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Joram Rosebringer

Circolo degli Antichi
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Tutti i contenuti di Joram Rosebringer

  1. Non ti preocupare, Manzotin... noi sappiamo quello che succederà, no?
  2. Buongiorno, Peter. Giornata dura di lavoro oggi, tra inserimenti di dati e modifiche. Ma non mi lamento e, per la prima volta da anni, devo dire che quello che sto facendo mi piace. Ormai sono più di due settimane che non ti scrivo, eppure sono state due settimane piene di eventi. Ma forse è stata proprio l'intensa attività che ho avuto a non darmi il tempo di mettermi qui a raccontarti quello che mi succedeva. Sono un fuorilegge, Peter. Ti ricorda niente questo? Tu lo sai bene che significa fare del bene e venire ricompensati da sguardi di odio e didiffidenza. Be', ora lo so anche io. Avevo rimesso la maschera di Uomo Ragno proprio per proteggere la stessa gente che mi sta accusando. E questo è il ringraziamento. Ma non mi lamento e vado avanti. Nonostante quello che dicono su di me, avranno sempre il mio aiuto. Non importa quello che pensano. Importa soltanto che al momento del bisogno l'Uomo Ragno sarà presente per aiutare nel migliore die modi possibili... anche contro questi superesseri che ormai sono dappertutto e che sono la causa del mio essere diventatio fuorilegge. In tutto questo tempo in cui non ti ho scritto, tranne per una breve parentesi in cui sono stato a Palermo, ho affrontato una decina di criminali dotati di superpoteri. In qualche caso me la sono vista brutta, ma sono sempre riuscito a cavarmela. Il fatto è che questi scontri tra superesseri non piacciono al governo, né alla polizia, in quanto mettono a rischio la vita delle persone comuni. E, nonostante i miei sforzi per evitare e limitare i danni di queste battaglie, alla fine anche io sono stato inserito tra questa categoria di criminali... alla faccia di tutte le volte che ho salvato la vita alle persone. Finché si trattava di mettere a tacere un criminale normale, allora tutto andava bene: poco casino, un lavoro pulito e rapido e la cosa passava negli annali della storia, archiviandola come l'ennesima spettacolare impresa dell'Uomo Ragno. E tutti ad applaudire e a considerarsi felici di vivere nella stessa città di questo benefattore in maschera. Invece ora vogliono che io mi tolga la maschera, che riveli la mia identità per poter così verificare se sono un criminale o no, pur se so che alla fine mi arresterebbero lo stesso, visto che comunque ritengono anche me responsabile dei danni causati dalle battaglie. E quindi non mi resta altro che tenermi ancora più stretta la mia identità segreta e stare ancora più attento quando si tratta di intervenire. E la cosa è rischiosa. Un poliziotto troppo zelante è arrivato addirittura a spararmi, dicendo che io stavo per colpirlo con una tela, quando invece la stavo lanciando in alto per andarmene dal luogo in cui avevo appena salvato delle persone dalle grinfie di un rapinatore. Meno male che ho i miei riflessi amplificati, o adesso non starei raccontando questo. Inoltre sono stato ancora una volta contattato da quell'Electro che insiste nel propormi di entrare in una sorta di gruppo si supereroi per combattere i "cattivi". Ma ancora una volta ho rifiutato. Con il mio potere voglio salvare delle persone e non alimentare delle lotte in cui queste potrebbero rimanere ferite... o peggio. Be', ora ti saluto, Peter. Si torna al lavoro. Chissà cosa mi riserverà questa sera.
  3. Il cavallo si impennò un poco appena Ashling strinse le sue briglie in un riflesso di rabbia nel riportare alla mente quei ricordi. Le lasciò andare, tentando di controllarsi e calmò l'animale, imponendogli di continuare per la sua strada. Prese un sospiro e ricominciò: «Feci tutti i lavori più umilianti che potessi immaginare, prestando la mia opera a persone che ogni volta tentavano di avere qualcosa da me, qualcosa che non avrei mai donato a nessuno di loro. Mi fu proibito il sogno di un... un... Amore...» La parola le uscì con visibile sforzo. «... di un uomo che potesse prendermi e portarmi via da tutto e da tutti. La mia bellezza me ne faceva avere molti, ma nessuno voleva avere me, bensì solo il mio corpo. E non lo avrei mai dato a gente del genere. «Vagai di villaggio in villaggio con mio padre che stava malissimo, avendo sempre la schiena a pezzi per i lavori manuali che faceva per avere un tozzo di pane con cui sfamarci. E non vi era giorno in cui non maledivo mia madre per avermi sottratto l'occasione di avere quei poteri, di poter vivere senza problemi. Nella mia testa vagavano solo immagini di vendetta, di agonia. Volevo avere mia madre davanti e succhiarle tutto quello che aveva... tutto! Invece potevo solo vagare per il mondo, portando mio padre come un fardello troppo pesante per una ragazza di appena 18 anni. «Poi, dopo due anni dalla scomparsa di mia madre, mio padre morì ed io mi ritrovai sola. D'istinto tornai al villaggio in cui ero cresciuta, trovando lavoro presso un locandiere che mi pagava a malapena per potermi permettere di mangiare. Imparai a cacciare per conto mio e mi costruii una casa di rami ai limiti del bosco per avere un minimo di riparo. «Poi arrivò quel giorno. «Uscii dalla locanda che ormai era notte, come al solito, e mi avviai verso il mio rifugio. Stavo percorrendo il solito vicolo, quando davanti mi apparvero sei ragazzi. Conoscevo i loro volti: facevano parte di quelli che avevo illuso e poi scaricato per vendicarmi. E loro si stavano per vendicare di me. «Sai benissimo quello che è successo. Lo hai provato sulla tua pelle.» Ashling guardò Aixela con gli occhi leggermente lucidi e la vide annuire, come se non sapesse cosa rispondere, ma caricando il silenzio di significati. «Mi violentarono e mi picchiarono, lasciandomi sotto quell'albero a piangere. Per tutta la notte restai in quel luogo, imprecando contro mia madre che non mi aveva dato i suoi poteri ed aveva permesso che mi succedesse una cosa del genere. «La mattina seguente venni svegliata da un uomo... un mago. Mi portò a casa sua ed io ero troppo stanca e disperata per poter opporre resistenza. Mi offrì da mangiare e da bere, ma rifiutai, chiudendomi in un angolo. Passai lì qualche giorno, sentendo lo stomaco che si contorceva per la fame. Una parte di me voleva morire e lasciare per sempre questo mondo, mentre un'altra parte voleva vivere solo per incontrare mia madre... ed ucciderla! «L'istinto di sopravvivenza si fece sentire ed un giorno mi alzai da quell'angolo, facendo colazione con tutto quello che lui amorevolmente mi lasciava ogni giorno, gettandolo quando ormai diventava chiaro che non avrei mangiato. Lo vidi entrare nella stanza e sorridermi. E da quel momento vissi sotto la sua ala protettiva. «Ed intanto il giorno in cui sarebbe dovuta tornare mia madre si avvicinava. Volevo incontrarla, urlarle la mia rabbia e poi ucciderla. Ma sapevo anche che non potevo, essendo lei stessa una dea. «Finché il mago mi diede la soluzione. Sapeva tutto di me... e sapeva anche come avverare il mio desiderio, riuscendo allo stesso tempo a rubare tutto il potere da lei. Sarei dovuta tornare nel mio luogo di nascita, il posto in cui sarebbe avvenuto il rito che avrebbe consegnato mia sorella alle divinità. In cambio lui voleva solo del potere, voleva essere il mago più forte sulla faccia della terra. Glielo promisi. «Così partimmo verso Merenil.» Ashling si interruppe per ascoltare qualcosa che solo lei poteva sentire. Aveva identificato il demone. E sapeva che stava per attaccare. Ma Aixela non doveva saperlo... non ancora. «Passammo alcuni giorni nell'anonimato più totale, vivendo di cacciaggione e frutti all'interno del bosco. Finché arrivò il giorno del rito. «Non so bene quello che successe, Aixela. «So solo che il mio odio era più potente di quanto potessi mai immaginare e che il mio pugnale spaccò in due il cuore di mia sorella, proprio mentre il potere fluiva in lei.» Ashling sospirò in un misto di rabbia e di tristezza. «E da allora sono diventata io la dea... e la profezia si è avverata: la prima figlia di Alixa avrebbe portato morte e distruzione. Se mia madre mi avesse dato i poteri non sarebbe successo, non mi sarei nutrita di odio e rancore, non avrei odiato il mondo intero che mi ha solo maltrattato. «Ma, come ho imparato, al destino non si sfugge. Non è servito neanche rinchiudermi. Sono stata liberata... grazie a te. Ed ora la dovranno pagare!» Ashling sospirò ancora. Aveva finito. Aixela non sapeva che dire. Sapeva di non averla liberata volontariamente e che quindi non poteva sentirsi colpevole di tutto quello che sarebbe successo tra pochi giorni. E soprattutto la capiva. Quante volte aveva desiderato sfruttare la sua spada per vendicarsi? Quante volte avrebbe voluto fare fuori tutti i Cavalieri di Jamalièl che l'avevano scartata perché diversa? Tante... troppe volte. Ma alla fine l'unica cosa che le venne da dire fu questa: «E che fine fecero tua madre e il mago?» Ashling sorrise, un sorriso malevolo. «Mia madre... la carbonizzai sul posto... come un comune essere umano!» Le scappò una risatina. «E il mago... be'...» Guardò Aixela. «E' il lich che sta cercando di catturare il kender, lo stesso che hai già incontrato in quel semipiano infernale.»
  4. Il finale esatto che avevo proposto tempo fa era il seguente: Luogo: Un chiostro in rovina Tempo: Notte fonda e pioggia incessante Situazione: Due o più persone si incontrano ed interagiscono ed alla fine della loro interazione cambierà radicalmente il destino di almeno una di loro.
  5. Intanto io continuerò il racconto di Ashling che comunque si accorgerà che sta succedendo qualcosa al gruppo. Anche Aixela dovrebbe sentir qualcosa quando Alathariel e Lirian saranno in pericolo. A proposito di quest'ultima, mentre scriverò la parte relativa a Ashling a Aixela, farò dei falsh del combattimento, facendola agire un po' (per quel poco che potrà fare). Non so ancora come gestire un eventuale arrivo di Aixela sulla nave, in quanto la stessa Ashling le aveva promesso che ai suoi amici non sarebbe successo nulla. Se qualcuno ha qualche idea la dica. Sappiate solo che con il mio prossimo post, la storia di Ashling si dovrebbe concludere e quindi poi le due potranno essere utilizzate più attivamente.
  6. Lirian era un personaggio creato da daermon, ma che lui ha poi lasciato a me per il controllo, vista la storia dei tatuaggi e della sua relazione con Trebor e Aixela. Quindi a Lirian ci penso io... anche se non so quanto possa fare contro un Balor senza Aixela che la infonde di magia...
  7. Ashling bevve un sorso d'acqua e si alzò in piedi. Chiuse la borraccia e la legò alla sella del cavallo insieme allo zaino, che richiuse metodicamente. Si girò verso la sua compagna e la vide fare le stesse cose, pur se era solo il corpo ad eseguire quei movimenti, la mente troppo impegnata a pensare a quello che aveva appreso. Pur senza leggerle la mente, Ashling capiva che Aixela stava pensando a quello che aveva percepito e visto in qeul villaggio, cercando di collegarlo con tutto quello che le era stato raccontato finora. E forse stava anche cominciando a capire qualche cosa. Le bastava ancora poco per apprendere tutta la verità e le motivazioni più recondite. Ashling salì in sella e aspetto che Aixela facesse altrettanto. Solo dopo che ebbero spronato i cavalli continuò la sua storia. «Mia sorella fu chiamata Alissa, in onore di mia madre. Ed era bellissima. Un fiore di bambina. Solo i suoi occhi sarebbero bastati per calmare anche gli animi più irruenti. L'intero villaggio sembrava ora attirato dalla nostra famiglia. Tutti entravano in casa solo per vedere la bimba, congratularsi con i genitori e farle qualche regalino. Ci adoravano. Ma era tutta invidia. I miei genitori avevano generato due creature bellissime, due esseri come nessuno ne aveva mai visti. Mia madre stessa era di una bellezza disarmante, come mio padre. E a nessuno andava giù che questi... questi... "isolani" avessero più successo di loro. «E ben presto la loro invidia si scatenò con tutta la loro forza. Cominciarono a non venire più al negozio di mio padre. Anzi ne aprirono uno uguale a pochi metri. In questo modo speravano che ce ne saremmo andati dal villaggio. «E così fu. Ce ne andammo pochi mesi dopo, diretti verso una meta che neanche noi conoscevamo. Mia madre non osava intervenire per una sorta di correttezza interna. La ammiravo per questo, ma avevo sempre in mente le sue parole, la sua scelta del non donarmi i poteri per qualche assurda profezia. Saremmo dovuti vivere ancora insieme per altri dieci anni, poi lei avrebbe eseguito il rito per donare i suoi poteri a mia sorella.» Ashling sospirò. Poi si guardò intorno, come per vedere se stavano facendo la strada giusta. Infine abbassò il capo e continuò. «Per cinque anni girammo di villaggio in villaggio, vivendo solo di quello che la natura offriva. Imparai a cacciare e a combattere contro le insidie delle strade, proteggendo tutti da qualsiasi attacco, dal momento che mia madre rifiutava di usare il suo potere. «Passati i cinque anni però, lei se ne andò con mia sorella. Doveva prepararsi e prepararla al rito. «E da quel momento fu un incubo.»
  8. Aixela addentò un pezzo di carne secca senza avere realmente fame, ma con la consapevolezza di chi sa che dopotutto deve mangiare se vuole rimanere in forze. Guardava la sua compagna fare la stessa cosa, gli occhi persi a contemplare qualcosa che solo lei poteva vedere. Per un attimo le parve di vedere un brivido, ma non era sicura. Ashling era consapevole degli occhi su di lei. Ma al momento stava cercando di capire che cosa fosse successo. Aveva avvertito che altri due esseri erano entrati in questo mondo. Il primo la preoccupava relativamente, pur essendo forse uno dei pochi che aveva una minima probabilità di fermarla. Il secondo invece la inquietava. Si concentrò, ma riuscì solo a capire che era stato evocato dal lich, da quel suo servo inconsapevole che stava diventando sempre più troppo zelante nel suo lavoro. Sapeva però che se lo avesse detto ad Aixela avrebbe soltanto ottenuto di vederla sparire per accorrere in difesa dei compagni. Ed ora lei le serviva. E si accorse che non la voleva accanto solo come alleata, ma come confidente. «Io e mio padre rimanemmo soli per non so quanto tempo.» Cominciò tutto d'un tratto la ragazza dai capelli neri come la notte. «Ed intanto io crescevo con la mancanza di una madre al fianco. Le mie lacrime venivano sempre ricacciate indietro da mio padre, ma quando lui era al lavoro, io non poteva far altro che piangere in silenzio ed aspettare il suo ritorno. Non avevo nessuno. In quel villaggio essere figlia di una persona che aveva lasciato la famiglia comportava l'esclusione dalla comunità... e quindi... la solitudine.» Sospirò, bevendo un sorso d'acqua dalla borraccia. «Avevo soltanto pochissime amiche, ragazze ancora troppo piccole per capire cosa era bene e cosa era male, persone alle quali non importava come eri e da dove venivi, ma che ti accettavano per chi eri. Mi fidavo ciecamente di loro. Crescendo, eravamo costretti a vederci di nascosto per non farci scoprire dai loro genitori, così attenti che le loro figliole non entrassero in contatto con gente "contaminata" da un'assenza come me. I ragazzi neanche mi guardavano, troppo impegnati a farsi belli davanti a chi meritava la loro attenzione... e quindi non ad una brutta semiorfana come me. «Ma col passare degli anni aumentò anche la mia bellezza. Ed aumentò in maniera spropositata. Il brutto anatroccolo divenne il più bel cigno del villaggio. E si prese le sue rivincite. Non so quanti cuori abbia infranto, quanti ragazzi abbia fatto cadere ai miei piedi, illudendoli, solo per poi gettarli alle ortiche come spazzatura. Mi divertivo a vederli sbavare dietro di me, esaudendo ogni mia richiesta, dando importanza a chi solo pochi anni prima vedevano come un rifiuto. Avevo la sensazione di essere onnipotente e di poter avere tutto nelle mie mani senza sforzo. E forse era davvero così. «Finché un giorno tornò mia madre.» Lo sguardo si fissò verso un punto imprecisato davanti a lei. Aixela ebbe la sensazione che, se si fosse girata in quel punto, avrebbe potuto vedere le scene di cui stava parlando, data l'intensità di quello sguardo. Poi Ashling scosse leggermente la testa, mandò giù l'ultimo boccone di carne secca e continuò. «Stavo tornando a casa, carezzando uno splendido medaglione che mi aveva regalato il mio attuale ragazzo, uno dei tanti illusi che avrei scaricato il giorno dopo. E anche il medaglione sarebbe finito presto nella mia collezione. «Entrai in casa e la vidi sulla porta intenta a parlare con mio padre. Stavo per correrle incontro e riabbracciarla, quando vidi che lui si inginocchiava in segno di adorazione... come se fosse una dea. Poi lei lo alzò gentilmente con un sorriso e si girò verso di me e sentii qualcosa... non so cosa... come una forza fisica che mi colpisse in pieno viso, ma che non mi fece del male. Capii molte cose. Senza dirmi niente, ma con la sola forza del pensiero, mi aveva detto tutto: era una dea, la più potente di tutte, e aveva scelto mio padre come depositario del seme che avrebbe generato sua figlia, colei che avrebbe ricevuto tutto il suo potere divino per vegliare sulle sorti del mondo insieme agli altri dei. «Non ci volevo credere, ma tale era la forza del suo pensiero che capii che tutto quanto era vero. Mi sentivo confusa ed allo stesso tempo si apriva in me una sorta di orgoglio per essere una prescelta. Avrei avuto dei poteri divini, sarei stata accanto agli altri dei ed avrei fatto in modo che il mondo fosse un posto migliore. Oltre a questo, mi immaginavo la faccia di tutti quelli che avevo scaricato, ma ricacciai subito il pensiero con la paura che mia madre avesse potuto leggerlo. «Poi lei si avvicinò a me, lo sguardo triste: "Ashling," mi disse, "vorrei davvero poterti dare tutto il mio potere, vorrei davvero che tu fossi la dea tra gli dèi... ma non posso. Per tutto questo tempo sono stata via perché avevo ricevuto una tremenda premonizione. E riguardava proprio te, mia cara." Fece una pausa, come per darmi il tempo di assorbire l'impatto della notizia. Poi riprese: "Mi hanno avvisata che la prima figlia che avrei con quest'uomo sarebbe stata la rovina del mondo e lo avrebbe distrutto e ridotto in sofferenza e morte. E questa figlia sei tu." Rimasi pietrificata nel sentire questa rivelazione. Pensai subito a come avevo maltrattato quei ragazzi, illudendoli e spezzando più volte i loro cuori. Stavo per dire che sarei cambiata quando lei mi interruppe: "Non c'entra nulla quello che hai fatto, piccola mia. Non sei tu ad essere sbagliata. Sarebbe sbagliato darti i miei poteri, la mia divinità. Sei una splendida ragazza, magari con qualche difetto, ma stupenda. Eppure non posso." Mi abbracciò, poi si allontanò con mio padre, lasciandomi sola. «E nove mesi dopo nacque mia sorella.»
  9. Dove posso scaricare le patch per il gioco, comprese quelle in italiano? Ho il gioco base e le due espansioni. Grazie.
  10. Aixela cavalcava silenziosa al fianco di Ashling, ascoltando i veloci zoccoli dei cavalli che colpivano il terreno del sentiero. Nella sua mente aveva ancora le immagini di quel villaggio, ora cancellato dalla faccia della terra. Vedeva le fiamme che lambivano le case, i corpi carbonizzati di chi era rimasto dentro di esse o aveva tentato un'inutile fuga. Vedeva anche i copri con gli arti mozzati, con le teste tagliate o con orrende ferite sul corpo. E non capiva se rabbrividire o compiacersi del fatto che quel lavoro era stato fatto proprio dalla sua spada. Ashling rallentò la sua corsa e Aixela fece altrettanto. Si trovavano ora in una radura lontana da quel villaggio fantasma, dirette verso la grande città di Kradir. Da lì si sarebbero poi dovute dirigere verso i monti Kylionberg, dove avrebbero risvegliato i draghi sopiti da un lungo sonno e dall'attesa del ritorno della loro dea. Poi era solo questione di volare verso la distesa sabbiosa di Kraansand e risvegliare i morti dal quel cimitero abbandonato e maledetto, dove facevano la guardia da millenni. Il momento era quasi giunto. Ancora pochi giorni di viaggio e sarebbero arrivate ai monti. E da quel momento il mondo sarebbe cambiato. Ma prima Ashling sapeva che doveva fare una cosa, che doveva chiarire alcuni dubbi di Aixela. Si scoprì a pensare che però non lo faceva solo per tirarla ancora di più dalla sua parte, ma perché credeva di doverglielo per una sorta di correttezza nei suoi confronti. Si era gettata al suo seguito, dando ascolto soltanto a sensazioni a malapena percepite. E aveva anche provato sulla sua pelle quello che le era successo, quell'evento che l'aveva cambiata. Glielo doveva. «Mio padre era un bellissimo uomo, un onesto abitante della città di Merenil.» Cominciò Ashling, sospirando sotto gli occhi attenti e sorpresi di Aixela. «Era un semplice stalliere alle dipendenze del tempio locale. Sua moglie era morta qualche tempo addietro e lui ne soffriva ancora la mancanza. Per questo ogni giorno andava al tempio a pregare, offrendo doni che a malapena poteva permettersi. «Un giorno, mentre entrò nel tempio, lo trovò stranamente vuoto. C'era solo una donna, una bellissima donna dai lunghi capelli neri e gli occhi profondi come la notte. Gli disse di chiamarsi Alixa e di essersi perduta. Lui la ospitò anche se,per dare da mangiare a lei, non avrebbe potuto mangiare lui stesso. «La cosa andò avanti per una settimana, finché un giorno, tornando a casa dal lavoro, mio padre trovò la tavola riccamente imbandita di ogni genere di prelibatezza. Su di essa ardevano due candele finemente lavorate che rilfettevano la loro luce su dei piatti di porcellane riccamente intarsiati in oro, poggiati su una tovaglia di seta blu. Le sedie sembravano ricavate da un unico pezzo di legno, così come il tavolo sul quale brillavano dei calici di cristallo e delle posate d'argento. «Mio padre restò senza parole. Non poteva credere ai suoi occhi. La sua parte razionale gli urlava che quella roba forse era stata rubata e che lui si era messo in casa una ladra. «Alixa si avvicinò a lui, dicendogli di stare tranquillo, che quelle cose altro non erano che un dono per la sua bontà e dedizione. «Mangiarono insieme tutta la sera. Bevvero dell'ottimo vino. Mio padre non era abituato all'alcol e quindi divenne subito brillo. Alixa ne approfittò e lo portò su un letto bellissimo nella sua camera. E su di esso fecero l'amore. «Ed Alixa divenne mia madre.» Aixela sgranò gli occhi. Volevo dire qualcosa, ma lasciò continuare la sua compagna, i cui occhi ormai erano ancorati ai ricordi. Ashling prese un sospiro profondo e ricominciò: «Restarono insieme in quella città per tutti i nove mesi che precedettero la mia nascita. Appena ebbi compiuto un anno, si trasferirono in altro villaggio, fuori dall'isola. Mio padre aprì un negozio di sartoria e ristruttutturò una vecchia casa quasi al centro del paese.» Guardò Aixela per un attimo. «L'unica che hai lasciato in piedi.» Osservò lo sguardo colpevole della ragazza con una certa soddisfazione, poi riprese. «Vivemmo bene per qualche anno. Poi mia madre se ne andò, dicendo che doveva fare un lungo viaggio. Furono inutili le resistenze di mio padre ed i miei pianti.» Sospirò, gli occhi che vagavano tra le immagini ed i suoni del passato. Si fermò accanto ad un boschetto. «Accampiamoci qui per far riposare i cavalli. Mangiamo qualcosa e poi ripartiamo.» Aixela annuì, smontò da cavallo e cominciò a rovistare nello zaino per prendere qualcosa da mangiare, la mente impegnata a immaginare quello che la sua compagna le avrebbe dovuto raccontare ancora.
  11. Quella di ieri mi ha fatto morire dal ridere! Grande il "Pape Satan Pape Satan Aleppe"!
  12. Lo so che è un argomento duro, ma è una cosa che ho sempre odiato sin da quando sono relativamente piccolo...
  13. (... continua) Torni silenziosamente verso quella finestra che aveva lanciato il suo grido d'amore, verso quella coppia di ragazzi abbracciati nella penombra che ti avevano fatto udire un canto di speranza e vita in questo mondo che sopravvive. Ti arrampichi ancora una volta sopra quell'albero, mascherando la tua mente da tutti i pensieri che la martellano, sforzandoti di usare solo i tuoi occhi e le tue orecchie per assistere di nuovo a quella poetica melodia. Guardi oltre le persiane ancora accapannate, penetrando quel luogo segreto, quel giaciglio in cui li vedi ancora insieme, abbracciati l'uno all'altra. Immediatamente senti che tutto il marciume di cui ti sei nutrito questa sera se ne va, trasportato via da un torrente di emozioni, lasciando la tua anima pulita. Ti accorgi troppo tardi che qualcosa non va. Proprio mentre cominci a capire che lei sta piangendo e lui le sta sussurrando dolci parole di conforto, senti la tua mente aprirsi a dei pensieri, ad un urlo diperato che squarcia le tue protezioni. Cadi a terra senza tentare neanche di aggraparti. Il mondo non sembra più lo stesso. Davanti a te vedi una discoteca, tanti amici, persone che ballano. Ti vedi ad uno specchio, una bella ragazza che balla insieme agli altri, cercando per un momento di dimenticare la quotidianità, i problemi, muovendo il tuo aggraziato corpo femminile solo per scrollare via tutto. Poi come tutte le sere, anche questa finisce e comincia il solito ritorno a casa. I tuoi amici hanno bevuto un po'. Anche tu ti senti brilla. E la macchina è parcheggiata lontana, in un parcheggio ormai vuoto. Vi avviate verso di essa, pronti a tornare alla normalità. Non sei preoccupata: pur se la strada da fare per il ritorno è tanta, il tuo migliore amico è alla guida e vi ha sempre riportato a casa sani e salvi. Sali in macchina nel sedile posteriore ed ai tuoi lati entrano gli altri due amici, mentre lui si siede al posto di guida, accanto ad un altro. Ma proprio mentre mette in moto la macchina quei due cominciano a toccarti, a fare apprezzamenti che, pur se appaiono lusinghieri, non ti vanno a genio. Tu respingi le loro mani, sorridi forzatamente, ma poi ti fai seria. Non ti accorgi che non state uscendo dal parcheggio, ma che vi state addentrando in esso. Appena lo fai notare, ti appre davanti il riflesso metallico di un coltello che ti intima di scendere dalla macchina. La paura ti pervade. Aspetti che il tuo amico dica qualcosa, che li faccia riprendere, ma noti solo che si ferma e che scende dalla macchina anche lui, tirandoti per un braccio e sbattendoti violentemente sul cofano. Il coltello ti punghe la gola e non puioi far altro che sentire della mani ruvide che ti alzano la gonna, spotandoti le mutande di lato. Poi il dolore. Le tue lacrime. Il fiato ansimante di chi sta provando piacere violando il tuo corpo. Le sue parole. Muoviti! Fammi godere! Tanto non puoi urlare! Tanto nessuno ti potrà sentire! Quella voce così familiare, quella voce a cui volevi bene trasformata in un suono di lugubre violenza, in echi di dolore che percorrono tutto il tuo corpo immobilizzato dalla paura. Spinte sempre più forti. Mani che bloccano le tue braccia, altre che bloccano le tue gambe ormai irrimediabilmente aperte. Quella punta acuminata proprio lì sul tuo collo, sotto la tua gola. Voci che lo incitano a spingere di più e a sbrigarsi. E tu che preghi solo che tutto finisca nel bene o nel male, che quel dolore cessi e con esso forse la tua vita. Poi la fine di tutto. Il tuo amico è soddisfatto di quello che ha fatto, delle tue lacrime, del suo appagamento. Ti lascia abbandonata sul cofano a piangere. Poi ti sbatte in macchina, minacciandoti se dirai mai qualcosa a qualcuno. Arrivi a casa e ti chiudi nella tua camera, piangendo amaramente per non essere udita dai tuoi. E per la prima volta in vita tua maledici la tua bellezza, il tuo essere attraente. Vorresti asportarti la faccia, il corpo... tutto. Ma invece devi continuare a vivere ed a pensare in eterno a questo incubo che è diventato realtà. Per sempre. Ti alzi da terra, riuscendo finalmente a scacciare le immagini dalla tua mente. Senti lacrime di sangue correre copiose lungo il tuo viso, lacrime di dolore e rabbia verso chi sa rovinare una persona con dei sogni così belli, verso chi sa rubare un amore. Torni sull'albero e guardi ancora oltre la finestra. Lui la abbraccia e piano piano cominciano a fare di nuovo l'amore. Lei piange per la felicità di aver finalmente trovato il suo uomo, colui che cancellerà incubi e ricordi. E per la prima volta in vita tua ti ritrovi a pregare per due persone.
  14. Sono uno che rientra tra i fortunati possessori di TUTTI i Tex ORIGINALI sin dal lontano numero 1. Ma adoro anche Brendon, del quale ho la collezione completa, e Julia, che ho smesso per aver perso troppi numeri. Ho smesso di collezionare anche Nathan Never a casua delle ultime storie che non mi avevano proprio appassionato... e perché la saga dell'Agenzia Alfa era copiata ion tutto e per tutto da Evangelion! Ma il mio preferito è Gea in assoluto!
  15. Joram Rosebringer

    domanda...

    Nessuno apprezza il grande John Petrucci?
  16. Erano giorni che non mettevo il costume, giorni che lo guardavo ogni mattina appena mi alzavo, indeciso se indossarlo o no. Ed ogni volta riuscivo a vincere quell'impulso. Da quando sono tornato da Palermo non ho fatto altro che resistere, chiudendo le orecchie ad ogni richiesta di aiuto. Mia moglie sospetta di me, avendo visto come l'Uomo Ragno non abbia più fatto più apparizioni né a Palermo né a Roma, come se volesse evitare di farsi scoprire. Ed in effetti è stato così. Ma le mie battute cominciano a farla desistere dal suo sospetto. Praticamente le dico delle cose vere, le mie paure, i motivi per cui non mi faccio vedere in giro in costume, mettendole il tutto sotto una forma ironica che non le farebbe mai pensare che sia proprio io quell'essere che volteggia tra i palazzi appeso a delle ragnatele. Non mi sento ancora pronto a dirle la verità perché ho paura che si preoccuperebbe da morire per me... ed inoltre non so come possa prendere la notizia di essere sposata con un essere che si può definire un mostro. Inoltre i telegiornali non fanno altro che parlare di queste lotte tra super esseri. Finora ero l'unico con poteri straordinari e la concorrenza mi fa paura. Come mi fa paura il fatto che questi scontri sembrano spostarsi verso il Sud, partendo da zone come Varese, Udine e Ancona per poi arrivare a Bologna. Prossima tappa? Roma? Probabile... ma pauroso. Per questi motivi avevo abbandonato il mio bel costume in macchina, proprio sotto la ruota di scorta nel mio portabagagli, lontano da ogni tentazione mattutina o serale. Fino a ieri. Mi svegliai la mattina con il suono del cellulare. Era mia moglie che mi dava il buongiorno. Da quando sono tornato a Roma il sentirsi per telefono è tornata ad essere quella prassi dolcemente dolorosa che ci unisce, pur se distanti. Dopo qualche minuto al telefono, attaccai con quella nostalgia che mi pervade sempre dopo aver sentito la sua voce (dopotutto "salutarsi è un dolore così dolce che vorrei dire addio fino a domani") e mi apprestai a fare tutto quello che dovevo. Il pomeriggio sarei andato al cinema con i soliti e indispensabili amici a vedere "The Grudge", poi la sera di nuovo a casa ad aspettare la notte e con essa l'arrivo di un nuovo giorno di lavoro. Subito dopo pranzo presi la mia macchina ed andai a prendere i miei amici, sentendo nella mia testa la presenza del costume proprio lì, nel portabagagli. Cacciai via il pensiero per tutto il pomeriggio. Arrivai anche a pensare di lasciare perdere tutto, di bruciare per sempre quel costume e usare i miei poteri per le semplici faccende quotidiane, tipo spostare mobili, riparare l'antenna della televisione e cose del genere. In questo modo avrei anche superato la frustrazione di essere un supereroe, ma di non poter difendere la persona che amo, vista la distanza che ci separa al momento. Con questi pensieri uscii dal cinema, accompagnando a casa i miei amici. Arrivato a casa, mi fermai un attimo accanto alla macchina. Mi accesi una sigaretta, visto che era presto, nascosto dagli occhi vigili dei miei. Al primo tiro sorrisi al pensiero di cose penserebbe la gente se sapesse che l'Uomo Ragno fuma. Archiviai subito la faccenda pensando che, se non lo sanno i miei e mia moglie, come potrebbero mai saperlo degli sconosciuti. La maschera poi mi copre il viso per intero, quindi non potrei comunque andare in giro volteggiando con la sigaretta in bocca. Spensi la cicca sotto la mia scarpa e iniziai a masticare la solita e tattica gomma per mascherare l'odore del fumo. Salii in casa e telefonai a lei, per un'altra dose di amore e nostalgia. Poi la buonanotte ed il solito saluto che non si vorrebbe mai sentire. Stavo per mettermi il pigiama, pronto a vedere un film con mio fratello quando sentii una frenata ed uno schianto. Un incidente. Nulla di anormale. L'ennesimo nella strada poco distante, una strada rinomata per le macchine che la percorrono ad alta velocità. Eppure c'era qualcosa che non andava. Era più grave del previsto, visto che si udivano urla di gente disperata. Ma la cosa che mi diede l'allarme fu che tra le grida, invece di un più classico "chiamate un'ambulanza", vi erano cori di "chiamate la polizia"... ed altri che richiedevano il mio aiuto, qualcuno imprecando contro la mia sparizione. Ma non chiedevano il mio aiuto. Chiedevano quello dell'Uomo Ragno, di una parte della mia vita che volevo a tutti i costi accantonare. Come dice Ligabue, "Ho messo via un po' di illusioni che prima o poi basta così, ne ho messe via due o tre cartoni e comunque so che sono lì". Già... so che sono lì. Che senso ha metterle da parte? Dissi a mia madre che dovevo uscire. Lei come al solito mi ricordò che il giorno dopo sarei andato al lavoro e che era meglio se per una volta almeno rimanevo a casa. Ne seguì una lite pacata in cui la spuntai io. Non le piaceva che me ne andassi via mentre c'era gente che urlava e vincere la lotta fu dura, ma bastò dirle che facevo un'altra strada. Mi precipitai in macchina e afferrai la busta con il costume, saltando non visto il cancello che dava al cortile della chiesa. Salii sul campanile in fretta e lì mi cambiai. Ogni volta che mettevo un pezzo del costume, sentivo qualcosa dentro di me che si sbloccava, come dei lucchetti che venivano aperti per la libertà. Mi tornarono alla mente i momenti passati a volteggiare per il puro gusto di farlo, i panorami dai monumenti più alti di Roma. Indossai la maschera e fui di nuovo l'Uomo Ragno. Mi lanciai dal campanile e con un salto atterrai due palazzi più in là, proprio sopra a dove si stava svolgendo l'incidente. Appena guardai di sotto, mi accorsi che forse avevo fatto un errore. All'incrocio c'era una macchina con il frontale quasi distrutto, dentro vi erano due persone immobili. Sarei intervenutio subito, ma poco più avanti vi era qualcuno, qualcuno grosso. Stava sradicando un cartello stradale... e lo stava facendo senza il minimo sforzo! Mi vennero subito in mente gli scontri tra superesseri di cui avevo sentito parlare e capii di averne uno davanti. Guardai poco più in là e mi accorsi che non era solo. Ne stava affrontando un altro. Lo guardai e notai un costume aderente dai colori imprecisati sotto la luce dei lampioni. Era sdraiato a terra con una mano ancora leggermente illuminata. Notai solo allora una bruciatura nel fianco dell'altro. Evidentemente doveva averlo colpito. Scossi la testa, convicendomi a lasciar stare quell'analisi della situazione. C'erano due opersone in macchina che avevano bisogno di aiuto, ma prima ancora dovevo impedire che quell'essere muscoloso spaccasse il cranio all'altro dai poteri strani. Lanciai due tele verso la schiena di quell'armadio ambulante e tirai, facendolo cadere a terra. Poi mi lanciai in strada, atterrando proprio davanti a lui che cercava di rialzarsi. Capii all'istante che il mio vantaggio era solo quello di averlo atterrato e che la sua forza era nettamente superiore alla mia. Per questo mi avventai su di lui prima ancora che capisse chi ero e dove ero. Lo tempestai di pugni, legandogli le mani a terra con la mia tela. Eppure si alzò lo stesso. Mi afferrò con una mano per la gamba e, dopo avermi guardato per un attimo, mi scagliò contro il muro del palazzo accanto. Ma non colpii il muro. Lanciai una tela verso di lui e lo trascinai verso di me sfruttando la sua stessa forza, poi mi ancorai a terra con i piedi e tirai con tutta la mia potenza, facendolo volare sopra la mia testa e mandandolo a sbattere proprio dove sarei dovuto andare io. Il tonfo fu impressionante. Un essere normale si sarebbe spaccato il cranio in due, ma lui cadde a terra senza una sola ferita. Non si muoveva. Mi avvicinai, pronto ad una reazione, ma vidi che era svenuto. Dissi subito alle persone intorno di chiamare un'ambulanza per i due in macchina, poi mi diressi verso il superessere svenuto. Stava aprendo gli occhi proprio in quel momento. Mi sorrise: «Ironia del destino.» «Cosa?» «Electro che viene salvato dall'Uomo Ragno. Ma non preoccuparti: non sono io il "cattivo" stavolta.» Si alzò in piedi. «Grazie.» «Di nulla. E' nel mio contratto salvare le vite.» Sorrise. «Senti, faccio parte di un'associazione che salvaguarda i superumani come noi, cercando di sfruttare i propri...» Poi si girò, sentendo le sirene della polizia e dell'ambulanza che si avvicinavano. «Che ne dici di continuare questa coversazione altrove?» «Mi spiace. Non mi interessa.» Lanciai una tela e mi lanciai in alto, nascondendomi dietro il campanile. Da lì osservai la situazione. Electro prese in braccio il colosso e se ne corse via... volando? Non ci potevo credere! Mi cambiai e tornai a casa, tra lo stupore e la soddisfazione di mia madre che mi vedeva rientare presto. Mi misi di nuovo il pigiama e andai a dormire. Avevo avuto paura di morire, è vero. Ma sapevo anche che l'Uomo Ragno era tornato per restare!
  17. Aixela guardò la testa dell'uomo rotolare a terra, notando come la ferita era stata immediatamente cicatrizzata dal calore magico della sua lama. Le diede un calcio e la osservò finire nella porta di una delle tante case in fiamme, toccando una lingua di fuoco e bruciando lentamente sotto quegli occhi viola carichi di odio. Si girò di nuovo verso la strada e cominciò a camminare per il villaggio ormai ridotto ad un cumulo di legna fiammeggiante. Osservò il luogo con malcelata soddisfazione, cercando un luogo che ancora non fosse stato dato in pasto alle fiamme, una persona che non fosse ancora sfuggita alla sua collera. Vedeva le donne fuggire con i bambini, sentendo si di lei i loro sguardi impauriti. Non le avrebbe mai fatto loro del male, ma immaginava che loro non potevano saperlo. Invece tutti gli altri dovevano morire. Tutti quelli che avano taciuto, che erano stati in silenzio, che avevano permesso che accadesse una cosa del genere. E sarebbero morte anche quelle ragazze, ormai donne, che avevano riso di soddisfazione nell'apprendere il fatto. Ed infatti erano morti tutti. Il villaggio intero era stato dato alle fiamme con il solo scopo di cancellarlo dalla faccia della terra, come se la sua scomparsa potesse significare la cancellazione dei ricordi. Invece non era così. Essi c'erano e sarebbero rimasti a vita. E la cosa invece di darle del dolore o di farle apaprire inutile la sua vendetta, alimentava il suo odio. Si fermò sotto una torretta delle guardie, osservando i corpi carbonizzati in cima ad essa, lasciandosi cadere a terra, scivolando con la schiena lungo uno dei pali si sostegno. Solo allora si accorse di avere una ferita al braccio, poco sopra il gomito. Ne scoprì un'altra sulla coscia e infine una che le disegnava una sottile striscia rossa proprio sull'addome. Non era profonda. Si toccò il viso e sentì un taglio sulla guancia destra, osservando poi il sangue sulle sue dita. Si sentiva stanca, spossata. Solo in quel momento si accorse di stare sudando e ansimando. Guardò quello che rimaneva del villaggio con gli occhi di chi si è appena svegliato e vede che il suo incubo è reale. «Soddisfatta?» Si alzò immediatamente in piedi, la spada pronta a colpire. Davanti a lei si ergeva Ashling, guardandola con un'espressione che lei non aveva mai visto in quel volto così duro. Era un'espressione di complicità, di compassione, ma soprattutto era un volto che dichiarava la sua comprensione. «Ora capisci tante cose di me, anche se non tutte.» Aixela annuì, abbassando la spada. «Capisco... è vero... ma non so perché... cioè, so che è stata una cosa orrenda, ma...» «... ma ancora non hai capito perché mai una cosa del genere, per quanto orrenda, mi abbia portato a prendere la decisione che ho preso.» «No... non è questo.» Alzò lo sguardo e incontrò quello di Ashling. Vedendo quell'espressione sul suo volto rimase un attimo interdetta, poi riprese. «Non capisco come mai con i tuoi poteri hai permesso una cosa simile.» La ragazza in nero strinse i pugni. «Chiedilo a mia madre!»
  18. Il soldato osservava la ragazza con uno sguardo carico di paura. Alla sua destra lingue di fiamma uscivano da una casa, accompagnate da urla di gente disperata che correva per le vie del villaggio con gli abiti ridotti ad una torcia ambulante. Dietro di lui il panico imperversava per le strade: poteva sentire le grida delle donne che scappavano, mettendo in salvo i propri figli, mentre il fuoco mangiava altre case illuminando il crepuiscolo. A sinistra la piccola caserma che aveva appena lasciato offriva un macabro spettacoli di corpi mozzati dalla precisa lama di una spada, la stessa lama che la ragazza davanti a lui sta tenendo in mano. «Fermati!» Le intimò, sentendo lui stesso il tremolio nelle sue parole. La ragazza avanzava lentamente verso di lui, l'arma nella sua mano che brillava di un viola intenso, come i suoi occhi. Sembrava scandire il tempo con i suoi passi, un tempo che a lui appriva sempre più stretto. Poi improvvisamente la ragazza si fermò, guardando un luogo alla sua sinistra. Sembrava provare un dolore intenso che riusciva a mascherare a malapena. Ma durò poco e o suoi occhi dolenti si trasformarono presto in un acceso sguardo di odio. Alzò la spada dritta davanti a lei e una scia di fuoco partì con un sibilo crepitante verso una casa ancora non completamente in fiamme, lacerandola e strappando delle grida dal suo interno. Un sorriso le disegnò il volto, ma era un sorriso distorto. Poi continuò ad avanzare verso di lui, senza un grido, una parola... niente. Alla fine per lui fu solo questione di morire.
  19. Volti. Sensazioni. Risate. Dolore. Tutto questo entrò nella mente di Aixela nel momento in cui posò lo sguardo a terra, osservando l'erba che cresceva sotto quell'abero dove l'aveva condotta la sua compagna. Non capiva eppure sapeva tutto. Non ricordava eppure aveva vissuto tutto. Scese da cavallo e saggiò l'erba con la mano. Era morbida al tocco. Si portò il palmo agli occhi e lo vide sporco di sangue. Il suo. Poi venne gettata a terra, la testa che colpì ferocemente la corteccia. Sapeva che tutto questo non stava succedendo, ma non riusciva ad uscirne. Era tutto troppo intenso. Sentì delle mani che le prendevano le caviglie, tenendole ferme. Un al'tra stretta ferrea le serrò i polsi, lasciandola inerme, capace solo di divincolarsi... ma da cosa... da chi? La mente le restituì l'immagine del riflesso di una lama, un pugnale forse. Lo sentì sulla gola, sentì quella punta acuminata pungerle la pelle, seguita dal calore di altro sangue. E quel calore assunse anche la forma di sapore nel momento in cui un pugno le colpì le labbra, ferendole. Un'aroma metallico si sparse per la sua bocca, unito al salato di lacrime... e di gocce di sudore di... di... Aixela si alzò in piedi di scatto. Girò la testa verso la prima casa visibile del villaggio e cominciò a camminare con passo deciso verso di essa. Arrivata sulla porta sfoderò la spada, illuminando il legno di un minaccioso chiarore violaceo. Trattenne un calcio per sfondarla e bussò. Le aprì un ragazzo dall'aria beffarda. Appena la vide i suoi occhi si illuminarono di malizia, pur se condita con una leggera paura. «Desidera?» Le chiese. Aixela non rispose. Avanzò verso di lui con la spada sguainata, gli occhi luminescenti carichi di odio. Il ragazzo non capiva, finché notò una figura alle spalle di quella strana ragazza, una figura familiare... e proprio nel momento in cui la lama luminosa gli spaccava il cuore capì.
  20. Che ne dite di iniziare un'altra storia con protagonisti i personaggi con cui giochiamo sempre a D&D? Per esempio io utilizzerò il mio Joram Rosebringer e voi altri il personaggio a cui siete più affezionati. Fatemi sapere.
  21. Ciao, Peter. Sono a Palermo, in quella che è la mia casa provvisoria, in attesa di sistemare tutto per trasferirmi alla mia definitiva dimora. Ed ho anche portato il costume. E proprio ieri mattina l'ho utilizzato. Non volevo, lo giuro. Ma è stato più forte di me. Lo avevo messo nel mio trolley in modo da essere sicuro che arrivasse destinazione e per avere sempre il mio bagaglio sotto controllo. Infatti mi hanno anche perso la valigia che avevo imbarcato e non sanno più dove sia. Mi sono dovuto ricomprare tutto il mio guardaroba. Ma il costume no. Ancora rabbrividisco al pensiero di quello che mi sarebbe potuto succedere se lo avessi lasciato lì dentro. Non posso e non voglio rivelare la mia identità a nessuno. Non l'ho ancora fatto con quella che ormai è mia moglie... e non so ancora se lo farò. Mi sento come uno che ha promesso di smettere di fumare e ogni tanto si fa una sigaretta di nascosto. Ed infatti faccio l'eroe di nascosto, anche quando non dovrei farlo. E' più di una settimana che l'Uomo Ragno non si fa vedere a Roma. E ieri è apparso a Palermo. I giornali già ne parlano. La gente fuori di qui è entusiasta. I negozianti che hanno assistito alla scena ancora la raccontano senza risparmiare particolari. E mia moglie... non so. Sarà la mia paranoia, ma mi guarda in maniera strana, diversa. Forse sospetta, ma non ha il coraggio di chiedermelo per non apparire ridicola. Suo marito un supereroe? Come potrebbe anche solo immaginarlo. Ma il fatto è che neanche una mia battuta è riuscita a tranquillizzarla. Proprio stamattina, mentre la accompagnavo al lavoro, mi a detto che non si sarebe mai aspettata che l'Uomo Ragno arrivasse a Palermo, in un paesino. Ed io le ho risposto che forse era qui per vedere le nostre nozze. Una risposta del genere di soito l'avrebbe calmata. Invece fece solo un sorrisino. Accidenti a me! Se non avessi portato il costume non avrei mai avuto questi problemi. Anche se credo che il problea vero non sia il costume, quanto questi poteri che ho. Ci sarei andato anche in mutande a fare quello che ho fatto, Peter. C'era stato un incidente proprio mentre tornavo a piedi dal lavoro di lei. La discussione era finita in lite. Ed io passai oltre, essendo a piedi e non ritenendo necessario un intervento. Appena giunsi a casa però sentii delle urla e dei colpi di pistola. La mia anima ebbe un sobbalzo e il mio cuore prese a battere in due direzioni diverse: una parte voleva lasciare tutto e l'altra era eccitata per poter di nuovo salvare la gente. Saltai sul tetto del palazzo di fronte e lanciai una tela per gettarmi nella strada sottostante. Vidi subito l'uomo con la pistola in mano e lo riconobbi come quello che aveva subito il tamponamento. In terra vi era un altro uomo, ferito al braccio. Si contorceva in mezzo al dolore e nessuno interveniva per mettere pace tra i due o almeno per disarmare quello armato. Quindi... a chi toccava? Dal muro dove ero lanciai un'altra tela che centrò la pistola e la sfilò dalle mani dell'uomo. Troppo facile. La parte difficile era non farsi vedere. Ed infatti mi videro. Tutti gli occhi andarono verso il muro dove mi trovavo e notarono subito questa cosa rossa e blu che li guardava dall'alto. Meno male che la maschera non fa vedere assolutamente il mio viso, oppure avrebbero visto la mia faccia disperata. Dal momento che il danno era fatto, scesi con un balzo dal muro e atterrai proprio davanti all'uomo armato. L'ironia prese il posto della paura e gli feci un "no" con il dito indice della mano destra, come se fosse un bambino. Lui si arrabbiò molto, ma una bella dose di tela lo legò per bene e lo rese innocuo. Mi accovacciai poi sul ferito e mi assicurai che venisse chiamata un'ambulanza... cosa che solo uno dei presenti ebbe la prontezza di spirito di fare, visto che gli altri erano tutti incantati a guardare l'Uomo Ragno. Credo anche di essere arrossito sotto la maschera. Infine è arrivata l'ambulanza ed io mi sono potuto togliere da quell'imbarazzo. Ed ora sono qui a scriverti, Peter. Ormai tutti i TG parlano dell'Uomo Ragno a Palermo e già lo collegano alla sua scomparsa da Roma. E, come se non bastasse questo, da tutta Italia arrivano notizie di lotte tra esseri con superoteri come me, esseri che non voglio e non vorrei mai incontrare.
  22. Ultimo giorno qui a Roma, Peter. Tornerò il 3 Gennaio, ma se sarà soltanto per dare le dimissioni dal mio vecchio lavoro o per rimanere ancora un po' in attesa del trasferimento difinitivo, non lo so. Una parte di me vorrebbe rimanere ancora un po' nella mia città, volteggiare ancora un po' tra i monumenti, salvare la gente. Il trasferimento è una cosa che non ho messo tra i miei piani di supereroe. Avrò una città completamnete diversa davanti, una città da studiare prima di potermi mettere ad arrampicarmi in giro. Inoltre starò anche in un paese lontano da Palermo, quindi con meno attività criminose... spero. Be', ora che ci penso, non so quanto lo spero. Se non ci fosse niente da fare, come farò ad indossare di nuovo il mio costume? Ormai ne ho bisogno, è una parte di me che non posso e non volgio cancellare. Sono l'Uomo Ragno, cavolo! Ho ricevuto questo potere e posso rimediare a quell'errore di dodici anni fa, salvando la vita di persone in pericolo. Ma la verità è sempre la stessa, Peter: questo potere mi spaventa perché non so più se potrò mai separami da esso, dal costume e dalla maschera. Sono l'Uomo Ragno o sono Simone? O sono un misto dei due? Non lo so, Peter. So solo che quando indosso il costume mi sento finalmente me stesso. Ma se sia un bene o un male...
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