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Accordi editing: La Nostra Storia
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Strikeiron in House rules e progetti
Io sono disposto a prendermi le mie parti ed a correggerle. Se gli autori non hanno nulla in contrario, prenderei in mano anche quelli di dearmon e di njasheen. Per quanto riguarda Ruttalisk (Artemis Entreri) e gli altri che hanno postato e poi sono spariti (Deda, per esempio), dal momento che i loro personaggi comunque non hanno avuto un ruolo importante nella storia (essendo andati via prima che potessero averlo) direi che si possono modificare i nostri post che li contengono, adattandoli alla loro assenza e/o eliminandoli ( i PG). Direi inoltre di creare un Topic in cui ognuno di noi (nella giuste sequenza) posterà il proprio pot opportunatamente rivisto, modificato e corretto, per adattarlo al resto. Tutto questo parendo dal primo (quello di Kordian, per poi passare al secondo (daermon) e così via. -
Le nostre storie - Commenti dei lettori e degli autori
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Scusate... ma che fine ha fatto Serghuio e, di conseguenza, il suo PG? Giusto per sapere se è con noi in fondo al mare. Al momento siamo: - Aixela (Joram Rosebringer) - Ariaston (Wolf) - Fizban (chi vuole) - Iskra' (Deedlith) - Lirian (Joram Rosebringer) - Perenor (Strikeiron) - Sturmir (daermon e chi-ne-ha-voglia) -
La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
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La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Be', diciamo perché voglio dare al mio supereroe una connotazione più limitata e cittadina, senza farlo unire a gruppi in cerca di avventure. Mi piace per il momento narrare la sua vita privata in contrasto con quella da supereroe, senza però togliere possibilità ad un incontro con un altro superessere. -
La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Io al momento non mi posso muovere da Roma con il mio Uomo Ragno... -
Le nostre storie - Commenti dei lettori e degli autori
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Ma è quello che avevo proposto io qualche post fa: ognuno, a cominciare dal primo, rivede le proprie parti e le adatta al post precedente, in modo da creare una cosa omogenea. -
Le nostre storie - Commenti dei lettori e degli autori
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Se volete lo posso fare io, magari eliminando i personaggi "scomparsi misteriosamente" (vedi Artemis di Ruttalisk) e amalgamando il tutto. -
Le nostre storie - Commenti dei lettori e degli autori
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Ma nessuno ha notato che "La Nostra Storia" il 4 Febbraio ha compiuto 1 anno? Auguri! 8) -
Il Ciclo di Darksword - Margaret Weis & Tracy Hickman
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Libri, fumetti e animazione
Dicci poi come ti è sembrato. -
La Nostra Storia 3020 - ->CyberPunk<- -
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Gigared in Prosa e Poesia
Paul spinge la sua moto a velocità folle sul cavalcavia che aveva percorso solo pochi giorni prima. Il suo mezzo non slitta neanche di un millimetro, la gomma incollata a terra anche nelle curve prese alla velocità folle a cui era ormai abituato. Ogni tanto sente la solite sirene che servono per scoraggiare le corse dei nomadi in città, ma sa che è solo un avvertimento e niente di più. Nessun poliziotto è abbastanza pazzo da rovinare una corsa e poi ritrovarsi casa distrutta e depredata… nel migliore dei casi. Ma se avessero saputo le sue intenzioni, lo avrebbero fermato da tempo. La sua non è una semplice gara di velocità. La sua è una missione, una vendetta. Remy lo ha tradito, dopo tutto quello che ha fatto per lui. Sapeva che Venus era sana e salva, un’esca viva da usare per catturarlo. Non regge al pensiero che se ne andrà in qualche rifugio a godersi la fine del mondo, sopravvivendo per poterla raccontare. Ferma la sua moto proprio davanti al cancello della villa. Una persona normale non sarebbe mai andata a cercare la sua vittima nel posto in cui essa si aspetta che lo trovino. Ma la sfortuna di Remy è proprio che Paul lo conosce bene e sa che si nasconderebbe proprio nel punto in cui nessuno lo cercherebbe perché troppo evidente, come nel racconto di quel detective del passato, Sherlock Holmes, gli sembra. Inoltre Paul sa che Remy non se ne sarebbe mai andato al rifugio durante tutto questo caso dovuto all’assenza di controllo delle Corporazioni, ma che avrebbe aspettato il momento opportuno. Quindi entra nella villa, la sua Sword of Avalon che scintilla alla luce dei fari. Sa la posizione di tutte le telecamere e le evita con precisione. Trova la casa rasa al suolo dall’esplosione della bomba, ma sa bene che la vera casa, è sotto le macerie, in un dedalo di corridoi segreti. La porta non è facile da trovare, ma la sua ubicazione la conosce più che bene. Eppure quando vede la botola aperta ha un sussulto di delusione. Forse stavolta non era stato così prevedibile come credeva. Stavolta, vista la posta in gioco, forse aveva deciso di lasciar perdere le sue abitudine da signore e abbassarsi al livello degli altri mortali. Ma la curiosità spinge Paul ad entrare e viene premiata quando vede il corpo di Remy steso a terra, un buco sanguinante sulla fronte… e la figura in piedi di Sheila sopra di lui. -
Un drago si avvicinò ad Ashling, camminando lentamente per il grande spazio della caverna. La guardava come se aspettasse da lei delle risposte, come se lei fosse quella che stava aspettando. Ma forse erano solo gli occhi di lei che vedevano questo. Si accorse con terrore che non la riconoscevano come padrona e soprattutto che non avevano alcun timore di lei. Cercò di ricomporsi, facendo appello a tutto il suo coraggio. Era una dea, dopotutto. E quelli lì erano soltanto i suoi schiavi, delle pedine potenti che si sarebbero inchinate al suo servizio, pronte a far soffrire il mondo. Il suo sguardo però andò a quella figura che non si aspettava di trovare, quella figura che faceva crollare tutte le sue sicurezze. Perché, se era vero che lei, Ashling, figlia di Alixa, era la dea, era anche vero che quella ragazza che stava tra i draghi con tanta noncuranza non aveva ragione di esistere ancora. La sua mente le fece rivedere quel giorno mortale in cui infilò un pugnale nel suo cuore, sentendo tutto il potere che fluiva in lei, rendendola divina, superiore, onnipotente. Per questo non riusciva a capacitarsi di quella presenza. Neanche il drago che le si avvicinava le procurava tanto terrore quanto quell’aggraziata figura femminile. Gli sguardi delle due ragazze si incrociarono ed Ashling ebbe un brivido nel vedere un sorriso su quel volto. Era una spaccatura su quel viso dolce, un’espressione che non aveva mai visto su quella faccia che faceva spezzare i cuori anche dei più duri per la sua innocenza. Ora sembrava una lugubre caricatura di una bambina cresciuta, una bambina che aveva intrapreso un sentiero che l’aveva privata della sua innocenza ed umanità. «Benvenuta, Ashling. Ti stavo aspettando… sorella.» La voce la colpì come un fendente al cuore. Il dolore era tanto intenso che si portò una mano al petto, guardandola con la sicurezza di vedere il sangue su di essa. Invece vi era solo il guanto d’arme nero dell’armatura. Ma guardandosi la mano ebbe un improvviso moto di rabbia e strinse il pungo, facendo scricchiolare il ferro. Lei era una dea e avrebbe ridotto in cenere chi le si parava davanti, finendo il lavoro che aveva cominciato la notte del rituale. «Pensavo fossi morta… ma è un errore al quale rimedierò subito.» In quel momento la ragazza emise una risata stridula e agghiacciante, una risata che poteva uscire solo da una mente che aveva perso la lucidità in favore di un’anima ancora più nera. «Tu… tu… vorresti uccidermi?» Domandò Alissa, la voce che era la parodia di quella di una bimba innocente. «L’ho già fatto… e lo farò ancora.» «E come, se mi è permesso saperlo?» «Come feci con nostra madre… sorella.» L’ultima parola aveva un amaro sapore spregiativo. «Davvero?» Il volto mimò sorpresa sgomenta, ma fu subito sostituito da uno sguardo di odio e sfida. «Fallo!» Ashling chiuse i pugni per la rabbia, poi chiamò a sé tutte le forze del fuoco e vide la sua mano lanciare una lingua di fiamma verso quel corpo esile. Persino i draghi arretrarono impauriti di fronte a quella manifestazione immensa di potere. L’intera caverna sembrava un inferno in miniatura e Ashling immaginò che forse i piani demoniaci dovevano essere proprio fatti così. E sorrise. Ma la sua bocca si trasformò in un cerchio di terrore appena sentì il distinto suono di due mani che battevano. Un applauso. «Complimenti. Davvero brava.» Le disse la voce di Alissa. «Non oso immaginare cosa potrò fare quando avrò il potere completo.» «Che intendi?» Ashling non capiva… e inoltre… non ne era sicura… ma si sentiva più debole. «Ancora non l’hai capito? Povera sciocca!» Si incamminò verso di lei, i draghi che si scansavano al suo passaggio, a volte chinando la testa in segno di rispetto. «Pensi davvero che tu mi abbia uccisa? Pensi davvero che nostra madre, una dea, non avesse capito che tu e quel mago stavate tramando contro di noi?» Si fermò a carezzare il naso di un drago che si era quasi accoccolato al suo fianco. «Sapevamo tutto, sorellona. Tutto! E ho permesso che tu mi uccidessi, donandoti il potere che volevi e lasciandone un po’ per me. Be’, veramente ne ho preso molto più che un po’, ma mi serviva per controllare tutto senza che tu te ne accorgessi. Sei stata sconfitta e rinchiusa da un incantesimo che neanche io potevo spezzare, avendo il potere incompleto. Ma aspettavo il momento che ti saresti liberata. Volevo vendetta. E la volevo su di te! Ho solo aspettato il momento che tu fossi sicura del tuo trionfo per rovinarti la festa… e a quanto sembra…» Allargò le braccia, indicando i draghi. «… ci sono riuscita.» Ashling sentiva le forze che la stavano abbandonando e capiva che non era solo la paura. «Cosa mi stai facendo?» Alissa alzò le spalle con noncuranza. «Sto solo riprendendomi ciò che è mio. Ti ho lasciata giocare alla dea per un bel po’ di tempo. E’ giunto il momento che tu torni ad essere quella che sei sempre stata: una nullità!» Si avvicinò ancora di più alla sorella che cadde seduta in terra. Le prese il mento con la mano, costringendola a guardarla negli occhi. «Non ti preoccupare: il mondo soffrirà come volevi tu. In un certo senso lo faccio anche per te. Solo che non ho bisogno di te.» La spinse via, lasciandola cadere a terra. «Ma… nostra madre allora… non è… morta?» «Certo che lo è. Avresti dovuto vedere il suo volto mentre veniva bruciata! Non potevo rischiare che capisse tutto e mi togliesse i poteri.» Alissa diede le spalle alla sorella, facendo intravedere un ghigno. «Ma… ma la profezia… io sarei dovuta essere quella che… che…» «… “che avrebbe distrutto il mondo”? No, sorellona mia… no.» Si girò di nuovo verso la ragazza a terra. «La sua prima figlia sarebbe stata la rovina del mondo. Solo che non aveva capito che per “prima figlia” si intendeva “la prima che avrebbe ereditato i suoi poteri”. Non aveva scampo: la sua progenie avrebbe distrutto il mondo. Se fosse toccato a te, avresti fatto lo stesso... dopotutto, lo stavi già facendo, no?» Nella mente di Ashling balenarono le immagini delle sofferenze che aveva passato proprio per la mancanza di quel potere, di quell’affetto materno. Se fosse stata scelta, non avrebbe portato sofferenza al mondo. No, non lo avrebbe mai fatto! Senza dire una parola, reagì con la sola forza della rabbia, colpendo con un rapido fendente il braccio di Alissa. Poi si trovò a massaggiarsi la mano, facendo cadere l’arma in terra. Sembrava che avesse colpito la roccia. Improvvisamente si ritrovò ad udire la risata della sorella, quella risata inquietante e pazza. E fu l’ultima cosa che sentì prima di precipitare nel buio e di perdere conoscenza. Aixela si girò verso la voce che aveva sentito e vide un vecchio stare a testa in giù, reggendosi sulle mani. «No, anche così non va.» Cadde a terra goffamente, ma si rialzò subito, grattandosi la testa pensoso. «Non capisco: il mare dovrebbe stare sotto di noi… eppure se mi capovolgo mi trovo con la terra sopra di me… che strano.» La ragazza sorrise e si alzò in piedi, guardinga. Sapeva che la sua situazione poteva definirsi “imbarazzante”, ma forse la parola “pericolosa” si addiceva maggiormente. Nonostante tutto, non si azzardò a sfoderare la spada, preparandosi ad ogni evenienza. Gli altri forse avrebbero interpretato quel gesto come ostile, una cosa che lei voleva evitare a tutti i costi. Si avvicinò al vecchio, che era appena sceso dalla nave e continuava a grattarsi al testa guardando verso l’alto. Dietro di lui vide la chiara figura di Perenor e notò i suoi occhi, la sua rabbia verso di lei, ma anche una sorta di indecisione nel vedere che Lirian la stava proteggendo, ergendosi come un piccolo muro tra il chierico e la sua amica. Il vecchio si accorse delle ragazze e fece un goffo inchino: «Salve, signorine. Il mio nome è… è…» Si girò verso Perenor «Qual è il mio nome? Una volta avevo quel simpatico kender che me lo ricordava… ma ora…» Riprese a grattarsi la testa. Poi si guardò intorno, spaesato, come se cercasse qualcosa. Si diresse verso il fianco della nave e guardò sotto la prua sventrata. Poi tornò verso le ragazze, guardando dietro di loro. «Ehm… cercate qualcosa?» Disse Lirian, un po’ a disagio, ma divertita dalla situazione. «Il mio cappello! Diamine, mi scordo sempre dove lo metto…» Perenor soppresse una risata e gli indicò la testa. Il vecchio si toccò dove aveva detto il chierico e sentì che il suo cappello era proprio lì. «Grazie.» Sorrise. «Sarebbe ora che svegliate anche gli altri vostri compagni, dobbiamo andare.» «Dove?» Chiese Aixela. «Ma come… non lo sai?» Il vecchio fece un espressione platealmente sorpresa. «Ma a svegliare i draghi, no?»
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se poso usare anche io Fizban, vorrei fare qualcosa... posso?
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Pubblicazione racconti DL
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in House rules e progetti
Sono d'accordo con MikeT. I racconti da pubblicare non devono comprendere "Le Nostre Storie", ma solo delle produzioni scollegate dal resto. Credo che alla fine, contando sia i racconti già presenti sul sito che queii pubblicati nella sezione di questo forum, ce ne siano in abbondanza. -
La nostra storia - Fantasy 2
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Joram si mise istintivamente davanti alla ragazza, alla quale aveva dato il suo mantello come coperta improvvisata. Le vedeva ancora tremare e udiva i suoi singhiozzi. Anche lui avrebbe pianto per lei, se solo avesse avuto ancora delle lacrime da versare. Guardò il paladino che era sceso da cavallo, pronto ad una sua reazione, ad un suo attacco. Non erano pochi i paladini che lo avevano assalito senza motivo, nonostante lui non ricordi di aver mai fatto del male a nessuno. «Mi chiamo Joram... e non sono io l'assassino. L'opera barbara che invece vedete su quell'albero e...» Indicò la ragazza dietro di lui, deglutendo. «... qui dietro è stata compiuta da quegli uomini che potete vedere trafitti dalle frecce e dalla mia spada.» Non era la prima volta che veniva accusato di qualcosa che non aveva commesso. Solo che sperava che almeno stavolta non ci fosse uno scontro a seguire le sue dichiarazioni. Se quel paladino non era lì per ucciderlo, come tanti altri, allora avrebbe percepito che stava dicendo la verità. Altrimenti... avrebbe dovuto combattere di nuovo. «Questa ragazza è stata violentata, signore. sarebbe opportuno riportarla al villaggio e dare la triste notizia di questo massacro ai suoi abitanti ignari.» Guardò l'uomo davanti a sé, in attesa di una risposta. -
La nostra storia - Fantasy 2
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
beeeeeeeeeeeee! -
Un racconto con il finale in comune
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Wolf in Prosa e Poesia
Luogo: Un chiostro in rovina Tempo: Notte fonda e pioggia incessante Situazione: Due o più persone si incontrano ed interagiscono ed alla fine della loro interazione cambierà radicalmente il destino di almeno una di loro. --------------------------------------------- PROLOGO Corre. Il sudore gli imperla la fronte, mescolandosi con la pioggia battente e cadendo in rivoli salati nella sua bocca aperta e ansimante. I muscoli delle gambe sembrano cedere ad ogni respiro, ridotti allo spasmo. Il rumore dei suoi veloci passi sull’asfalto gli viene restituito dai palazzi, insieme ai televisivi gemiti notturni di ragazze che promettono grandi cose solo componendo un numero di telefono proibitivo. In lontananza, parecchi metri di fronte a lui, l’odore frizzante del mare in tempesta arriva in violente folate di vento, accompagnato dal fragore delle onde che si infrangono sulla rupe rocciosa… e da un veloce ticchettio di scarpe eleganti. E’ rapida. Ha sempre saputo che è una ragazza piena di risorse, ma che la disperazione la portasse a distanziarlo così tanto non se lo sarebbe mai aspettato. Una fitta alla spalla, seguita da altro liquido caldo che gli bagna il petto, facendogli aderire ancora di più la camicia sudata alla pelle: è sangue. Il suo. Ma ora ha altre cose a cui pensare: il ticchettio è diventato ovattato, a tratti liquido, segno che lei ha appena raggiunto il prato immediatamente prima della rupe. Cavolo! Lui non ha problemi, ma lei, come tutti, non vede nulla al buio: potrebbe cadere sugli scogli! Con uno sforzo immane, accelera ulteriormente. Deve raggiungerla! Se cade non se lo potrà mai perdonare. E’ sua la colpa di tutto questo. Sua e delle sue assurde manie di eroe. Il soffice sotto i suoi piedi gli fa capire di aver raggiunto la distesa erbosa prima della potenzialmente mortale costa. Accidenti al vento! Gli toglie tutti gli odori, già difficilmente identificabili a causa della pioggia, portandogli solo quello del mare. Perlomeno definisce meglio le forme di tutti gli oggetti, permettendogli un’analisi più veloce ed accurata dell’ambiente circostante… come ora: un lieve turbamento nell’aria, una figura ondeggiante sull’orlo dell’abisso: deve essere lei. Deve prenderla! Accelera ulteriormente, raggiungendo una velocità sorprendente non tanto per lui, abituato a simili prodezze, quanto per le sue attuali condizioni: una spalla ferita che non ha nessuna intenzione di arrestare il flusso di sangue, muscoli allo spasmo e dolore, tanto dolore. Una folata improvvisa e violenta di vento lo costringe a fermarsi, rivelando però una verità: la figura ondeggiante è in realtà un piccolo pino. Deve cercarla oltre che raggiungerla, ora. Imprecando, parte nella direzione precedente, iniziando la sua disperata ricerca. Gli basterebbe un odore, un solo piccolo… Inciampa! Nessun problema: tende le mani in avanti, attendendo l’impatto con il terreno… ma non accade nulla. Sente la sua testa andare in basso, oltre i suoi piedi, diretta verso l’assordante e sempre più vicino fragore del mare. Sta cadendo. Istintivamente allarga le braccia, cercando un contatto qualsiasi con la rupe. Poi, lo trova e un dolore lancinante gli esplode nella testa, facendogli credere che il braccio gli si sia staccato dalla spalla. Ma non sta più cadendo. Sentendo la consistenza della pietra sotto le sue dita, capisce che vivrà. Ora è solo questione di arrampicarsi sulla parete rocciosa fino in cima. Una volta arrivato, si alza in piedi per permettere ai suoi sensi di funzionare al meglio. Dietro di lui, il fragore delle onde tempestose. Davanti, i sospiri di due amanti nella loro camera, accompagnati dal sordo ronzio elettrico dei lampioni. Alla sua destra, il solito profumo di fango ed erba bagnata. A sinistra, il sommesso mormorio dei pini, unito all’ormai familiare ticchettio di scarpe eleganti. L’ha trovata! Ricomincia a correre, stavolta diretto verso la pineta. Giunto al primo albero, si ferma e lascia che le correnti d’aria disegnino per lui una mappa dettagliata della zona. Il vento si incanala principalmente in una direzione e lui lo segue: è il sentiero. Gli odori penetranti del sottobosco ed il rumore bagnato della pioggia sono gli unici compagni della sua folle corsa verso la parte opposta di quel groviglio di rami e radici. Poi, l’aria si spande ed il sentiero termina in un intenso aroma di antico. Si ferma ansimante, analizzando il luogo che lo circonda: colonne ancora erette a sfidare il vento e il tempo, poste a formare un quadrato con al centro un pozzo, probabilmente di freddo marmo. E’ un chiostro… il chiostro. Da lì, una volta poteva vedere il mare che, vergognoso, accoglieva un paonazzo sole tra le sue braccia, cullandolo in attesa della candida luna. Ricorda con una triste nostalgia i giorni passati con lei a contemplare un tale spettacolo: era tutto bellissimo e lei ancora di più… … poi, l’incidente. Lui che rientrava dall’università. Un improvviso malore. Il duro dell’asfalto contro la sua testa. Una corsa in ospedale ed un’orrenda verità: non avrebbe più potuto vedere. Ma qualcosa in lui stava cambiando. Come in risposta alla cecità, i suoi sensi e la sua agilità crebbero lentamente di pari passo, portandolo a percepire, ed all’occorrenza ad evitare, con una sempre più notevole precisione la realtà circostante. Preso dall’entusiasmo, colse l’occasione di una festa di carnevale per farsi cucire un costume completo di maschera, cominciando così a fare l’eroe per puro divertimento, per evadere dalle noie quotidiane. Ma poi lo fece solo per lei. La seguiva sempre di nascosto per evitarle qualsiasi brutto incontro e, persino quando riuscirono ad andare ad vivere insieme, non la lasciava mai da sola, diventando la sua ombra. Pochi mesi dopo, però, decise di rinunciare a tutto e cominciare a condurre una vita normale. Sapeva che non sarebbe stato facile e che tutte le emozioni provate sino a quel momento non si sarebbero più ripetute, ma perlomeno non rischiava di perdere la vita, cosa che avrebbe dato una dose insopportabile di dolore a lei, la sua amante, la persona che non doveva neanche conoscere il significato di quella parola. Ma ben presto si accorse che non era l’uomo a riempire la maschera, bensì la maschera a riempire l’uomo. Si sentiva svuotato: era cieco e tutti lo compativano… e non dovevano! Voleva urlare alla gente che lo aiutava ad attraversare la strada che sapeva farlo da solo e anche meglio; dire a chi gli prendeva le cose che sapeva dove erano e che forma avevano; colpire chi lo prendeva in giro per la sua cecità, convinto di non essere udito, più forte di quanto avesse mai colpito una persona. Voleva… ma non poteva o tutte le persone alle quali teneva sarebbero state in perenne pericolo. Così capì di dover tenere per sé tutte queste sensazioni, sfogandosi in un modo meno plateale e quindi meno pericoloso per chi lo circondava. Ed ecco che la sua vita ricominciò, prendendo significato dai chilometri percorsi di notte sui tetti, assaporando momenti che nessun altro poteva provare, lasciando che le correnti d’aria disegnassero per lui un paesaggio invisibile caratterizzato da suoni e odori uniti a formare un’unica poetica melodia. Sensazioni magnifiche, accompagnate dal parziale ritorno alla sua precedente attività di eroe e da piccoli e grandi successi… fino a questa notte: un ragazzo in cerca di gloria, approfittando del fatto che era impegnato a contemplare il paesaggio aeriforme, gli ha sparato ad una spalla e lui, colpito e sanguinante, è dovuto rientrare in casa. Si era appena medicato e rivestito, che il troppo dolore ed il troppo sangue perso lo hanno fatto svenire. Proprio in quel momento, lei, di ritorno da una festa con le amiche, rientrava in casa, sicura di non trovare nessuno: lui era ufficialmente ad una rimpatriata tra parenti lontani. Invece stava lì, steso in terra, insanguinato e sanguinante. Sicuramente, morto! Presa dalla disperazione, è fuggita da casa, urlando. Proprio il suo grido di dolore, però, lo ha svegliato e, capita in un attimo la situazione, ha cominciato a rincorrerla per impedire quella che lui crede sia la sua intenzione: suicidarsi al chiostro, trasformando il luogo dell’inizio in quello della fine. I ricordi lo abbandonano appena ode l’urlo assordante di un tuono provenire direttamente da sopra di lui. Correnti ascensionali gli portano un odore di sudore misto ad un altro che non riesce ad identificare: è lei. Non lo ha visto e lui non osa chiamarla per non spaventarla, dopotutto in teoria è morto. Silenzioso come un felino e senza sapere perché, si avvicina alle spalle di quella figura fatta d’aria, cercando di cogliere le sue emozioni: piange. Chi non lo farebbe? Vedendo così tanto dolore, quella sensazione che lei non avrebbe mai dovuto provare, vince tutte le sue paure e la chiama dolcemente, posandole una mano sulla spalla. Lei, senza neanche girarsi, piega la testa verso di essa e la accarezza con la guancia, sussurrandogli: «Ciao.» Sorpreso da una reazione simile, risponde al saluto: «Ciao.» E ora? «Come mai sei venuta qui?» Chiede per rompere il ghiaccio, conoscendo già la risposta. «Questo è il luogo dove ci siamo conosciuti e dove mi ero promessa di morire se ti avessi perso. Non sarei potuta sopravvivere senza di te.» «Lo so: me l’avevi già detto. Però, come puoi ben vedere ora, sono vivo.» «Cosa?!» Si gira di scatto, sorpresa «Sei vivo?» «Certo. Pensavi che fosse il mio fantasma a parlarti?» Rimpiangerà per tutta la vita questa domanda ironica. «Be’…» Silenzio «… ora capisco tutto. Perdonami, amore: non potevo saperlo.» Ricomincia a piangere. «Cosa… cosa non potevi sapere?» Non può essere vero! No, non può essere! Paura. «Niente, non ci pensare. Ormai è tardi.» Gli prende delicatamente la testa tra le mani «Baciami.» Le loro labbra si uniscono in un bacio appassionato e il terrore che per un attimo l’aveva pervaso svanisce lentamente… per poi tornare più forte di prima: lei non emette alcun odore, non ha sapore… e non c’è il suono ovvio e familiare di un altro battito cardiaco! Sussulta e interrompe il bacio, ritraendosi appena in tempo per notare che non percepisce più la sua presenza, come se davanti a lui non ci fosse mai stato nessuno, come se non fosse mai esistita. Poi, l’orribile verità. Il vento disegna una figura femminile sdraiata a terra, con un qualcosa che le fuoriesce dal petto. E’ lei… e subito capisce a cosa appartiene l’odore che aveva sentito ma non riconosciuto: è sangue, il liquido vitale della sua ragazza che imbeve la lama del coltello conficcato tra i due seni, intiepidendo il terreno marmoreo del chiostro e finendo, mischiato a pioggia e lacrime, nel pozzo centrale dove rimarrà custodito solo dal mare e dal vento… e da una figura in nero che non smetterà mai di tormentarsi per questo. 24 ore. Ore 2:18. Piange. Il sommesso respirare della sua compagna sul letto accanto a lui. Carezze di mani delicate sul suo petto nudo e vigoroso. Parole dolci sussurrate all’orecchio. Calore umano… ora il freddo letto. Piange. Automobili rombanti sulle strade sottostanti, ignare pedine nell’impari gioco della morte. Gatti che litigano per una femmina in calore, eterna protagonista della lotta per la procreazione. Cani che ululano tutta la loro frustrata potenza alla luna, apatica protagonista del buio. E’ la voce della notte… e lo chiama. Il tempo di indossare il solito costume nero ed è fuori a celebrarla. Ore 3:44. Sono dieci minuti che li segue mentre camminano traballanti per la strada. Appena usciti dal locale si sono messi a cercare la propria macchina senza successo, mischiando imprecazioni a risate dal rauco odore di alcol. Hanno deciso di andare a prendere un cornetto per tirarsi un po’ su, per fare colazione. Ma non trovano la macchina. Neanche lui ha la minima idea di dove sia… e si sta innervosendo. Deve trovarla prima di loro! I quattro ragazzi si fermano poggiandosi al muro di una casa, decisi a prendersi un “aperitivo” prima della colazione. Lo stomaco gli si rivolta e riconosce subito l’odore: quella sigaretta, pur essendo piena, ha molto meno tabacco del solito. In compenso sono arrivati alla macchina. Si sta per dirigere verso di essa per fare il solito lavoro alle gomme ed ai fili della batteria, quando… un battito anomalo… un cuore al limite… e quel filtro che si avvicina alla bocca. Dà un pugno al cofano, facendo risuonare l’aria di un suono metallico. I ragazzi si girano di scatto per vedere cosa sia, incuriositi. Non vedendo nulla, cominciano a ridere fino alle lacrime, sicuri di aver immaginato il tutto e complimentandosi per la bontà di quella roba e dei cocktail del locale. Lui, sorridendo da un balcone sopra di loro, getta lontano le chiavi della macchina e spegne gli ultimi bracieri con il piede. Sì, è stato proprio veloce e silenzioso. Chissà che faccia faranno quando scopriranno che stanno fumando una sigaretta normale. Ore 4:22. Respiri affannati di una ragazza, interrotti da gridolini soffocati da una mano. Tre battiti cardiaci accelerati: due per l’eccitazione ed uno per il terrore. Mormorii di approvazione dopo un rumore di stoffa strappata, seguito da un odore di pelle sudata appena svestita. Un tonfo di due teste, l’una contro l’altra. Ore 4:32. Un carabiniere si alza dalla sedia di fronte alla sua scrivania: qualcuno ha bussato alla porta della caserma. A quest’ora di notte! Sentendo dei lamenti soffocati provenire da fuori, si affretta ad aprire. Davanti a lui, stesi a terra, trova due ragazzi vestiti con le sole mutande e imbavagliati con i propri calzini. Sulla loro schiena un biglietto: “Siamo cattivi!” Ore 6:54. Ode il boato a venti isolati di distanza. L’odore di gas lo accoglie a soli sei isolati. Una bambina che piange lo induce a salire al quarto piano di un inferno di fiamme e cemento. Raggiunto l’appartamento, un’ondata di calore lo colpisce in pieno viso e capisce che, se non tornerà indietro, la sua pelle ipersensibile rischierà serie ustioni. Ma non può fermarsi: una vita è in pericolo. Guidato dalle urla dell’infante, raggiunge il lettino e la afferra, sussurrandole dolci parole di conforto mentre, essendo inutilizzabile l’uscita principale, si porta a terra scendendo di balcone in balcone. I muscoli indolenziti si faranno sentire per settimane, ma le lacrime di gioia dei genitori lo accompagneranno più a lungo. Ore 8: 35. La campanella è ormai suonata da cinque minuti… e un ragazzo lo sa. E’ in ritardo. Meglio affrettare il passo: se la professoressa lo vedrà arrivare di nuovo a lezione iniziata, non lo farà entrare. Preoccupato per un eventuale rimprovero, non fa caso ad un motorino che sfreccia verso di lui a grande velocità, con la guidatrice intenta a salutare ripetutamente le amiche, senza pensare minimamente a dare un’occhiata a chi o cosa possa trovarsi sulla sua strada. Soltanto il potente clacson di un camion fa rendere loro conto del pericolo. Si vedono e, lei con un’esperta quanto fortunosa sterzata, lui con un’agile schivata seguita da una rovinosa caduta, riescono ad evitare l’incidente. «La prossima volta stai più attento!» Gli urla la ragazza, dopo averlo sfiorato di pochi centimetri Ore 8:45. Posato il motorino accanto ad un lampione, la ragazza si dirige verso il portone più vicino e citofona. Le risponde una voce maschile che, riconosciuta in lei la sua fidanzata e constatato che non è a scuola, ma pochi metri sotto il suo appartamento privo della presenza dei suoi genitori, si affretta a raggiungerla per farle parcheggiare il suo tanto amato e sudato mezzo di locomozione. Sceso rapidamente, il ragazzo la bacia e le dice all’orecchio qualcosa che la fa sorridere vergognosamente. Poi, le dà le chiavi del garage e la accompagna al ciclomotore. Accettando con un altro sorriso, stavolta più malizioso, un’altra profezia sessuale del suo attuale compagno, si affretta a salire sul sellino, ma, appena vi poggia completamente il suo peso, il manubrio si stacca e la porta in intimo contatto con l‘asfalto. Da un tetto adiacente, una figura in nero urla: «La prossima volta stai più attenta!» E sparisce. Ore 11.45. Due ore prima un gruppo di ragazzi aveva tentato di bastonare a morte un marocchino, colpevole di avere la pelle di diverso colore. Ora, già è tanto che riescano a rimanere in piedi. Ma la violenza non ha mai fine. Una coppia di uomini incappucciati è entrata in un supermercato ed uno di loro ha preso una bambina in ostaggio, puntandole una pistola alla tempia, mentre il suo compare con un fucile tiene a bada la gente, facendosi consegnare soldi e oggetti di valore. Vogliono denaro. Come al solito. Purtroppo per loro, non sono organizzati tanto bene: due professionisti si sarebbero sempre tenuti d’occhio, pronti all’occorrenza ad usare la forza bruta. Invece, quello con il sacco ormai pieno di gioielli e portafogli, nella fretta di raccogliere tutto il possibile, lascia che uno scaffale lo nasconda dalla vista del suo complice: è un errore che non si renderà neanche conto di aver commesso. Due mani guantate silenziose ma decise lo mandano immediatamente a terra, privo di sensi. Ora non c’è problema: basta avvicinarsi velocemente all’altro, arrivandogli alle spalle. Una volta raggiunto, un pugno gli toglie la pistola, mentre un altro gli spezza la mascella aperta per lo stupore. La gente, rimasta in silenzio per non tradirlo, ora lo applaude calorosamente e lui, con un inchino riverente, proferisce un umile “servo vostro”. Come si può dire di no? Ore 13:03. Pausa pranzo. Dopo quello che è successo se la merita. Prima, un pirata della strada ha avuto il coraggio di parcheggiare proprio sotto il palazzo dove si trova ora, dopo aver commesso una serie di atti che sarebbe eufemistico definire suicidi… se non addirittura omicidi. Tra poco scoprirà cosa si prova a trovare l’auto senza volante e batteria. Poi, aveva appena finito di gettare via i pezzi dell’auto, che un ragazzo ha rubato i soldi ad un barbone che dormiva per terra, credendo di non essere visto. Ma la giustizia, pur se cieca, ci vede benissimo: chissà cosa farà quando noterà l’assenza del portafogli. E chissà quanto sarà felice quel barbone quando ne troverà uno nella sua tasca! Infine, come se non fosse abbastanza, una mamma smemorata stava ritornando in casa per prendere la borsetta che aveva dimenticato sul tavolo. Il figlio, che ormai l’aveva considerata partita senza la possibilità di eventuali ripensamenti, era già in camera, impegnato con la sua ragazza. Gli sarebbe veramente piaciuto poter vedere la faccia dei due amanti mentre diceva loro di nascondersi sotto il letto, dove restarono tremanti fino alla seconda, e questa volta definitiva, partenza della madre. Da quel che si sente ora, sembra che l’avvenimento non li abbia scossi poi più di tanto. Eccolo, finalmente! Il pirata sta per entrare in macchina. Imprecazioni. Bestemmie. Un sorriso illumina il volto di una figura in nero seduta su un tetto. Ore 16.00. «Il teste può accomodarsi.» Sono invincibile! Pensa, sedendosi di fianco al suo avvocato. Si è messo d’accordo con due suoi amici e ha potuto uccidere sua moglie senza essere minimamente sospettato. Ora in aula c’è soltanto uno dei due complici, ma anche se vorranno chiamare l’altro per conferma otterranno sempre la solita versione. Non c’è niente da fare: è salvo, ormai… …ma le sue sicurezze crollano paurosamente. Una figura in nero entra decisa in aula, portando per la cinta («…come una ventiquattr’ore!» Ricorderà il giudice) un uomo terrorizzato. Si ferma davanti al banco degli imputati e lo posa a terra bruscamente. «Sa molte cose. Chiedetegli e vi sarà risposto.» E se ne va. In quel preciso istante, l’omicida comincia a pensare al modo di occupare le giornate in carcere: quella gelatina tremolante lì sul pavimento è il suo secondo complice… ed ha tutta l’aria di voler collaborare con la giustizia. Ore 19:43. Pausa cena. Stavolta è tutto più tranquillo. Seduto sul solito tetto, nota con piacere che la macchina che lui aveva privato di volante e batteria è ancora lì. Nell’appartamento due piani più sotto, continuano le imprecazioni del pirata della strada, mentre giù, sul marciapiede, il barbone è sparito: forse ora sarà impegnato a spendere tutti quei soldi che si è trovato in tasca. Sorridendo, si concentra sull’appartamento di fronte a lui, quello dei due amanti quasi sorpresi dalla madre del ragazzo, e… …Cavolo! Che fisico! Evidentemente mamma non è ancora tornata. Ore 20:28. Uno scatolone! E’ come trovarsi in un enorme scatolone in movimento. Nessun contatto con il mondo esterno, nessuna corrente d’aria che possa disegnargli l’ambiente al di fuori. Solo una sensazione: il panico. Se lo avesse saputo, non si sarebbe mai precipitato dentro un autobus impazzito, ma avrebbe cercato di fermarlo in un altro modo. Invece ora è dentro, circondato da vetri e lamiere soffocanti, con il suono assordante del motore accompagnato dal respiro affannoso dell’autista svenuto, che col piede preme ancora l’acceleratore. Senza aspettare un secondo di più, lo getta via dal posto di guida e frena bruscamente. Ora deve uscire! Non ce la fa più a stare in una bara… a sentirsi veramente cieco. Appena mette piede a terra, il mondo gli si ripresenta davanti in tutti i suoi odori ed in tutte le sue invisibili figure d’aria. Il suo cuore comincia a rallentare ed il sudore freddo ad asciugarsi lentamente. Poi si ricorda dell’autista: lo aveva letteralmente lanciato via dal posto di guida. E se fosse morto? Non senza una certa riluttanza, rientra nell’autobus. Il ritorno a quella sensazione claustrofobica lo stordisce ancora una volta, ma riesce comunque a mantenere la freddezza necessaria a percepire il cuore ed il respiro regolare del corpo che aveva gettato via: sta bene, però è sempre meglio chiamare un’ambulanza. Pochi minuti dopo, una sirena si avvicina velocemente. Due portantini scendono dal furgone e caricano l’uomo svenuto, chiedendo poi al nero vigilante mascherato se voglia salire anche lui. Sì, gli sarebbe piaciuto veramente poter vedere le facce, sicuramente stupite, di quegli uomini al suo “no” secco e terrorizzato, seguito da una fuga velocissima. Ore 24:55. Una goccia gli bagna la maschera, seguita poi da molte altre. Comincia a piovere. Che gli importa? Dopo tutta l’attività che ha fatto, una bella doccia rinfrescante è proprio quello che i suoi stanchi muscoli agognavano. Che bello! La città sotto di lui, ai suoi piedi, che non dorme mai, continuando a sfornare la solita razione quotidiana di suoni e odori. E’ per questo che lui vive: per sentire la voce e il sapore della notte, nutrirsi di essa ed affrontare così in forze il giorno. Se non avesse avuto il dono (la maledizione) che ha, non avrebbe avuto (lei)… non avrebbe avuto la forza (lei sarebbe)… non avrebbe avuto la forza di continuare (lei sarebbe ancora)… non avrebbe avuto la forza di continuare a vivere (lei sarebbe ancora viva!). Ma perché finisce sempre per pensare a cose tristi? Ha la possibilità di godersi un panorama invisibile che nessun altro potrà mai apprezzare e niente, neanche un uragano, lo smuoverà da lì contro la sua volontà. … Un urlo femminile, soffocato da qualcosa, probabilmente una mano. Senza perdere un minuto, si precipita all’origine del grido, scendendo velocemente dal muretto del terrazzo dove era seduto. Una persona è in pericolo e lui deve salvarla… anche se, come ben sa, il suo non è affatto senso del dovere: lui cerca lo scontro, lo vuole e quando lo trova… be’, con qualcuno si dovrà pur sfogare, no? Ore 1:44. Solo. La pioggia continua a cadere incessantemente, contribuendo a bagnare inutilmente un costume già fradicio. Il rumore del terreno marmoreo colpito dalle grandi gocce d’acqua sovrasta appena il fragore di un mare stranamente calmo… al contrario di quello di tre anni prima. Quando si abbandona ai ricordi, riesce ancora a sentire distintamente il suono assordante delle onde tempestose che lo disorientava, rendendolo facile preda del freddo vento. Ogni particolare è impresso nella sua memoria: la corsa verso il prato (il dolore alla spalla), la caduta dalla rupe (il dolore al braccio), l’arrivo al chiostro (il dolore!), il dolore… l’unica costante della sua vita. Solo. Si sorprende a sorridere al pensiero della sua attuale posizione: seduto sul capitello dell’unica colonna integra, con le braccia che circondano le ginocchia ed il mento appoggiato su queste. Nella sua mente si paragona ad un infante in posizione fetale: se avesse anche il pollice in bocca sarebbe perfetto! Bene, la sorte gli ha concesso un breve, seppur forzato, momento di allegria, ma tra poco, come ben sa, se lo riprenderà per fornirgli ancora la sua dose quotidiana di dolore, fino a quando deciderà che sarà ora di alleviarlo con quei soliti pochi attimi di sorriso. E’ sempre stato così e sicuramente lo sarà ancora per molto. Solo… … no, non è più solo! Una figura esce ansimante dal sentiero della pineta, profanando quel luogo sacro, il luogo di morte della sua amata. A volte gli sembra di sentire ancora l’odore del sangue che, misto ad acqua scorreva nel pozzo centrale, ma se sia solo la sua immaginazione o la realtà non lo capisce… e francamente non gli importa molto: ora ha ben altre cose a cui pensare. A giudicare dal battito cardiaco, dal profumo e dalla forma disegnata dalla brezza notturna, l’intruso è una ragazza… ma non è lei che lo attrae: la cosa che gli fa fermare il cuore per un attimo è la chiara percezione di un coltello tra quella affusolate dita femminili. A cosa potrà servirle? Certo, è risaputo che le ragazze sono solite portare con loro una moltitudine di oggetti inutili: specchietti, trucco di vario genere, fogliettini rosa, diari con le foto dei loro idoli… ma di solito non hanno con sé un coltello lungo quanto metà avambraccio, neanche fossero figlie di un macellaio! Ok, ci ha scherzato su. Ora, però, è meglio scendere dalla colonna per capire cosa sta succedendo: la faccenda sembra più seria del previsto. L’azione non richiederà molto tempo: basterà avvicinarsi piano alle sue spalle, sfilarle di mano il coltello e fare domande. Facile, no? In teoria sì, ma qualcosa lo blocca, qualcosa di appena udibile sopra il fragore della pioggia… ecco! Sono singhiozzi! La ragazza sta piangendo. Perché? Va bene: piano B… be’, ora che ci pensa, non ha mai avuto un piano B… né tantomeno uno A. Ok, ok, non è il momento di scherzare. Deve agire subito, ma non in fretta: prima porre le domande e poi farsi dare il coltello. Non è mai stato un buon oratore, ma vale la pena tentare. Lo sapeva che sarebbe finita così. «Ragazza…» Lei si gira di scatto, impaurita. Un movimento abbastanza lento e goffo da poter essere intercettato, ma troppo affilato per poter essere parato. «Ehi, piccola, potresti ferire qualcuno con quel coso!» Le dice, evitando di venire colpito dal coltello che gli agita davanti «Non voglio farti del male.» Dio, sembra un film! «Lo sai chi sono, vero?» Lo sa. «Bene, allora rilassati, posa il coltello e…» «No!» «Prego?» Starnazza, incredulo. «Il coltello è mio… e mi serve!» Gli dice, decisa. «Che sia tuo non lo metto in dubbio, ma, di grazia, a cosa ti serve?» «Io… il mio… oh, ma che ne vuoi sapere tu!» E ricomincia a piangere «Cosa ne puoi sapere tu! L’unica occupazione che hai è saltare per i tetti, portare “pace e giustizia” nella città e conservare il tuo bel culetto per i posteri! Come puoi conoscere il dolore! Che ne puoi sapere di un amore… di un amore che…» Si getta in ginocchio, in lacrime. Le cade il coltello e subito lui è lesto a raccoglierlo «Ridammelo!» Gli urla, rialzandosi in piedi «E’ mio! Mi serve!» «A cosa?» Le domanda, calmo. «Che ne vuoi…» «Ora basta!» Le urla, infuriato «Se cerchi qualcuno qui intorno che conosca il vero dolore… be’, lo hai trovato!» Lei lo guarda, stupita. «Tu dici che non posso capire. Non puoi immaginare quanto ti sbagli! Qui, proprio vicino a questo pozzo, è morta la persona che amavo di più al mondo, la mia unica ragione di vita. Ora, credi ancora in quello che dici?» Perché si è arrabbiato così tanto? E’ forse stufo di essere considerato dalla gente solo un avventuriero mascherato senza anima? Stufo del dolore che accumula ogni giorno? Forse… oppure questo è solo un modo come un altro per sfogarsi? «Scusami.» Le sussurra «Non volevo.» «No, scusami tu. Non pensavo che uno come te… uno come te… be’…» «… “provasse emozioni”?» «Sì, in un certo senso.» Un sorriso imbarazzato. Poi di nuovo la tenebra «Ridammi quel coltello. Per favore.» «Perché? Che vuoi farci?» «Dammelo, ti prego.» Il suo cuore accelera, impazzito. Lui se ne accorge. «Non posso.» «Ti prego.» Lo supplica, ricominciando a piangere. «Dimmi cosa vuoi farci. Solo questo.» «No… io non…» «Dimmelo! Per favore.» «Voglio uccidermi! Contento, ora?» Gli urla addosso. «Che vuoi fare?!» Non può essere vero! Il cerchio… «Io…» Comincia a respirare profondamente nell’inutile tentativo di calmarsi «Sai, io ero fidanzata con un bellissimo ragazzo, l’unico che… mi trattava come un essere umano e non come carne fresca “usa e getta”. Ci amavamo e… e dovevamo… sposarci… ma… ma è… è morto ieri sera in… in un incidente d’auto. Io… io non ce la faccio a… a vivere senza di… di lui… e… e…» Attimi di pianto disperato «Ti prego, ridammi quel coltello.» «Ma… ma…» Non riesce a dire altro. Gli basterebbe ribadirle un “no” secco e deciso per poi portarla via di lì. Sì, ci vorrebbe poco… ma non se la sente. Riesce a capire il dolore della ragazza e ci si immedesima, cercando di rispondere razionalmente alla sua eterna domanda: che fine avrebbe fatto se non avesse avuto la possibilità di fare l’eroe? Sarebbe morto suicida nello stesso posto dove è morta la sua amata? Sì, sarebbe successo, ma un po’ per la codardia di compiere un simile gesto, un po’ per via del suo dono (maledizione) è riuscito ad andare avanti, sfogando il dolore che accumula ogni giorno. E lei… lei che poteri ha? Nessuno… solo la vita… e, se non la ferma, neanche più quella. Le tende il coltello. Lei lo afferra e lo osserva. «Grazie.» Un battito cardiaco anomalo: paura. «Ora… ora ti ucciderai, vero?» «Sì.» Il cuore sembra un martello pneumatico. «Be’, io me ne vado. Non…» «No, resta! Io non voglio morire da sola. Credo che se non ci fossi stato tu, non avrei avuto la forza di farlo.» Perfetto! Altri sensi di colpa! «Promettimi che mi farai seppellire accanto a lui.» Si asciuga inutilmente una lacrima. «Promesso.» Non piangere! Non piangere! «Un’ultima domanda: perché proprio qui?» «Io… io l’avevo conosciuto qui… e…» «Ho capito.» Il cerchio si chiude. La storia si ripete. «Un altro favore:» il suo cuore è al limite, il respiro affannato «ti potresti… ehm… girare? Io… non ce la faccio a… a… be’, se tu mi guardi.» Lui sorride. Un sorriso amaro. Poi si volta, dandole le spalle. «Ok, ecco fatto.» Le dice con un fil di voce. Nessun saluto, nessun addio… niente. Basta! Ora deve solo cercare di estraniarsi, di pensare a qualcos’altro o sarà come vederla morire. Subito la sua mente lo porta alle immagini invisibili della sua defunta ragazza, ai momenti più intimi, più belli. Ricorda il letto. Lei nuda che lo aspetta, emanando un profumo dolce e inconfondibile. Momenti di vergognosa indecisione. Poi, pelle su pelle, carne su (carne tagliata da una lama affilata) carne. Movimenti dolci. Muscoli tesi che si muovono ritmicamente, ora forte, ora piano. Sospiri e (un gorgoglio… la trachea recisa è invasa dal sangue trasformando ogni respiro in un grottesco suono liquido) gemiti beati. Pelle calda, bollente, ricoperta di infinite e piccolissime gocce di sudore. Lenzuola ridotte in ammassi informi di tessuto ai piedi del letto. Lamenti di (ossa intaccate dalla lama tagliente e inferma… tonfo bagnato di ginocchia sul terreno) legno dalla spalliera. Movimenti più decisi, accompagnati da carezze sui seni e da gemiti sempre più vicini ad urla. Il piacere! Il cuore che (è quasi fermo… rallenta… rallenta… si blocca) sembra impazzito. Respiri affannati. Baci. E’ tutto (finito) finito. Si china sul corpo. L’odore di sangue misto a fango lo nausea, aromatizzando tutte le sue percezioni olfattive con uno strano sapore metallico. Un’altra morte vissuta dalla parte di chi osserva e sopravvive, un’altra morte che serve a ricordargli che un giorno toccherà anche a lui… un giorno che attende. Con ansia? Forse sì… forse no… ora è confuso. Senza sapere come e perché, cominciano a venirgli in mente le parole della strofa finale di una canzone, una strofa che per lui, mentre prima era solo una tra le tante, ha assunto da tre anni un significato diverso: “Each night I go to bed / I pray the Lord my soul to keep / No I ain’t looking for forgiveness / But before I’m six foot deep / Lord I’ve got to ask you a favour / And I hope you understand / ‘Cause I lived life to the fullest / Let this boy die like a man / Staring down a bullet / Let me make my final stand.*” Ore 2.18. Piange. * Trad.: “Ogni notte che vado a letto / Prego il Signore di custodire la mia anima / No non sto cercando perdono / Ma prima che io sia sepolto sotto terra / Signore devo chiederti un favore / E spero che tu capirai / Siccome ho vissuto la vita al massimo / Fai morire questo ragazzo come un uomo / Fissando dritto un proiettile / Lasciami scegliere la mia fine.” (Jon Bon Jovi, Blaze of glory, dall’album “Blaze of glory/Young guns II”) -
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Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Tranquillo, nhemesis... c'è zio Joram a tenervi compagnia. -
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Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Il racconto lungo sarebbe troppo lungo e alla fine, come si dice dalle mie parti, non sarebbe "né carne né pesce": troppo corto per un romanzo, ma troppo lungo per un racconto. Io credo che il consiglio di Manzotin sia invece ottimo, ovvero quello di riguardarci piaaaaaaaaaaaano piaaaaaaaaaaaaano ( ) tutti i nostri interventi in modo da collegarli "senza traumi" al post precedente, evitando errori grammaticali e quant'altro. In questo modo avremmo qualcosa di più omogeneo. Direi che per fare una cosa del genere però dovrebbe iniziare il primo che ha postato con il suo primo messaggio (dovrebbe essere Kordian) e così via fino all'ultimo, in modo che il post successivo possa agganciarsi a quello precedente. Poi ognuno all'interno del proprio post può allungare la storia o modificarne alcune parti scritte (attenzione: NON la trama!). Che ne dite? -
Le nostre storie - Commenti dei lettori e degli autori
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Paltron è vivo e vegeto. -
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Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Va bene, allora io direi subito di eleggere qualche supervisore che si prende tutte le parti del romanzo e li uniformi in un unico stile, allungando magari anche delle parti e/o riscrivendone altre. -
La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Allora ragazzi, si arlava di una pubblicazone delle varie "nostre storie", magari iniziando proprio da quella più longeva e adatta ad un romanzo (quella dei supereroi e dei vampiri non è molto adatta o corale), quidni quella fantasy. Il problema è che, a mio parere, vanno sistemate alcune cose sotto la mano sapiente di uno o più supervisori che dovrano anche prendersi la briga di modificare alcune parti narrative per adattarle ad un unico stile e per dare loro una coerenza. Quindi si dovrebe: 1- Scegliere i supervisori 2- Unire la storia rendendola omogenea 3- Ampliare delle parti, in quanto la storia, se ci avete fatto caso (ma può essere che sia una mia impressione), ha degli eventi che accadono troppo in fretta e che potevano invece essere ampliati, magari facendo conoscere meglio i personaggi. A mio parere, inoltre, preferirei finire la storia prima di pensare alla pubblicazione. Fatemi sapere che ne pensate. -
La nostra storia - Fantasy 2
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Diciamo che questa la facciamo a tempo libero, quando non abbiamo idee sulle altre, ma magari abbiamo voglia di scrivere. La concentrazione (perlomeno la mia) rimarrà sull'altra. Inoltre, a proposito della pubblicazione, posto un messaggio sotto "La nostra storia - supporto hardware". -
videogiochi i migliori titoli che avete provato ..
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di PanuZ in Videogiochi e Informatica
Sparatutto Halo Halo 2 Far Cry RPG Morrowind Baldur's Gate 1 e 2 Il Tempio del Male Elementale Giochi di Guida Need for Speed Underground II Colin McRae Rally 2005 Strategia in Tempo Reale Starcraft Rome Total War Medieval Total War In Rete Quake 2 Soldier of Fortune II Neverwinter Nights -
La nostra storia - Fantasy 2
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Non sapeva dire da quanti giorni aveva lasciato il Sarelo Lothe, quel villaggio che lo aveva ospitato per qualche tempo, dandogli il solito temporaneo rifugio dal quale sarebbe dovuto fuggire per non mettere in pericolo di vita le persone alle quali teneva. E così la sua forbice diede un altro taglio netto ad un’altra parte della sua vita, portandolo lontano da lì e da quella gente che aveva imparato ad apprezzare, gettandosi di nuovo nel ruolo del fuggitivo. Ma da chi fuggiva però, ancora non lo sapeva. C’era sempre qualcuno che lo voleva uccidere, delirando sulla rovina del mondo. Qualche volta erano semplici attaccabrighe, altre rispettabilissimi paladini che sembravano quasi tristi di doverlo fare. E poi c’era sempre quel cavaliere nero, quell’uomo che riusciva a trovarlo ovunque andasse, combattendolo e lasciandolo ogni volta immerso nel suo sangue, in fin di vita… ma senza ucciderlo. Era lo stesso che aveva ucciso la sua Gwendolyne, il suo primo amore. Eppure nonostante fosse accecato dalla sua sete di vendetta, verso di lui provava solo una rispettosa paura. Quel cavaliere era più forte, non c’era nulla da fare. Ed in più aveva ancora addosso la maledizione che gli aveva inflitto quel pugnale incantato, lasciandogli una ferita al petto che si apriva ogni giorno e che lo avrebbe ucciso se non l’avesse curata ogni volta con delle erbe speciali che lui rubava ai negozi che rifornivano i templi dell’Ordine del Fuoco Fatuo. Ricorda ancora quel chierico e quei paladini che, entrati in casa sua subito dopo la morte di Gwen ed il suo ferimento, lo hanno invitato a fuggire, indicandogli come e dove curare la sua ferita. Si toccò il petto, fermandosi un attimo accanto ad un albero del bosco. Sbottonò la parte superiore della camicia e vide quell’orrenda cicatrice proprio all’altezza del cuore. Era ancora verdognola per via delle erbe, ma sapeva che tra qualche ora si sarebbe riaperta. Prese lo zaino e lo aprì, controllando le razioni di erbe che gli erano rimaste e stando attento a non rovinare i tre contenitori delle rose. Ancora cinque o sei applicazioni, corrispondenti ad altrettanti giorni di vita. Doveva raggiungere quel villaggio di cui vedeva i comignoli fumanti o la sua sarebbe stata una fuga breve. Camminò per qualche minuto, seguendo il rumore sommesso di un fiume. Sapeva che oltre di esso vi era il villaggio che cercava. Ancora non aveva deciso se fermarsi in quel posto, iniziando di nuovo una parvenza di vita, o continuare a fuggire, mettendo più strada possibile tra il suo passato e quel futuro incerto che vedeva innanzi a sé. Per il momento sapeva solo di dover prendere una stanza in paese, lasciar passere due giorni e poi infiltrarsi di notte nell’erboristeria che riforniva i templi dell’Ordine del Fuoco Fatuo per rubare quelle erbe che per lui erano la vita. Stava pensando proprio a che tipo di accoglienza sarebbe andato incontro, quando sentì delle urla femminili provenire da poco oltre il fiume. Si chinò istintivamente, un gesto che gli aveva salvato molte volte la vita. Da dietro il cespuglio guardò in direzione dell’urlo. E quello che vide gli gelò il sangue nelle vene, facendogli salire una rabbia troppo a lungo repressa. Stavano violentando una giovane donna, legata ad un albero. Intorno vi erano corpi impiccati e più in là un altro a cui era stata tagliata la gola. Poteva vedere la chiazza rossa sotto la sua testa. Respirò profondamente, attingendo alla sua esperienza per calmarsi e ragionare su cosa doveva fare senza rischiare la vita, mentre un angolo della sua mente imprecava contro la sorte che gli aveva tolto la possibilità di un arrivo tranquillo al villaggio. Contò gli uomini. Erano dieci. Nove raggruppati vicino alla povera donna che urlava. Uno invece stava tornando verso di loro, pulendo il coltello dal sangue dell’uomo appena sgozzato. Tirò fuori l’arco e incoccò una freccia, controllando che la faretra magica funzionasse e gliene rifornisse un altra al momento del bisogno. Era sempre stato un eccellente tiratore, pur preferendo la spada. Ora era il momento di dimostrarlo. La punta della freccia trapassò il collo dell’uomo isolato, facendolo cadere a terra senza un rantolo. Gli altri non si accorsero di nulla, impegnati a proseguire il loro gioco perverso. Studiò rapidamente la loro posizione e cominciò a tirare, colpendoli in modo che gli altri, girati verso quella macabra scena di violenza, non si accorgessero del compagno caduto. Ma sapeva che sarebbe durato poco. Ne fece fuori tre, poi gli altri si accorsero della morte dei loro compagni. Si girarono in tempo per vederne cadere altri due, le frecce conficcate nel collo. Ne rimanevano quattro. Uscendo dalla copertura del cespuglio, mise l’arco dietro le spalle ed estrasse la spada, iniziando a guadare il fiume lentamente, in un chiaro accenno di sfida verso i superstiti. Quelli si limitarono a sorridere ed a sfoderare le loro armi, incuranti delle urla della ragazza e della morte dei compagni. Che razza di gente era? Non avevano un briciolo di umanità? La cosa lo fece arrabbiare ancora di più. Si lanciò correndo verso di loro, la spada alzata come un enorme falce mortale che rifletteva il sole. Per un attimo quegli uomini rimasero sbigottiti nel vedere la bellezza dell’arma. Poi caricarono a loro volta. E fu l’ultima cosa che fecero. Batrea aprì gli occhi nel sentire le corde che venivano allentate. Guardò davanti a sé, la vista appannata dalle lacrime. Una mano la toccò sul viso, cercando di asciugare quel salato segno del dolore. Cercò di divincolarsi, ma alla fine era troppo stanca per poterlo fare. Appena furono sciolti tutti i lacci, si sentì cadere a terra, ma delle braccia forti la sorressero, posandola delicatamente sul tronco. Con gli occhi cercò di mettere a fuoco quella figura indistinta che aveva ucciso i suoi stupratori. Vide la barba di tre giorni incolta e i capelli lunghi e castani che gli arrivavano alle spalle, spettinati e disordinati, i quali incorniciavano un viso, che pur se era chiaramente giovane, sembrava molto più vecchio. Fissò per un lungo attimo quegli occhi marroni e verdi così profondi e vi lesse pietà e dolore, mentre quella bocca dalle labbra sottili le sussurrava dolci parole di conforto. Non sapeva che fare, ma alla fine si lasciò andare in un pianto liberatorio, abbracciando lo sconosciuto. Pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, smettendo solo quando si accorse che stava per svenire. Allora si sciolse dall’abbraccio, sussurrando un “grazie” appena percettibile sopra i singhiozzi. Si asciugò di nuovo gli occhi e disse la prima cosa che le venne in mente: «Chi siete?» Solo in quel momento un soffio di vento scostò i capelli del ragazzo che aveva di fronte, rivelando due orecchie leggermente appuntite. «Siete un… elfo? Eppure non dovreste… avere… la barba…» Non capiva come le venissero in mente certe parole. Lui la guardò con un sorriso dolcissimo e fece un leggero inchino con la testa: «Sono un mezz’elfo, mia signora. Il mio nome è Joram, detto il Rosebringer.» -
Lezioni di scrittura
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Hai perfettamente ragione, Wolf. E' una cosa di cui mi rendo sempre conto anche io e cerco infatti di limitarmi. Il fatto è che quando scrivo "La nostra storia" lo faccio motlo di getto, avendo al massimo in mente soltanto delel piccola indicazioni su cosa fare (che la maggior parte delle volte modifico in corso di scrittura). Infatti noterai come in altri racconti lo uso molto poco. Comunque grazie per la segnalazione. Provvederò a migliorare anche questo lato.