Mystra. The Magister ci riporta proprio a quel feeling, fungendo al contempo da compendio di gioco e da racconto mitologico. Nel rileggerlo oggi, con gli occhi dell’appassionato, mi rendo conto di quanto abbia contribuito a dare spessore ai Forgotten Realms: ha aggiunto anima alle regole, ricordandoci che ogni numero sulla scheda può (e dovrebbe) nascondere una storia. In conclusione, The Magister non è soltanto un accessorio per AD&D, è un invito a riscoprire un modo di giocare e di immaginare la magia nei mondi fantasy. Sfogliarlo significa tuffarsi in un pezzo di storia dell’hobby, quando manuali come questo alimentavano le nostre campagne e i nostri sogni a occhi aperti. Che siate DM veterani in vena di nostalgia o nuovi giocatori curiosi di sapere “come si faceva una volta”, la lettura di The Magister può riservarvi sorprese piacevoli. Dopotutto, come diceva Elminster stesso nelle sue note, nei Reami c’è sempre un nuovo segreto arcano dietro l’angolo, in attesa di un avventuriero abbastanza audace da scoprirlo. E questo vecchio manuale è ancora qui, pronto a sussurrarci qualcuno di quei segreti dalle sue pagine ingiallite. Buona (ri)scoperta della magia dei Forgotten Realms! Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands View full articolo
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR4 The Magister
Contesto della pubblicazioneFacciamo un salto indietro al 1988. La TSR era nel pieno della sua “Golden Age” e sfornava a raffica manuali per AD&D 1ª Edizione. I Forgotten Realms erano un’ambientazione neonata (il celebre Grey Box è del 1987) e c’era un’enorme fame di espansioni da parte dei giocatori. The Magister esce proprio in quell’anno, scritto dal creatore dei Reami Ed Greenwood con il contributo di Steve Perrin. È il quarto modulo della serie “FR” e il primo davvero dedicato alla magia e agli incantatori dei Reami, in contrasto con i precedenti FR1-3 che descrivevano regioni geografiche. Immaginate il contesto: AD&D stava per passare alla 2ª Edizione (in arrivo l’anno successivo), e Greenwood colse l’occasione per consolidare l’identità magica del suo mondo prima del cambio di edizione. Dietro le quinte, The Magister rappresenta anche un momento di ritorno alle origini: dopo aver delegato ad altri autori alcuni manuali regionali (come Empires of the Sands di Scott Haring), Greenwood riprende in mano il cuore dei Forgotten Realms, la magia, per definirne filosofia e sapore inconfondibili. Dal punto di vista editoriale, The Magister si presenta come un manualetto di 64 pagine con copertina a colori e interno in colore pergamena. La qualità produttiva è quella tipica dei moduli TSR di fine anni ’80: stampa nitida, impaginazione a tre colonne e artwork evocativi. La copertina di Easley, come detto, fa la sua figura, mentre le illustrazioni interne di Valerie Valusek (meno note di quelle di Easley, ma efficaci) aggiungono atmosfera alle pagine. A differenza di alcuni supplementi precedenti, qui ogni spazio è sfruttato: perfino l’interno di copertina anteriore e posteriore ospita tabelle di gioco utili (per generare tesori magici e per i tiri salvezza nella creazione di oggetti). Ma che tipo di segreti racchiude esattamente questo manuale? Apriamolo e diamo uno sguardo ai suoi contenuti. I contenuti di The MagisterIl cuore concettuale del manuale è racchiuso nel suo titolo: “The Magister”. Nei Forgotten Realms questo non è solo un nome altisonante, ma un vero e proprio titolo onorifico concesso dalla dea della magia Mystra a un singolo prescelto. Il Magister è il campione personale di Mystra, un mago destinato a vagare per i Reami custodendo e diffondendo le arti arcane, e, allo stesso tempo, a essere sfidato da altri incantatori ambiziosi. Si tratta di una figura leggendaria che incarna l’idea che la magia nei Reami sia viva e in costante evoluzione attraverso conflitti e successioni. Il manuale, però, non si limita a presentarci questo spunto di lore (viene citata ad esempio l’ultima Magister nota, Noume’a, eletta nel 1354 CV, di cui si sono perse le tracce); anzi, usa il concetto come filo conduttore per introdurci a un intero arsenale di incantesimi, tomi e oggetti magici caratteristici dell’ambientazione. The Magister è strutturato come un compendio arcano narrato in prima persona da Elminster, l’Arcimago di Shadowdale, il quale ci guida tra le pagine con i suoi commenti da “vecchio saggio”. In apertura troviamo un’introduzione di Greenwood, che spiega come nel manuale sia raccolta solo una porzione del vasto “Realmslore” magico (molto materiale proveniva dai suoi articoli su Dragon Magazine, in particolare la serie Pages from the Mages, e altro è stato lasciato fuori per ragioni di spazio). Subito dopo, l’esperto game designer Steve Perrin aggiunge una sezione “How to Use This Book” con consigli su come integrare il contenuto nel gioco, segno che questo supplemento si propone sia come lettura di lore che come strumento pratico al tavolo. Il primo grande blocco del manuale è dedicato ai Libri Magici dei Reami: una sfilata di antichi tomi incantati, ciascuno con la sua storia, le sue peculiarità e, naturalmente, una collezione di incantesimi contenuti al suo interno. Invece di elencare semplicemente nuovi incantesimi in modo asettico, Greenwood ce li presenta attraverso il worldbuilding: ogni grimorio viene descritto in termini di aspetto fisico, origine, autore (spesso un mago leggendario) e contenuto. Ad esempio, Il Libro dei Pipistrelli ha le copertine di lastre di quercia annerita e sigillata, rilegata con le pelli e le ali coriacee e lacerate di grandi pipistrelli neri, con gli artigli ancora attaccati, racchiude formule appartenute a due arcimaghi del passato, Beltyn e Shaeroon. Sfogliando le pagine del Libro dei Pipistrelli, il lettore/tipo Dungeon Master scopre incantesimi tanto rari quanto evocativi, come Beltyn’s Burning Blood (Sangue Ardente di Beltyn) e Shaeroon’s Scimitar (la Scimitarra di Shaeroon), accanto a spell più familiari. Greenwood non si limita a darne la descrizione meccanica: per ognuno c’è un background, magari l’aneddoto di come Beltyn lo utilizzò in una battaglia o avvertimenti sul pericolo che corre chi abusa di quel potere. Questo approccio intreccia regole e narrazione, facendo sì che ogni incantesimo diventi uno spunto di avventura. Nel complesso il manuale aggiunge dozzine di nuovi incantesimi mai visti altrove (principalmente per maghi, ma non solo, ci sono anche preghiere clericali rare, rituali druidici dimenticati, ecc.), spesso con effetti curiosi e “twist” originali rispetto alle magie base di AD&D. Si va da incantesimi offensivi cruenti come Sangue Ardente, che fa ribollire il sangue nei corpi feriti di un nemico, infliggendo danni terribili a meno di superare una serie di tiri salvezza, a incantesimi più sottili e situazionali come Hold Vapor, una magia capace di arrestare immobilmente nebbie, fumi o creature in forma gassosa. Molti incantesimi portano il nome del mago che li ha creati (Beltyn, Shaeroon, Elmister stesso in alcuni casi), sottolineando come nei Reami la conoscenza arcana sia tramandata come un patrimonio personale e storico, non solo come liste anonime di effetti da manuale. La seconda parte del supplemento è dedicata agli Oggetti Magici unici dei Forgotten Realms. Anche qui, invece di limitarsi a fornire statistiche, Greenwood infarcisce ogni voce di lore: gli oggetti sono spesso legati a personaggi famosi o eventi storici, il che li rende immediatamente più intriganti. Troviamo armi, armature, anelli, bacchette e reliquie varie, ciascuna con un nome proprio e particolarità distintive. Qualche esempio? C’è Laeral’s Storm Armor, un’armatura incantata appartenuta a Laeral Arunsun (una delle leggendarie Sette Sorelle) che si dice sprigioni fulmini a comando. Oppure il Mantello delle Stelle (Cloak of Stars), un mantello che di notte brilla del riflesso di un cielo stellato e offre protezione in viaggio. Alcuni oggetti trasmettono tutto il sapore dei Reami: Shoon’s Buckler è uno scudo legato all’antico impero di Shoon (un imperatore-mago di Calimshan), mentre la Spada dell’Agilità di Arbane è un’antica arma magica creata dall’elfo mago Arbane di Myth Drannor. Spiccano poi i riferimenti a luoghi e fatti della storia dei FR: ad esempio, le Arpe di Myth Drannor sono una collezione di arpe magiche create nell’antica città elfica di Myth Drannor, ognuna con poteri incantatori unici, una di esse è posseduta dalla famosa arpista Dove Falconhand, tanto che il suo nome ha soppiantato il nome originale dello strumento. In un altro caso, leggendo la descrizione di un oggetto veniamo a sapere di un astio tra un potente mago di Thay (il Red Wizard Lauzoril) e gli Arpisti, lasciando intendere trame più grandi in cui quell’oggetto potrebbe essere coinvolto. Insomma, ogni oggetto diventa un potenziale gancio narrativo: chi lo forgiò? Perché esiste? Dove è finito ora? Per un Dungeon Master, è difficile non iniziare subito a fantasticare su come inserire questi tesori in una campagna. Chiudono il manuale alcune sezioni di supporto al DM altrettanto interessanti. Una pagina spiega come creare nuovi oggetti magici in gioco, espandendo le regole standard di AD&D con considerazioni “ambientate”, per esempio dettaglia ingredienti speciali o rituali che un mago dei Reami potrebbe dover compiere per incantare un oggetto. Queste regole aggiuntive restano fedeli alle linee guida base di AD&D, ma offrono spunti originali e giustificazioni più in-world (come le limitazioni sul numero di oggetti creabili, o gli effetti collaterali che certi incanti potrebbero comportare). Sulla copertina interna anteriore troviamo inoltre una comoda tabella: in pratica, un sistema per integrare gli oggetti di The Magister nelle tabelle casuali del Dungeon Master’s Guide. All’interno della copertina posteriore, infine, c’è una tabella riepilogativa dei tiri salvezza coinvolti proprio nella creazione degli oggetti magici (utile per chi vuole usare le regole aggiuntive senza sfogliare continuamente la DMG). Completa il tutto un indice analitico dei nomi di incantesimi e oggetti, e qua e là consigli su come inserire questi elementi in campagna. È evidente che The Magister ambiva a essere non solo una raccolta di nuovo materiale arcano per AD&D, ma anche un vero supplemento di worldbuilding: ogni pagina ci racconta qualcosa in più su come funziona la magia nei Forgotten Realms, rendendo palpabile l’idea che, nei Reami, l’Artificio Arcano (The Art) sia una forza culturale, venerata e temuta al pari degli dei. Analisi criticaDopo aver esplorato i contenuti, viene spontaneo chiedersi: The Magister regge ancora il confronto con le aspettative? Quali sono i suoi punti di forza, e dove invece mostra i limiti? Vediamoli nel dettaglio. Punti di Forza: Fedeltà alla visione dei Reami: Il manuale incarna perfettamente la visione di Ed Greenwood, in cui la magia è un elemento vivo, pericoloso e profondamente intrecciato col mondo. Leggendo The Magister si respira quella tipica atmosfera “greenwoodiana” dove ogni incantesimo o oggetto ha una storia, una leggenda, un prezzo da pagare. Questa coerenza tematica dà al supplemento un valore quasi narrativo: ci sentiamo davvero immersi nei Reami Dimenticati e nella loro concezione unica dell’Artificio. Creatività e varietà: Gli incantesimi e gli oggetti introdotti sono pieni di trovate originali. Non ci troviamo di fronte a semplici copie sbiadite delle magie base, ma a effetti particolari con “twist” intriganti. Ken Rolston sulle pagine di Dragon definì The Magister “una superba espressione della magia AD&D al suo meglio”, lodando proprio l’immaginazione e la vivacità di queste aggiunte. Importante, aggiungeva, è che tali magie risultavano utili in gioco senza rompere l’equilibrio delle regole, segno di un buon design dietro l’estro creativo. Ricchezza di spunti narrativi: Come già evidenziato, The Magister offre idee per avventure praticamente ad ogni pagina. Ogni tomo può essere l’oggetto di una quest (magari i PG devono recuperare il Libro di Num il Folle da una rovina sotterranea), ogni incantesimo raro può generare trame (chi ha insegnato a quel necromante Sangue Ardente? E a quale scopo?) e ogni oggetto è un MacGuffin in potenza. In un’epoca in cui molti supplementi erano freddi elenchi di statistiche, questo modulo spicca perché lega strettamente regole e worldbuilding. Il risultato è che può essere letto quasi come un’antologia di racconti brevi mascherata da manuale tecnico, cosa che lo rende piacevole da sfogliare anche fuori dal gioco attivo. Magia come fenomeno culturale: The Magister tratta la magia non solo come un insieme di meccaniche, ma come parte integrante della società e della storia dei Reami. Ci mostra accademie e biblioteche (anche se solo accennandole tramite i libri), ordini segreti di maghi, duelli rituali per il titolo di Magister, reliquie di imperi passati… In altre parole, dipinge un quadro in cui la magia è un fenomeno culturale con tradizioni, rivalità e conseguenze. Questo dà grande profondità all’ambientazione e ha contribuito a fissare nei fan l’idea che nei Forgotten Realms l’uso delle arti arcane non sia mai banale o privo di rischi. Un pregio intangibile, ma fondamentale per il fascino di questo manuale. Punti deboli: Struttura densa e disomogenea: Paradossalmente, la ricchezza di informazioni è anche uno degli ostacoli. The Magister può risultare un po’ caotico nella consultazione. Il materiale è organizzato in sezioni (libri, incantesimi, oggetti, ecc.), ma all’interno di esse i contenuti scorrono come un testo unico, senza suddivisioni chiarissime per un uso rapido durante il gioco. Ad esempio, i nuovi incantesimi non sono elencati in ordine alfabetico generale, ma presentati tomo per tomo e poi ricapitolati in una tabella: ottimo per la lettura immersiva, meno per trovare al volo “quel certo incantesimo” durante una sessione. Similmente, gli oggetti magici sono descritti in un lungo elenco continuo per categorie, senza distinzione netta tra quelli più comuni e quelli potentissimi. Insomma, è un manuale da studiare con calma e da assaporare, più che un prontuario da sfogliare al volo a partita in corso. Approccio enciclopedico poco orientato al gioco immediato: Legato al punto sopra, The Magister a volte dà la sensazione di essere più un “libro di lore” che un accessorio pratico. Le informazioni tecniche ci sono, ma sono annegate in tanto testo descrittivo. Questo è un bene per l’ispirazione, ma implica che un Dungeon Master, per usare davvero questi contenuti, debba fare un lavoro di estrapolazione e adattamento. Per esempio, se un giocatore trovasse uno degli incantesimi qui presenti, il DM dovrebbe estrarre la descrizione meccanica (spesso mescolata alla narrazione) e magari valutarne l’equilibrio nel contesto della propria campagna. All’epoca il pubblico di AD&D era abituato a questo stile, ma il master moderno, abituato a manuali più schematici, potrebbe trovarlo meno immediato. Bilanciamento e “invecchiamento” di alcuni contenuti: Pur essendo notevolmente creativo, il supplemento mostra gli anni su certi dettagli. Alcuni incantesimi e oggetti, riletti oggi, potrebbero apparire sproporzionati o al contrario troppo situazionali. AD&D 1ª Edizione aveva un suo equilibrio particolare, più libero e affidato al giudizio del DM, mentre i giocatori odierni (tra 5ª edizione e giochi moderni) sono abituati a una maggiore rifinitura delle regole. Così, incantesimi come Sangue Ardente di Beltyn, che in tre round può infliggere danni devastanti senza tiro per colpire, oppure oggetti come certe spade magiche potentissime, potrebbero richiedere un occhio attento per non destabilizzare una campagna contemporanea. Nulla che un DM esperto non possa gestire, ma è un aspetto da considerare. Allo stesso modo, alcune idee rispecchiano il design old school e possono sembrare “datate” (ad esempio, tabelle casuali dettagliatissime, effetti magici con tanti modificatori specifici, ecc.). Chi è cresciuto a pane e THAC0 li troverà parte del fascino; altri potrebbero vederli come un limite nell’uso pratico. Confronto con i supplementi successivi: The Magister è un prodotto del suo tempo e va apprezzato anche in quest’ottica. Manuali usciti in seguito, basti pensare a Tasha’s Cauldron of Everything per D&D 5e, o a raccolte di incantesimi più moderne, presentano materiale magico in modo molto più bilanciato, modulare e plug-and-play. Inoltre, negli anni ‘90 la stessa TSR pubblicherà compendi per la 2ª Edizione (come Pages from the Mages per AD&D 2e) che aggiornano e ampliano alcuni contenuti di FR4, con un’organizzazione più user-friendly. Di conseguenza, The Magister può sembrare meno rifinito se paragonato a prodotti odierni. Tuttavia, va detto che raramente i supplementi successivi hanno eguagliato la ricchezza di lore contenuta qui. In termini di pura ispirazione, questo vecchio manuale ha ancora pochi rivali. In sintesi, i pregi di The Magister risiedono soprattutto nel “contorno”, le “trappings”, come le definì Rolston: i dettagli descrittivi, gli effetti coloriti, le storie e leggende abbinate a incantesimi e oggetti. I difetti, dal punto di vista moderno, stanno più che altro nella fruibilità immediata e in qualche spigolosità di design figlia degli anni ’80. Ma come vedremo, anche questi limiti possono svanire se si considera il valore storico e creativo dell’opera. Utilità e retaggio oggiArrivati a questo punto, la domanda sorge spontanea: ha senso leggere o usare The Magister oggi, nel 2025? La risposta, come spesso accade, è: dipende da che tipo di giocatore o DM siete, ma in molti casi sì, vale la pena, fosse anche solo per trarne ispirazione. Vediamo perché. Per chi gioca ancora AD&D 1ª Edizione (o OSR): The Magister resta una miniera d’oro. Se conducete campagne old school nei Forgotten Realms (o simil-Greyhawk con varianti), questo supplemento vi fornirà incantesimi freschi e oggetti magici sorprendenti per i vostri giocatori. Essendo materiale nato per AD&D, l’integrazione nelle regole originali è immediata e senza conversioni. Certo, come DM dovrete comunque scegliere cosa includere e cosa no (in AD&D la parola finale sull’equilibrio spettava sempre al master), ma il divertimento sta proprio nel selezionare la “ricetta magica” per la vostra tavolata. Anche molti giochi OSR ispirati alla 1ª Edizione possono beneficiare di queste idee: bastano piccoli adattamenti, e improvvisamente i vostri maghi nei dungeon crawler old school avranno a disposizione incantesimi davvero unici. Per non parlare del fatto che leggere questo manuale vi darà tantissimi spunti su come caratterizzare gli incantatori non giocanti (PNG) e renderli memorabili. Un lich custode di uno dei tomi descritti qui, ad esempio, avrà più personalità di un generico lich con qualche incantesimo standard. Per chi gioca a D&D 5ª Edizione (o Pathfinder e simili): il valore di The Magister sta più nell’ispirazione che nell’utilizzo delle regole come scritte. Le meccaniche AD&D vanno tradotte e bilanciate per un sistema moderno, operazione non sempre immediata. Tuttavia, nulla vieta di trasporre idee: potete prendere un incantesimo vintage e ricrearlo in 5e (magari Sangue Ardente diventa un incantesimo da stregone di 5° livello con danno continuato e save ogni turno), oppure introdurre un oggetto come artefatto leggendario nella vostra campagna attuale (immaginate la faccia dei giocatori di 5e quando incontreranno la Storm Armor di Laeral, opportunamente adattata alle regole nuove!). Allo stesso modo, il concetto stesso di Magister, questo misterioso “campione di Mystra” che vaga per i Reami, può essere integrato nel vostro gioco come PNG, come obiettivo per un personaggio incantatore particolarmente ambizioso, o come spunto per un’intera storyline. I manuali recenti di D&D spesso forniscono regole pulite ma relativamente generiche; attingere da The Magister vi permette di aggiungere alla vostra campagna quella patina di lore e meraviglia che caratterizzava i Reami classici. Valore storico: Al di là dell’uso diretto in gioco, The Magister è un pezzo di storia del gioco di ruolo. Rappresenta il momento in cui i Forgotten Realms hanno fissato nero su bianco la loro “filosofia magica”, differenziandosi da altre ambientazioni fantasy. È affascinante vedere come Ed Greenwood concepiva la magia decenni fa e confrontarlo con l’evoluzione successiva (ad esempio, concetti come la Weave, la “Trama” della magia di Mystra, qui si respirano in ogni riga, ancor prima che venissero formalizzati nelle edizioni seguenti). Per un appassionato dei Reami, leggere questo manuale significa anche riscoprire tanti riferimenti incrociati: nomi di maghi e oggetti che magari ricompaiono nei romanzi o in prodotti successivi, trovando qui la loro origine. E credetemi, vale la pena sfogliarlo almeno una volta, anche solo per apprezzare le illustrazioni d’epoca e lo stile di scrittura “colto” di Greenwood, denso di terminologia antiquata e citazioni di saggi immaginari. In definitiva, l’utilità odierna di The Magister è duplice: pratica per i giocatori old school in cerca di espansioni classiche, ed ispirativa per i giocatori moderni che vogliono arricchire il proprio gioco con un po’ di quel senso di meraviglia anni ’80. È uno di quei supplementi che, più che per le regole in sé, brillano per la capacità di alimentare la fantasia e la comprensione del mondo di gioco. E da questo punto di vista, The Magister contribuisce ancora oggi a rendere i Forgotten Realms un luogo dove la magia non è solo una lista di incantesimi, ma una vera mitologia viva, con i suoi eroi, i suoi segreti e le sue lotte attraverso le ere. ConclusioniCosa rappresenta The Magister nel percorso dei Forgotten Realms? In una parola, meraviglia. Questo supplemento incarna lo spirito di un’epoca in cui la magia nei giochi di ruolo era avvolta da un’aura di mistero e pericolo, qualcosa di raro e prezioso da scoprire gradualmente. Nei Reami Dimenticati della fine anni ’80, non c’erano ancora gli incantatori da battaglia onnipresenti o le scatole degli incantesimi preconfezionate: c’erano strani tomi polverosi nascosti in rovine dimenticate, maghi erranti custodi di verità indicibili, duelli all’ultimo incantesimo sotto lo sguardo imperscrutabile di Mystra. The Magister ci riporta proprio a quel feeling, fungendo al contempo da compendio di gioco e da racconto mitologico. Nel rileggerlo oggi, con gli occhi dell’appassionato, mi rendo conto di quanto abbia contribuito a dare spessore ai Forgotten Realms: ha aggiunto anima alle regole, ricordandoci che ogni numero sulla scheda può (e dovrebbe) nascondere una storia. In conclusione, The Magister non è soltanto un accessorio per AD&D, è un invito a riscoprire un modo di giocare e di immaginare la magia nei mondi fantasy. Sfogliarlo significa tuffarsi in un pezzo di storia dell’hobby, quando manuali come questo alimentavano le nostre campagne e i nostri sogni a occhi aperti. Che siate DM veterani in vena di nostalgia o nuovi giocatori curiosi di sapere “come si faceva una volta”, la lettura di The Magister può riservarvi sorprese piacevoli. Dopotutto, come diceva Elminster stesso nelle sue note, nei Reami c’è sempre un nuovo segreto arcano dietro l’angolo, in attesa di un avventuriero abbastanza audace da scoprirlo. E questo vecchio manuale è ancora qui, pronto a sussurrarci qualcuno di quei segreti dalle sue pagine ingiallite. Buona (ri)scoperta della magia dei Forgotten Realms! Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands
Facciamo un salto nel 1988. La TSR era nel pieno della sua Golden Age, sfornando supplementi di AD&D a raffica. Empires of the Sands esce proprio in quell’anno, scritto da Scott Haring e arricchito dalle illustrazioni (copertina e interni) di Jeff Easley. È il terzo modulo della serie "FR" dedicata ai Forgotten Realms, dopo Waterdeep and the North (FR1) e Moonshae (FR2). Immaginate il contesto: Advanced Dungeons & Dragons 1ª Edizione stava per lasciare il passo alla 2ª (in arrivo l'anno successivo), i Reami Dimenticati erano un’ambientazione neonata (il Grey Box è del 1987) e la fame di espansioni era palpabile tra noi nerd dell'epoca. Ai miei tempi, l’idea di esplorare regioni lontane dai cliché medievali era elettrizzante e la TSR fiutò l’interesse per l’“esotico” ancor prima di lanciare Al-Qadim o altri setting orientaleggianti. Empires of the Sands quindi arrivò sugli scaffali come una piccola rivoluzione: "Ehi avventurieri, c’è un mondo oltre le solite taverne del Cormyr!" sembrava sussurrare dalle pagine. Avere un supplemento ambientato in deserti e città ispirate a Califfi e sultani era una boccata d’aria fresca. L'Europa fantasy ce l’avevamo un po’ tutti nel DNA di gioco, ma qui si parlava di terre dal clima torrido, dove gli dei potevano avere nomi impronunciabili e dove i mostri includevano efreeti e scorpioni giganti invece dei soliti goblin del sottobosco. Empires of the Sands si presentava in formato libretto di 64 pagine con copertina esterna a cartelletta (rimovibile) e due mapponi poster a colori inclusi. La qualità di stampa e cartografia era ottima per l’epoca: Dave “Diesel” LaForce curò le mappe, garantendo che combaciassero perfettamente con quelle del set base dei Forgotten Realms. Per noi maniaci del worldbuilding, poter attaccare i nuovi pezzi di mappa a quelli già posseduti era pura gioia. Dietro le quinte, questo modulo segna anche un piccolo momento di passaggio: è il primo grande progetto di Scott Haring in TSR. Non era Ed Greenwood a scrivere, Ed stava delegando alcune parti del suo mondo ad altri autori. Haring fece talmente un buon lavoro (o sollevò abbastanza domande) che fu chiamato a rispondere alle curiosità dei fan nella rubrica Dragon Magazine poco dopo l’uscita. Un segno che Empires of the Sands fece parlare di sé. Curiosità: costava $7,95 all’uscita (un prezzo onesto per l’epoca). La tiratura fu quella tipica dei moduli TSR di fine anni ’80: oggi si trovano ancora copie in giro, segno che non è un pezzo ultra-raro (negli USA fu distribuito bene; da noi invece era quasi merce esotica essa stessa). Sul fronte artistico, c’è da dire che avere Jeff Easley sia in copertina che negli interni elevava subito il prodotto: le illustrazioni interne, tutte in bianco e nero, portano la sua firma e aggiungono atmosfera. Certo, qualche refuso nel testo c’è (normale amministrazione per i prodotti dell’epoca), e l’interno della copertina rimase incredibilmente vuoto (un spazio bianco sprecato su cui magari potevano stampare tabelle o riassunti, come notò anche una recensione dell’epoca. Ma erano peccatucci veniali in un manualetto che, nel panorama AD&D dell’88, rappresentava l’apertura ufficiale dei Forgotten Realms verso la frontiera sud dal sapore esotico. Contenuti del ManualePassiamo al sodo: cosa c’è dentro Empires of the Sands? Il manuale è strutturato come un piccolo gazetteer che dettaglia tre regioni del sud-ovest di Faerûn note collettivamente, appunto, come gli "Imperi delle Sabbie". Attenzione però: non aspettatevi intere distese stile Sahara tipo Anauroch (quello arriverà in un altro supplemento qualche anno dopo); qui parliamo di terre sì aride in parte, ma anche costiere e ricche di città. Le tre sezioni principali riguardano Amn (pagg. 3-20), Tethyr (21-47) e Calimshan (48-62), ognuna introdotta da una panoramica generale e poi suddivisa in capitoletti tematici. Ogni regione viene presentata con una struttura ordinata e quasi scolastica: Descrizione Generale, Popolazione (razze presenti), Lingua e Costumi, Mostri tipici, Storia, Governo e Politica, Religione, Geografia e Clima, Commercio, Città, Luoghi d’interesse, PNG importanti. Insomma, Haring ha seguito un vero manuale Cencelli del worldbuilding, assicurandosi di dare al DM un’infarinatura di tutto. È un approccio da primo della classe: informazioni chiare, leggibili e facili da consultare durante il gioco. La controparte è che a volte sembra di leggere un bignami: ogni città, ad esempio, riceve al massimo una colonnina di testo, spesso solo due righe su cosa produce, quanti abitanti ha e chi la governa. Roba che oggi verrebbe messa in una tabella riassuntiva, e infatti leggendo ti viene da dire: "Tutto qui? Dov’è il resto?". È evidente che coprire tre nazioni intere in 64 pagine imponeva tagli e sintesi brutali. Ma vediamo il succo di ciascun “impero”. Amn è il regno più a nord dei tre, ed è descritto come la terra dei mercanti per eccellenza. Qui tutto ha un prezzo, e la ricchezza è la misura di tutte le cose. La società amnita è quasi una caricatura (voluta) di una plutocrazia rinascimentale: nobili decaduti rimpiazzati da trade houses e gilde di commercianti. Al potere c’è il famigerato Consiglio dei Sei, un’ombra di governo composta in segreto dai capi delle sei casate mercantili più ricche. In pratica, in Amn non sai mai davvero chi tira le fila, ogni ricco mercante potrebbe essere uno dei Sei che governano dietro le quinte. Questo dettaglio all’epoca mi fece impazzire (in senso buono): in una campagna a Amn, i PG potevano accumulare fortuna e magari scoprire, dopo intrighi e colpi di scena, l’identità dei misteriosi consiglieri. C’è un vibe quasi veneziano o mediceo in questo, con cospirazioni commerciali e pugnalate alle spalle per un contratto di spezie. Haring sottolinea anche un aspetto divertente: ad Amn gli avventurieri e i maghi non sono ben visti a meno che non paghino la licenza! Ecco una chicca old school: vuoi fare l’eroe? Prima passa in dogana a compilare i moduli e a versare la tassa. Roba che oggi sembrerebbe burocratica, ma pensateci in gioco: obbligare i PG a prendere un patentino da avventuriero può creare spunti narrativi esilaranti (oltre che scontri con le guardie doganali se si scordano le scartoffie a casa). Tethyr, subito a sud di Amn, è tutt’altra musica: qui regna l’anarchia. È un regno in pezzi, un ex impero caduto in disgrazia con la famiglia reale sterminata e il trono vacante. Praticamente Tethyr è il parco giochi perfetto per avventurieri affamati di gloria: bande di briganti, signorotti locali che si proclamano re di villaggi, nobili in esilio, mostri che approfittano del caos… c’è da sbizzarrirsi. Il manuale dipinge Tethyr come un posto pericoloso ma pieno di opportunità: "dove il male cresce e i piccoli tiranni si contendono un trono vuoto" (adoro questa frase della sinossi ufficiale). Qui la chicca è la Compagnia degli Otto, un gruppo di otto avventurieri buoni che cercano di ristabilire l’ordine nel regno frammentato. Haring non si fa problemi a regalare al DM un intero party di PNG high-level belli e fatti: nel centro del booklet ci sono proprio sette schede precompilate (più un’ottava vuota) con le statistiche di questi eroi. All’epoca la cosa mi lasciò perplesso ("Chi sono 'sti tizi e perché mi occupano così tante pagine?" pensai). Effettivamente sa un po’ di riempitivo; anche Jim Bambra nella sua recensione su Dragon insinuò che fosse filler messo perché il materiale scarseggiava. Col senno di poi, però, ho imparato ad apprezzare la Compagnia degli Otto: intanto è un ottimo espediente per introdurre subito nel gioco PNG famosi di Tethyr (come possibili alleati o mentori dei PG, o magari concorrenti nella caccia al tesoro). Inoltre, è un piccolo scorcio di come si immaginava un party bilanciato nel 1988: ci troviamo il chierico, il guerriero, il mago, il ladro, ecc., ognuno con il suo background stringato. Per un DM alle prime armi poteva persino servire da esempio pratico di gruppo tipico di avventurieri. Certo, rimane il dubbio che abbiano usato quelle schede anche per tappare buchi nel layout... e spoiler: quasi certamente è così, visto che lo stesso Bambra notò che il progetto sembrava “non abbastanza grande da riempire tutte le pagine”. Infine abbiamo Calimshan, il più meridionale e, per certi versi, il più “desertico” degli imperi delle sabbie. Gran parte di Calimshan è dominata dal Deserto di Calim, e il clima rovente influenza pesantemente la vita e la cultura localee. Se Amn ricorda un po’ l’Italia dei mercanti e Tethyr la frontiera selvaggia, Calimshan è chiaramente ispirata al Medio Oriente fiabesco, versione D&D. La città capitale, Calimport, è un’immensa metropoli labirintica piena di vicoli, bazar, ladri e visir, più grande e ricca perfino di Waterdeep, dice il manuale con orgoglio. Qui il tono vira su Mille e una Notte: la ricerca della ricchezza serve per comprarsi una vita di lussi sfrenati, pochi lavorano, tutti ambiscono a fare i signori (e quasi nessuno ci riesce davvero). Interessante come la magia sia vista diversamente: a Calimshan i maghi e i gadget magici non solo sono comuni, ma addirittura rappresentano lo status symbol per eccellenza. Altro che caccia alle streghe: qui se non hai un letto che si rifà da solo o delle torce che si accendono e si spengono a comando verbale sei uno sfigato. Questo fa sì che i maghi godano di altissima considerazione sociale; sono gli inventori degli aggeggi magici che tutti vogliono per vivere in panciolle. Immaginate un’avventura a Calimport: i PG magari vengono assoldati per recuperare delle scarpe che si allacciano da sole a comando dal palazzo di un riccone, oppure per sgominare un efreeti evocato dal mago di corte che adesso sfreccia in libertà tra le dune. Già, efreeti e djinn… non potevano mancare. Uno dei retroscena affascinanti di Calimshan (anche se nel manuale FR3 forse è solo accennato) è che in tempi antichi due potenti geni, Calim e Memnon, si sono fatti la guerra, e le devastazioni hanno creato il deserto. Nel presente, il manuale dice che a furia di evocare creature planari, i maghi di Calimshan hanno riempito la regione di entità extraplanari bloccate su questo piano: un plot hook fantastico per il DM ("ragazzi, pare che in quel canyon giri un marid impazzito da secoli…"!). Politicamente, Calimshan è un impero solo di nome: sulla carta comanda il Pasha da Calimport, ma in pratica ogni città fa un po’ come le pare, e il povero Pasha deve sempre scendere a patti con decine di visir e governatori locali. Insomma, intrighi a corte non-stop. Aggiungete il fatto che tra le sabbie ci sono rovine di antiche civiltà (Calimshan vanta migliaia di anni di storia, ex imperi di geni e tutto il pacchetto) e capite perché un gruppo di avventurieri qui non rischia certo di annoiarsi. Sul fronte flora e fauna e pericoli ambientali, Empires of the Sands non delude, almeno a livello di colore. Ogni sezione elenca i mostri che infestano quell’area, prendendo a piene mani dai manuali di AD&D: in Amn e Tethyr abbiamo creature varie dalle colline e foreste (anche un drago verde quà e là, e persino beholder nei luoghi remoti), ma più ci si avvicina al Calim e alle zone aride, più spuntano bestie da deserto: dune stalker, dust digger, formian del deserto tipo ant-lion giganti, scorpioni enormi, oltre ai classici efreeti e djinn. E poi c’è la famigerata Spider Swamp al confine Tethyr-Calimshan: una palude fetida patria di ragni acquatici giganti e chissà quali altre mostruosità. Il manuale, pur non introducendo nuove creature originali, offre un bestiario implicito ricco: sfogliando l’indice trovate elencati decine di mostri nominati nel testo. Per un DM questo equivale a tante idee di incontro: “se attraversate quella zona, attenti ai basilischi e ai dune stalker”. Dal punto di vista meccanico, sorprendentemente, non ci sono regole nuove particolari. Oggi magari un supplemento del genere aggiungerebbe la sottoclasse o il background del Nomade del Deserto o almeno una tabella per il colpo di calore. Invece no: Empires of the Sands rimane sui binari tradizionali di AD&D 1E, fornendo soprattutto materiale narrativo. Questo perché nel 1988 le regole per sopravvivenza nel deserto le trovavi semmai sul Dungeoneer's Survival Guide o te le inventavi tu con un po’ di buon senso. Il manuale si concentra sul dare spunti e setting, non crunch. Ad esempio, non troverete un nuovo kit per personaggi né nuovi incantesimi specifici del sud. Troverete però tanti agganci per avventure disseminati qua e là: il villaggio infestato dai non-morti in Tethyr in assenza di un re, il tempio dimenticato nelle giungle di Chult menzionato da un mercante di Amn (magari buttato lì in una frase per colorare un dialogo), la rivalità tra due città stato calishite che potrebbe sfociare in guerra… Sta al DM leggere tra le righe e cogliere questi semi narrativi. Il testo offre PNG significativi solo in minima parte: giusto i leader noti (tipo i nomi dei membri del Consiglio dei Sei sono volutamente segreti, quindi nada; per Tethyr ci sono un paio di nobili sopravvissuti e banditi famosi; per Calimshan qualche pasha locale e i visir di Calimport). Insomma, non è un modulo pregenerato dove hai il cattivone di turno con statblock pronto. Empires of the Sands vi dà i pezzi della scacchiera, muoverli spetta a voi. Chiude il tutto un comodo indice analitico a pagina 64 (cosa rara e utile, soprattutto quando devi ritrovare in fretta quella città impronunciabile durante la sessione!). Analisi CriticaPunti di forza. Questo manuale ha diverse frecce al suo arco anche oggi. La prima è l’originalità che portò all’epoca, e mantiene tuttora, rispetto al solito fantasy occidentale. “Imperi delle Sabbie” mantiene ciò che promette: vi fa viaggiare con la mente verso terre dal sapore arabeggiante/mediterraneo, portando varietà in un mondo che altrimenti rischiava di essere tutto spada e cavalieri. Ancora oggi, leggere di Calimshan e Tethyr ha un gusto esotico che stuzzica la fantasia. Un altro punto di forza è l’approccio sandbox old school: il focus sull’ambientazione amplia gli orizzonti del DM invece di incanalarlo in una trama rigida. Empires of the Sands invita all’esplorazione: ci sono tre nazioni a disposizione, ognuna con abbastanza dettagli per partire ma abbastanza vuoti da riempire con la propria creatività. Inoltre, la letalità ambientale implicita (dai deserti agli intrighi di palazzo) risuona bene con chi apprezza le sfide toste: i PG in queste terre devono ingegnarsi a sopravvivere al caldo, ai mostri, ai veleni degli assassini calishiti… mica passeggiate /o09pznei boschi fatati! Infine, la praticità: nel suo essere stringato, il manuale è facile da consultare al volo e riassume tante info senza perdersi in fronzoli. Per un DM che vuole preparare rapidamente, avere schede già pronte (la Compagnia degli Otto), liste di mostri locali e un quadro politico chiaro di ogni regione è un aiuto concreto. Punti deboli. Dall’alto dei nostri decenni di esperienza, però, vediamo anche le magagne. Il worldbuilding soffre di superficialità in vari punti: tante città e luoghi hanno descrizioni così brevi che sembrano note di una checklist. Questo rende l’ambientazione un po’ vuota se il DM non ci mette del suo. Per esempio, Calimport è nominata come mega-metropoli, ok… ma poi non ci sono mappe cittadine, né dettagli di quartieri o fazioni (i ladri di Calimport, la rete di schiavisti, ecc., sono solo accennati). Risultato: se volete davvero giocare lì, dovete investire nel preparare materiale extra. Anche le meccaniche mancanti possono essere viste come un punto debole: zero regole per la sopravvivenza nel deserto, nessun consiglio su come gestire traversate sulle dune o carovane (cose che in un’ambientazione desertica ti aspetteresti). È tutto lasciato alla competenza del DM. Inoltre, diciamolo, la Compagnia degli Otto occupa spazio che poteva forse essere impiegato meglio con, ad esempio, tabelle di incontri nel deserto o maggiori dettagli sui dungeon locali. Confronti. Come si colloca FR3 rispetto ad altri supplementi Forgotten Realms dell’epoca? Direi abbastanza a metà del guado. Waterdeep and the North (FR1) era molto più dettagliato su un’area ristretta (la città di Waterdeep e dintorni), ovviamente un altro livello di profondità. Moonshae (FR2) aveva un’atmosfera fortissima, quasi da romanzo celtico (complice la serie di romanzi collegati): FR3 al confronto è più neutrale, meno “colorato” in termini di tono (Bambra notò che mancava un po’ del flavor vivace che aveva FR2). D’altro canto, FR3 mantiene uno standard di produzione alto come i precedenti: mappe di qualità, testo ben organizzato, insomma la TSR in quel periodo difficilmente toppava sul piano grafico/editoriale. Se lo paragoniamo a supplementi successivi che espandono quelle stesse regioni, la differenza è enorme: negli anni ‘90 uscirono il box Lands of Intrigue (che copriva Amn e Tethyr in centinaia di pagine) e Empires of the Shining Sea (Calimshan e le regioni del sud ancora più dettagliate). Quelli sì che approfondiscono lore, personaggi e pure mini-avventure, praticamente mandando in pensione il povero FR3. Però, attenzione, parliamo di prodotti per AD&D 2E quasi dieci anni dopo, con altre filosofie di design. Empires of the Sands nel 1988 faceva da apripista, e come apripista sacrifica dettaglio per coprire più terreno. Un vecchio Old School come me quasi lo preferisce: meglio tre spunti diversi e la libertà di sviluppare quello che vuoi, piuttosto che un unico librone che ti vincola a trama X o Y. Utilità ai Giorni NostriSe siete giocatori o DM di 5ª edizione (o Pathfinder, etc.), Empires of the Sands non vi servirà per le statistiche, quelle sono pochissime e ormai le trovate aggiornate altrove, ma rimane una miniera di idee e spunti. In un’era in cui i manuali ufficiali dei FR per 5e hanno toccato poco o nulla queste zone (il Sword Coast Adventurer’s Guide accenna a malapena ad Amn e Calimshan), questo vecchio supplemento può aiutarvi a esportare concetti nelle vostre campagne. Volete che i vostri giocatori 5e facciano un viaggio ad Athkatla o Calimport? FR3 vi dà l’ossatura storica e geografica di quei posti su un piatto d’argento. Certo, dovrete aggiornare qualche dettaglio di lore se seguite la timeline ufficiale (nei romanzi/giochi successivi alcune cose a Tethyr si sono evolute, ad esempio un nuovo re è salito sul trono). Ma se giocate in modo homebrew potete fregarvene e utilizzare il materiale così com’era nell’88, che è ricco di spunti grezzi. Molti concetti di design presenti qui sono ancora validi e interessanti: l’idea di un regno senza re perfetto per una campagna sandbox politica (Tethyr), una nazione mercantile che offre hook su gilde e trade-war (Amn), un impero dalle tinte arabeggianti con magia industrializzata e dungeon sotto le dune (Calimshan). Sono tutti elementi che potete tranquillamente trapiantare nel vostro gioco moderno. Chi ama i Forgotten Realms in ogni edizione apprezzerà anche dare un’occhiata a come erano descritti questi luoghi all’inizio: potreste perfino trovare chicche dimenticate mai più riprese nelle edizioni seguenti e farne il vostro asso nella manica (tipo un certo dungeon citato di sfuggita qui e poi mai esplorato altrove; materiale perfetto per scriverci sopra la vostra avventura originale!). ConclusioneTirando le somme, Empires of the Sands è un supplemento che mi sento di consigliare col cuore (vecchio) ma non senza riserve con la mente (moderna). Non è un capolavoro senza tempo, certi suoi limiti gridano anni ’80 da ogni pagina, ma è un pezzo importante del mosaico di Faerûn e un esempio genuino di design old school. Il suo fascino sta tanto in ciò che offre quanto in ciò che non offre: vi dà tre cornici di campagna e vi sfida a dipingerci sopra la vostra avventura. È un approccio genuino, onesto, che oggi può sembrare naïf ma che rappresenta un’epoca d’oro del GDR, quando ci bastava una mappa, qualche nome evocativo e la nostra fantasia per riempire serate intere. Personalmente, rileggendolo, mi sono ritrovato a sorridere ricordando perché quelle sabbie mi avevano incantato: il deserto, con i suoi silenzi e i suoi misteri, è un ottimo maestro di old school gaming. Vi insegna che nell’essenzialità, poche risorse, nessun fronzolo superfluo, può nascondersi l’avventura più grande. Forse sono io che ho ancora la sabbia del deserto Calim nelle scarpe. Chissà. Alla fine, il vero tesoro sepolto sotto le dune è sempre stato lì: basta avere voglia di scavare. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR3 Empires of the Sands
La copertina di Empires of the Sands cattura immediatamente l'immaginazione: un enorme djinn minaccioso incombe su un ladro intento a sgraffignare una gemma da un antico idolo, il tutto illustrato dal grande Jeff Easley. Quando ho visto quell'artwork per la prima volta ho sentito odore di spezie e sabbia rovente invece del solito muschio dei classici dungeon fantasy. Facciamo un salto nel 1988. La TSR era nel pieno della sua Golden Age, sfornando supplementi di AD&D a raffica. Empires of the Sands esce proprio in quell’anno, scritto da Scott Haring e arricchito dalle illustrazioni (copertina e interni) di Jeff Easley. È il terzo modulo della serie "FR" dedicata ai Forgotten Realms, dopo Waterdeep and the North (FR1) e Moonshae (FR2). Immaginate il contesto: Advanced Dungeons & Dragons 1ª Edizione stava per lasciare il passo alla 2ª (in arrivo l'anno successivo), i Reami Dimenticati erano un’ambientazione neonata (il Grey Box è del 1987) e la fame di espansioni era palpabile tra noi nerd dell'epoca. Ai miei tempi, l’idea di esplorare regioni lontane dai cliché medievali era elettrizzante e la TSR fiutò l’interesse per l’“esotico” ancor prima di lanciare Al-Qadim o altri setting orientaleggianti. Empires of the Sands quindi arrivò sugli scaffali come una piccola rivoluzione: "Ehi avventurieri, c’è un mondo oltre le solite taverne del Cormyr!" sembrava sussurrare dalle pagine. Avere un supplemento ambientato in deserti e città ispirate a Califfi e sultani era una boccata d’aria fresca. L'Europa fantasy ce l’avevamo un po’ tutti nel DNA di gioco, ma qui si parlava di terre dal clima torrido, dove gli dei potevano avere nomi impronunciabili e dove i mostri includevano efreeti e scorpioni giganti invece dei soliti goblin del sottobosco. Empires of the Sands si presentava in formato libretto di 64 pagine con copertina esterna a cartelletta (rimovibile) e due mapponi poster a colori inclusi. La qualità di stampa e cartografia era ottima per l’epoca: Dave “Diesel” LaForce curò le mappe, garantendo che combaciassero perfettamente con quelle del set base dei Forgotten Realms. Per noi maniaci del worldbuilding, poter attaccare i nuovi pezzi di mappa a quelli già posseduti era pura gioia. Dietro le quinte, questo modulo segna anche un piccolo momento di passaggio: è il primo grande progetto di Scott Haring in TSR. Non era Ed Greenwood a scrivere, Ed stava delegando alcune parti del suo mondo ad altri autori. Haring fece talmente un buon lavoro (o sollevò abbastanza domande) che fu chiamato a rispondere alle curiosità dei fan nella rubrica Dragon Magazine poco dopo l’uscita. Un segno che Empires of the Sands fece parlare di sé. Curiosità: costava $7,95 all’uscita (un prezzo onesto per l’epoca). La tiratura fu quella tipica dei moduli TSR di fine anni ’80: oggi si trovano ancora copie in giro, segno che non è un pezzo ultra-raro (negli USA fu distribuito bene; da noi invece era quasi merce esotica essa stessa). Sul fronte artistico, c’è da dire che avere Jeff Easley sia in copertina che negli interni elevava subito il prodotto: le illustrazioni interne, tutte in bianco e nero, portano la sua firma e aggiungono atmosfera. Certo, qualche refuso nel testo c’è (normale amministrazione per i prodotti dell’epoca), e l’interno della copertina rimase incredibilmente vuoto (un spazio bianco sprecato su cui magari potevano stampare tabelle o riassunti, come notò anche una recensione dell’epoca. Ma erano peccatucci veniali in un manualetto che, nel panorama AD&D dell’88, rappresentava l’apertura ufficiale dei Forgotten Realms verso la frontiera sud dal sapore esotico. Contenuti del ManualePassiamo al sodo: cosa c’è dentro Empires of the Sands? Il manuale è strutturato come un piccolo gazetteer che dettaglia tre regioni del sud-ovest di Faerûn note collettivamente, appunto, come gli "Imperi delle Sabbie". Attenzione però: non aspettatevi intere distese stile Sahara tipo Anauroch (quello arriverà in un altro supplemento qualche anno dopo); qui parliamo di terre sì aride in parte, ma anche costiere e ricche di città. Le tre sezioni principali riguardano Amn (pagg. 3-20), Tethyr (21-47) e Calimshan (48-62), ognuna introdotta da una panoramica generale e poi suddivisa in capitoletti tematici. Ogni regione viene presentata con una struttura ordinata e quasi scolastica: Descrizione Generale, Popolazione (razze presenti), Lingua e Costumi, Mostri tipici, Storia, Governo e Politica, Religione, Geografia e Clima, Commercio, Città, Luoghi d’interesse, PNG importanti. Insomma, Haring ha seguito un vero manuale Cencelli del worldbuilding, assicurandosi di dare al DM un’infarinatura di tutto. È un approccio da primo della classe: informazioni chiare, leggibili e facili da consultare durante il gioco. La controparte è che a volte sembra di leggere un bignami: ogni città, ad esempio, riceve al massimo una colonnina di testo, spesso solo due righe su cosa produce, quanti abitanti ha e chi la governa. Roba che oggi verrebbe messa in una tabella riassuntiva, e infatti leggendo ti viene da dire: "Tutto qui? Dov’è il resto?". È evidente che coprire tre nazioni intere in 64 pagine imponeva tagli e sintesi brutali. Ma vediamo il succo di ciascun “impero”. Amn è il regno più a nord dei tre, ed è descritto come la terra dei mercanti per eccellenza. Qui tutto ha un prezzo, e la ricchezza è la misura di tutte le cose. La società amnita è quasi una caricatura (voluta) di una plutocrazia rinascimentale: nobili decaduti rimpiazzati da trade houses e gilde di commercianti. Al potere c’è il famigerato Consiglio dei Sei, un’ombra di governo composta in segreto dai capi delle sei casate mercantili più ricche. In pratica, in Amn non sai mai davvero chi tira le fila, ogni ricco mercante potrebbe essere uno dei Sei che governano dietro le quinte. Questo dettaglio all’epoca mi fece impazzire (in senso buono): in una campagna a Amn, i PG potevano accumulare fortuna e magari scoprire, dopo intrighi e colpi di scena, l’identità dei misteriosi consiglieri. C’è un vibe quasi veneziano o mediceo in questo, con cospirazioni commerciali e pugnalate alle spalle per un contratto di spezie. Haring sottolinea anche un aspetto divertente: ad Amn gli avventurieri e i maghi non sono ben visti a meno che non paghino la licenza! Ecco una chicca old school: vuoi fare l’eroe? Prima passa in dogana a compilare i moduli e a versare la tassa. Roba che oggi sembrerebbe burocratica, ma pensateci in gioco: obbligare i PG a prendere un patentino da avventuriero può creare spunti narrativi esilaranti (oltre che scontri con le guardie doganali se si scordano le scartoffie a casa). Tethyr, subito a sud di Amn, è tutt’altra musica: qui regna l’anarchia. È un regno in pezzi, un ex impero caduto in disgrazia con la famiglia reale sterminata e il trono vacante. Praticamente Tethyr è il parco giochi perfetto per avventurieri affamati di gloria: bande di briganti, signorotti locali che si proclamano re di villaggi, nobili in esilio, mostri che approfittano del caos… c’è da sbizzarrirsi. Il manuale dipinge Tethyr come un posto pericoloso ma pieno di opportunità: "dove il male cresce e i piccoli tiranni si contendono un trono vuoto" (adoro questa frase della sinossi ufficiale). Qui la chicca è la Compagnia degli Otto, un gruppo di otto avventurieri buoni che cercano di ristabilire l’ordine nel regno frammentato. Haring non si fa problemi a regalare al DM un intero party di PNG high-level belli e fatti: nel centro del booklet ci sono proprio sette schede precompilate (più un’ottava vuota) con le statistiche di questi eroi. All’epoca la cosa mi lasciò perplesso ("Chi sono 'sti tizi e perché mi occupano così tante pagine?" pensai). Effettivamente sa un po’ di riempitivo; anche Jim Bambra nella sua recensione su Dragon insinuò che fosse filler messo perché il materiale scarseggiava. Col senno di poi, però, ho imparato ad apprezzare la Compagnia degli Otto: intanto è un ottimo espediente per introdurre subito nel gioco PNG famosi di Tethyr (come possibili alleati o mentori dei PG, o magari concorrenti nella caccia al tesoro). Inoltre, è un piccolo scorcio di come si immaginava un party bilanciato nel 1988: ci troviamo il chierico, il guerriero, il mago, il ladro, ecc., ognuno con il suo background stringato. Per un DM alle prime armi poteva persino servire da esempio pratico di gruppo tipico di avventurieri. Certo, rimane il dubbio che abbiano usato quelle schede anche per tappare buchi nel layout... e spoiler: quasi certamente è così, visto che lo stesso Bambra notò che il progetto sembrava “non abbastanza grande da riempire tutte le pagine”. Infine abbiamo Calimshan, il più meridionale e, per certi versi, il più “desertico” degli imperi delle sabbie. Gran parte di Calimshan è dominata dal Deserto di Calim, e il clima rovente influenza pesantemente la vita e la cultura localee. Se Amn ricorda un po’ l’Italia dei mercanti e Tethyr la frontiera selvaggia, Calimshan è chiaramente ispirata al Medio Oriente fiabesco, versione D&D. La città capitale, Calimport, è un’immensa metropoli labirintica piena di vicoli, bazar, ladri e visir, più grande e ricca perfino di Waterdeep, dice il manuale con orgoglio. Qui il tono vira su Mille e una Notte: la ricerca della ricchezza serve per comprarsi una vita di lussi sfrenati, pochi lavorano, tutti ambiscono a fare i signori (e quasi nessuno ci riesce davvero). Interessante come la magia sia vista diversamente: a Calimshan i maghi e i gadget magici non solo sono comuni, ma addirittura rappresentano lo status symbol per eccellenza. Altro che caccia alle streghe: qui se non hai un letto che si rifà da solo o delle torce che si accendono e si spengono a comando verbale sei uno sfigato. Questo fa sì che i maghi godano di altissima considerazione sociale; sono gli inventori degli aggeggi magici che tutti vogliono per vivere in panciolle. Immaginate un’avventura a Calimport: i PG magari vengono assoldati per recuperare delle scarpe che si allacciano da sole a comando dal palazzo di un riccone, oppure per sgominare un efreeti evocato dal mago di corte che adesso sfreccia in libertà tra le dune. Già, efreeti e djinn… non potevano mancare. Uno dei retroscena affascinanti di Calimshan (anche se nel manuale FR3 forse è solo accennato) è che in tempi antichi due potenti geni, Calim e Memnon, si sono fatti la guerra, e le devastazioni hanno creato il deserto. Nel presente, il manuale dice che a furia di evocare creature planari, i maghi di Calimshan hanno riempito la regione di entità extraplanari bloccate su questo piano: un plot hook fantastico per il DM ("ragazzi, pare che in quel canyon giri un marid impazzito da secoli…"!). Politicamente, Calimshan è un impero solo di nome: sulla carta comanda il Pasha da Calimport, ma in pratica ogni città fa un po’ come le pare, e il povero Pasha deve sempre scendere a patti con decine di visir e governatori locali. Insomma, intrighi a corte non-stop. Aggiungete il fatto che tra le sabbie ci sono rovine di antiche civiltà (Calimshan vanta migliaia di anni di storia, ex imperi di geni e tutto il pacchetto) e capite perché un gruppo di avventurieri qui non rischia certo di annoiarsi. Sul fronte flora e fauna e pericoli ambientali, Empires of the Sands non delude, almeno a livello di colore. Ogni sezione elenca i mostri che infestano quell’area, prendendo a piene mani dai manuali di AD&D: in Amn e Tethyr abbiamo creature varie dalle colline e foreste (anche un drago verde quà e là, e persino beholder nei luoghi remoti), ma più ci si avvicina al Calim e alle zone aride, più spuntano bestie da deserto: dune stalker, dust digger, formian del deserto tipo ant-lion giganti, scorpioni enormi, oltre ai classici efreeti e djinn. E poi c’è la famigerata Spider Swamp al confine Tethyr-Calimshan: una palude fetida patria di ragni acquatici giganti e chissà quali altre mostruosità. Il manuale, pur non introducendo nuove creature originali, offre un bestiario implicito ricco: sfogliando l’indice trovate elencati decine di mostri nominati nel testo. Per un DM questo equivale a tante idee di incontro: “se attraversate quella zona, attenti ai basilischi e ai dune stalker”. Dal punto di vista meccanico, sorprendentemente, non ci sono regole nuove particolari. Oggi magari un supplemento del genere aggiungerebbe la sottoclasse o il background del Nomade del Deserto o almeno una tabella per il colpo di calore. Invece no: Empires of the Sands rimane sui binari tradizionali di AD&D 1E, fornendo soprattutto materiale narrativo. Questo perché nel 1988 le regole per sopravvivenza nel deserto le trovavi semmai sul Dungeoneer's Survival Guide o te le inventavi tu con un po’ di buon senso. Il manuale si concentra sul dare spunti e setting, non crunch. Ad esempio, non troverete un nuovo kit per personaggi né nuovi incantesimi specifici del sud. Troverete però tanti agganci per avventure disseminati qua e là: il villaggio infestato dai non-morti in Tethyr in assenza di un re, il tempio dimenticato nelle giungle di Chult menzionato da un mercante di Amn (magari buttato lì in una frase per colorare un dialogo), la rivalità tra due città stato calishite che potrebbe sfociare in guerra… Sta al DM leggere tra le righe e cogliere questi semi narrativi. Il testo offre PNG significativi solo in minima parte: giusto i leader noti (tipo i nomi dei membri del Consiglio dei Sei sono volutamente segreti, quindi nada; per Tethyr ci sono un paio di nobili sopravvissuti e banditi famosi; per Calimshan qualche pasha locale e i visir di Calimport). Insomma, non è un modulo pregenerato dove hai il cattivone di turno con statblock pronto. Empires of the Sands vi dà i pezzi della scacchiera, muoverli spetta a voi. Chiude il tutto un comodo indice analitico a pagina 64 (cosa rara e utile, soprattutto quando devi ritrovare in fretta quella città impronunciabile durante la sessione!). Analisi CriticaPunti di forza. Questo manuale ha diverse frecce al suo arco anche oggi. La prima è l’originalità che portò all’epoca, e mantiene tuttora, rispetto al solito fantasy occidentale. “Imperi delle Sabbie” mantiene ciò che promette: vi fa viaggiare con la mente verso terre dal sapore arabeggiante/mediterraneo, portando varietà in un mondo che altrimenti rischiava di essere tutto spada e cavalieri. Ancora oggi, leggere di Calimshan e Tethyr ha un gusto esotico che stuzzica la fantasia. Un altro punto di forza è l’approccio sandbox old school: il focus sull’ambientazione amplia gli orizzonti del DM invece di incanalarlo in una trama rigida. Empires of the Sands invita all’esplorazione: ci sono tre nazioni a disposizione, ognuna con abbastanza dettagli per partire ma abbastanza vuoti da riempire con la propria creatività. Inoltre, la letalità ambientale implicita (dai deserti agli intrighi di palazzo) risuona bene con chi apprezza le sfide toste: i PG in queste terre devono ingegnarsi a sopravvivere al caldo, ai mostri, ai veleni degli assassini calishiti… mica passeggiate /o09pznei boschi fatati! Infine, la praticità: nel suo essere stringato, il manuale è facile da consultare al volo e riassume tante info senza perdersi in fronzoli. Per un DM che vuole preparare rapidamente, avere schede già pronte (la Compagnia degli Otto), liste di mostri locali e un quadro politico chiaro di ogni regione è un aiuto concreto. Punti deboli. Dall’alto dei nostri decenni di esperienza, però, vediamo anche le magagne. Il worldbuilding soffre di superficialità in vari punti: tante città e luoghi hanno descrizioni così brevi che sembrano note di una checklist. Questo rende l’ambientazione un po’ vuota se il DM non ci mette del suo. Per esempio, Calimport è nominata come mega-metropoli, ok… ma poi non ci sono mappe cittadine, né dettagli di quartieri o fazioni (i ladri di Calimport, la rete di schiavisti, ecc., sono solo accennati). Risultato: se volete davvero giocare lì, dovete investire nel preparare materiale extra. Anche le meccaniche mancanti possono essere viste come un punto debole: zero regole per la sopravvivenza nel deserto, nessun consiglio su come gestire traversate sulle dune o carovane (cose che in un’ambientazione desertica ti aspetteresti). È tutto lasciato alla competenza del DM. Inoltre, diciamolo, la Compagnia degli Otto occupa spazio che poteva forse essere impiegato meglio con, ad esempio, tabelle di incontri nel deserto o maggiori dettagli sui dungeon locali. Confronti. Come si colloca FR3 rispetto ad altri supplementi Forgotten Realms dell’epoca? Direi abbastanza a metà del guado. Waterdeep and the North (FR1) era molto più dettagliato su un’area ristretta (la città di Waterdeep e dintorni), ovviamente un altro livello di profondità. Moonshae (FR2) aveva un’atmosfera fortissima, quasi da romanzo celtico (complice la serie di romanzi collegati): FR3 al confronto è più neutrale, meno “colorato” in termini di tono (Bambra notò che mancava un po’ del flavor vivace che aveva FR2). D’altro canto, FR3 mantiene uno standard di produzione alto come i precedenti: mappe di qualità, testo ben organizzato, insomma la TSR in quel periodo difficilmente toppava sul piano grafico/editoriale. Se lo paragoniamo a supplementi successivi che espandono quelle stesse regioni, la differenza è enorme: negli anni ‘90 uscirono il box Lands of Intrigue (che copriva Amn e Tethyr in centinaia di pagine) e Empires of the Shining Sea (Calimshan e le regioni del sud ancora più dettagliate). Quelli sì che approfondiscono lore, personaggi e pure mini-avventure, praticamente mandando in pensione il povero FR3. Però, attenzione, parliamo di prodotti per AD&D 2E quasi dieci anni dopo, con altre filosofie di design. Empires of the Sands nel 1988 faceva da apripista, e come apripista sacrifica dettaglio per coprire più terreno. Un vecchio Old School come me quasi lo preferisce: meglio tre spunti diversi e la libertà di sviluppare quello che vuoi, piuttosto che un unico librone che ti vincola a trama X o Y. Utilità ai Giorni NostriSe siete giocatori o DM di 5ª edizione (o Pathfinder, etc.), Empires of the Sands non vi servirà per le statistiche, quelle sono pochissime e ormai le trovate aggiornate altrove, ma rimane una miniera di idee e spunti. In un’era in cui i manuali ufficiali dei FR per 5e hanno toccato poco o nulla queste zone (il Sword Coast Adventurer’s Guide accenna a malapena ad Amn e Calimshan), questo vecchio supplemento può aiutarvi a esportare concetti nelle vostre campagne. Volete che i vostri giocatori 5e facciano un viaggio ad Athkatla o Calimport? FR3 vi dà l’ossatura storica e geografica di quei posti su un piatto d’argento. Certo, dovrete aggiornare qualche dettaglio di lore se seguite la timeline ufficiale (nei romanzi/giochi successivi alcune cose a Tethyr si sono evolute, ad esempio un nuovo re è salito sul trono). Ma se giocate in modo homebrew potete fregarvene e utilizzare il materiale così com’era nell’88, che è ricco di spunti grezzi. Molti concetti di design presenti qui sono ancora validi e interessanti: l’idea di un regno senza re perfetto per una campagna sandbox politica (Tethyr), una nazione mercantile che offre hook su gilde e trade-war (Amn), un impero dalle tinte arabeggianti con magia industrializzata e dungeon sotto le dune (Calimshan). Sono tutti elementi che potete tranquillamente trapiantare nel vostro gioco moderno. Chi ama i Forgotten Realms in ogni edizione apprezzerà anche dare un’occhiata a come erano descritti questi luoghi all’inizio: potreste perfino trovare chicche dimenticate mai più riprese nelle edizioni seguenti e farne il vostro asso nella manica (tipo un certo dungeon citato di sfuggita qui e poi mai esplorato altrove; materiale perfetto per scriverci sopra la vostra avventura originale!). ConclusioneTirando le somme, Empires of the Sands è un supplemento che mi sento di consigliare col cuore (vecchio) ma non senza riserve con la mente (moderna). Non è un capolavoro senza tempo, certi suoi limiti gridano anni ’80 da ogni pagina, ma è un pezzo importante del mosaico di Faerûn e un esempio genuino di design old school. Il suo fascino sta tanto in ciò che offre quanto in ciò che non offre: vi dà tre cornici di campagna e vi sfida a dipingerci sopra la vostra avventura. È un approccio genuino, onesto, che oggi può sembrare naïf ma che rappresenta un’epoca d’oro del GDR, quando ci bastava una mappa, qualche nome evocativo e la nostra fantasia per riempire serate intere. Personalmente, rileggendolo, mi sono ritrovato a sorridere ricordando perché quelle sabbie mi avevano incantato: il deserto, con i suoi silenzi e i suoi misteri, è un ottimo maestro di old school gaming. Vi insegna che nell’essenzialità, poche risorse, nessun fronzolo superfluo, può nascondersi l’avventura più grande. Forse sono io che ho ancora la sabbia del deserto Calim nelle scarpe. Chissà. Alla fine, il vero tesoro sepolto sotto le dune è sempre stato lì: basta avere voglia di scavare. Articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae Visualizza articolo completo
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae
Il supplemento FR2: Moonshae rappresenta uno dei contributi più significativi e influenti nella storia editoriale di Advanced Dungeons & Dragons, creando un'ambientazione celtica autentica e un atmosfera che ha lasciato un'impronta duratura sul mondo dei giochi di ruolo. Pubblicato dala TSR nel novembre 1987, questo sourcebook da 64 pagine ha stabilito standard innovativi per l'integrazione di mitologie del mondo reale nei giochi fantasy, diventando un modello per le future pubblicazioni dei Forgotten Realms. Storia della pubblicazione e sviluppo editorialeFR2 Moonshae fu pubblicato nel novembre 1987 come secondo supplemento della serie Forgotten Realms dopo FR1 Waterdeep and the North. Il team di produzione includeva Douglas Niles come designer, Mike Breault come editor, Tim Hildebrandt per la copertina e George Barr per le illustrazioni interne, con la cartografia affidata a Dave S. LaForce. La genesi del prodotto ha una storia affascinante: Niles fu originariamente assunto per creare un mondo celtico per la TSR UK a metà degli anni '80, con un focus tematico su "un mix di mitologia druidica, norrena e arturiana". Quando il progetto della TSR UK venne cancellato, Ed Greenwood incorporò il lavoro già sviluppato da Niles nei Forgotten Realms, sostituendo le sue originali Moonshae Isles che erano "troppo grandi e vuote per l'ambientazione pubblica". Questa integrazione permise la pubblicazione del primo romanzo dei Forgotten Realms: Darkwalker on Moonshae. Il supplemento si inseriva nella strategia della TSR per gli anni '80, come nota Shannon Appelcline: "TSR riconobbe finalmente questa nuova direzione e la rese uno standard industriale alla fine degli anni '80", non attraverso il Campaign Setting ma tramite "una serie di manuali di ambientazione dettagliati che iniziarono con FR1 e FR2". Douglas Niles (nato il 1 dicembre 1954) rappresenta una figura chiave nella storia della TSR. Insegnante di liceo nel Wisconsin, fu introdotto a D&D nel 1979 da Heidi Gygax, figlia di Gary, che frequentava la sua classe.Ricevette il set base di D&D un mercoledì e iniziò la sua prima campagna da DM il weekend successivo. La sua carriera alla TSR iniziò nel gennaio 1982, quando lasciò l'insegnamento per diventare game designer. Il suo primo incarico fu N1 Against the Cult of the Reptile God, completato in quattro settimane. Durante il periodo 1982-1990, Niles fu straordinariamente prolifico, lavorando su numerose linee di prodotto inclusi D&D, AD&D, Star Frontiers e Dragonlance, vincendo premi H.G. Wells e Origins per il suo lavoro di design. Il contributo di Niles a FR2 Moonshae va oltre il semplice design: la sua profonda conoscenza dell'ambientazione, derivata dalla stesura dei romanzi, creò descrizioni autentiche e vissute che stabilirono nuovi standard per la scrittura nei GDR. La sezione "Note di Elminster" divenne un modello per le future pubblicazioni dei Forgotten Realms. Contenuti dettagliati del sourcebookStruttura fisica e componentiIl supplemento consiste in un booklet da 64 pagine con copertina removibile "wraparound", accompagnato da una mappa poster a colori fronte e retro da 54 x 84 cm. La mappa offre due scale (20 e 30 miglia per pollice) e si connette perfettamente con i bordi delle mappe del Campaign Set (grey box). Indice completo e organizzazione dei capitoliIntroduzione (pagine 4-6): Background mitologico della Dea Madre, storia dei Ffolk, Llewyrr, nani e Northmen, e la leggenda di Cymrych Hugh e della Bestia (Kazgoroth). Panoramica delle Moonshae (pagine 7-20): Include razze e classi dei personaggi con regole speciali, opportunità di campagna per livello, sei tipi di conflitti principali, sei rotte commerciali con probabilità di incontri, sistema climatico dettagliato, otto tipi di terreno con tabelle di incontro specifiche. Divinità delle Moonshae (pagine 21-30): La Dea Madre (aspetto di Chauntea), i suoi tre Figli immortali (Leviathan, Kamerynn l'Unicorno, Il Branco), Kazgoroth la Bestia, e i Guerrieri del Sangue (truppe non morte). Luoghi specifici (pagine 31-59): Dettagli completi di tutte le isole maggiori, divise tra Terre dei Ffolk (Callidyrr, Corwell, Moray, Snowdown), Regni Northmen (Norland, Norheim, Oman, Gnarhelm), e Aree Speciali incluso l'Arcipelago Korinn. PNG principali e personaggi importantiIl supplemento presenta un cast ricco di personaggi leggendari: Cymrych Hugh, primo Alto Re dei Ffolk e portatore della spada leggendaria; Re Carrathal, attuale Alto Re solitario di Callidyrr; Curmavyss, mago di 15° livello leader del Consiglio degli Stregoni; Flamsterd, grande mago con la sua isola-dominio. Gli enti divini e soprannaturali includono la Dea Madre/Earthmother, aspetto di Chauntea e divinità centrale; Kamerynn, unicorno divino; Leviathan, balena divina mastodontica; il Capobranco, lupo alfa terribile che guida il branco soprannaturale; e Kazgoroth la Bestia, antagonista principale. Mappe e cartografiaLa mappa poster principale offre una copertura completa dalle isole maggiori agli arcipelaghi esterni, con due scale diverse per massimizzare l'utilità. Le mappe interne includono una mappa politica a piena pagina che mostra i confini dei regni, una mappa economica che visualizza rotte commerciali e risorse, e multiple mappe regionali più piccole per luoghi specifici. Le Isole Moonshae come setting geograficoLe Moonshae Isles formano un arcipelago grossomodo circolare situato 400 miglia a ovest di Amn, dove il Mare delle Spade incontra il Mare Senza Rotta. Chiamate "i gioielli sull'elsa del Mare delle Spade", le isole sono caratterizzate da drammatiche scogliere granitiche che raggiungono 500 piedi di altezza, brughiere, dense foreste decidue e conifere, paludi salmastre, corsi d'acqua dolce e montagne rugose che raggiungono gli 8.000 piedi. Isole principali e geografiaGwynneth è l'isola più grande, sede di Myrloch Vale e del regno fatato di Sarifal. Alaron costituisce il centro politico, ospitando Caer Callidyrr (capitale) e divisa tra Ffolk (sud) e Northmen (nord). Norland rappresenta la roccaforte Northmen con clima rigido e regni dei giganti. Moray è devastata dalla guerra, controllata dalla tribù licantropa Black Blood. Oman's Isle è stata conquistata dai giganti fomoriani dal Feywild. Il clima è subartrico con tempo severo, inverni lunghi, piogge frequenti e stagioni di tempeste da fine Eleint a Ches. Questo ambiente difficile ha plasmato profondamente le culture locali e le loro strategie di sopravvivenza. I Ffolk e i Northmen: due culture in contrastoI Ffolk: il popolo indigenoI Ffolk (pronunciato "folk") sono gli abitanti umani indigeni che arrivarono nel 140 CV, fuggendo dalle persecuzioni del continente. Sono un popolo dalla pelle scura e capelli neri, abili contadini, pescatori e cacciatori. La loro società valorizza la spiritualità druidica centrata sulla Dea Madre, la tradizione bardica con bardi che hanno status pari ai re, il governo monarchico sotto Alto Re/Regine, l'armonia con la natura e pratiche di vita sostenibili, la storia orale e conoscenza locale su registrazioni scritte, e la sospettosità verso la magia arcana e divinità straniere. I Northmen: i conquistatori dal mareI Northmen sono razziatori Illuskan che arrivarono nel 256 CV, da isole come Ruathym. Rappresentano una società guerriera focalizzata su razzie e combattimento, una cultura marinara con eccellenti abilità marittime, organizzazione tribale sotto jarl e re, fede politeistica che venera Tempus, Auril, Umberlee, e specialmente Valkur, sono nemici tradizionali dei Ffolk La Dea Madre e il pantheon celticoLa Earthmother rappresenta la più significativa adattazione mitologica celtica nell'ambientazione. È uno spirito primordiale piuttosto che una divinità tradizionale, aspetto di Chauntea secondo la teologia continentale (contestato dai Ffolk), l'anima della terra stessa, con le isole come suo "corpo", di allineamento neutrale che mantiene l'Equilibrio tra bene e male, con potere di divinità maggiore all'interno delle Isole, potere minore all'esterno. Creature delle MoonshaeI Firbolg rappresentano un'adattazione significativa dal Fir Bolg irlandese, corrotti dai fomoriani in versioni più oscure, schiavizzati e allevati per generazioni, perdendo la loro natura nobile, adoratori di Kazgaroth/Malar invece delle tradizionali divinità dei giganti, nemici ancestrali di nani e altri popoli civilizzati. Le creature fatate includono driadi, ninfe e spiritelli nei boschetti sacri, leprecauni e pixie come figure ingannatrici, amadriadi legate ad alberi sacri, pseudodraghi e altre creature magiche, e fey oscure che minacciano aree civilizzate. La Trilogia Moonshae e collegamenti letterariIl supplemento era intrinsecamente collegato alla Moonshae Trilogy di Douglas Niles, che divenne i primi romanzi pubblicati dei Forgotten Realms: Darkwalker on Moonshae (maggio 1987), Black Wizards (aprile 1988), e Darkwell (febbraio 1989). Significativamente, Darkwalker on Moonshae fu pubblicato un mese prima del Campaign Set dei Forgotten Realms, rendendolo tecnicamente il primo prodotto Forgotten Realms pubblicato. Questo rappresentò una coordinazione senza precedenti tra le divisioni giochi e libri di TSR, creando un modello per future integrazioni. FR2 Moonshae ha stabilito convenzioni fondamentali dei FR: il formato Note di Elminster divenne standard, il modello di approfondimento regionale stabilì il pattern per supplementi geograficamente focalizzati, l'integrazione culturale dimostrò come incorporare elementi mitologici del mondo reale, e l'integrazione romanzo-gioco creò un precedente per il marketing cross-media. Accoglienza critica e retrospettive moderneRicezione contemporanea (anni '80)Jim Bambra recensì FR2 Moonshae su Dragon Magazine #140 (dicembre 1988). La sua valutazione fu largamente positiva: elogiò l'alta qualità fisica, l'uso efficace delle mappe, lo stile di presentazione superiore, e le descrizioni evocative. La sezione Note di Elminster fu descritta come "più impressionante" con descrizioni "coinvolgenti e vibranti". Le critiche includevano l'uso inefficiente dello spazio, le tabelle di mostri vaganti problematiche, e meno informazioni dettagliate rispetto a FR1. Bambra concluse: "Lo stile di presentazione usato in Moonshae è superiore agli stili usati negli altri supplementi di ambientazione dei Forgotten Realms". Analisi retrospettiva modernaShannon Appelcline colloca FR2 come componente cruciale nello sviluppo dei sourcebook dettagliati, rappresentando il riconoscimento dell'industria delle mutate richieste dei giocatori per world-building più profondo. Recensioni moderne del 2024 includono The Other Side Blog: "Questo è uno dei supplementi con più alto rapporto 'fluff' vs 'crunch' che abbia mai visto e dovrebbe essere in ogni biblioteca", e Vintage RPG: mota che è "più utilizzabile come sourcebook di gioco di FR1" nonostante abbia meno elementi meccanici. Giocabilità oggi: perché funziona ancoraDomanda secca: si gioca bene nel 2025? Sì, e per tre motivi pratici: È quasi tutto “fluff”. Pochissimo carico di regole, zero dipendenza da stat block di 1e: convertibile facilmente a qualsiasi edizione (o sistema) perché idee, luoghi e fazioni sono l’ossatura. È un sandbox compatto. Tra Ffolk e Northmen, druidi vs chierici, Moonwell da proteggere, pirati del Korinn, rovine naniche e bestie del mare, basta un’isola per un arco di 4–6 sessioni. Due isole, una campagna. È diverso dal “solito Faerûn”. Meno magitek, più mito celtico, foreste antiche, raid vichinghi. Se cercate un respiro alla Prydain o un’eco arturiana riletta in salsa D&D, qui la trovate senza dover riscrivere mezzo setting. In pratica: prendete FR2, scegliete un conflitto (es. “Northmen violano un Moonwell” o “il branco della Earthmother sbrana qualche politico”) e metteteci i PG in mezzo. Se volete un inizio “cinematografico”, naufragio stile Treasure Hunt su un’isoletta del Korinn e via. ConclusioneMoonshae (FR2) resta attuale perché dà idee, conflitti e luoghi che funzionano a prescindere dall’edizione. È un “pezzo di Reami” con voce propria, nato da un trasloco editoriale audace e diventato base di una mini-saga coerente. Se volete atmosfera, mito e una campagna che parta dalle coste frastagliate e arrivi ai santuari nei boschi, vale sicuramente la pena giocarci o semplicemente rileggerlo. Ripensate alle vostre campagne. Quante volte avete scelto un’area periferica invece del “centro” dei Forgotten Realms? Forse è il momento di far attraccare la vostra nave alle Moonshae e vedere cosa succede quando Equilibrio, tradizioni e tempeste si incontrano. Altri articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North Visualizza articolo completo
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR2 Moonshae
Storia della pubblicazione e sviluppo editorialeFR2 Moonshae fu pubblicato nel novembre 1987 come secondo supplemento della serie Forgotten Realms dopo FR1 Waterdeep and the North. Il team di produzione includeva Douglas Niles come designer, Mike Breault come editor, Tim Hildebrandt per la copertina e George Barr per le illustrazioni interne, con la cartografia affidata a Dave S. LaForce. La genesi del prodotto ha una storia affascinante: Niles fu originariamente assunto per creare un mondo celtico per la TSR UK a metà degli anni '80, con un focus tematico su "un mix di mitologia druidica, norrena e arturiana". Quando il progetto della TSR UK venne cancellato, Ed Greenwood incorporò il lavoro già sviluppato da Niles nei Forgotten Realms, sostituendo le sue originali Moonshae Isles che erano "troppo grandi e vuote per l'ambientazione pubblica". Questa integrazione permise la pubblicazione del primo romanzo dei Forgotten Realms: Darkwalker on Moonshae. Il supplemento si inseriva nella strategia della TSR per gli anni '80, come nota Shannon Appelcline: "TSR riconobbe finalmente questa nuova direzione e la rese uno standard industriale alla fine degli anni '80", non attraverso il Campaign Setting ma tramite "una serie di manuali di ambientazione dettagliati che iniziarono con FR1 e FR2". Douglas Niles (nato il 1 dicembre 1954) rappresenta una figura chiave nella storia della TSR. Insegnante di liceo nel Wisconsin, fu introdotto a D&D nel 1979 da Heidi Gygax, figlia di Gary, che frequentava la sua classe.Ricevette il set base di D&D un mercoledì e iniziò la sua prima campagna da DM il weekend successivo. La sua carriera alla TSR iniziò nel gennaio 1982, quando lasciò l'insegnamento per diventare game designer. Il suo primo incarico fu N1 Against the Cult of the Reptile God, completato in quattro settimane. Durante il periodo 1982-1990, Niles fu straordinariamente prolifico, lavorando su numerose linee di prodotto inclusi D&D, AD&D, Star Frontiers e Dragonlance, vincendo premi H.G. Wells e Origins per il suo lavoro di design. Il contributo di Niles a FR2 Moonshae va oltre il semplice design: la sua profonda conoscenza dell'ambientazione, derivata dalla stesura dei romanzi, creò descrizioni autentiche e vissute che stabilirono nuovi standard per la scrittura nei GDR. La sezione "Note di Elminster" divenne un modello per le future pubblicazioni dei Forgotten Realms. Contenuti dettagliati del sourcebookStruttura fisica e componentiIl supplemento consiste in un booklet da 64 pagine con copertina removibile "wraparound", accompagnato da una mappa poster a colori fronte e retro da 54 x 84 cm. La mappa offre due scale (20 e 30 miglia per pollice) e si connette perfettamente con i bordi delle mappe del Campaign Set (grey box). Indice completo e organizzazione dei capitoliIntroduzione (pagine 4-6): Background mitologico della Dea Madre, storia dei Ffolk, Llewyrr, nani e Northmen, e la leggenda di Cymrych Hugh e della Bestia (Kazgoroth). Panoramica delle Moonshae (pagine 7-20): Include razze e classi dei personaggi con regole speciali, opportunità di campagna per livello, sei tipi di conflitti principali, sei rotte commerciali con probabilità di incontri, sistema climatico dettagliato, otto tipi di terreno con tabelle di incontro specifiche. Divinità delle Moonshae (pagine 21-30): La Dea Madre (aspetto di Chauntea), i suoi tre Figli immortali (Leviathan, Kamerynn l'Unicorno, Il Branco), Kazgoroth la Bestia, e i Guerrieri del Sangue (truppe non morte). Luoghi specifici (pagine 31-59): Dettagli completi di tutte le isole maggiori, divise tra Terre dei Ffolk (Callidyrr, Corwell, Moray, Snowdown), Regni Northmen (Norland, Norheim, Oman, Gnarhelm), e Aree Speciali incluso l'Arcipelago Korinn. PNG principali e personaggi importantiIl supplemento presenta un cast ricco di personaggi leggendari: Cymrych Hugh, primo Alto Re dei Ffolk e portatore della spada leggendaria; Re Carrathal, attuale Alto Re solitario di Callidyrr; Curmavyss, mago di 15° livello leader del Consiglio degli Stregoni; Flamsterd, grande mago con la sua isola-dominio. Gli enti divini e soprannaturali includono la Dea Madre/Earthmother, aspetto di Chauntea e divinità centrale; Kamerynn, unicorno divino; Leviathan, balena divina mastodontica; il Capobranco, lupo alfa terribile che guida il branco soprannaturale; e Kazgoroth la Bestia, antagonista principale. Mappe e cartografiaLa mappa poster principale offre una copertura completa dalle isole maggiori agli arcipelaghi esterni, con due scale diverse per massimizzare l'utilità. Le mappe interne includono una mappa politica a piena pagina che mostra i confini dei regni, una mappa economica che visualizza rotte commerciali e risorse, e multiple mappe regionali più piccole per luoghi specifici. Le Isole Moonshae come setting geograficoLe Moonshae Isles formano un arcipelago grossomodo circolare situato 400 miglia a ovest di Amn, dove il Mare delle Spade incontra il Mare Senza Rotta. Chiamate "i gioielli sull'elsa del Mare delle Spade", le isole sono caratterizzate da drammatiche scogliere granitiche che raggiungono 500 piedi di altezza, brughiere, dense foreste decidue e conifere, paludi salmastre, corsi d'acqua dolce e montagne rugose che raggiungono gli 8.000 piedi. Isole principali e geografiaGwynneth è l'isola più grande, sede di Myrloch Vale e del regno fatato di Sarifal. Alaron costituisce il centro politico, ospitando Caer Callidyrr (capitale) e divisa tra Ffolk (sud) e Northmen (nord). Norland rappresenta la roccaforte Northmen con clima rigido e regni dei giganti. Moray è devastata dalla guerra, controllata dalla tribù licantropa Black Blood. Oman's Isle è stata conquistata dai giganti fomoriani dal Feywild. Il clima è subartrico con tempo severo, inverni lunghi, piogge frequenti e stagioni di tempeste da fine Eleint a Ches. Questo ambiente difficile ha plasmato profondamente le culture locali e le loro strategie di sopravvivenza. I Ffolk e i Northmen: due culture in contrastoI Ffolk: il popolo indigenoI Ffolk (pronunciato "folk") sono gli abitanti umani indigeni che arrivarono nel 140 CV, fuggendo dalle persecuzioni del continente. Sono un popolo dalla pelle scura e capelli neri, abili contadini, pescatori e cacciatori. La loro società valorizza la spiritualità druidica centrata sulla Dea Madre, la tradizione bardica con bardi che hanno status pari ai re, il governo monarchico sotto Alto Re/Regine, l'armonia con la natura e pratiche di vita sostenibili, la storia orale e conoscenza locale su registrazioni scritte, e la sospettosità verso la magia arcana e divinità straniere. I Northmen: i conquistatori dal mareI Northmen sono razziatori Illuskan che arrivarono nel 256 CV, da isole come Ruathym. Rappresentano una società guerriera focalizzata su razzie e combattimento, una cultura marinara con eccellenti abilità marittime, organizzazione tribale sotto jarl e re, fede politeistica che venera Tempus, Auril, Umberlee, e specialmente Valkur, sono nemici tradizionali dei Ffolk La Dea Madre e il pantheon celticoLa Earthmother rappresenta la più significativa adattazione mitologica celtica nell'ambientazione. È uno spirito primordiale piuttosto che una divinità tradizionale, aspetto di Chauntea secondo la teologia continentale (contestato dai Ffolk), l'anima della terra stessa, con le isole come suo "corpo", di allineamento neutrale che mantiene l'Equilibrio tra bene e male, con potere di divinità maggiore all'interno delle Isole, potere minore all'esterno. Creature delle MoonshaeI Firbolg rappresentano un'adattazione significativa dal Fir Bolg irlandese, corrotti dai fomoriani in versioni più oscure, schiavizzati e allevati per generazioni, perdendo la loro natura nobile, adoratori di Kazgaroth/Malar invece delle tradizionali divinità dei giganti, nemici ancestrali di nani e altri popoli civilizzati. Le creature fatate includono driadi, ninfe e spiritelli nei boschetti sacri, leprecauni e pixie come figure ingannatrici, amadriadi legate ad alberi sacri, pseudodraghi e altre creature magiche, e fey oscure che minacciano aree civilizzate. La Trilogia Moonshae e collegamenti letterariIl supplemento era intrinsecamente collegato alla Moonshae Trilogy di Douglas Niles, che divenne i primi romanzi pubblicati dei Forgotten Realms: Darkwalker on Moonshae (maggio 1987), Black Wizards (aprile 1988), e Darkwell (febbraio 1989). Significativamente, Darkwalker on Moonshae fu pubblicato un mese prima del Campaign Set dei Forgotten Realms, rendendolo tecnicamente il primo prodotto Forgotten Realms pubblicato. Questo rappresentò una coordinazione senza precedenti tra le divisioni giochi e libri di TSR, creando un modello per future integrazioni. FR2 Moonshae ha stabilito convenzioni fondamentali dei FR: il formato Note di Elminster divenne standard, il modello di approfondimento regionale stabilì il pattern per supplementi geograficamente focalizzati, l'integrazione culturale dimostrò come incorporare elementi mitologici del mondo reale, e l'integrazione romanzo-gioco creò un precedente per il marketing cross-media. Accoglienza critica e retrospettive moderneRicezione contemporanea (anni '80)Jim Bambra recensì FR2 Moonshae su Dragon Magazine #140 (dicembre 1988). La sua valutazione fu largamente positiva: elogiò l'alta qualità fisica, l'uso efficace delle mappe, lo stile di presentazione superiore, e le descrizioni evocative. La sezione Note di Elminster fu descritta come "più impressionante" con descrizioni "coinvolgenti e vibranti". Le critiche includevano l'uso inefficiente dello spazio, le tabelle di mostri vaganti problematiche, e meno informazioni dettagliate rispetto a FR1. Bambra concluse: "Lo stile di presentazione usato in Moonshae è superiore agli stili usati negli altri supplementi di ambientazione dei Forgotten Realms". Analisi retrospettiva modernaShannon Appelcline colloca FR2 come componente cruciale nello sviluppo dei sourcebook dettagliati, rappresentando il riconoscimento dell'industria delle mutate richieste dei giocatori per world-building più profondo. Recensioni moderne del 2024 includono The Other Side Blog: "Questo è uno dei supplementi con più alto rapporto 'fluff' vs 'crunch' che abbia mai visto e dovrebbe essere in ogni biblioteca", e Vintage RPG: mota che è "più utilizzabile come sourcebook di gioco di FR1" nonostante abbia meno elementi meccanici. Giocabilità oggi: perché funziona ancoraDomanda secca: si gioca bene nel 2025? Sì, e per tre motivi pratici: È quasi tutto “fluff”. Pochissimo carico di regole, zero dipendenza da stat block di 1e: convertibile facilmente a qualsiasi edizione (o sistema) perché idee, luoghi e fazioni sono l’ossatura. È un sandbox compatto. Tra Ffolk e Northmen, druidi vs chierici, Moonwell da proteggere, pirati del Korinn, rovine naniche e bestie del mare, basta un’isola per un arco di 4–6 sessioni. Due isole, una campagna. È diverso dal “solito Faerûn”. Meno magitek, più mito celtico, foreste antiche, raid vichinghi. Se cercate un respiro alla Prydain o un’eco arturiana riletta in salsa D&D, qui la trovate senza dover riscrivere mezzo setting. In pratica: prendete FR2, scegliete un conflitto (es. “Northmen violano un Moonwell” o “il branco della Earthmother sbrana qualche politico”) e metteteci i PG in mezzo. Se volete un inizio “cinematografico”, naufragio stile Treasure Hunt su un’isoletta del Korinn e via. ConclusioneMoonshae (FR2) resta attuale perché dà idee, conflitti e luoghi che funzionano a prescindere dall’edizione. È un “pezzo di Reami” con voce propria, nato da un trasloco editoriale audace e diventato base di una mini-saga coerente. Se volete atmosfera, mito e una campagna che parta dalle coste frastagliate e arrivi ai santuari nei boschi, vale sicuramente la pena giocarci o semplicemente rileggerlo. Ripensate alle vostre campagne. Quante volte avete scelto un’area periferica invece del “centro” dei Forgotten Realms? Forse è il momento di far attraccare la vostra nave alle Moonshae e vedere cosa succede quando Equilibrio, tradizioni e tempeste si incontrano. Altri articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North
Ci sono supplementi che cambiano per sempre il modo di giocare. FR1 "Waterdeep and the North" non fu solo un prodotto: fu la nascita di un nuovo modo di immaginare i mondi fantastici. Immaginate la scena: primavera 1986, negli uffici della TSR arriva una consegna che sembra più un trasloco che una collaborazione editoriale. Ed Greenwood aveva spedito "alcune dozzine di scatole di cartone piene di appunti e mappe", centinaia di pagine di materiale accumulato dal 1975. Jeff Grubb, il coordinatore dello sviluppo alla TSR, descriveva il rituale di spacchettamento come uno spettacolo da ufficio: ci volevano cinque minuti solo per attraversare il "cellophane canadese incredibilmente resistente" che poteva "sostituire i vetri delle finestre per robustezza". Ma sapete cosa colpì di più Grubb? I fogli dattiloscritti di Greenwood erano pura ossessione: spaziatura singola, margini "infinitamente stretti", sezioni tagliate e incollate a mano. Quando la macchina da scrivere dava problemi, Greenwood disegnava a mano ogni "t" mancante su ogni pagina, facendo sembrare i dattiloscritti "come un piccolo cimitero". La mappa originale dei Forgotten Realms arrivò come 24 fogli formato Letter che Grubb dovette pazientemente assemblare e colorare con evidenziatori. Vi chiedete se tutto questo materiale fosse inventato o frutto di vere campagne? Quando la TSR lo chiese a Greenwood, lui rispose "sì" a entrambe le domande. Ecco il genio: nelle sue partite domenicali aveva creato un mondo talmente vissuto che sembrava reale perché per lui lo era. Un prodotto nato dall'abbondanzaGreenwood aveva avvertito la TSR che il solo materiale su Waterdeep poteva riempire un libro intero. Aveva ragione. La maggior parte del contenuto su "il Nord" finì nei prodotti successivi, con alcuni brani pubblicati su Dragon magazine #128 come "Welcome to Waterdeep". Il risultato? Un supplemento dal titolo fuorviante che avrebbe attirato critiche, ma con un approfondimento su Waterdeep talmente straordinario da giustificare l'intero prodotto. Pensate che sia un caso se ancora oggi, quando parliamo di città fantasy dettagliate nei GDR, il nome di Waterdeep viene sempre fuori? Non credo proprio. I Numeri che Raccontano una RivoluzioneTSR 9213 "Waterdeep and the North" arrivò sugli scaffali nel 1987 con il codice prodotto FR1, segnando il primo grande supplemento della linea Forgotten Realms. Il manuale rilegato di 64 pagine presentava un innovativo design a sei pannelli ripiegabili che funzionava sia come copertina che come strumento di gioco. Ma è quando aprite il manuale che capite di trovarvi di fronte a qualcosa di senza precedenti per l'epoca. La mappa a colori di Waterdeep (84x53 cm) mostrava 281 luoghi numerati con i nomi delle strade principali e i dettagli del porto. La copertina ripiegabile forniva la panoramica della città all'esterno, le mappe complete del sistema fognario all'interno della copertina anteriore, e le planimetrie degli edifici campione sul retro, rendendo il tutto attraente e funzionalmente completo per le avventure urbane. Keith Parkinson creò la copertina iconica con il beholder Xanathar e i suoi Quattro Consiglieri, un'immagine che divenne una delle opere d'arte più riconoscibili di D&D. Chris Miller si occupò delle illustrazioni interne, mentre la cartografia cruciale fu affidata a Frey Graphics e David C. Sutherland III, che trasformarono i frammenti di mappa fotocopiati di Greenwood in materiali da gioco professionali. Dentro la città fantasy più dettagliata mai pubblicataQui è dove FR1 dimostra la sua vera grandezza. I capitoli 2 e 3 (18 pagine totali) forniscono una copertura completa di Waterdeep: struttura governativa, sistema legale con crimini specifici e punizioni, descrizioni dettagliate di tutti e sette i distretti cittadini. I 281 luoghi numerati spaziano dai monumenti principali alle umili taverne, ognuno contribuendo all'autenticità vissuta della città. Il capitolo 5 dettaglia 42 gilde cittadine con sedi, criteri di appartenenza, collegamenti politici e livree, dalla Gilda dei Fornai al Meticoloso Ordine di Fabbri Esperti e Forgiatori di Metalli. Il capitolo 6 copre 78 famiglie nobili con informazioni araldiche complete, storie familiari e relazioni politiche che creano una rete di intrighi urbani. Il capitolo 7 introduce 43 PNG dettagliati con statistiche complete per AD&D 1a edizione, inclusi i misteriosi Lord di Waterdeep come Khelben "Blackstaff" Arunsun e Mirt “il Prestasoldi”. Ma ecco il punto debole che anche io notai subito: solo 8 pagine coprivano la regione del "Nord" con brevi descrizioni di oltre 35 insediamenti. Un errore che attirò critiche significative dai recensori che si aspettavano una copertura più equilibrata. I dolori della crescita di un design rivoluzionarioCreare FR1 rappresentò il primo tentativo della TSR di "mettere consapevolmente l'ambientazione al primo posto nel design", un approccio rivoluzionario che affrontò sfide significative. I supplementi precedenti di D&D si concentravano principalmente sulle avventure piuttosto che sulla pura costruzione del mondo, rendendo questo territorio inesplorato per l'azienda. Il processo di sviluppo richiese la trasformazione degli appunti di campagna estremamente verbose di Greenwood in materiale da gioco accessibile. Le limitazioni tecniche forzarono decisioni editoriali difficili. Le dimensioni dei caratteri del prodotto divennero "scioccantemente piccole" (testo principale a 9 punti, sezioni a 7 punti) per adattare l'enorme quantità di materiale di Greenwood in 64 pagine. Alcuni recensori notarono che sembrava "più un libro di testo per un corso su Waterdeep" che materiale da gioco interattivo, riflettendo la sfida di tradurre una costruzione del mondo completa in strumenti da gioco pratici. L'impatto rivoluzionario sul gaming fantasyVi siete mai chiesto perché oggi diamo per scontato che i supplementi di ambientazione siano così dettagliati? La risposta sta proprio qui. Secondo lo storico dei giochi Shannon Appelcline, "Waterdeep and the North diede inizio a una lunga serie di libri sull'ambientazione che aiutò a rendere i Forgotten Realms 'il primo setting TSR che fosse veramente ed esaustivamente dettagliato, grazie a una linea di supplementi, piuttosto che solo avventure.'" Questo rappresentò un cambiamento fondamentale dal design “avventura-prima” al design “ambientazione-prima” che dominò il hobby negli anni '90. FR1 stabilì principi di design che divennero standard dell'industria: suddivisioni dettagliate città per distretto, descrizioni di gilde e fazioni con collegamenti politici, gerarchie di famiglie nobili con araldica, integrazione di sistemi legali e costumi locali, ed enfasi sull'atmosfera oltre ai semplici luoghi per avventure. La ricezione critica contemporanea fu mista ma influente. Jim Bambra di Dragon magazine lodò la "qualità fisica" e notò che le descrizioni "danno vita a Waterdeep e la rendono un'ambientazione ideale per avventure urbane." Tuttavia, criticò la sezione debole sul Nord e l'assenza di strumenti da gioco pratici come le tabelle degli incontri di strada. Per i nuovi giocatori: perché dovrebbe interessarviSo cosa state pensando. "Ok boomer, bell'amarcord, ma io gioco alla 5e, che me ne faccio di un manuale del 1987?" E qui vi sbagliate di grosso, amici miei. Perché Waterdeep and the North non è solo un pezzo di storia del gioco di ruolo. È una masterclass su come costruire una città fantasy credibile. È un manuale che insegna, senza volerlo, come dare vita a un'ambientazione. Certo, le meccaniche sono quelle di AD&D prima edizione. Ma le idee? Le idee sono universali. Il modo in cui Greenwood descrive i quartieri, creando atmosfere diverse per ognuno. Il modo in cui intreccia le storie dei PNG creando una rete di relazioni e conflitti. Il modo in cui bilancia il fantastico e il mondano. Tutto questo è ancora oggi una lezione preziosa per qualsiasi DM. Volete la prova che FR1 abbia lasciato un segno indelebile? "Waterdeep: Dragon Heist" del 2018 si basa direttamente sulle fondamenta di FR1, utilizzando la stessa struttura governativa (Lord di Waterdeep), le gilde principali, l'organizzazione dei distretti e i PNG chiave stabiliti trent'anni prima. Molti luoghi, principi legali, festival culturali e punti di riferimento architettonici dal supplemento del 1987 appaiono in tutti i materiali moderni della 5a edizione. Dettagli essenziali per gli appassionati di GDRDal punto di vista pratico del gioco, FR1 funziona come un atlante autorevole ma richiede un investimento significativo del DM. Le mappe rimangono funzionalmente eccellenti - la mappa della città in grande formato crea una presenza impressionante al tavolo mentre i diagrammi del sistema fognario si rivelano inestimabili per le avventure urbane. Tuttavia, la maggior parte del contenuto esiste in forma di schema richiedendo sviluppo sostanziale prima di raggiungere uno status pronto per il tavolo. Il supplemento supporta efficacemente stili di gioco multipli: l'esplorazione urbana beneficia degli indici completi dei luoghi, le campagne di intrigo politico guadagnano dal mistero dei Lord di Waterdeep e dalle rivalità tra famiglie nobili, e le campagne criminali possono utilizzare mappe dettagliate delle fogne e informazioni sulle fazioni. Una riflessione finaleMi ritrovo oggi a pensare a quanto FR1 abbia cambiato non solo il modo di giocare, ma il modo stesso di concepire i mondi immaginari. Ha dimostrato che noi giocatori non volevamo solo “ambienti” per le avventure individuali, ma ricchi e dettagliati setting che supportassero il gioco a lungo termine. La sua rilevanza duratura nei prodotti D&D moderni testimonia la qualità della visione originale di Ed Greenwood e dell'esecuzione di quella visione da parte della TSR. Mentre le recensioni contemporanee notarono le debolezze, (copertura regionale irregolare, mancanza di strumenti pratici da gioco, alti requisiti di preparazione), la costruzione del mondo fondamentale si rivelò così robusta da continuare a supportare avventure e campagne trentacinque anni dopo. E voi? Avete mai avuto tra le mani un prodotto che ha cambiato il vostro modo di vedere il gioco? Forse è il momento di riscoprire cosa significa veramente costruire un mondo che vive e respira oltre la singola sessione di gioco. Altri articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993 Visualizza articolo completo
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Alla riscoperta dei Forgotten Realms: FR1 Waterdeep and the North
Immaginate la scena: primavera 1986, negli uffici della TSR arriva una consegna che sembra più un trasloco che una collaborazione editoriale. Ed Greenwood aveva spedito "alcune dozzine di scatole di cartone piene di appunti e mappe", centinaia di pagine di materiale accumulato dal 1975. Jeff Grubb, il coordinatore dello sviluppo alla TSR, descriveva il rituale di spacchettamento come uno spettacolo da ufficio: ci volevano cinque minuti solo per attraversare il "cellophane canadese incredibilmente resistente" che poteva "sostituire i vetri delle finestre per robustezza". Ma sapete cosa colpì di più Grubb? I fogli dattiloscritti di Greenwood erano pura ossessione: spaziatura singola, margini "infinitamente stretti", sezioni tagliate e incollate a mano. Quando la macchina da scrivere dava problemi, Greenwood disegnava a mano ogni "t" mancante su ogni pagina, facendo sembrare i dattiloscritti "come un piccolo cimitero". La mappa originale dei Forgotten Realms arrivò come 24 fogli formato Letter che Grubb dovette pazientemente assemblare e colorare con evidenziatori. Vi chiedete se tutto questo materiale fosse inventato o frutto di vere campagne? Quando la TSR lo chiese a Greenwood, lui rispose "sì" a entrambe le domande. Ecco il genio: nelle sue partite domenicali aveva creato un mondo talmente vissuto che sembrava reale perché per lui lo era. Un prodotto nato dall'abbondanzaGreenwood aveva avvertito la TSR che il solo materiale su Waterdeep poteva riempire un libro intero. Aveva ragione. La maggior parte del contenuto su "il Nord" finì nei prodotti successivi, con alcuni brani pubblicati su Dragon magazine #128 come "Welcome to Waterdeep". Il risultato? Un supplemento dal titolo fuorviante che avrebbe attirato critiche, ma con un approfondimento su Waterdeep talmente straordinario da giustificare l'intero prodotto. Pensate che sia un caso se ancora oggi, quando parliamo di città fantasy dettagliate nei GDR, il nome di Waterdeep viene sempre fuori? Non credo proprio. I Numeri che Raccontano una RivoluzioneTSR 9213 "Waterdeep and the North" arrivò sugli scaffali nel 1987 con il codice prodotto FR1, segnando il primo grande supplemento della linea Forgotten Realms. Il manuale rilegato di 64 pagine presentava un innovativo design a sei pannelli ripiegabili che funzionava sia come copertina che come strumento di gioco. Ma è quando aprite il manuale che capite di trovarvi di fronte a qualcosa di senza precedenti per l'epoca. La mappa a colori di Waterdeep (84x53 cm) mostrava 281 luoghi numerati con i nomi delle strade principali e i dettagli del porto. La copertina ripiegabile forniva la panoramica della città all'esterno, le mappe complete del sistema fognario all'interno della copertina anteriore, e le planimetrie degli edifici campione sul retro, rendendo il tutto attraente e funzionalmente completo per le avventure urbane. Keith Parkinson creò la copertina iconica con il beholder Xanathar e i suoi Quattro Consiglieri, un'immagine che divenne una delle opere d'arte più riconoscibili di D&D. Chris Miller si occupò delle illustrazioni interne, mentre la cartografia cruciale fu affidata a Frey Graphics e David C. Sutherland III, che trasformarono i frammenti di mappa fotocopiati di Greenwood in materiali da gioco professionali. Dentro la città fantasy più dettagliata mai pubblicataQui è dove FR1 dimostra la sua vera grandezza. I capitoli 2 e 3 (18 pagine totali) forniscono una copertura completa di Waterdeep: struttura governativa, sistema legale con crimini specifici e punizioni, descrizioni dettagliate di tutti e sette i distretti cittadini. I 281 luoghi numerati spaziano dai monumenti principali alle umili taverne, ognuno contribuendo all'autenticità vissuta della città. Il capitolo 5 dettaglia 42 gilde cittadine con sedi, criteri di appartenenza, collegamenti politici e livree, dalla Gilda dei Fornai al Meticoloso Ordine di Fabbri Esperti e Forgiatori di Metalli. Il capitolo 6 copre 78 famiglie nobili con informazioni araldiche complete, storie familiari e relazioni politiche che creano una rete di intrighi urbani. Il capitolo 7 introduce 43 PNG dettagliati con statistiche complete per AD&D 1a edizione, inclusi i misteriosi Lord di Waterdeep come Khelben "Blackstaff" Arunsun e Mirt “il Prestasoldi”. Ma ecco il punto debole che anche io notai subito: solo 8 pagine coprivano la regione del "Nord" con brevi descrizioni di oltre 35 insediamenti. Un errore che attirò critiche significative dai recensori che si aspettavano una copertura più equilibrata. I dolori della crescita di un design rivoluzionarioCreare FR1 rappresentò il primo tentativo della TSR di "mettere consapevolmente l'ambientazione al primo posto nel design", un approccio rivoluzionario che affrontò sfide significative. I supplementi precedenti di D&D si concentravano principalmente sulle avventure piuttosto che sulla pura costruzione del mondo, rendendo questo territorio inesplorato per l'azienda. Il processo di sviluppo richiese la trasformazione degli appunti di campagna estremamente verbose di Greenwood in materiale da gioco accessibile. Le limitazioni tecniche forzarono decisioni editoriali difficili. Le dimensioni dei caratteri del prodotto divennero "scioccantemente piccole" (testo principale a 9 punti, sezioni a 7 punti) per adattare l'enorme quantità di materiale di Greenwood in 64 pagine. Alcuni recensori notarono che sembrava "più un libro di testo per un corso su Waterdeep" che materiale da gioco interattivo, riflettendo la sfida di tradurre una costruzione del mondo completa in strumenti da gioco pratici. L'impatto rivoluzionario sul gaming fantasyVi siete mai chiesto perché oggi diamo per scontato che i supplementi di ambientazione siano così dettagliati? La risposta sta proprio qui. Secondo lo storico dei giochi Shannon Appelcline, "Waterdeep and the North diede inizio a una lunga serie di libri sull'ambientazione che aiutò a rendere i Forgotten Realms 'il primo setting TSR che fosse veramente ed esaustivamente dettagliato, grazie a una linea di supplementi, piuttosto che solo avventure.'" Questo rappresentò un cambiamento fondamentale dal design “avventura-prima” al design “ambientazione-prima” che dominò il hobby negli anni '90. FR1 stabilì principi di design che divennero standard dell'industria: suddivisioni dettagliate città per distretto, descrizioni di gilde e fazioni con collegamenti politici, gerarchie di famiglie nobili con araldica, integrazione di sistemi legali e costumi locali, ed enfasi sull'atmosfera oltre ai semplici luoghi per avventure. La ricezione critica contemporanea fu mista ma influente. Jim Bambra di Dragon magazine lodò la "qualità fisica" e notò che le descrizioni "danno vita a Waterdeep e la rendono un'ambientazione ideale per avventure urbane." Tuttavia, criticò la sezione debole sul Nord e l'assenza di strumenti da gioco pratici come le tabelle degli incontri di strada. Per i nuovi giocatori: perché dovrebbe interessarviSo cosa state pensando. "Ok boomer, bell'amarcord, ma io gioco alla 5e, che me ne faccio di un manuale del 1987?" E qui vi sbagliate di grosso, amici miei. Perché Waterdeep and the North non è solo un pezzo di storia del gioco di ruolo. È una masterclass su come costruire una città fantasy credibile. È un manuale che insegna, senza volerlo, come dare vita a un'ambientazione. Certo, le meccaniche sono quelle di AD&D prima edizione. Ma le idee? Le idee sono universali. Il modo in cui Greenwood descrive i quartieri, creando atmosfere diverse per ognuno. Il modo in cui intreccia le storie dei PNG creando una rete di relazioni e conflitti. Il modo in cui bilancia il fantastico e il mondano. Tutto questo è ancora oggi una lezione preziosa per qualsiasi DM. Volete la prova che FR1 abbia lasciato un segno indelebile? "Waterdeep: Dragon Heist" del 2018 si basa direttamente sulle fondamenta di FR1, utilizzando la stessa struttura governativa (Lord di Waterdeep), le gilde principali, l'organizzazione dei distretti e i PNG chiave stabiliti trent'anni prima. Molti luoghi, principi legali, festival culturali e punti di riferimento architettonici dal supplemento del 1987 appaiono in tutti i materiali moderni della 5a edizione. Dettagli essenziali per gli appassionati di GDRDal punto di vista pratico del gioco, FR1 funziona come un atlante autorevole ma richiede un investimento significativo del DM. Le mappe rimangono funzionalmente eccellenti - la mappa della città in grande formato crea una presenza impressionante al tavolo mentre i diagrammi del sistema fognario si rivelano inestimabili per le avventure urbane. Tuttavia, la maggior parte del contenuto esiste in forma di schema richiedendo sviluppo sostanziale prima di raggiungere uno status pronto per il tavolo. Il supplemento supporta efficacemente stili di gioco multipli: l'esplorazione urbana beneficia degli indici completi dei luoghi, le campagne di intrigo politico guadagnano dal mistero dei Lord di Waterdeep e dalle rivalità tra famiglie nobili, e le campagne criminali possono utilizzare mappe dettagliate delle fogne e informazioni sulle fazioni. Una riflessione finaleMi ritrovo oggi a pensare a quanto FR1 abbia cambiato non solo il modo di giocare, ma il modo stesso di concepire i mondi immaginari. Ha dimostrato che noi giocatori non volevamo solo “ambienti” per le avventure individuali, ma ricchi e dettagliati setting che supportassero il gioco a lungo termine. La sua rilevanza duratura nei prodotti D&D moderni testimonia la qualità della visione originale di Ed Greenwood e dell'esecuzione di quella visione da parte della TSR. Mentre le recensioni contemporanee notarono le debolezze, (copertura regionale irregolare, mancanza di strumenti pratici da gioco, alti requisiti di preparazione), la costruzione del mondo fondamentale si rivelò così robusta da continuare a supportare avventure e campagne trentacinque anni dopo. E voi? Avete mai avuto tra le mani un prodotto che ha cambiato il vostro modo di vedere il gioco? Forse è il momento di riscoprire cosa significa veramente costruire un mondo che vive e respira oltre la singola sessione di gioco. Altri articoli della serie Alla riscoperta dei Forgotten Realms Classici Alla riscoperta dei Forgotten Realms: dal Grey Box al Campaign Setting del 1993
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Che fine ha fatto il famiglio in D&D?
Storicamente, i maghi di D&D hanno sempre avuto la possibilità di avere un famiglio. Recentemente mi sono imbattuto, grazie ad un mio giocatore, nella versione 5e del famiglio e, senza troppi giri di parole, non mi è piaciuta. Inizierei con una domanda molto semplice: che cos’è un famiglio secondo voi? A parer mio, un famiglio è una creatura legata all’incantatore con cui l’incantatore ha un legame empatico affettivo. Ciò significa che l’incantatore “tiene” al famiglio. Il rapporto dovrebbe essere simile a quello che abbiamo con i nostri animali domestici, se non addirittura più forte. Ricordiamo che l’incantatore “comunica” col famiglio e spesso può “vedere” attraverso i suoi occhi. Anche se l’incantatore è malvagio, il rapporto col famiglio dovrebbe essere comunque “speciale”, proprio perché non è soltanto un servo, ma anche un compagno fedele. E qui iniziano i problemi. In 5a Edizione i famigli non sono nulla di tutto ciò. L’incantesimo dice chiaramente che sono “spiriti”. Come tali viene plausibile presumere che non abbiano bisogno di mangiare o bere, non necessitino di attenzioni o cure particolari, che non importi se soffrono (soffrono???) e che importi ancora meno se muoiono… e infatti non muoiono, "scompaiono" e dopo 30 secondi posso usare l’incantesimo e riappare di nuovo. Quella non è la descrizione di una creatura, ma di una “cosa”. Tra quella cosa e l’incantatore non ci potrà MAI essere alcun tipo di legame speciale. Se l’incantesimo si fosse chiamato “Trova Servitore Spirituale” era più corretto. Sostanzialmente il famiglio è diventato un miscuglio di Mano Magica e Occhio Arcano col dono della parola o meglio, della telepatia. A questo punto cerchiamo di capire come si è arrivati a questa versione e trasformiamo questo articolo in una breve e istruttiva storia del famiglio. Ovviamente non andrò a eviscerare ogni cosa che il famiglio poteva o non poteva fare nelle edizioni passate, mi limiterò alle caratteristiche principali. Dunque, il famiglio in D&D 5e è: È uno spirito e non un animale reale; La forma la sceglie l’incantatore; Non può attaccare, ma può fare altro (usare incantesimi a contatto dell’incantatore); Il famiglio obbedisce sempre ai comandi dell’incantatore; Quando arriva a 0 PF scompare; Si può rifare immediatamente l’incantesimo e ottenerlo di nuovo; Entro 30 mt comunica telepaticamente con l’incantatore e quest’ultimo può vedere dagli occhi del famiglio; Con un'azione, l'incantatore può temporaneamente congedarlo e scompare in una sacca dimensionale dove attende di essere richiamato; Costa 10 MO. Questa idea di “famiglio” arriva diretta dall’edizione precedente: D&D 4a Edizione. Si può dire che i designer l’abbiano copiata, con un aggravante però: in 4a edizione ottenere il famiglio “costava” molto di più, non in termini di denaro, ma di risorse. D&D 4e Stiamo parlando di un’edizione molto diversa dal “classico” D&D, e che tuttavia al suo interno ha una coerenza granitica. In questa edizione i famigli non sono presenti fin da subito nel Manuale del Giocatore, ma vengono introdotti nel supplemento Arcane Power e ai famigli vengono dedicate ben 5 pagine. In questa edizione non esiste l’incantesimo Trova Famiglio, ma per ottenerlo serve spendere… talenti. Premetto, per chi non conosce l’edizione, che in 4e i talenti servono molto per la personalizzazione e la crescita del personaggio. Nei primi 20 livelli se ne prendono un totale di 12. Quindi spenderne 1 o 2 per il famiglio, è decisamente “costoso” in termini di risorse. I talenti per il famiglio sono ben 4, ma per averlo ne basta uno solo. Se vogliamo renderlo quasi uguale a quello di D&D 5e ne servono ben 2. Il talento Arcane Familiar vi permette di avere il famiglio con queste caratteristiche: È uno spirito e non un animale reale (specifica che non ha bisogno di cibo o acqua); La forma la sceglie l’incantatore; Non può attaccare, ma può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore); Il famiglio obbedisce sempre ai comandi dell’incantatore (ma dedica un paragrafo alla personalità del famiglio); Ha 1 PF e quando arriva a 0 PF scompare; Se morto, ricompare dopo un riposo breve o lungo; Si può comunicare solo verbalmente (con un linguaggio speciale) col famiglio; Costa 10 MO. Come vedete è praticamente identico a quello della 5e, ma qui manca la comunicazione telepatica e la possibilità di vedere tramite gli occhi del famiglio. Assente è anche la possibilità di congedarlo in una sacca dimensionale stile pokemon. Per poter comunicare telepaticamente col famiglio, serve la bellezza di un altro talento. Ma anche in questo caso i vantaggi sono minori che in 5e. Infatti, il talento Bonded Familiar dà la possibilità di comunicare telepaticamente entro 10 quadretti (15 piedi – 4,5 mt) ma solo se si ha linea di vista e linea d’effetto. D&D 3e In questa edizione il famiglio è una capacità di classe di primo livello di Maghi e Stregoni, chiamata Evoca Famiglio (Summon Familiar). Mettendolo come capacità di classe fin da subito, si dà quasi per scontato che ogni incantatore abbia il suo famiglio. In questa edizione il famiglio avanza di livello con l’avanzare dell’incantatore. Inoltre, gli incantesimi personali funzionano anche sul famiglio, se questi si trova entro 1,5 mt dall’incantatore. Rispetto alla 4a e 5a edizione cambia quasi tutto. È la versione magica di un piccolo animale (funge da compagno e servitore); La forma la sceglie l’incantatore; Agisce come creatura indipendente, attacca e può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore se si trova entro 1,6 Km); Quando arriva a 0 pf muore; Se muore, l’incantatore deve superare un TS su tempra: se fallisce perde 200 PX per livello di classe, se lo supera la metà. I famigli morti possono essere resuscitati come i personaggi; Si può ottenere un nuovo famiglio un anno e un giorno dalla morte del primo; Si può comunicare verbalmente (con un linguaggio speciale) e telepaticamente fino a 1,6 Km col famiglio; Costa 100 MO. Anche in questo caso non c’è la possibilità di vedere tramite gli occhi del famiglio. Questa versione è evidentemente figlia delle edizioni precedenti, rispetto alle quali, ha potenziato di molto il famiglio e, al tempo stesso, lo ha reso più complesso per via dell’avanzamento in livello e del fatto che agisce effettivamente come una creatura completamente indipendente. AD&D 2e Nella 2a edizione, Trova Famiglio è un incantesimo di primo livello dei Maghi. Queste le caratteristiche del famiglio: È un piccolo animale più intelligente del normale (funge da compagno e aiutante); La forma è casuale e vi è un 25% di probabilità che l'incantesimo non richiami alcun famiglio; Agisce come creatura indipendente, attacca e può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore); Quando arriva a 0 PF muore; Se separato dall’incantatore, perde 1 PF al giorno fino a morire; Se muore, l’incantatore deve superare un “system shock” (valore basato su COS –ndr) o morire. Se lo supera, perde permanentemente 1 punto di Costituzione; Si può ottenere un nuovo famiglio un anno dopo la morte del primo; Si può comunicare comandi mentali col famiglio entro 1,6 Km, il quale può rispondere sempre mentalmente; Costa 1.000 MO. Come vedete, la 3e ha preso molto da questa versione. Ha limato molti lati negativi (casualità del famiglio, morte dell’incantatore, 1.000 MO) e ha potenziato il famiglio rendendolo, come già detto, più complesso da gestire. La Seconda edizione, chiude l’incantesimo con un “delicato” paragrafetto che fa capire perfettamente quale relazione dovrebbe esserci tra Mago e famiglio: AD&D 1e Concludiamo questa breve storia del famiglio con la prima edizione. Il famiglio della prima edizione è molto simile a quello della seconda. Si basa sempre su di un incantesimo da mago di primo livello, ma la descrizione è molto più vaga. È un piccolo animale più intelligente del normale; La forma è casuale e vi è un 25% di probabilità che l'incantesimo non richiami alcun famiglio; Agisce come creatura indipendente, attacca e può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore, tra cui l'aggiungere i suoi PF a quelli dell’incantatore); Quando arriva a 0 pf muore; Se muore, l’incantatore perde il doppio dei PF del famiglio (considerando che aggiungeva i PF del famiglio ai suoi, di base perde i PF del famiglio); Si può ottenere un nuovo famiglio un anno dopo la morte del primo; Si può “conversare” col famiglio (non specifica la modalità); Costa 100 MO. Come si vede, questa versione è molto simile a quella della seconda edizione. Qui vi è anche la possibilità (un 5%) che risponda alla chiamata un famiglio “speciale” in base all’allineamento del mago: imp, quasit, presudrago, brownie. Conclusioni Abbiamo visto, quindi, che, fino alla terza edizione compresa, il famiglio era a tutti gli effetti una creatura vivente, con un legame “speciale” col padrone. Il Mago se ne prendeva cura, e se moriva c'erano delle conseguenze. La 3E addirittura prevede la possibilità di riportare in vita il famiglio, tanto forte è il vincolo che lo legava al Mago. Con l’avvento della 4a Edizione, poi ripreso nella 5a, il famiglio si è trasformato da creatura a “spirito”. Si è trasformato in una “cosa” che non si può nemmeno definire “viva”. Furbescamente in 5e non viene specificato se soffre o se necessita di cibo, ma la cosa è irrilevante perché non muore, semplicemente scompare e poi si riforma come se nulla fosse accaduto. La mia critica è a quest'ultimo concetto di famiglio. Non mi interessa nulla dell’incantesimo in sé. Come detto, se alla parola “famiglio” sostituite le parole “spirito servitore” l’incantesimo va bene così com’è. Anche se non capisco il perché “Trova” visto che non trova proprio nulla, ma “Evoca”. Quello che non mi va giù è che fa passare un concetto di famiglio, a mio modo di vedere, errato. Non capisco come non siano riusciti a trovare un equilibrio, tra lo storico concetto di “famiglio” e quello nuovo introdotto dalla 4e. Fateci sapere cosa ne pesate e come, secondo voi, dovrebbe essere un famiglio.
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Che fine ha fatto il famiglio in D&D?
L'utente @Psyco partendo da alcune sue considerazioni sul famiglio, ci mostra come questo si sia evoluto nel corso delle edizioni. Storicamente, i maghi di D&D hanno sempre avuto la possibilità di avere un famiglio. Recentemente mi sono imbattuto, grazie ad un mio giocatore, nella versione 5e del famiglio e, senza troppi giri di parole, non mi è piaciuta. Inizierei con una domanda molto semplice: che cos’è un famiglio secondo voi? A parer mio, un famiglio è una creatura legata all’incantatore con cui l’incantatore ha un legame empatico affettivo. Ciò significa che l’incantatore “tiene” al famiglio. Il rapporto dovrebbe essere simile a quello che abbiamo con i nostri animali domestici, se non addirittura più forte. Ricordiamo che l’incantatore “comunica” col famiglio e spesso può “vedere” attraverso i suoi occhi. Anche se l’incantatore è malvagio, il rapporto col famiglio dovrebbe essere comunque “speciale”, proprio perché non è soltanto un servo, ma anche un compagno fedele. E qui iniziano i problemi. In 5a Edizione i famigli non sono nulla di tutto ciò. L’incantesimo dice chiaramente che sono “spiriti”. Come tali viene plausibile presumere che non abbiano bisogno di mangiare o bere, non necessitino di attenzioni o cure particolari, che non importi se soffrono (soffrono???) e che importi ancora meno se muoiono… e infatti non muoiono, "scompaiono" e dopo 30 secondi posso usare l’incantesimo e riappare di nuovo. Quella non è la descrizione di una creatura, ma di una “cosa”. Tra quella cosa e l’incantatore non ci potrà MAI essere alcun tipo di legame speciale. Se l’incantesimo si fosse chiamato “Trova Servitore Spirituale” era più corretto. Sostanzialmente il famiglio è diventato un miscuglio di Mano Magica e Occhio Arcano col dono della parola o meglio, della telepatia. A questo punto cerchiamo di capire come si è arrivati a questa versione e trasformiamo questo articolo in una breve e istruttiva storia del famiglio. Ovviamente non andrò a eviscerare ogni cosa che il famiglio poteva o non poteva fare nelle edizioni passate, mi limiterò alle caratteristiche principali. Dunque, il famiglio in D&D 5e è: È uno spirito e non un animale reale; La forma la sceglie l’incantatore; Non può attaccare, ma può fare altro (usare incantesimi a contatto dell’incantatore); Il famiglio obbedisce sempre ai comandi dell’incantatore; Quando arriva a 0 PF scompare; Si può rifare immediatamente l’incantesimo e ottenerlo di nuovo; Entro 30 mt comunica telepaticamente con l’incantatore e quest’ultimo può vedere dagli occhi del famiglio; Con un'azione, l'incantatore può temporaneamente congedarlo e scompare in una sacca dimensionale dove attende di essere richiamato; Costa 10 MO. Questa idea di “famiglio” arriva diretta dall’edizione precedente: D&D 4a Edizione. Si può dire che i designer l’abbiano copiata, con un aggravante però: in 4a edizione ottenere il famiglio “costava” molto di più, non in termini di denaro, ma di risorse. D&D 4e Stiamo parlando di un’edizione molto diversa dal “classico” D&D, e che tuttavia al suo interno ha una coerenza granitica. In questa edizione i famigli non sono presenti fin da subito nel Manuale del Giocatore, ma vengono introdotti nel supplemento Arcane Power e ai famigli vengono dedicate ben 5 pagine. In questa edizione non esiste l’incantesimo Trova Famiglio, ma per ottenerlo serve spendere… talenti. Premetto, per chi non conosce l’edizione, che in 4e i talenti servono molto per la personalizzazione e la crescita del personaggio. Nei primi 20 livelli se ne prendono un totale di 12. Quindi spenderne 1 o 2 per il famiglio, è decisamente “costoso” in termini di risorse. I talenti per il famiglio sono ben 4, ma per averlo ne basta uno solo. Se vogliamo renderlo quasi uguale a quello di D&D 5e ne servono ben 2. Il talento Arcane Familiar vi permette di avere il famiglio con queste caratteristiche: È uno spirito e non un animale reale (specifica che non ha bisogno di cibo o acqua); La forma la sceglie l’incantatore; Non può attaccare, ma può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore); Il famiglio obbedisce sempre ai comandi dell’incantatore (ma dedica un paragrafo alla personalità del famiglio); Ha 1 PF e quando arriva a 0 PF scompare; Se morto, ricompare dopo un riposo breve o lungo; Si può comunicare solo verbalmente (con un linguaggio speciale) col famiglio; Costa 10 MO. Come vedete è praticamente identico a quello della 5e, ma qui manca la comunicazione telepatica e la possibilità di vedere tramite gli occhi del famiglio. Assente è anche la possibilità di congedarlo in una sacca dimensionale stile pokemon. Per poter comunicare telepaticamente col famiglio, serve la bellezza di un altro talento. Ma anche in questo caso i vantaggi sono minori che in 5e. Infatti, il talento Bonded Familiar dà la possibilità di comunicare telepaticamente entro 10 quadretti (15 piedi – 4,5 mt) ma solo se si ha linea di vista e linea d’effetto. D&D 3e In questa edizione il famiglio è una capacità di classe di primo livello di Maghi e Stregoni, chiamata Evoca Famiglio (Summon Familiar). Mettendolo come capacità di classe fin da subito, si dà quasi per scontato che ogni incantatore abbia il suo famiglio. In questa edizione il famiglio avanza di livello con l’avanzare dell’incantatore. Inoltre, gli incantesimi personali funzionano anche sul famiglio, se questi si trova entro 1,5 mt dall’incantatore. Rispetto alla 4a e 5a edizione cambia quasi tutto. È la versione magica di un piccolo animale (funge da compagno e servitore); La forma la sceglie l’incantatore; Agisce come creatura indipendente, attacca e può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore se si trova entro 1,6 Km); Quando arriva a 0 pf muore; Se muore, l’incantatore deve superare un TS su tempra: se fallisce perde 200 PX per livello di classe, se lo supera la metà. I famigli morti possono essere resuscitati come i personaggi; Si può ottenere un nuovo famiglio un anno e un giorno dalla morte del primo; Si può comunicare verbalmente (con un linguaggio speciale) e telepaticamente fino a 1,6 Km col famiglio; Costa 100 MO. Anche in questo caso non c’è la possibilità di vedere tramite gli occhi del famiglio. Questa versione è evidentemente figlia delle edizioni precedenti, rispetto alle quali, ha potenziato di molto il famiglio e, al tempo stesso, lo ha reso più complesso per via dell’avanzamento in livello e del fatto che agisce effettivamente come una creatura completamente indipendente. AD&D 2e Nella 2a edizione, Trova Famiglio è un incantesimo di primo livello dei Maghi. Queste le caratteristiche del famiglio: È un piccolo animale più intelligente del normale (funge da compagno e aiutante); La forma è casuale e vi è un 25% di probabilità che l'incantesimo non richiami alcun famiglio; Agisce come creatura indipendente, attacca e può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore); Quando arriva a 0 PF muore; Se separato dall’incantatore, perde 1 PF al giorno fino a morire; Se muore, l’incantatore deve superare un “system shock” (valore basato su COS –ndr) o morire. Se lo supera, perde permanentemente 1 punto di Costituzione; Si può ottenere un nuovo famiglio un anno dopo la morte del primo; Si può comunicare comandi mentali col famiglio entro 1,6 Km, il quale può rispondere sempre mentalmente; Costa 1.000 MO. Come vedete, la 3e ha preso molto da questa versione. Ha limato molti lati negativi (casualità del famiglio, morte dell’incantatore, 1.000 MO) e ha potenziato il famiglio rendendolo, come già detto, più complesso da gestire. La Seconda edizione, chiude l’incantesimo con un “delicato” paragrafetto che fa capire perfettamente quale relazione dovrebbe esserci tra Mago e famiglio: AD&D 1e Concludiamo questa breve storia del famiglio con la prima edizione. Il famiglio della prima edizione è molto simile a quello della seconda. Si basa sempre su di un incantesimo da mago di primo livello, ma la descrizione è molto più vaga. È un piccolo animale più intelligente del normale; La forma è casuale e vi è un 25% di probabilità che l'incantesimo non richiami alcun famiglio; Agisce come creatura indipendente, attacca e può fare altro (fornisce benefici di vario genere all’incantatore, tra cui l'aggiungere i suoi PF a quelli dell’incantatore); Quando arriva a 0 pf muore; Se muore, l’incantatore perde il doppio dei PF del famiglio (considerando che aggiungeva i PF del famiglio ai suoi, di base perde i PF del famiglio); Si può ottenere un nuovo famiglio un anno dopo la morte del primo; Si può “conversare” col famiglio (non specifica la modalità); Costa 100 MO. Come si vede, questa versione è molto simile a quella della seconda edizione. Qui vi è anche la possibilità (un 5%) che risponda alla chiamata un famiglio “speciale” in base all’allineamento del mago: imp, quasit, presudrago, brownie. Conclusioni Abbiamo visto, quindi, che, fino alla terza edizione compresa, il famiglio era a tutti gli effetti una creatura vivente, con un legame “speciale” col padrone. Il Mago se ne prendeva cura, e se moriva c'erano delle conseguenze. La 3E addirittura prevede la possibilità di riportare in vita il famiglio, tanto forte è il vincolo che lo legava al Mago. Con l’avvento della 4a Edizione, poi ripreso nella 5a, il famiglio si è trasformato da creatura a “spirito”. Si è trasformato in una “cosa” che non si può nemmeno definire “viva”. Furbescamente in 5e non viene specificato se soffre o se necessita di cibo, ma la cosa è irrilevante perché non muore, semplicemente scompare e poi si riforma come se nulla fosse accaduto. La mia critica è a quest'ultimo concetto di famiglio. Non mi interessa nulla dell’incantesimo in sé. Come detto, se alla parola “famiglio” sostituite le parole “spirito servitore” l’incantesimo va bene così com’è. Anche se non capisco il perché “Trova” visto che non trova proprio nulla, ma “Evoca”. Quello che non mi va giù è che fa passare un concetto di famiglio, a mio modo di vedere, errato. Non capisco come non siano riusciti a trovare un equilibrio, tra lo storico concetto di “famiglio” e quello nuovo introdotto dalla 4e. Fateci sapere cosa ne pesate e come, secondo voi, dovrebbe essere un famiglio. Visualizza articolo completo
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I Dadi Vita nella storia di Dungeons & Dragons
Con questo articolo vogliamo dare uno sguardo alla storia dei Dadi Vita in Dungeons & Dragons e di come sono cambiati attraverso le varie edizioni. Inizieremo con una panoramica generale per poi analizzare le singole edizioni, da OD&D alla 5a Edizione. Il Dado Vita (Hit Die), abbreviato in DV (HD), è una regola di Dungeons & Dragons originariamente riferita al numero di dadi lanciati per calcolare il numero dei punti ferita con cui un personaggio o un mostro inizia a giocare. Questo determina quanto sono difficili da uccidere. Durante le varie edizioni delle regole di Dungeons & Dragons, i Dadi Vita interagiscono anche con altre meccaniche del gioco, incluso il livello del personaggio, l'esperienza, la forza degli attacchi dei mostri e il recupero dei punti ferita durante un riposo. Punti Ferita Nel Dungeons & Dragons originale del 1974, i Dadi Vita di un personaggio giocante sono uguali al livello del personaggio. Un personaggio di 1° livello appena creato lancia un dado per determinare il totale dei suoi punti ferita. Un minotauro, che ha sei DV, lancia sei dadi per determinare il suo totale di punti ferita. Mentre i personaggi inizialmente utilizzavano tutti il dado a sei facce (d6) per calcolare i punti ferita, una prima innovazione presentata in Greyhawk (Supplemento 1) (1975) assegnava alle classi Dadi Vita diversi (d4, d6, ecc.), dando ai guerrieri più punti ferita e meno agli incantatori (magic-users). Questa variante sarebbe poi stata trasposta nelle successive edizioni di D&D. Il punteggio di Costituzione di un personaggio può aumentare o diminuire il totale dei suoi punti ferita. In alcune edizioni di D&D, un personaggio guadagna usualmente il massimo risultato possibile del suo Dado Vita al primo livello. Questo aiuta a migliorare la sopravvivenza dei personaggi al primo livello ed evita la situazione in cui un personaggio sfortunato possa iniziare a giocare con un solo punto ferita. Una regola facoltativa di alcune edizioni consente ai giocatori di prendere il valore medio invece di tirare il Dado Vita quando salgono di livelli. Questo aiuta ad evitare che un giocatore sfortunato abbia un basso numero di punti ferita. Spendere i Dadi Vita Questo è un caso specifico di D&D 5E in cui un personaggio può "spendere" i Dadi Vita per recuperare punti ferita fuori dal combattimento. Questo essenzialmente offre ai personaggi del giocatore una riserva personale di cure da usare al di fuori del combattimento. Altre interazioni con le regole I Dadi Vita sono spesso sinonimo di livello del personaggio, e spesso vengono usati al posto di "livello" quando si fa riferimento ai mostri. Di conseguenza, molte regole riguardanti i mostri in particolare sono influenzate dai Dadi Vita. In particolare in D&D 3E molte delle statistiche di un mostro sono calcolate in base ai loro Dadi Vita, allo stesso modo in cui alcune delle statistiche di un personaggio sono basate sul livello del personaggio. Queste includono bonus di attacco base, bonus base al tiro salvezza, numero di talenti e classe di difficoltà di alcuni attacchi soprannaturali. Alcuni incantesimi influenzano i bersagli in modo diverso in base ai loro Dadi Vita. Ad esempio, l'incantesimo spruzzo colorato in D&D 3.5 è più efficace contro le creature con meno Dadi Vita. Inflazione dei Dadi Vita Un fenomeno che si può facilmente osservare è come il tipo di Dado Vita legato ad una classe tenda ad aumentare tra le edizioni di D&D. I guerrieri originariamente usavano un d8, aumentato successivamente a d10, mentre i maghi sono passati dal d4 al d6. I ladri iniziarono con il d4, ma con D&D 5E sono arrivati fino al d8. Ogni classe di personaggio che era apparsa in OD&D ha finito per vedere i suoi Dadi Vita aumentati in una successiva edizione delle regole. L'ultimo a cambiare fu l'assassino, che dopo 39 anni passò dal d6 al d8 in virtù del fatto di diventare una sottoclasse del ladro. Passiamo ora in rassegna più nello specifico le varie edizioni di D&D Original D&D Nel Dungeons & Dragons del 1974, "Dado Vita" è stato usato per la prima volta come abbreviazione di "Dado per colpi cumulativi" (ricordiamo che in inglese Dado Vita è Hit Dice –ndt). Tutti i Dadi Vita, sia per i personaggi che per i mostri, vengono lanciati usando dadi a sei facce (d6). I Dadi Vita di un personaggio potrebbero non essere uguali al loro livello; un guerriero di 9° livello ha 9d6 + 3 punti ferita (nove dadi vita con un bonus di 3 PF), mentre un incantatore di 9° livello ne ha 6d6 + 1. Greyhawk (Supplemento 1) (1975) introduce Dadi Vita variabili per le classi, con lo scopo preciso di rafforzare i guerrieri e indebolire gli incantatori. Tim Kask, editore presso la TSR, lo attribuirà in seguito alla preferenza dell'autore Gary Gygax per i guerrieri stile Conan rispetto ai maghi. I personaggi di alto livello hanno un limite al numero totale di Dadi Vita oltre al quale non possono andare, forse per evitare che i personaggi diventassero quasi immortali, una regola che persisterà fino alla sua rimozione in D&D 3E. Compresi i supplementi OD&D, le classi dei personaggi hanno avuto i seguenti Dadi Vita in questa edizione: Dado Vita Classi in OD&D d4 Incantatore, monaco, ladro d6 Assassino, chierico, la maggior parte dei mostri d8 Guerriero d10 Mostri potenti (demoni di tipo IV e VI, Demogorgon) d12, d20 Demoni potenti (definiti nelle regole, ma non nelle liste) Basic D&D In tutte le versioni della linea di prodotti Basic Dungeons & Dragons, parallela a Advanced Dungeons & Dragons, le razze erano considerate classi. I seguenti valori dei Dadi Vita sono stati utilizzati da tutte queste edizioni: Dado Vita Classi in Holmes D&D d4 Incantatore, ladro d6 Chierico, elfo, halfling, mistico d8 Guerriero, nano Moldvay Basic (1981) consente a un giocatore di rilanciare facoltativamente un risultato di 1 o 2 sul Dado Vita. Il mistico è apparso nella Rules Cyclopedia (1991), ma non in altre edizioni. Alcune altre classi apparvero come sottoclassi, come il vendicatore e il paladino (sottoclassi del guerriero) e il druido (come sottoclasse del chierico neutrale), e basavano i loro Dadi Vita sulla classe principale. Come in OD&D e AD&D, i personaggi di Basic D&D ad un certo livello non guadagnano più Dadi Vita, ma guadagnano solo un numero fisso di punti ferita ad ogni livello. AD&D 1a Edizione I personaggi ora ottengono semplicemente un Dado Vita per livello fino a quando non raggiungono il numero massimo di Dadi Vita per la loro classe (mediamente intorno al 10° livello). Un'eccezione insolita in AD&D 1e è che il ranger e il monaco ottengono due Dadi Vita al primo livello. Le classi di AD&D 1E hanno i seguenti Dadi Vita: Dado Vita Classi in AD&D 1e d4 Incantatore, illusionista, monaco d6 Assassino, bardo, ladro, ladro-acrobata d8 Chierico, druido, la maggior parte dei mostri d10 Cavaliere, guerriero, paladino, ranger d12 Barbaro Da notare che il ladro, il chierico, il druido e il guerriero aumentano di una categoria il tipo di dado in questa edizione. Anche i mostri aumentano da d6 a d8. Questo ha l'effetto complessivo di indebolire ulteriormente gli incantatori. AD&D 2a Edizione Il Manuale del Giocatore 2e (1989) non modifica i Dadi vVta di AD&D, ma organizza formalmente le classi in archetipi che hanno lo stesso dado vita: Dado Vita Classi in AD&D 2e d4 Incantatori (mago, illusionista, mago specialistico) d6 Ladri (ladro, bardo) d8 Sacerdoti (chierico, druido) d10 Combattenti (guerriero, paladino ranger) AD&D 2e è l'ultima edizione del gioco ad avere un limite massimo ai Dadi Vita sotto il livello massimo del personaggio. Ad esempio, un guerriero sopra il 9° livello guadagna solo 3 punti ferita fissi per livello e non ottiene punti ferita bonus per la Costituzione alta. D&D 3a Edizione Da D&D 3E in poi tutti i personaggi ottengono un Dado Vita per livello e aggiungono il proprio modificatore Costituzione ad ogni livello. Questa modifica ha reso personaggi e mostri di alto livello particolarmente carichi di punti ferita. Dado Vita Classi in D&D 3e Tipo di mostro d4 Mago (mago specialista), stregone — d6 Bardo, ladro Folletto d8 Chierico, druido, monaco, ranger (3.5e) Abberrazione, animale, elementale, gigante, umanoide, umanoide mostruoso, esterno, vegetale, mutaforma (3e), parassita d10 Guerriero, paladino, ranger (3e) Bestia (3e), bestia magica, costrutto, melma d12 Barbaro Drago, non morto I tipi di Dadi Vita per classe di questa edizione prendono spunto in modo significativo dalla seconda edizione di AD&D. Il monaco, che non era apparso nel Manuale del giocatore di AD&D 2e, aumenta il Dado Vita di due taglie, passando dal d4 al d8, mentre il barbaro ritorna ad essere l'unica classe col d12. Le classi di prestigio di D&D 3E, troppe per elencarle qui, usavano vari dadi vita da d4 a d12 e di solito seguivano la tipica classe base. Nella revisione 3.5 di D&D (2003), il ranger è stato portato dal d10, che utilizzava nelle precedenti edizioni come sottoclasse del guerriero, al d8. Una possibile ragione di ciò è la tendenza storica a sovrastimare la forza del ranger a causa della sua potenza in AD&D. I Dadi Vita dei mostri si basano sul "tipo", con la maggior parte dei tipi che usano il d8, le differenze più notevoli sono Non morti (che non ottengono bonus Costituzione ai punti ferita e hanno come dado vita il d12), e i Draghi (che hanno un minaccioso d12). I potenti demoni, i soli ad avere avuto il dado vita più alto in Original D&D, ora fanno semplicemente parte del gruppo Esterni e ottengono solo il d8. D&D 4a Edizione La quarta edizione di D&D abbandona il termine "Dadi Vita" in favore di "livello", poiché i personaggi e i mostri non tirano più casualmente i dadi vita, ma guadagnano un numero fisso di punti ferita per ogni livello. Il modificatore di costituzione non viene più aggiunto ai punti ferita ogni livello. Tuttavia, i personaggi ottengono un enorme bonus ai loro punti ferita al primo livello, in quanto aggiungono l'intero punteggio della Costituzione (non solo il modificatore). Esempi di classi di personaggi che compaiono nel Manuale del giocatore 4e (2008), Manuale del giocatore 2 (4e) (2009) e Manuale del giocatore 3 (4e) (2010) includono: PF al primo livello PF per livello successivo Classe 10 4 Mago, invocatore 12 4 Psionico 12 5 Ardent, bardo, chierico, druido, monaco, ranger, ladro, sacerdote runico, seeker, sciamano, stregone, warlock, warlord 14 6 Avenger 15 6 Barbaro, battlemind, guerriero, paladino 17 7 Warden L'incremento dei punti ferita al primo livello è il più grande nella storia di D&D ed è progettato per consentire ai giocatori di evitare le esperienze di gioco rischiose e mortali, tipiche dei primi livelli dei personaggi che si avevano in D&D 3E. D&D 4e ha intenzionalmente preso i "livelli migliori" percepiti nella 3e (quelli tra i livelli 5-15) e li ha usati come base per i suoi livelli (1-30). Supponendo che i punti ferita ottenuti rappresentino la media di ogni dado (arrotondando per eccesso), diverse classi ottengono un aumento dei punti ferita rispetto alle loro versioni in D&D 3.5: mago, psion, bardo, ladro, stregone e warlock. Il barbaro viene retrocesso allo stesso valore del guerriero. Il "livello" dei mostri, così come il “ruolo” dei mostri, viene utilizzato per determinare i loro punti ferita e altre statistiche chiave. Il livello determina anche la quantità di PE guadagnati sconfiggendo un mostro, sostituendo la meccanica più soggettiva dei gradi di sfida di D&D 3e. D&D 5a Edizione Nella 5a edizione di D&D, "Dadi Vita" è definito come un'abbreviazione di "Dadi dei punti ferita" (“hit point dice”, omesso nell’edizione italiana, p.12 PHB –ndt). Il termine rappresenta sia i Dadi Vita per determinare i punti ferita di un personaggio o una creatura, sia una nuova meccanica di recupero dei punti ferita a seguito di un riposo breve. Dado Vita Classi in D&D 5e Taglia mostri d4 — Minuscola d6 Mago, stregone Piccola d8 Bardo, chierico, druido, monaco, ladro, warlock Media d10 Guerriero, paladino, ranger Grande d12 Barbaro Enorme d20 — Gigantesca In confronto a D&D 3.5, il mago e lo stregone sono passati dal d4 al d6; il bardo, il ladro e il warlock sono passati dal d6 al d8; e il ranger è stato riportato al suo d10 come nell’era di AD&D. Rispetto a D&D 4E, il bardo, il ladro, il warlock e il mago hanno mantenuto i loro miglioramenti dei punti ferita, lo stregone è stato ridotto per uniformarsi al mago, mentre il ranger e il barbaro sono stati promossi di una taglia di dado per tornare come nelle precedenti edizioni. I dadi vita dei mostri ora si basano sulla taglia e non più sul tipo. I personaggi ora possono "spendere" i dadi vita per recuperare punti ferita con un riposo breve. Ad esempio, un barbaro di livello 5 con Dado Vita d12 e un modificatore di Costituzione di +3 può, al termine di un riposo breve, tirare per recuperare 1d12 + 3 punti ferita e può farlo un numero di volte pari al suo livello di barbaro, anche tutte nello stesso riposo breve se desidera. Tramite un riposo lungo un personaggio recupera metà dei suoi Dadi Vita massimi spesi. Articolo originale: https://dungeonsdragons.fandom.com/wiki/Hit_dice#cite_note-dmg4e-2008-184-1
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I Dadi Vita nella storia di Dungeons & Dragons
Come è cambiata la meccanica dei Dadi Vita nelle varie edizioni di D&D? Scopriamolo assieme in questo articolo. Con questo articolo vogliamo dare uno sguardo alla storia dei Dadi Vita in Dungeons & Dragons e di come sono cambiati attraverso le varie edizioni. Inizieremo con una panoramica generale per poi analizzare le singole edizioni, da OD&D alla 5a Edizione. Il Dado Vita (Hit Die), abbreviato in DV (HD), è una regola di Dungeons & Dragons originariamente riferita al numero di dadi lanciati per calcolare il numero dei punti ferita con cui un personaggio o un mostro inizia a giocare. Questo determina quanto sono difficili da uccidere. Durante le varie edizioni delle regole di Dungeons & Dragons, i Dadi Vita interagiscono anche con altre meccaniche del gioco, incluso il livello del personaggio, l'esperienza, la forza degli attacchi dei mostri e il recupero dei punti ferita durante un riposo. Punti Ferita Nel Dungeons & Dragons originale del 1974, i Dadi Vita di un personaggio giocante sono uguali al livello del personaggio. Un personaggio di 1° livello appena creato lancia un dado per determinare il totale dei suoi punti ferita. Un minotauro, che ha sei DV, lancia sei dadi per determinare il suo totale di punti ferita. Mentre i personaggi inizialmente utilizzavano tutti il dado a sei facce (d6) per calcolare i punti ferita, una prima innovazione presentata in Greyhawk (Supplemento 1) (1975) assegnava alle classi Dadi Vita diversi (d4, d6, ecc.), dando ai guerrieri più punti ferita e meno agli incantatori (magic-users). Questa variante sarebbe poi stata trasposta nelle successive edizioni di D&D. Il punteggio di Costituzione di un personaggio può aumentare o diminuire il totale dei suoi punti ferita. In alcune edizioni di D&D, un personaggio guadagna usualmente il massimo risultato possibile del suo Dado Vita al primo livello. Questo aiuta a migliorare la sopravvivenza dei personaggi al primo livello ed evita la situazione in cui un personaggio sfortunato possa iniziare a giocare con un solo punto ferita. Una regola facoltativa di alcune edizioni consente ai giocatori di prendere il valore medio invece di tirare il Dado Vita quando salgono di livelli. Questo aiuta ad evitare che un giocatore sfortunato abbia un basso numero di punti ferita. Spendere i Dadi Vita Questo è un caso specifico di D&D 5E in cui un personaggio può "spendere" i Dadi Vita per recuperare punti ferita fuori dal combattimento. Questo essenzialmente offre ai personaggi del giocatore una riserva personale di cure da usare al di fuori del combattimento. Altre interazioni con le regole I Dadi Vita sono spesso sinonimo di livello del personaggio, e spesso vengono usati al posto di "livello" quando si fa riferimento ai mostri. Di conseguenza, molte regole riguardanti i mostri in particolare sono influenzate dai Dadi Vita. In particolare in D&D 3E molte delle statistiche di un mostro sono calcolate in base ai loro Dadi Vita, allo stesso modo in cui alcune delle statistiche di un personaggio sono basate sul livello del personaggio. Queste includono bonus di attacco base, bonus base al tiro salvezza, numero di talenti e classe di difficoltà di alcuni attacchi soprannaturali. Alcuni incantesimi influenzano i bersagli in modo diverso in base ai loro Dadi Vita. Ad esempio, l'incantesimo spruzzo colorato in D&D 3.5 è più efficace contro le creature con meno Dadi Vita. Inflazione dei Dadi Vita Un fenomeno che si può facilmente osservare è come il tipo di Dado Vita legato ad una classe tenda ad aumentare tra le edizioni di D&D. I guerrieri originariamente usavano un d8, aumentato successivamente a d10, mentre i maghi sono passati dal d4 al d6. I ladri iniziarono con il d4, ma con D&D 5E sono arrivati fino al d8. Ogni classe di personaggio che era apparsa in OD&D ha finito per vedere i suoi Dadi Vita aumentati in una successiva edizione delle regole. L'ultimo a cambiare fu l'assassino, che dopo 39 anni passò dal d6 al d8 in virtù del fatto di diventare una sottoclasse del ladro. Passiamo ora in rassegna più nello specifico le varie edizioni di D&D Original D&D Nel Dungeons & Dragons del 1974, "Dado Vita" è stato usato per la prima volta come abbreviazione di "Dado per colpi cumulativi" (ricordiamo che in inglese Dado Vita è Hit Dice –ndt). Tutti i Dadi Vita, sia per i personaggi che per i mostri, vengono lanciati usando dadi a sei facce (d6). I Dadi Vita di un personaggio potrebbero non essere uguali al loro livello; un guerriero di 9° livello ha 9d6 + 3 punti ferita (nove dadi vita con un bonus di 3 PF), mentre un incantatore di 9° livello ne ha 6d6 + 1. Greyhawk (Supplemento 1) (1975) introduce Dadi Vita variabili per le classi, con lo scopo preciso di rafforzare i guerrieri e indebolire gli incantatori. Tim Kask, editore presso la TSR, lo attribuirà in seguito alla preferenza dell'autore Gary Gygax per i guerrieri stile Conan rispetto ai maghi. I personaggi di alto livello hanno un limite al numero totale di Dadi Vita oltre al quale non possono andare, forse per evitare che i personaggi diventassero quasi immortali, una regola che persisterà fino alla sua rimozione in D&D 3E. Compresi i supplementi OD&D, le classi dei personaggi hanno avuto i seguenti Dadi Vita in questa edizione: Dado Vita Classi in OD&D d4 Incantatore, monaco, ladro d6 Assassino, chierico, la maggior parte dei mostri d8 Guerriero d10 Mostri potenti (demoni di tipo IV e VI, Demogorgon) d12, d20 Demoni potenti (definiti nelle regole, ma non nelle liste) Basic D&D In tutte le versioni della linea di prodotti Basic Dungeons & Dragons, parallela a Advanced Dungeons & Dragons, le razze erano considerate classi. I seguenti valori dei Dadi Vita sono stati utilizzati da tutte queste edizioni: Dado Vita Classi in Holmes D&D d4 Incantatore, ladro d6 Chierico, elfo, halfling, mistico d8 Guerriero, nano Moldvay Basic (1981) consente a un giocatore di rilanciare facoltativamente un risultato di 1 o 2 sul Dado Vita. Il mistico è apparso nella Rules Cyclopedia (1991), ma non in altre edizioni. Alcune altre classi apparvero come sottoclassi, come il vendicatore e il paladino (sottoclassi del guerriero) e il druido (come sottoclasse del chierico neutrale), e basavano i loro Dadi Vita sulla classe principale. Come in OD&D e AD&D, i personaggi di Basic D&D ad un certo livello non guadagnano più Dadi Vita, ma guadagnano solo un numero fisso di punti ferita ad ogni livello. AD&D 1a Edizione I personaggi ora ottengono semplicemente un Dado Vita per livello fino a quando non raggiungono il numero massimo di Dadi Vita per la loro classe (mediamente intorno al 10° livello). Un'eccezione insolita in AD&D 1e è che il ranger e il monaco ottengono due Dadi Vita al primo livello. Le classi di AD&D 1E hanno i seguenti Dadi Vita: Dado Vita Classi in AD&D 1e d4 Incantatore, illusionista, monaco d6 Assassino, bardo, ladro, ladro-acrobata d8 Chierico, druido, la maggior parte dei mostri d10 Cavaliere, guerriero, paladino, ranger d12 Barbaro Da notare che il ladro, il chierico, il druido e il guerriero aumentano di una categoria il tipo di dado in questa edizione. Anche i mostri aumentano da d6 a d8. Questo ha l'effetto complessivo di indebolire ulteriormente gli incantatori. AD&D 2a Edizione Il Manuale del Giocatore 2e (1989) non modifica i Dadi vVta di AD&D, ma organizza formalmente le classi in archetipi che hanno lo stesso dado vita: Dado Vita Classi in AD&D 2e d4 Incantatori (mago, illusionista, mago specialistico) d6 Ladri (ladro, bardo) d8 Sacerdoti (chierico, druido) d10 Combattenti (guerriero, paladino ranger) AD&D 2e è l'ultima edizione del gioco ad avere un limite massimo ai Dadi Vita sotto il livello massimo del personaggio. Ad esempio, un guerriero sopra il 9° livello guadagna solo 3 punti ferita fissi per livello e non ottiene punti ferita bonus per la Costituzione alta. D&D 3a Edizione Da D&D 3E in poi tutti i personaggi ottengono un Dado Vita per livello e aggiungono il proprio modificatore Costituzione ad ogni livello. Questa modifica ha reso personaggi e mostri di alto livello particolarmente carichi di punti ferita. Dado Vita Classi in D&D 3e Tipo di mostro d4 Mago (mago specialista), stregone — d6 Bardo, ladro Folletto d8 Chierico, druido, monaco, ranger (3.5e) Abberrazione, animale, elementale, gigante, umanoide, umanoide mostruoso, esterno, vegetale, mutaforma (3e), parassita d10 Guerriero, paladino, ranger (3e) Bestia (3e), bestia magica, costrutto, melma d12 Barbaro Drago, non morto I tipi di Dadi Vita per classe di questa edizione prendono spunto in modo significativo dalla seconda edizione di AD&D. Il monaco, che non era apparso nel Manuale del giocatore di AD&D 2e, aumenta il Dado Vita di due taglie, passando dal d4 al d8, mentre il barbaro ritorna ad essere l'unica classe col d12. Le classi di prestigio di D&D 3E, troppe per elencarle qui, usavano vari dadi vita da d4 a d12 e di solito seguivano la tipica classe base. Nella revisione 3.5 di D&D (2003), il ranger è stato portato dal d10, che utilizzava nelle precedenti edizioni come sottoclasse del guerriero, al d8. Una possibile ragione di ciò è la tendenza storica a sovrastimare la forza del ranger a causa della sua potenza in AD&D. I Dadi Vita dei mostri si basano sul "tipo", con la maggior parte dei tipi che usano il d8, le differenze più notevoli sono Non morti (che non ottengono bonus Costituzione ai punti ferita e hanno come dado vita il d12), e i Draghi (che hanno un minaccioso d12). I potenti demoni, i soli ad avere avuto il dado vita più alto in Original D&D, ora fanno semplicemente parte del gruppo Esterni e ottengono solo il d8. D&D 4a Edizione La quarta edizione di D&D abbandona il termine "Dadi Vita" in favore di "livello", poiché i personaggi e i mostri non tirano più casualmente i dadi vita, ma guadagnano un numero fisso di punti ferita per ogni livello. Il modificatore di costituzione non viene più aggiunto ai punti ferita ogni livello. Tuttavia, i personaggi ottengono un enorme bonus ai loro punti ferita al primo livello, in quanto aggiungono l'intero punteggio della Costituzione (non solo il modificatore). Esempi di classi di personaggi che compaiono nel Manuale del giocatore 4e (2008), Manuale del giocatore 2 (4e) (2009) e Manuale del giocatore 3 (4e) (2010) includono: PF al primo livello PF per livello successivo Classe 10 4 Mago, invocatore 12 4 Psionico 12 5 Ardent, bardo, chierico, druido, monaco, ranger, ladro, sacerdote runico, seeker, sciamano, stregone, warlock, warlord 14 6 Avenger 15 6 Barbaro, battlemind, guerriero, paladino 17 7 Warden L'incremento dei punti ferita al primo livello è il più grande nella storia di D&D ed è progettato per consentire ai giocatori di evitare le esperienze di gioco rischiose e mortali, tipiche dei primi livelli dei personaggi che si avevano in D&D 3E. D&D 4e ha intenzionalmente preso i "livelli migliori" percepiti nella 3e (quelli tra i livelli 5-15) e li ha usati come base per i suoi livelli (1-30). Supponendo che i punti ferita ottenuti rappresentino la media di ogni dado (arrotondando per eccesso), diverse classi ottengono un aumento dei punti ferita rispetto alle loro versioni in D&D 3.5: mago, psion, bardo, ladro, stregone e warlock. Il barbaro viene retrocesso allo stesso valore del guerriero. Il "livello" dei mostri, così come il “ruolo” dei mostri, viene utilizzato per determinare i loro punti ferita e altre statistiche chiave. Il livello determina anche la quantità di PE guadagnati sconfiggendo un mostro, sostituendo la meccanica più soggettiva dei gradi di sfida di D&D 3e. D&D 5a Edizione Nella 5a edizione di D&D, "Dadi Vita" è definito come un'abbreviazione di "Dadi dei punti ferita" (“hit point dice”, omesso nell’edizione italiana, p.12 PHB –ndt). Il termine rappresenta sia i Dadi Vita per determinare i punti ferita di un personaggio o una creatura, sia una nuova meccanica di recupero dei punti ferita a seguito di un riposo breve. Dado Vita Classi in D&D 5e Taglia mostri d4 — Minuscola d6 Mago, stregone Piccola d8 Bardo, chierico, druido, monaco, ladro, warlock Media d10 Guerriero, paladino, ranger Grande d12 Barbaro Enorme d20 — Gigantesca In confronto a D&D 3.5, il mago e lo stregone sono passati dal d4 al d6; il bardo, il ladro e il warlock sono passati dal d6 al d8; e il ranger è stato riportato al suo d10 come nell’era di AD&D. Rispetto a D&D 4E, il bardo, il ladro, il warlock e il mago hanno mantenuto i loro miglioramenti dei punti ferita, lo stregone è stato ridotto per uniformarsi al mago, mentre il ranger e il barbaro sono stati promossi di una taglia di dado per tornare come nelle precedenti edizioni. I dadi vita dei mostri ora si basano sulla taglia e non più sul tipo. I personaggi ora possono "spendere" i dadi vita per recuperare punti ferita con un riposo breve. Ad esempio, un barbaro di livello 5 con Dado Vita d12 e un modificatore di Costituzione di +3 può, al termine di un riposo breve, tirare per recuperare 1d12 + 3 punti ferita e può farlo un numero di volte pari al suo livello di barbaro, anche tutte nello stesso riposo breve se desidera. Tramite un riposo lungo un personaggio recupera metà dei suoi Dadi Vita massimi spesi. Articolo originale: https://dungeonsdragons.fandom.com/wiki/Hit_dice#cite_note-dmg4e-2008-184-1 Visualizza articolo completo
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Sugli incantesimi, il design e la sensazione di uniformità in D&D 5e
Le classi incantatrici di D&D 5e si distinguono tra loro o sono tra loro troppo simili? L'utente lowkey13 di EN World ha provato ad analizzare la questione usando come metro di paragone le liste degli incantesimi. Voi che ne pensate? Siete d'accordo o ritenete che ci siano altri aspetti da considerare? Articolo originale di lowkey13, utente del sito EN World Spesso, emergono varie discussioni sui principi di design della 5a Edizione. Recentemente ho fatto lo stesso commento che avevo fatto negli ultimi cinque anni ossia, secondo me, ci sono troppe classi con incantesimi e gli incantesimi (specialmente i trucchetti) danno una sensazione di "monotonia" intesa come “qualcosa di già visto”, di “uniformità”. Questo è in gran parte attribuibile ai principi di progettazione della 5e. Quindi vorrei tornare su questo argomento, ovvero il perché gli incantatori nella 5e mi sembrino “simili” e perché questa sia una precisa scelta di design. Vorrei iniziare esprimendo il mio pensiero in 6 punti (in corsivo), e poi passo ad espandere tali affermazioni: 1. Elenchi di incantesimi sovrapposti. forse, il vecchio manuale del giocatore della 1a edizione era un po’ esagerato. Esso dava a ogni incantatore un proprio elenco di incantesimi nella sua sezione. Una differenziazione significativa, non vuol dire “La maggior parte degli incantesimi sono gli stessi per tutti, ma, qualche classe, ne ha qualcuno di diverso!”. Per me significa che ogni incantatore ha una lista COMPLETAMENTE DIVERSA di incantesimi, con una MINIMA parte che si sovrappone (qualche incantesimo di utilità può essere in comune, come ad esempio Volare, anche se onestamente, ogni classe potrebbe avere il suo). Per me questa è la cosa più importante. È vero che permettere a più classi di condividere gli stessi incantesimi, fa risparmiare spazio nei manuali e tempo nel design. Ma, guardiamo il Manuale del Giocatore: il bardo ha 3 incantesimi unici di classe. Il Warlock ne ha 6, e lo stregone… lo stregone ha ZERO incantesimi unici. Il paladino ne ha 17, significa che una classe “semi incantatore” ha più incantesimi unici rispetto alle tre classi di incantatori completi e al ranger combinati assieme. Il grafico non si riferisce ai soli incantesimi del Manuale del Giocatore. Per dei numeri reali andate qui. 2. Troppo mix-n-match. Incantesimi rituali. Trucchetti. Tutto è facilmente disponibile tramite multiclasse, sottoclasse o talenti. Nella misura in cui esiste una significativa differenziazione di classe (e non esiste), si può ottenere facilmente quello che si vuole da qualsiasi altra classe. Personalmente, come ho già detto in precedenza, sono un fan della “protezione di nicchia”, almeno limitata. Ma nella 5e, nel bene e nel male, questa protezione è quasi assente. Diciamo che vi piacciono i Bardi, a causa del loro trucchetto Beffa Crudele. A tal proposito, quel trucchetto, costituisce il 33% dei loro incantesimi unici! 😄 Ma... non volete fare il bardo. Ok nessun problema! Basta multiclassare un livello in bardo e lo otterrete. Ma forse non volete davvero giocare un bardo. Quindi basta prendere il talento Iniziato alla magia! E così via. La 5e non è un sistema che protegge le nicchie, ma la sua flessibilità (che è una cosa buona!) significa anche che c'è poca differenziazione tra le molteplici varietà e i modi per costruire un incantatore (il che è un male per me). 3. Che cosa significa anche la parola Basilico? Dunque, i maghi sono "versatili" e "preparati" e gli stregoni sono "spontanei" e "naturali". Ovvio, lo sanno tutti. Ora che siamo passati a un sistema di lancio degli incantesimi neo-vanciano (in cui non si devono più preparare in anticipo gli incantesimi per ogni singolo slot), le due classi sono praticamente la stessa cosa, con una caratteristica diversa. Se me lo chiedete, questa è la differenza: volete multiclassare in una classe basata su carisma? Stregone. Preferite una classe basata su intelligenza? Mago. Questo si lega al punto (6), ma la differenza (per quanto lieve) è che per questa categoria (maghi e stregoni), c'è una mancanza di integrazione tra tradizione e meccanica. I designer sono stati piuttosto chiari sul fatto che paladini e druidi "hanno una dose particolarmente forte di storia nel loro design", il che significa, suppongo, che le altre classi hanno meno tradizione (storia) incorporate nel design. Ma la mancanza di integrazione tra tradizione e meccanica, pur consentendo più build creative, si lega anche alla mancanza di differenziazione per gli incantatori. Se la tradizione non ha importanza, le liste degli incantesimi si sovrappongono in gran parte, e la meccanica non è così diversa, allora che cosa ha importanza? 4. Tutti gli effetti sono misurati da incantesimi. Oggetti magici, altre abilità di classe, quasi tutto è espresso in termini di incantesimi. Espanderò questo in seguito, ma quando hai gli incantesimi come unità base della moneta da spendere per il design, gli incantesimi iniziano a sembrare noiosi. Oggetti magici... sono incantesimi. Abilità da barbaro? Incantesimi. Abilità razziali? Incantesimi. Se tutto è un incantesimo, perché dovrei preoccuparmi degli incantesimi? Per parafrasare Gli Incredibili, se tutto è magia, nulla lo è. 5. I trucchetti sono terribilmente noiosi. Pew Pew Pew. Potete guardarli e girarli come volete, ma in entrambi i casi i trucchetti sono terribili e hanno anche l'effetto aggiuntivo di rendere terribili anche gli incantesimi di danno di livello superiore. Questa è una questione di gusti, immagino. I trucchetti di attacco sono più o meno noiosi di una balestra? Delle frecce? Di un pugnale? Ma tutti questi esempi funzionano allo stesso modo. Sono così strettamente vincolati sia dal design di “equivalenza agli incantesimi”, sia dal desiderio di usarli come sostituti di attacchi (in modo che tutti abbiamo approssimativamente lo stesso effetto in combattimento, livello per livello, round per round), che non c'è vera differenziazione. "Certo, avrò un danno diverso e un tiro salvezza diverso, grazie." Ma La scelta non è quasi mai significativa. Ancora più importante, fornendo agli incantatori i trucchetti sempre attivi e sempre che fanno danni, si ha efficacemente ridotto l'utilità degli incantesimi di livello superiore. Preferirei di gran lunga che gli incantatori ne ottenessero un minor numero, più interessante e più “cool”, rispetto allo stesso trucchetto d’attacco ancora e ancora. 6. Mancanza di differenziazione meccanica. Il Warlock? Riposo breve + invocazioni... sicuramente è diverso. Tutti gli altri? Sono uguali. Incantesimi sovrapposti, abilità di lancio sovrapposte, meccaniche sovrapposte. E questo, a mio modo di vedere, è il punto principale. Capisco che alcuni giocatori mettano in risalto dei particolari, preparare o non preparare l’incantesimo, ecc. Ma ora che siamo passati a un sistema neo-vanciano, quasi tutti gli incantatori si percepiscono allo stesso modo. Certo, il Mago è un po' più versatile, immagino. Ma il Warlock è l'unico incantatore che, per me, si sente meccanicamente e radicalmente diverso (e, per essere onesti, lo hanno sovraccaricato di Deflagrazione Occulta così tanto che la maggior parte dei giocatori lo gioca semplicemente come uno spammer di Deflagrazione Occulta glorificato). Ora l'elenco sopra non è pensato per essere esaustivo o polemico. Le persone possono, avere sensazioni e pensieri diversi. La domanda su cosa "si percepisce come simile" è molto personale. All'epoca in cui tutte le armi facevano 1D6 di danno, si percepivano come tutte uguali perché facevano lo stesso danno o erano obiettivamente differenti perché avevano nomi diversi e quindi (per definizione!) erano diverse? Dico queste cose non per essere critico, ma semplicemente per sottolineare quello che percepisco; proprio come le persone possono ragionevolmente non essere d'accordo sul fatto che, per esempio, la “protezione di nicchia” sia una buona cosa in D&D, o sul fatto che le scelte di design abbiamo portato a questa sensazione di “similarità” o a una differenziazione. Ma il principio di design è chiaro.... Quindi aggiungerò una nota finale, qual è la differenza tra la 1e e la 5e che penso possa aiutare a illustrare ciò di cui sto pensando. Non ho una citazione a portata di mano, ma penso che la maggior parte delle persone veda, per la 5e, l'equivalenza di risorse/design in gran parte progettata attorno agli incantesimi. Ecco perché, ad esempio, Rangers e Paladini sono progettati come semi-incantatori e perché 1/2 delle classi originali sono incantatori. Curiosità: il 75% delle classi base in D&D 5e è un incantatore completo o a metà, e l'unica nuova classe ufficiale proposta finora, è l'artefice (un altro semi-incantatore). Il motivo del titolo (titolo originale –ndt) di questo post è, ovviamente, che quando tutto ciò che hai è un martello, ogni problema sembra un chiodo. E quando il tuo design è fatto "intorno agli incantesimi", ogni problema di progettazione sarà risolto da... “equivalenza con gli incantesimi”. Ma non è una cosa negativa in sé. Confrontiamo il design della 5e con il design della 1e (o, la mancanza di ciò). La 1e sotto certi aspetti, sebbene rude, è fantastica. È ricolma delle idee di Gygax, nel bene e nel male. Gli incantatori sembrano molto diversi tra loro. Nessuno confonderebbe le liste degli incantesimi di un chierico con quelle di un mago. Anche le sottoclassi (come l'illusionista) sono molto diverse rispetto alla classe principale in termini di incantesimi. Abilità, oggetti magici, abilità dei mostri: esse sono raramente espresse in termini di incantesimi. Sono semplicemente come sono. Il grande vantaggio di questo è che è meraviglioso, differenziato e che quando funziona (perché le regole, le abilità, gli oggetti e così via, il più delle volte, escono dalle normali regole) ha una qualità organica e su misura che sembra corretta. Lo svantaggio, ovviamente, è che questi vari sottosistemi spesso non funzionano insieme, sono incoerenti o, in alcuni casi (come il combattimento senz'armi), sono una confusione di regole contraddittorie che utilizza sistemi che non hanno assolutamente senso nel contesto con il resto del gioco. Questo in contrasto con la 5e, dove le cose sono prevedibili (simili) ma c'è anche un certo grado di... uniformità. Le regole si adattano per lo più bene insieme. La matematica... fondamentalmente funziona. Ed è qui che finisco e pubblico affinché altre persone possano commentare e dirmi di quanto mi sbaglio. Quindi: La magia di D&D 5e vi sembra piatta e uniforme? Gli incantatori? E vi piace il principio di progettazione (equivalenza con gli incantesimi) di D&D 5e? Discussione originale: https://www.enworld.org/threads/maxwells-silver-hammer-on-spells-design-and-the-feeling-of-sameyness-in-5e.670227/ NOTA: le immagini nella discussione originale non sono presenti. Visualizza articolo completo
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Sugli incantesimi, il design e la sensazione di uniformità in D&D 5e
Articolo originale di lowkey13, utente del sito EN World Spesso, emergono varie discussioni sui principi di design della 5a Edizione. Recentemente ho fatto lo stesso commento che avevo fatto negli ultimi cinque anni ossia, secondo me, ci sono troppe classi con incantesimi e gli incantesimi (specialmente i trucchetti) danno una sensazione di "monotonia" intesa come “qualcosa di già visto”, di “uniformità”. Questo è in gran parte attribuibile ai principi di progettazione della 5e. Quindi vorrei tornare su questo argomento, ovvero il perché gli incantatori nella 5e mi sembrino “simili” e perché questa sia una precisa scelta di design. Vorrei iniziare esprimendo il mio pensiero in 6 punti (in corsivo), e poi passo ad espandere tali affermazioni: 1. Elenchi di incantesimi sovrapposti. forse, il vecchio manuale del giocatore della 1a edizione era un po’ esagerato. Esso dava a ogni incantatore un proprio elenco di incantesimi nella sua sezione. Una differenziazione significativa, non vuol dire “La maggior parte degli incantesimi sono gli stessi per tutti, ma, qualche classe, ne ha qualcuno di diverso!”. Per me significa che ogni incantatore ha una lista COMPLETAMENTE DIVERSA di incantesimi, con una MINIMA parte che si sovrappone (qualche incantesimo di utilità può essere in comune, come ad esempio Volare, anche se onestamente, ogni classe potrebbe avere il suo). Per me questa è la cosa più importante. È vero che permettere a più classi di condividere gli stessi incantesimi, fa risparmiare spazio nei manuali e tempo nel design. Ma, guardiamo il Manuale del Giocatore: il bardo ha 3 incantesimi unici di classe. Il Warlock ne ha 6, e lo stregone… lo stregone ha ZERO incantesimi unici. Il paladino ne ha 17, significa che una classe “semi incantatore” ha più incantesimi unici rispetto alle tre classi di incantatori completi e al ranger combinati assieme. Il grafico non si riferisce ai soli incantesimi del Manuale del Giocatore. Per dei numeri reali andate qui. 2. Troppo mix-n-match. Incantesimi rituali. Trucchetti. Tutto è facilmente disponibile tramite multiclasse, sottoclasse o talenti. Nella misura in cui esiste una significativa differenziazione di classe (e non esiste), si può ottenere facilmente quello che si vuole da qualsiasi altra classe. Personalmente, come ho già detto in precedenza, sono un fan della “protezione di nicchia”, almeno limitata. Ma nella 5e, nel bene e nel male, questa protezione è quasi assente. Diciamo che vi piacciono i Bardi, a causa del loro trucchetto Beffa Crudele. A tal proposito, quel trucchetto, costituisce il 33% dei loro incantesimi unici! 😄 Ma... non volete fare il bardo. Ok nessun problema! Basta multiclassare un livello in bardo e lo otterrete. Ma forse non volete davvero giocare un bardo. Quindi basta prendere il talento Iniziato alla magia! E così via. La 5e non è un sistema che protegge le nicchie, ma la sua flessibilità (che è una cosa buona!) significa anche che c'è poca differenziazione tra le molteplici varietà e i modi per costruire un incantatore (il che è un male per me). 3. Che cosa significa anche la parola Basilico? Dunque, i maghi sono "versatili" e "preparati" e gli stregoni sono "spontanei" e "naturali". Ovvio, lo sanno tutti. Ora che siamo passati a un sistema di lancio degli incantesimi neo-vanciano (in cui non si devono più preparare in anticipo gli incantesimi per ogni singolo slot), le due classi sono praticamente la stessa cosa, con una caratteristica diversa. Se me lo chiedete, questa è la differenza: volete multiclassare in una classe basata su carisma? Stregone. Preferite una classe basata su intelligenza? Mago. Questo si lega al punto (6), ma la differenza (per quanto lieve) è che per questa categoria (maghi e stregoni), c'è una mancanza di integrazione tra tradizione e meccanica. I designer sono stati piuttosto chiari sul fatto che paladini e druidi "hanno una dose particolarmente forte di storia nel loro design", il che significa, suppongo, che le altre classi hanno meno tradizione (storia) incorporate nel design. Ma la mancanza di integrazione tra tradizione e meccanica, pur consentendo più build creative, si lega anche alla mancanza di differenziazione per gli incantatori. Se la tradizione non ha importanza, le liste degli incantesimi si sovrappongono in gran parte, e la meccanica non è così diversa, allora che cosa ha importanza? 4. Tutti gli effetti sono misurati da incantesimi. Oggetti magici, altre abilità di classe, quasi tutto è espresso in termini di incantesimi. Espanderò questo in seguito, ma quando hai gli incantesimi come unità base della moneta da spendere per il design, gli incantesimi iniziano a sembrare noiosi. Oggetti magici... sono incantesimi. Abilità da barbaro? Incantesimi. Abilità razziali? Incantesimi. Se tutto è un incantesimo, perché dovrei preoccuparmi degli incantesimi? Per parafrasare Gli Incredibili, se tutto è magia, nulla lo è. 5. I trucchetti sono terribilmente noiosi. Pew Pew Pew. Potete guardarli e girarli come volete, ma in entrambi i casi i trucchetti sono terribili e hanno anche l'effetto aggiuntivo di rendere terribili anche gli incantesimi di danno di livello superiore. Questa è una questione di gusti, immagino. I trucchetti di attacco sono più o meno noiosi di una balestra? Delle frecce? Di un pugnale? Ma tutti questi esempi funzionano allo stesso modo. Sono così strettamente vincolati sia dal design di “equivalenza agli incantesimi”, sia dal desiderio di usarli come sostituti di attacchi (in modo che tutti abbiamo approssimativamente lo stesso effetto in combattimento, livello per livello, round per round), che non c'è vera differenziazione. "Certo, avrò un danno diverso e un tiro salvezza diverso, grazie." Ma La scelta non è quasi mai significativa. Ancora più importante, fornendo agli incantatori i trucchetti sempre attivi e sempre che fanno danni, si ha efficacemente ridotto l'utilità degli incantesimi di livello superiore. Preferirei di gran lunga che gli incantatori ne ottenessero un minor numero, più interessante e più “cool”, rispetto allo stesso trucchetto d’attacco ancora e ancora. 6. Mancanza di differenziazione meccanica. Il Warlock? Riposo breve + invocazioni... sicuramente è diverso. Tutti gli altri? Sono uguali. Incantesimi sovrapposti, abilità di lancio sovrapposte, meccaniche sovrapposte. E questo, a mio modo di vedere, è il punto principale. Capisco che alcuni giocatori mettano in risalto dei particolari, preparare o non preparare l’incantesimo, ecc. Ma ora che siamo passati a un sistema neo-vanciano, quasi tutti gli incantatori si percepiscono allo stesso modo. Certo, il Mago è un po' più versatile, immagino. Ma il Warlock è l'unico incantatore che, per me, si sente meccanicamente e radicalmente diverso (e, per essere onesti, lo hanno sovraccaricato di Deflagrazione Occulta così tanto che la maggior parte dei giocatori lo gioca semplicemente come uno spammer di Deflagrazione Occulta glorificato). Ora l'elenco sopra non è pensato per essere esaustivo o polemico. Le persone possono, avere sensazioni e pensieri diversi. La domanda su cosa "si percepisce come simile" è molto personale. All'epoca in cui tutte le armi facevano 1D6 di danno, si percepivano come tutte uguali perché facevano lo stesso danno o erano obiettivamente differenti perché avevano nomi diversi e quindi (per definizione!) erano diverse? Dico queste cose non per essere critico, ma semplicemente per sottolineare quello che percepisco; proprio come le persone possono ragionevolmente non essere d'accordo sul fatto che, per esempio, la “protezione di nicchia” sia una buona cosa in D&D, o sul fatto che le scelte di design abbiamo portato a questa sensazione di “similarità” o a una differenziazione. Ma il principio di design è chiaro.... Quindi aggiungerò una nota finale, qual è la differenza tra la 1e e la 5e che penso possa aiutare a illustrare ciò di cui sto pensando. Non ho una citazione a portata di mano, ma penso che la maggior parte delle persone veda, per la 5e, l'equivalenza di risorse/design in gran parte progettata attorno agli incantesimi. Ecco perché, ad esempio, Rangers e Paladini sono progettati come semi-incantatori e perché 1/2 delle classi originali sono incantatori. Curiosità: il 75% delle classi base in D&D 5e è un incantatore completo o a metà, e l'unica nuova classe ufficiale proposta finora, è l'artefice (un altro semi-incantatore). Il motivo del titolo (titolo originale –ndt) di questo post è, ovviamente, che quando tutto ciò che hai è un martello, ogni problema sembra un chiodo. E quando il tuo design è fatto "intorno agli incantesimi", ogni problema di progettazione sarà risolto da... “equivalenza con gli incantesimi”. Ma non è una cosa negativa in sé. Confrontiamo il design della 5e con il design della 1e (o, la mancanza di ciò). La 1e sotto certi aspetti, sebbene rude, è fantastica. È ricolma delle idee di Gygax, nel bene e nel male. Gli incantatori sembrano molto diversi tra loro. Nessuno confonderebbe le liste degli incantesimi di un chierico con quelle di un mago. Anche le sottoclassi (come l'illusionista) sono molto diverse rispetto alla classe principale in termini di incantesimi. Abilità, oggetti magici, abilità dei mostri: esse sono raramente espresse in termini di incantesimi. Sono semplicemente come sono. Il grande vantaggio di questo è che è meraviglioso, differenziato e che quando funziona (perché le regole, le abilità, gli oggetti e così via, il più delle volte, escono dalle normali regole) ha una qualità organica e su misura che sembra corretta. Lo svantaggio, ovviamente, è che questi vari sottosistemi spesso non funzionano insieme, sono incoerenti o, in alcuni casi (come il combattimento senz'armi), sono una confusione di regole contraddittorie che utilizza sistemi che non hanno assolutamente senso nel contesto con il resto del gioco. Questo in contrasto con la 5e, dove le cose sono prevedibili (simili) ma c'è anche un certo grado di... uniformità. Le regole si adattano per lo più bene insieme. La matematica... fondamentalmente funziona. Ed è qui che finisco e pubblico affinché altre persone possano commentare e dirmi di quanto mi sbaglio. Quindi: La magia di D&D 5e vi sembra piatta e uniforme? Gli incantatori? E vi piace il principio di progettazione (equivalenza con gli incantesimi) di D&D 5e? Discussione originale: https://www.enworld.org/threads/maxwells-silver-hammer-on-spells-design-and-the-feeling-of-sameyness-in-5e.670227/ NOTA: le immagini nella discussione originale non sono presenti.
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Adepti e Gregari in Dungeons & Dragons
Qual è la differenza tra Adepti e Gregari? Analizziamo le loro definizioni e il loro funzionamento nelle varie edizioni di D&D, fino alla 5e. Articolo di Joseph Mohr del 14 Marzo 2020 Gli adepti (Henchmen) e i gregari (Hirelings) sono spesso citati nelle prime edizioni di Dungeon & Dragons, sia nella Guida del Dungeon Master che nel Manuale del giocatore. Ma quanti di voi li usano davvero nelle campagne che giocate? Ho il sospetto che molti di voi non usino spesso gli adepti, ma di tanto in tanto potrebbero ricorrere ai gregari. Questi personaggi non giocanti, tuttavia, possono essere parte integrante della trama. Possono anche offrire ai PG l'opportunità di costruire un gruppo di dimensioni notevoli anche se è presente un numero limitato di giocatori dal vivo. Che cos’è un gregario? Un gregario è un personaggio non giocante che fornisce un servizio ai personaggi tramite il pagamento di una somma in denaro. Potrebbe essere un esperto, come un saggio o un alchimista. Oppure potrebbe essere un contadino che lavora come stalliere. Alcuni potenziali gregari che possono emergere in un gioco potrebbero includere: alchimista stalliere farmacista spia mercenario saggio scriba valletto chierico sarto fabbro Ovviamente ci sono molti altri potenziali gregari di cui potreste aver bisogno nel corso di un'avventura. Alcuni gregari si sentono sovraccarichi di lavoro... Che cos’è un Adepto? Un adepto è un tipo migliore di gregario. Mentre il denaro può ancora essere un fattore motivante per gli adepti, questi sono servitori permanenti o alleati dei personaggi giocanti. Sono aiutanti, assistenti. Quindi, in che modo adepti e gregari sono così diversi? Un gregario è motivato solo dal denaro. Non resterà in giro se i soldi scarseggiano. Ed è molto più propenso a fuggire in combattimento se le cose vanno male. Non ha una vera lealtà verso gli avventurieri. La sua lealtà è soggetta alla sua sicurezza e alla sua busta paga. Se maltrattato, sparisce in un batter d'occhio. Questi mercenari sono gregari Gli adepti sono praticamente scomparsi nelle nuove edizioni di Dungeons and Dragons L'idea degli adepti sembra essere un'idea di "vecchia scuola". Erano prevalenti nelle prime edizioni del gioco. Guardate da vicino l'immagine iconica sulla copertina del Manuale del giocatore 1e, quella con l'Idolo demone in copertina. Sono adepti o gregari quelli che stanno trascinando via il tesoro? Sebbene le recenti edizioni li menzionano a malapena, esistono ancora. Ma molti gruppi non li usano. I gregari ovviamente esistono ancora. Uno ha ancora bisogno di un saggio di tanto in tanto. I cavalli hanno ancora bisogno di una stalla. Gary Gygax scrisse una cosa interessante sugli adepti nella 1a edizione della Guida del Dungeon Master. Ci sono alcune cose interessanti da notare in questa citazione. In primo luogo, gli adepti sono fondamentali per i personaggi di alto livello che hanno una loro roccaforte. Questo dovrebbe sembrare in qualche modo ovvio. Quando un avventuriero di alto livello ha una roccaforte e continua a fare l'esploratore, qualcuno deve pur proteggere il forte. E deve essere qualcuno di leale. In secondo luogo, non tutti i membri del gruppo sono affidabili. Un giocatore che ha i suoi adepti con sé è più sicuro di uno che non ne ha. Gli avventurieri non sono tutti "buoni" in Dungeons & Dragons. Alcuni hanno motivazioni diverse da quelle che andrebbero a beneficio dell'intero gruppo. Quelli che portano via il tesoro e trascinano i corpi sono gregari? O sono adepti? Forse sono anche seguaci! Seguaci in Dungeons and Dragons Poi abbiamo questa altra categoria di persone che potrebbero aiutare gli avventurieri nei loro viaggi. Nella prima edizione le regole aggiunsero questa nuova categoria di seguace (follower). Queste persone sono attratte dall'avventuriero quando raggiunge livelli più alti. Presumibilmente è la reputazione di questi avventurieri di alto livello che li attira al loro servizio. Sono più affidabili dei gregari, in quanto non sono motivati esclusivamente dal denaro. Per avere successo nell'attirare seguaci bisogna costruire una roccaforte in modo che questi seguaci abbiano un posto dove gravitare. Ma quindi un seguace non è altri che un adepto? Tirando le somme I gregari vengono pagati per il loro servizio. Vengono pagati un importo fisso e concordato. Non si aspettano una partecipazione al tesoro trovato in un'avventura. Un adepto o un seguace, invece, si aspetta una condivisione. Stanno partecipando all'avventura per lealtà verso i loro amici e si sentono parte del gruppo. Questi mercenari non si aspettano una parte del tesoro. Vengono pagati per il loro servizio. Numero massimo di adepti Le regole di Advanced Dungeons & Dragons hanno usato il carisma per determinare il numero massimo di adepti che un giocatore potrebbe avere. Ma supponiamo che alcuni di quei adepti muoiano nel corso di un'avventura. Possono essere sostituiti? Supponiamo che il giocatore X abbia un numero massimo di 6 adepti e 3 di loro muoiano. Un'interpretazione rigorosa delle regole suggerirebbe che il giocatore X ormai possa avere solo 3 adepti. Il giocatore X non può quindi ottenerne altri 3 per tornare a 6. Il punteggio del carisma determina il numero massimo di adepti che il giocatore potrà mai ottenere. Per rendere le cose ancora più confuse... Alcune edizioni di Dungeons and Dragons lanciano un altro termine. Il servitore (retainer)… Che cos'è un servitore? È solo un altro nome per adepti o seguaci? Se si legge alcune delle avventure di D&D base, come B1 Alla ricerca dell'ignoto (In search of the Unknown), c'è una discussione su servitori e gregari. Il gregario è ancora solo un aiuto che viene pagato per questo. Il servitore sembra avere le caratteristiche di un adepto o di un seguace. Gregari e Adepti in Dungeons and Dragons 5a edizione Mentre gli adepti non ottengono attenzioni nel gioco della 5a edizione, i gregari sono ancora utilizzati. Nello specifico la 5a edizione della Guida del DM dice questo: Quindi in sostanza un gregario è qualcuno che si potrebbe incontrare durante il giorno e dimenticare rapidamente poco dopo. Sono solo una persona minore che si potrebbe assumere per far brillare l'armatura o spazzolare il cavallo. Ma a volte si potrebbero rivelare qualcosa di più importante, come il capitano della nave a cui si fa riferimento nella citazione. Il ragazzo che porta la torcia è un gregario o un adepto? Ci si potrà fare affidamento, e sarà ancora in giro, quando le cose si metteranno male? Alcune importanti considerazioni sugli adepti Mentre gli adepti sono generalmente fedeli all'avventuriero, ci sono alcune cose che dovrebbero essere considerate: Che allineamento hanno? Non condividono necessariamente l'allineamento del giocatore; Un incantesimo potrebbe creare un adepto "temporaneo", che è leale fino a quando l'incantesimo non si esaurisce; Non tutti gli adepti sono in realtà avventurieri! Quegli adepti che sono avventurieri si aspettano una parte del tesoro! Non tutti gli adepti sopravvivranno al combattimento. I giocatori che “sprecano” la vita dei loro adepti scopriranno rapidamente che altri non saranno troppo interessati a diventare loro nuovi adepti; Le aspettative di vita degli adepti potrebbe precludere l’arrivo di nuovi, se i vecchi dovessero morire; Il giocatore “gioca” gli adepti o lo fa il DM? È probabile che un adepto rinunci all'arma magica che ha portato con sé solo perché un personaggio giocatore lo richiede? Probabilmente no. Ma può usare i suoi oggetti magici per aiutare l'avventuriero nel momento del bisogno; Gli adepti potrebbero ammutinarsi se maltrattati. O potrebbero semplicemente andarsene. Ad ogni modo... contano ancora per quel numero massimo di adepti ammessi. Adepti, gregari, seguaci e servitori: cosa significa tutto ciò? In definitiva, i gregari sono solo persone che vengono pagate per fare un servizio o per un periodo di tempo limitato. Adepti, seguaci, e servitori sono fedeli amici e alleati dei personaggi. Questi personaggi non giocanti consentono alla squadra di ampliare il proprio gruppo di alcuni membri e fornire ulteriore sicurezza. E alcuni adepti non hanno altra scelta se non essere leali! Articolo originale: https://oldschoolroleplaying.com/henchmen-and-hirelings-in-dungeons-and-dragons/ Visualizza articolo completo
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Adepti e Gregari in Dungeons & Dragons
Articolo di Joseph Mohr del 14 Marzo 2020 Gli adepti (Henchmen) e i gregari (Hirelings) sono spesso citati nelle prime edizioni di Dungeon & Dragons, sia nella Guida del Dungeon Master che nel Manuale del giocatore. Ma quanti di voi li usano davvero nelle campagne che giocate? Ho il sospetto che molti di voi non usino spesso gli adepti, ma di tanto in tanto potrebbero ricorrere ai gregari. Questi personaggi non giocanti, tuttavia, possono essere parte integrante della trama. Possono anche offrire ai PG l'opportunità di costruire un gruppo di dimensioni notevoli anche se è presente un numero limitato di giocatori dal vivo. Che cos’è un gregario? Un gregario è un personaggio non giocante che fornisce un servizio ai personaggi tramite il pagamento di una somma in denaro. Potrebbe essere un esperto, come un saggio o un alchimista. Oppure potrebbe essere un contadino che lavora come stalliere. Alcuni potenziali gregari che possono emergere in un gioco potrebbero includere: alchimista stalliere farmacista spia mercenario saggio scriba valletto chierico sarto fabbro Ovviamente ci sono molti altri potenziali gregari di cui potreste aver bisogno nel corso di un'avventura. Alcuni gregari si sentono sovraccarichi di lavoro... Che cos’è un Adepto? Un adepto è un tipo migliore di gregario. Mentre il denaro può ancora essere un fattore motivante per gli adepti, questi sono servitori permanenti o alleati dei personaggi giocanti. Sono aiutanti, assistenti. Quindi, in che modo adepti e gregari sono così diversi? Un gregario è motivato solo dal denaro. Non resterà in giro se i soldi scarseggiano. Ed è molto più propenso a fuggire in combattimento se le cose vanno male. Non ha una vera lealtà verso gli avventurieri. La sua lealtà è soggetta alla sua sicurezza e alla sua busta paga. Se maltrattato, sparisce in un batter d'occhio. Questi mercenari sono gregari Gli adepti sono praticamente scomparsi nelle nuove edizioni di Dungeons and Dragons L'idea degli adepti sembra essere un'idea di "vecchia scuola". Erano prevalenti nelle prime edizioni del gioco. Guardate da vicino l'immagine iconica sulla copertina del Manuale del giocatore 1e, quella con l'Idolo demone in copertina. Sono adepti o gregari quelli che stanno trascinando via il tesoro? Sebbene le recenti edizioni li menzionano a malapena, esistono ancora. Ma molti gruppi non li usano. I gregari ovviamente esistono ancora. Uno ha ancora bisogno di un saggio di tanto in tanto. I cavalli hanno ancora bisogno di una stalla. Gary Gygax scrisse una cosa interessante sugli adepti nella 1a edizione della Guida del Dungeon Master. Ci sono alcune cose interessanti da notare in questa citazione. In primo luogo, gli adepti sono fondamentali per i personaggi di alto livello che hanno una loro roccaforte. Questo dovrebbe sembrare in qualche modo ovvio. Quando un avventuriero di alto livello ha una roccaforte e continua a fare l'esploratore, qualcuno deve pur proteggere il forte. E deve essere qualcuno di leale. In secondo luogo, non tutti i membri del gruppo sono affidabili. Un giocatore che ha i suoi adepti con sé è più sicuro di uno che non ne ha. Gli avventurieri non sono tutti "buoni" in Dungeons & Dragons. Alcuni hanno motivazioni diverse da quelle che andrebbero a beneficio dell'intero gruppo. Quelli che portano via il tesoro e trascinano i corpi sono gregari? O sono adepti? Forse sono anche seguaci! Seguaci in Dungeons and Dragons Poi abbiamo questa altra categoria di persone che potrebbero aiutare gli avventurieri nei loro viaggi. Nella prima edizione le regole aggiunsero questa nuova categoria di seguace (follower). Queste persone sono attratte dall'avventuriero quando raggiunge livelli più alti. Presumibilmente è la reputazione di questi avventurieri di alto livello che li attira al loro servizio. Sono più affidabili dei gregari, in quanto non sono motivati esclusivamente dal denaro. Per avere successo nell'attirare seguaci bisogna costruire una roccaforte in modo che questi seguaci abbiano un posto dove gravitare. Ma quindi un seguace non è altri che un adepto? Tirando le somme I gregari vengono pagati per il loro servizio. Vengono pagati un importo fisso e concordato. Non si aspettano una partecipazione al tesoro trovato in un'avventura. Un adepto o un seguace, invece, si aspetta una condivisione. Stanno partecipando all'avventura per lealtà verso i loro amici e si sentono parte del gruppo. Questi mercenari non si aspettano una parte del tesoro. Vengono pagati per il loro servizio. Numero massimo di adepti Le regole di Advanced Dungeons & Dragons hanno usato il carisma per determinare il numero massimo di adepti che un giocatore potrebbe avere. Ma supponiamo che alcuni di quei adepti muoiano nel corso di un'avventura. Possono essere sostituiti? Supponiamo che il giocatore X abbia un numero massimo di 6 adepti e 3 di loro muoiano. Un'interpretazione rigorosa delle regole suggerirebbe che il giocatore X ormai possa avere solo 3 adepti. Il giocatore X non può quindi ottenerne altri 3 per tornare a 6. Il punteggio del carisma determina il numero massimo di adepti che il giocatore potrà mai ottenere. Per rendere le cose ancora più confuse... Alcune edizioni di Dungeons and Dragons lanciano un altro termine. Il servitore (retainer)… Che cos'è un servitore? È solo un altro nome per adepti o seguaci? Se si legge alcune delle avventure di D&D base, come B1 Alla ricerca dell'ignoto (In search of the Unknown), c'è una discussione su servitori e gregari. Il gregario è ancora solo un aiuto che viene pagato per questo. Il servitore sembra avere le caratteristiche di un adepto o di un seguace. Gregari e Adepti in Dungeons and Dragons 5a edizione Mentre gli adepti non ottengono attenzioni nel gioco della 5a edizione, i gregari sono ancora utilizzati. Nello specifico la 5a edizione della Guida del DM dice questo: Quindi in sostanza un gregario è qualcuno che si potrebbe incontrare durante il giorno e dimenticare rapidamente poco dopo. Sono solo una persona minore che si potrebbe assumere per far brillare l'armatura o spazzolare il cavallo. Ma a volte si potrebbero rivelare qualcosa di più importante, come il capitano della nave a cui si fa riferimento nella citazione. Il ragazzo che porta la torcia è un gregario o un adepto? Ci si potrà fare affidamento, e sarà ancora in giro, quando le cose si metteranno male? Alcune importanti considerazioni sugli adepti Mentre gli adepti sono generalmente fedeli all'avventuriero, ci sono alcune cose che dovrebbero essere considerate: Che allineamento hanno? Non condividono necessariamente l'allineamento del giocatore; Un incantesimo potrebbe creare un adepto "temporaneo", che è leale fino a quando l'incantesimo non si esaurisce; Non tutti gli adepti sono in realtà avventurieri! Quegli adepti che sono avventurieri si aspettano una parte del tesoro! Non tutti gli adepti sopravvivranno al combattimento. I giocatori che “sprecano” la vita dei loro adepti scopriranno rapidamente che altri non saranno troppo interessati a diventare loro nuovi adepti; Le aspettative di vita degli adepti potrebbe precludere l’arrivo di nuovi, se i vecchi dovessero morire; Il giocatore “gioca” gli adepti o lo fa il DM? È probabile che un adepto rinunci all'arma magica che ha portato con sé solo perché un personaggio giocatore lo richiede? Probabilmente no. Ma può usare i suoi oggetti magici per aiutare l'avventuriero nel momento del bisogno; Gli adepti potrebbero ammutinarsi se maltrattati. O potrebbero semplicemente andarsene. Ad ogni modo... contano ancora per quel numero massimo di adepti ammessi. Adepti, gregari, seguaci e servitori: cosa significa tutto ciò? In definitiva, i gregari sono solo persone che vengono pagate per fare un servizio o per un periodo di tempo limitato. Adepti, seguaci, e servitori sono fedeli amici e alleati dei personaggi. Questi personaggi non giocanti consentono alla squadra di ampliare il proprio gruppo di alcuni membri e fornire ulteriore sicurezza. E alcuni adepti non hanno altra scelta se non essere leali! Articolo originale: https://oldschoolroleplaying.com/henchmen-and-hirelings-in-dungeons-and-dragons/
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Uno sguardo a Fantasy Grounds
Adesso che per la sicurezza e la salute nostra e dei nostri cari dobbiamo restare a casa perché rinunciare alle sessioni di gdr con i nostri amici? La tecnologia ci viene in aiuto e ci permette di giocare dal vivo anche dalla comodità di casa nostra. Oggi vi parliamo quindi di Fantasy Ground, domani di Roll20. Mi è stato chiesto di fare una breve recensione di Fantasy Grounds. Data la complessità (solo iniziale) del programma, questo articolo non vuole certo essere una guida, ma semplicemente fornire un’idea generica di cosa può fare, specie in relazione al più blasonato Roll20. Per chi non lo sapesse, Fantasy Grounds (d’ora in poi FG) è un software di VTT (Virtual TableTop), nato ben prima di Roll20 e con cui si pone in diretta competizione. Come per Roll20 può essere utilizzato per giocare a vari sistemi (D&D, Pathfinder, 13th Age, Vampiri, ecc.), sia in remoto, ma anche in locale, specie se nelle sessioni si utilizzano strumenti come TV o proiettori per le mappe. In locale ovviamente non richiede alcuna connessione internet. Chi vi scrive ha utilizzato per qualche anno Roll20 (nella versione a pagamento) dopo di che, frustrato da alcune limitazioni, ha deciso di passare a FG. Quali limitazioni qualcuno si chiederà. Ve ne cito una: pensate alla comodità dell'avere la mappa di una città (es. Waterdeep) e cliccare sopra un edificio conosciuto e sapere tutto dell’edificio (descrizione, png, statistiche, ecc.). Ecco, questo con FG si può fare. Dato che un’immagine vale più di mille parole, vi mostro un breve video della mia mappa di Waterdeep. waterdeep.mp4 Ogni puntina che vedete è un collegamento ad altre informazioni (testo, immagini, statistiche, ecc.). Ogni informazione può essere condivisa in tutto o in parte con uno o più giocatori. Ma andiamo con ordine. Prima Installazione FG non è “web based”, ma è un programma che si installa in locale. Ogni giocatore deve avere installata una copia e la sessione avviene sul computer del Master. La mia prima esperienza è stata simile a quella di molti altri, ossia: Installazione del programma e avvio Malessere dovuto all’interfaccia poco intuitiva e a “che cosa fare” Disinstallazione del programma Parto quindi subito con il lato negativo di FG: l’apprendimento iniziale. Se non ci si è guardato prima un tutorial su Youtube ci si troverà un ambiente poco intuitivo (specie se si viene da Roll20) e soprattutto vuoto. È molto frustrante aprire i menu e non trovarci assolutamente nulla. A meno di non volere inserire voi a mano tutte le informazioni (cosa fattibile), la prima cosa che va fatta, è andare nella libreria e caricare i moduli che ci interessano. Alcuni sono gratuiti (come le Basic Rules di D&D), altri a pagamento (come i manuali base e le avventure ufficiali). Il funzionamento Una volta capite le basi però FG diventa semplicissimo. Per prima cosa all'avvio si può scegliere una interfaccia grafica decente. Qui di seguito mostro le più usate. Interfaccia di default, simple brown e wizards Di solito ogni sistema di gioco ha un’interfaccia personalizzata. I pulsanti e la posizione degli elementi si possono disporre come meglio si crede. Durante le sessioni pulsanti come razze, classi, skill, ecc. non serviranno, quindi si possono temporaneamente togliere per guadagnare spazio. Una volta personalizzato l’ambiente andate nella Libreria, caricate i moduli che vi servono e, se volete, li potrete condividere con i giocatori (es. il manuale del giocatore) e quindi iniziare. Qui già c’è una cosa interessante. Se ho acquistato un modulo (es. La Guida di Xanathar), posso condividere quel modulo, tutto o in parte, con i miei giocatori senza doverlo riacquistare. La forza del programma sta nel fatto che ogni cosa può essere collegata ad ogni altra. Le relazioni tra mappe, descrizioni, pg, mostri, ecc. si creano in un attimo. Tutto funziona col drag & drop. Ecco quindi che in una mappa posso inserire un collegamento a una descrizione e, nella descrizione, collegamenti a immagini, mostri, ecc. E questo ci porta al secondo vantaggio: l’automazione. FG ha un “combat tracker” che permette di eseguire le operazioni durante un incontro in modo completamente automatico. Gestisce l’iniziativa tirando i dati per i nemici e volendo anche per i giocatori. Se cerco di colpire un Troll, basta trascinare il d20 sul token del troll e FG mi mostra il risultato e mi dice se ho colpito. Se poi trascino i danni sul troll, mi mostra i danni e li sottrae automaticamente al totale dei PF del Troll. In caso di effetti particolari (stordito, immobilizzato, ecc.), applica anche quelli. Anche in questo caso penso sia meglio dimostrato con un breve video. varie.mp4 Lati negativi Come già anticipato, il primo problema è l’apprendimento. Vi lascio questo link dove trovate vari video di supporto. Sono in inglese, ma semplicemente guardandoli si riesce ad avere un’idea del funzionamento del programma. Altro aspetto negativo è che il software non è gratuito. Nel prossimo paragrafo discuteremo di questo. Gli ultimi due aspetti negativi sono in via di risoluzione. Infatti per la fine di questo mese (marzo 2020) è prevista l’uscita di una nuova versione del programma completamente riscritta usando il motore grafico Unity e compatibile con tutto il materiale precedente. Ne abbiamo parlato in questo articolo. Questa versione implementa la linea di vista dinamica e la possibilità di connettersi con il DM anche tramite cloud e non solo direttamente. In questo momento per connettersi a chi fa da DM serve aprire una porta sul firewall, operazione non sempre facile. Non mi dilungo su questo visto che tempo un mese e la cosa sarà superata. Il costo Come detto Fantasy Grounds non è gratuito. Ci sono due metodi per ottenerlo: tramite pagamento mensile oppure tramite acquisto una tantum. Queste le versioni: La versione Demo permette di dare uno sguardo al programma, non permette di ospitare sessioni, ma permette di giocare con chi ha la versione Ultimate. Gratuita La versione Standard, permette di ospitare sessioni sia da giocatori con la versione Standard che da giocatori con la versione Ultimate. Accetta 1 sola connessione da chi ha la versione Demo. $ 3.99 al mese oppure $ 39,00 una tantum La versione Ultimate permette di ospitare sessioni sia da giocatori con la versione Demo che da giocatori con la versione Standard. $ 9.99 al mese oppure $ 149,00 una tantum Maggiori informazioni in fondo alla pagina principale. Va da sé che se il gruppo è stabile la versione Ultimate è la più conveniente. Chi fa da master userà la licenza Ultimate e i giocatori la licenza Demo. I moduli Passiamo ai moduli. Come detto sono presenti moltissimi moduli per vari sistemi di gioco. Rimanendo su D&D tutti i moduli pubblicati per la 5E sono acquistabili nel market correlato. Per quel che riguarda i prezzi i moduli ufficiali su FG costano di meno che su Roll20. Prendiamo ad esempio un paio di avventure per D&D. L’ultima avventura Baldur's Gate: Descent Into Avernus, su FG costa 29,99$ mentre su Roll20 costa 49,95$. L’avventura D&D Waterdeep: Dragon Heist su FG viene 19,99$ mente su Roll20 49,95$. Personalmente le avventure WotC non le compro più cartacee ma solo per FG. Oltre all'avventura completa in formato ipertestuale, ci sono tutte le informazioni pronte per essere giocate (PNG, mostri, incontri, mappe, ecc.). Per chi come me ha poco tempo per preparate le sessioni vi assicuro che valgono ogni singolo euro. Qui il video di cosa contiene un'avventura. Ovviamente tutte le personalizzazioni che fate ad una campagna (acquistata o meno) possono sempre essere esportate e importate in una campagna nuova. Questo è quanto. Se avete commenti o domande fatele pure. Io passo raramente sul forum, ma sono certo che @aza risponderà prontamente al mio posto 😄 Ci vediamo domani per l'articolo su Roll20! Visualizza articolo completo