Aixela si stava lasciando cullare nell'abbraccio di Trebor, finalmente dimentica di tutto quello che le era successo. Aveva anche deciso che gli avrebbe concesso di portarla in quella taverna rinomata per le sue bistecche alte tre dita, contornate da ottime patate al forno speziate ed innaffiate con dell'ottima birra o del buon vino rosso... o entrambi.
Non era una che amava mangiare dentro le locande, considerandole dei luoghi in cui potevano trovarsi i Cavalieri di Jamalièl o qualche cacciatore di taglie troppo zelante nel suo lavoro. Ma in quel momento si sentiva bene ed il paese era in festa. Ed una bella mangiata tranquilla era proprio quello che ci voleva.
Questo era quello che pensava finché non vide la gente in preda al panico correre per le vie, come tante formiche che fuggono da un formicaio attaccato. La sua mente appagata le fece pensare che forse era solo un altro spettacolo della festa, ma l'espressione di terrore era troppo reale per poter essere semplice recitazione.
Fu proprio in quel momento che, sporgendosi da dietro quella casa, vide lo spettacolo raccapricciante di uomini e donne che si contorcevano agonizzanti, illuminati da un globo di luce che dissipò un manto di oscurità che sembrava aprirsi direttamente su un cielo notturno privo di stelle.
Sentì Trebor gemere alla vista di quella gente. Lo sentì accarezzare la sua spada. Non poteva fare nulla. Le arti magiche gli erano precluse. Con una spada poteva fare di tutto, tanta era la sua abilità, ma la magia lo terrorizzava.
E Aixela, nascosta dietro la casa, gli occhi fissi su quell'orrido spettacolo, stava ben attenta a non far vedere le sue lacrime, gocce di un dolore più profondo di chi sa che non poter far nulla. Erano lacrime di chi potrebbe fare, ma ha paura di farlo.
Un'indecisione che stava costando la vita alle persone davanti a lei.