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La notte cadde come un velo a smorzare le voci e ad accendere i sussurri. Aixela entrò nella stanza a lei assegnata sedendosi sul letto e saggiandone la morbidezza. Non era proprio quello che si poteva definire un giaciglio comodo, ma era più che sufficiente per dormire. Si tolse lo zaino dalle spalle e lo gettò in un angolo ascoltando con interesse il sordo rumore provocato contro il pavimento. Si slacciò la cintura, lanciandola accanto allo zaino dopo aver sfilato da essa il fodero. Estrasse la spada e la mise davanti ai suoi occhi, osservando il suo riflesso leggermente arrossato dal colore della lama. Si era sempre chiesta il perché di quel colore e ancora adesso non riusciva a capirlo, come non riusciva a capire la sua natura magica. Quell’arma era stata capace di risvegliare una dea rinchiusa da una magia che poteva essere spezzata solo da una magia proveniente dalla terra stessa, una magia che nessun mago poteva anche lontanamente concepire. Eppure lei c’era riuscita, catalizzando l’energia della terra stessa in quel piedistallo. E tutto tramite la spada. Avrebbe voluto gettarla a terra, ma le sembrava come buttare via una parte di se stessa. Così si limitò ad osservarla. Nei riflessi le sembrava di vedere gli occhi di Lirian e Alathariel che la imploravano di tornare. Sapeva che ai loro occhi ormai lei era diventata la cattiva, l’avversaria, quella da sconfiggere e che aveva voltato loro le spalle proprio nel momento del bisogno, quando avevano bisogno di tornare. Un luccichio riflesso sulla lama le rivelò una lacrima. Ringraziò il cielo che Ashling non era lì con lei o avrebbe deprecato questa sua debolezza, magari anche lasciandola sola… di nuovo. Per un attimo le sembrò davvero di essere stata lasciata di nuovo abbandonata a se stessa. La sensazione sembrava salire, affogandola come una marea in crescita, stringendole la gola, mentre lo stomaco si chiudeva per non chiedere null’altro se non un po’ di compagnia, un po’ di calore umano. Strinse l’elsa della spada, come a volerle fare del male, a volerla strozzare, mentre appoggiava la testa contro quella lama rossastra. Sentiva le lacrime che le battevano sui pantaloni come gocce di pioggia. Non voleva piangere ma non poteva farci niente. Voleva solo stare con gli altri, di nuovo. Solo quello… solo un attimo. Lirian stava ascoltando quello che Ariaston aveva da dire. Era preoccupata dal fatto che avrebbero dovuto affrontare altri archetti, ma da un certo punto di vista voleva quello scontro. Era un modo come un altro per sfogarsi. Non lo aveva mai fatto pesare a nessuno, ma capiva quello che provava la piccola Alathariel, quel senso di vuoto dovuto dalla partenza di una persona cara come era Aixela. Aveva trattenuto così spesso i sentimenti dentro di lei che ormai era diventata una cosa automatica come sbucciare una mela. Si sedette a terra, guardando gli altri che ascoltavano Ariaston, pur se avevano gli occhi puntati su quell’orchetto e su quell’elfa scura. Non si era ancora abituata a quella nuova presenza, ma in un certo senso sentiva di averne bisogno. Era come se con la partenza di Aixela, Iskra’ fosse diventata una sua sostituta. Gli occhi assassini di quell’elfa le ricordavano i combattimenti passati fianco a fianco… e anche quella ferita al fianco. Si toccò la cicatrice e si scoprì a ricordare quell’episodio quasi con nostalgia, nonostante il dolore. Poi si alzò in piedi, sistemandosi i vestiti. Afferrò i bordi dei pantaloni e istintivamente si guardò i fianchi. Sgranò gli occhi, strofinandoseli poi con entrambe le mani. Non poteva essere vero! Non ce n’era motivo. Una lieve luminescenza si propagava dai tatuaggi che aveva sui fianchi. Istintivamente guardò la piccola Alathariel e vide che anche i suoi segni sulle tempie si stavano illuminando. Negli occhi di tutti vi era una sorta di attesa mista a paura dal momento che l’ultima volta che vi era stata quella luminescenza era apparsa quella dea, portandosi via Aixela. Ma questa volta era diverso. Lirian riconosceva questa sensazione: l’aveva già sentita diverse volte durante il viaggio con la compagnia. Sapeva che stava per succedere qualcosa, che qualcuno stava per arrivare, anche se aveva paura a scoprire chi fosse. Ashling percorreva le strade della città con il passo colmo di sfida per chi le avesse potuto dire di rientrare nella locanda dopo l’ora del coprifuoco. Avrebbe quasi desiderato che qualche guardia la incrociasse o le dicesse qualcosa, ma, pur se minacciosa, appariva sempre come una ragazza e quei pochi soldati della milizia cittadina che la incontravano al massimo si scambiavano qualche occhiata e qualche commento malizioso. Non era un pericolo per la città e loro non avevano voglia di ricordare ad una ragazza che sarebbe dovuta rientrare. Pur se appariva loro strano vederla in giro ad un’ora così tarda in cui tutti erano ormai chiusi in casa o in qualche locanda a dormire, sapevano che non avrebbe incontrato nessuno disposto a farle del male, visto che nessuno osava mettere piede fuori dalle proprie abitazioni dopo il rintocco della campana. E poi sentivano di non doverla redarguire, di doverla lasciare stare. Evidentemente aveva i suoi fantasmi da combattere ed una bella boccata d’aria fresca forse era la soluzione giusta per vincerli. Ed Ashling intanto combatteva contro il suo passato, contro quella madre che non l’aveva voluta riconoscere come figlia e che non aveva voluto darle i suoi poteri divini. L’aveva lasciata sola nel mondo, senza difese e senza nessuno che l’avesse potuta aiutare. E lei non poteva far altro che sopravvivere per le strade. Strinse il pugno. La mente le proponeva ricordi che non voleva far risalire a galla, ricordi che tentava di affogare con la rabbia e con la vendetta... ma erano ricordi che avevano imparato fin troppo bene a nuotare. Si appoggiò al muro di cinta del villaggio con la schiena, le braccia abbandonate lungo il corpo. Sapeva che avrebbe potuto in qualsiasi momento radere al suolo tutte le case con un solo pensiero, ma sarebbe stata una ben futile soddisfazione. Neanche distruggere il mondo le avrebbe dato il benché minimo sollievo. No, voleva solo far soffrire i suoi abitanti come lei aveva sofferto. Voleva vederli perire uno ad uno tra atroci agonie, implorando pietà come lei aveva fatto in passato senza essere ascoltata. No, non avrebbe utilizzato i suoi poteri divini per fare tutto questo, ma avrebbe risvegliato i draghi e tante altre creature che sarebbero state ben felici di massacrare. E poi, quando gli dei stessi si sarebbero inginocchiati al suo cospetto, come stavano per fare tante ere prima, allora avrebbe lasciato stare il mondo e avrebbe ridato loro la pace. Ma prima voleva la sofferenza. «Capito, mamma?» Urlò al cielo «Ti pentirai di non avermi voluto come figlia! Te ne pentirai!» Si staccò dal muro, incamminandosi verso la locanda, osservando con piacere qualche candela che si accendeva da dietro le finestre per capire che avesse urlato. Finché sentì una cosa. Fu una sottile percezione, come quando quella drow era entrata nel loro mondo. Ma qui era leggermente diversa... e riguardava... No! Lo sapeva che sarebbe successo prima o poi! Iskra’ si girò di scatto, la sua spada pronta a colpire. Ariaston sfoderò la sua daga istintivamente, mentre Perenor si metteva davanti al kender e alla piccola elfa, affiancato subito da Sturmir che fu ben felice di bloccare Garfuss. Davanti a loro c’era una ragazza dai lunghi capelli biondi e spettinati, gli occhi di un viola intenso, illuminati dalla stessa luce che usciva dai fianchi di Lirian e dalle tempie di Alathariel... e dalle sue spalle. «Aixela!» Urlò una voce. Lei stava per rinfoderare la spada quando vide Iskra’. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, poi si staccarono e si diedero una tregua, riponendo le loro armi. Aixela si guardò intorno stupita, capendo al tempo stesso dove si trovava e come ci era arrivata. Ma capiva anche come gli occhi di tutti altro non era che una traditrice. Per questo indietreggiò di un passo. Lirian corse verso di lei, abbracciandola. I suoi occhi rivelavano ancora una certa diffidenza, ma la sua felicità nel saperla salva e lì con loro era autentica. Senza pensarci, le diede le spalle come per proteggerla. «Non fatele del male.» Disse. Alathariel si sporse da dietro il corpo di Perenor e la guardò con gli occhi colmi di lacrime. Aixela la vide e sentì una mano stringerle il cuore. Abbassò il capo. «Hanno tutto il diritto di farmi del male.» La sua voce era un sussurro, eppure perfettamente udibile. Iskra’ si girò verso gli altri come per ricevere conferma di chi fosse quella donna. Si aspettava orchi e orchetti, non una bella ragazza apparsa dal nulla. «No, Aixela.» Cominciò Lirian girandosi di nuovo verso di lei e prendendola per i baveri della camicia, in un gesto di supplica «Non devono farti del male. Tu devi restare con noi! Devi aiutarci! Devi... devi... aiutarmi! Proteggermi!» «Proteggervi? Io?» Aixela non capiva. «Come può proteggerci se è stata la sua stessa magia ad evocare quella dea maligna?» Il tono di Perenor era accusatorio, eppure sentiva lui stesso di non credere in quello che diceva. «Non è stata colpa sua! Lei non voleva... non sapeva!» Lirian si girò di nuovo verso il gruppo. «Non fatele del male, vi prego.» «Non glielo faremo... non possiamo farglielo. Ma...» «Saggia decisione, prete!» Una voce alle loro spalle... una voce familiare. Dal nulla apparve Ashling, i capelli neri che ondeggiavano al vento. Si portò accanto ad Aixela con la calma di chi sa di non poter essere sconfitta e neanche toccata. Poi si girò verso il resto del gruppo, lanciando un’occhiata interessata ad Iskra’. «Non potete toccarla, non finché ci sarò io.» Guardò Aixela e lesse nel suo sguardo dolore e rabbia «Sei tu che sei voluta venire con me, ragazzina, ricordatelo.» La voce era sprezzante e sarcastica e a Garfuss gli ricordò quella di un mago che era stato insieme a suo zio Tas «Tu mi hai liberata e tu mi hai seguita.» Tornò a guardare il gruppo, con gli occhi che indugiavano su Iskra’ «Quindi ora, signori, me la riporto via.» Fu in quel momento che Alathariel corse via da dietro Perenor e si aggrappò alla gamba di Aixela, piangendo.
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videogiochi * NeverWinter Nights *
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Enz in Videogiochi e Informatica
Mai provato Morrowind? -
Anche se andassi avanti io, ho un'altra parte della storia che non riguarda il gruppo (almeno non direttamente).
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La Nostra Storia 3020 - ->CyberPunk<- -
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Gigared in Prosa e Poesia
Paul si siede dietro al bancone, il soltio bicchiere di vodka semivuoto davanti a lui. Ricorda come tutto sia iniziato proprio da lì, da quel liquore che poi non ha bevuto, sostituendolo con una più leggera Coca-Cola... prima che saltasse in aria il bar e con esso tutta la sua vita. Venus lo guarda con l'aria stupita, notando il bicchierino davanti a lui. Non lo ha mai visto bere alcolici e capisce che deve essersi persa molto della vita del suo amato. Si trova a maledire Sheila nella sua mente per averlo fatto diventare così, anche se una parte della sua mente la ringrazia per averle dato un modello a cui ispirarsi per averlo di nuovo con sé. Decide che forse è ora di cominciare a bere anche lei. Cosa avrebbe ordinato Sheila? Non lo sa e la cosa la angustia non poco. Ancora non è perfetta per lui. Ancora non può dargli quello che lei gli ha dato. Guarda per un attimo il suo uomo, notando come il suo sguardo sia fisso nel vuoto. Forse sta pensando alle notti di sesso che ha passato con quella nomade, mentre invece lei era in ospedale, curata da uomini che forse la volevano solo usare come esca. Be', anche lei può dargli quelle scosse sessuali di cui ha bisogno, no? E' una donna anche lei, nomade anche lei, avventuriera e promettente assassina. Non può non piacergli. Prende il bicchierino di vodka e, superando la stretta allo stomaco nel sentire l'odore di alcol, lo ingurgita tutto d'un fiato. Improvvisamente sente un conato di vomito salirle alla gola. Soltanto la forza dell'orgoglio fa in modo che non debba rigettare. Si appoggia al bancone con un braccio, cercando di non dare a vedere la nausea che l'ha travolta. Paul la guarda con gli occhi stupiti. «Ma... ma... non sapevo che avevi inziato a bere.» «Potrei dire la stessa cosa io.» Replica Venus, cercando di rispondere come avrebbe risposto Sheila. Lui sgrana ancora di più gli occhi, sorpreso da una risposta del genere. Poi le sorride. «Ma io non ho bevuto. Cercavo di cominciare ogni volta, ma non ci sono mai riuscito. Questo bicchierino avrebbe fatto la stessa fine degli altri.» «Ovvero?» «Sarebbe stato sostituito dalla solita Coca-Cola.» Che stupida è stata! Non doveva bere. Lui non lo faceva. Nonostante tutto quello che ha passato non è in grado di cambiare la sua natura. «Mi spiace.» «E di cosa?» Sta per darle un bacio, quando si ricorda improvvisamente di essere in una bettola in cui si deve mantenere un'aria abbastanza dura per non venire subito etichettati come carne fresca portatrice di soldi... e di parti di ricambio da vendere alle Body Bank. «Speriamo solo che entri presto qualcuno o la nostra ricerca sarà stata infruttuosa. E' già un rischio essere tornati in città per cercare un pilota, ma non avevamo scelta.» «Forse gli altri avranno più fortuna di noi.» La sua mente corre subito a Sheila ed a quel poliziotto. Vuole che stiano insieme, ma ancora non capisce se per la loro felicità o per togliere definitivamente lei dalla vita del suo Paul. Poco le importa, però. Vuole lui e lo avrà a tutti i costi. -
Era sera quando le due ragazze arrivarono nei pressi del villaggio di Stoneheaven. Le nuvole e la pioggia erano ormai un ricordo bagnato e l’aria frizzante si faceva respirare dando una sferzata di vitalità alle membra stanche. Di fronte a loro si ergeva la recinzione. Delle palizzate di legno altissime si stagliavano davanti ai loro occhi, interrotte soltanto da un cancello sopra il quale vegliavano due guardie cittadine dall’aria alquanto sospettosa. Anche da fuori si poteva sentire il vociare delle persone che si chiedevano che fine avesse fatto quella spedizione in una locanda in cui si diceva fosse stato perpetrato un massacro. Ashling fermò il cavallo ai piedi dell’entrata e si annunciò a gran voce: «Siamo due viandanti in cerca di un luogo in cui riposare.» Dall’alto le guardie scrutavano le due figure illuminate solo dalla tenue luce delle torce. Iniziarono a parlottare tra di loro, finché una delle due sporse con cautela il capo oltre la recinzione. «Da dove venite?» Una risposta! Una risposta veloce! «Da Est, dalle Pianure Sabbiose di Merek.» Altro parlottio sommesso, altra domanda: «E perché siete in viaggio?» Ashling si stava spazientendo. «Dobbiamo incontrare una persona a Middlecreek... ma ci siamo perse.» Odiava anche soltanto fingere una debolezza. Strinse il pugno sulle briglie e il cavallo scosse la testa tentando di alleggerire la presa. «Contavamo di trovare qui un posto per la notte.» Si affrettò ad aggiungere Aixela «Non siamo brave combattenti e vorremmo riposarci in una delle vostre locande.» Guardò la sua compagna che ricambiò il suo sguardo con degli occhi colmi di rabbia per quella che a lei sembrava una supplica. Le guardie ripresero a parlottare tra di loro, chiedendosi se avessero rischiato il loro posto facendo entrare stranieri ad un’ora così tarda. Ma la pietà verso le due ragazze, unita al pensiero di un’eventuale dolce ricompensa, fece cedere le vedette che ordinarono l’apertura del cancello. Le strade erano invase dall’odore di fiori ed erba appena falciata. Le finestre erano tanti punti luminosi che sembravano osservarle mentre avanzavano verso il suono di risate e festeggiamenti. Aixela avrebbe voluto girare un po’ il villaggio, ma sapeva che le guardie le tenevano sott’occhio e che avrebbero allentato la pressione solo nel momento in cui sarebbero scese da cavallo, entrando nella sala della locanda in cui avevano detto di voler riposare. Poteva infatti vedere occhiate sospettose che la studiavano con una paura velata da disprezzo. Non poteva biasimarli, visto che molti di quegli occhi erano parenti e amici delle guardie che non avevano ancora fatto ritorno... e che, come lei sapeva, non l’avrebbero più fatto. Le ragazze scesero dai cavalli e li legarono nella stalla, preoccupandosi di mettere loro davanti una bella quantità di fieno. Poi si avviarono all’entrata del locale. Ashling guardò l’insegna e sorrise: “Locanda della Pietra Nera”. Ed entrando capirono anche il perché di quel nome. A parte i tavolini e le sedie, tutto era rivestito di un marmo nero con venature bianche, attenuando di molto le luci delle candele sospese su lampadari in ferro battuto. Si aspettavano un silenzio carico di sospetto alla loro entrata, invece vennero accolti dalle fragorose risate di un gruppo di nani che brindavano rumorosamente. Più in là guerrieri corpulenti tiravano minuscole freccette contro un bersaglio, accompagnando ogni tiro con imprecazioni o grida di gioia. L’oste si dava da fare con bicchieri e piatti, girando per la sala con le mani sempre impegnate o pulendosele nel grembiule bianco ormai colmo di macchie. Appena vide le due ragazze rivolse loro un cordiale sorriso ed un leggero inchino, indicando loro un tavolino libero in un angolo per poi sparire di nuovo nelle cucine, solo per riapparire con due vassoi pieni di carne e patatine fumanti. Ashling si sedette alla sedia nell’angolo scrutando tutti gli avventori, lo sguardo che sembrava penetrare le loro menti… e forse era proprio così, si disse Aixela. Gli occhi della ragazza mora puntavano diretti verso ogni singola persona, come se volesse vedere dentro la loro anima, aprendola come un macellaio apre un animale con un coltello. Poi si fermò, fissando un punto vuoto davanti a sé. «Qualcuno è entrato in questo piano.» Aixela cominciò a guardarsi in giro, fissando l’entrata e notando un giovane uomo che si ripuliva dalla polvere, dirigendosi verso un tavolino dove venne accolto da altri amici. «Intendi quello?» «No, sciocca!» La voce era tagliente come un rasoio «Non intendo nella locanda, ma nel nostro piano di esistenza. E’ entrato qualcuno che non appartiene a questo mondo, una ragazza di una razza diversa da tutte quelle esistenti qui. Da loro sono chiamati drow.» «Drow?» «Degli elfi dalla pelle nera come la notte e la cui bellezza è pari soltanto alla loro malvagità. Ora è con i tuoi compagni.» Aixela inghiottì l’amaro alla parola “compagni”. Il suo pensiero andò immediatamente a Lirian, alla piccola Alathariel e… sì, anche a quel kender. Da un certo punto di vista le mancavano quei racconti infiniti. Si sorprese a sorridere al ricordo di come avesse interrotto una cerimonia in quel santuario di quel villaggio da cui tutto questo ebbe inizio. E ora queste cose non erano altro che ricordi, immagini di un passato che non sarebbe più tornato, di una vita che era solo sensazioni. Ora era con questa ragazza, questa dea, dirette verso un luogo che solo lei conosceva e dal quale avrebbe dovuto svegliare un fantomatico “male”. «A cosa stai pensando?» La voce di Ashling interruppe i suoi pensieri come un martello contro una vetrata. «Dovresti saperlo… sai tutto.» Aixela si sorprese del tono tagliente della sua risposta. «Ti rispetto. E poi non è così difficile leggere quello che pensi. Come non è difficile vedere che ti stai chiedendo come mai non ci siamo teleportati in quel posto come ci siamo teleportati via dall’isola.» Aixela annuì. Stava per replicare quando si bloccò. Nella sua testa c’erano immagini di una bimba, di un’elfa sulle sue ginocchia che chiudeva gli occhi mentre lei le accarezzava i capelli sussurrandole dolci frasi di incoraggiamento. Sentiva il respiro della piccola mentre le dita passavano su quegli strani simboli sulle tempie, massaggiandole. Poi la sensazione di solitudine, di vuoto, di paura e smarrimento in un’isola che non era la sua. Una fuga. Sentiva il dolore, lo stomaco che si chiudeva, la malinconia che la sommergeva, annegandola nel suo fiume vorticoso. Si alzò in piedi, come se volesse tornare dalla sua Alathariel, ma la stretta di Ashling sul braccio la bloccò. «Lasciala stare. Avrai modo di rivederla.» La voce era rude, eppure sembrava ci fosse un po’ di… di… dolcezza? «Ora è confusa, lo sai. Hai scelto tu di lasciarla e di venire con me. Prenditi carico del tuo fardello e falla finita!» Le ultime due parole colpirono Aixela con la forza di un gancio al mento. Si sentì quasi svenire, ma non voleva dare questa dimostrazione di debolezza alla sua compagna. Così si sedette, accorgendosi di avere fame e decidendo che aspettare l’oste era la cosa migliore da fare. Almeno per ora.
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La nostra storia - Vampiri
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
«La prima volta dovrà essere bellissima.» Diceva «Dobbiamo volerlo insieme: io e lui… senza forzature. Lo faremo quando ci sentiremo pronti. E quando arriverà il momento, voglio che sia dolce come il miele, anzi di più… e bellissimo, più di… più di… be’, più di un poster di Axl Rose.» E dire «più bello di un poster di Axl Rose» per lei è come dire «più bello del sole e della luna messi assieme». Non speravi più di sentire una frase del genere in questa città di volti che sembrano uno, stessa faccia e stessi pensieri. Il mondo stesso sembrava avere le medesime preoccupazioni. C’è la guerra, la paura degli attentati, immagini di vittime innocenti che vengono impietosamente mostrate dai TG. Non c’è notte in cui non si percepisca la paura. E quando non vi è la paura, vi è la rabbia e l’impotenza tramutata in violenza. Ogni volta ti alzi dal tuo giaciglio al tramonto, prima ancora che il sole sia sparito dietro l’orizzonte, svegliato dalle urla nella tua testa, da silenziose richieste di aiuto o da impressionanti grida di sfogo. Lo stesso dormire ti risulta difficile, popolato dagli incubi più spaventosi che tu ricordi. Ti scopri a pensare con nostalgia alla tua vita mortale che tanto hai odiato, a quel lavorare sui campi sotto la frusta di un padrone che ti donava la violenza che tu restituivi a tua madre e alle tue sorelle. Almeno quelle notti non facevi degli incubi così spaventosi. O perlomeno erano incubi tuoi, solo tuoi, e non gli impressionanti sogni di altra gente che penetrano la tua mente come un trapano elettrico, bucandone ogni pensiero per lasciare entrare la disperazione che sembra accomunare tutti. Senti ancora le urla di bimbi morti sotto i colpi di fucili che sparano in nome di una causa che nessuno capisce, forse neanche gli stessi che la difendono. Senti le grida strazianti delle madri che ascoltano ancora la loro voce quando correvano dietro ad un pallone o a un aquilone, o semplicemente quando stavano davanti ad una TV a sognare di essere degli eroi designati da una fredda console. I tuoi occhi vedono ancora quei piccoli corpi. Ne hai visti tanti nel corso di quella che può essere definita la tua vita. Ma stavolta è diverso. Stavolta li vedi con gli occhi dei loro genitori, chiamati alla necessaria quanto dolorosa procedura di riconoscimento. E insieme alle immagini ricevi anche la disperazione. A volte hai l’impressione che allungando una mano potresti toccarne uno, come a volergli ridare una vita che non può più avere. Anche per diventare dei non morti come te bisogna essere in vita. Ti sei visto più di una volta con un sorriso amaro sulla tua bocca, pensando a come stessero facendo tutti come facevi tu un tempo, restituendo la violenza che ti veniva inflitta ad altre persone che avevano la sola colpa di starti accanto. Ovunque ti giri vedi soprusi che diventano altri soprusi, violenza che genera violenza, in un circolo vizioso senza fine. Eppure questa notte hai sentito questa frase, una frase romantica, un sogno di una ragazza che ancora ha la volontà di elevarsi sopra il dolore per pensare ai suoi desideri, per cercare di realizzarli e per non lasciarsi corrompere dal mondo. Hai seguito il suo suono, la sua scia di pensieri fino ad una finestra al primo piano di un modesto condominio. Ti sei appostato sul ramo di un pino lì vicino, sbirciando attraverso le persiane socchiuse per far entrare un po’ di aria e il tuo sguardo curioso e felice. La vedi sdraiata su un letto, vestita solo di candida biancheria. Di fronte a lei il suo ragazzo, quell’uomo che ama e che le sta facendo vivere un sogno. Hanno appena fatto l’amore e i loro corpi sudati sono percorsi da mani che carezzano dolcemente la pelle nuda, quasi a voler costatare che non è un sogno. Senti ancora i loro respiri leggermente affannati, i loro sorrisi di complicità e calore. E ti scopri a ricambiare quei sorrisi, lieto che la tua mente si possa riposare per una notte. Ti senti quasi un intruso a violare quella loro intimità, quindi te ne vai quasi chiedendo loro scusa, pur se in cuor tuo rimane la felicità di chi si è appena lavato via tutti i peccati del mondo. Ti allontani da quella scena a malincuore e ti rigetti negli affanni notturni della città. Automobili sfrecciano per le strade come ignare pedine nell’impari gioco della morte. Cani ululano tutta la loro frustrata potenza alla luna, apatica protagonista del buio. Gatti litigano per una femmina in calore, eterna protagonista della lotta per la procreazione. E come sfondo a tutto questo i soliti pensieri di preoccupazione, di rabbia, di immobilità. Ricordi che una volta sentisti pensieri simili in un manicomio in cui era ancora in pratica la lobotomia. E la cosa ti fa rabbrividire. Come ogni notte quindi cerchi qualcosa per cancellare questi pensieri, per affogarli in qualcosa di familiare, di odiato e amato nello stesso tempo. Ti togli la maschera da segreto osservatore delle vite notturne e indossi quella che più ti avvicina agli altri della tua specie. I tuoi sensi si mettono all’ascolto della grande massa umana che percorre queste strade di periferia, cercando, indagando, penetrando i segreti di case, vicoli e portoni. Stanotte non hai voglia di una ragazza alla quale non lasciare nessun ricordo, se non una spossatezza per lei ingiustificata. Stanotte non hai voglia di sentire il dolce sudore femminile che annuncia il fiotto di sangue sulle tue labbra. No, stanotte hai voglia di rudezza… e di morte. Come un barbone che fruga nei cassonetti, ti metti a rovistare nel marasma di vite che percorre la notte, cercando il rifiuto più grande, più puzzolente e ripugnante che tu possa trovare. Davanti a te passano spacciatori di ogni risma, portatori di morte, assassini, ladri… ma nessuno è degno di te, nessuno può soddisfare la tua sete di distorta giustizia. Ti aspettavi gente pericolosa, gente che faceva del male per il gusto di farlo, che avesse anche l’anima sporca. Invece ti trovi a guardare delle gente che finge di vivere, usando l’illegalità per sopravvivere, per sempre rinchiusi nella paura di venire scoperti. E non è questo che vuoi. Non vuoi nutrirti di larve, non vuoi dare loro una morte che risulterebbe alla fine una benedizione, una liberazione da questa vita che non sono più sicuri che possa definirsi tale. Finché non vedi lui. Era davanti a te da tempo. Lo hai seguito con la sicurezza che si sarebbe cacciato in qualche guaio e che quindi avresti potuto giustificare la tua sete mortale con l’aver salvato la vita ad un innocente. Ma nessuno lo ha toccato e lui continuava ad andare dritto per la sua strada. Solo allora hai letto i suoi pensieri per curiosità. Solo allora hai visto che il vero mostro non è quello brutto che puzza e uccide, ma è quello che dall’alto della sua facciata profumata e avvenente distrugge le vite delle persone. Canticchia e fischietta, diretto verso casa. Ma non è casa sua. E’ la casa di una donna che lui ricatta tutti i giorni per avere prestazioni sessuali in cambio. Lei non ha una lira, essendo stata licenziata da poco e potendo solo eseguire brevi lavoretti sporadici. E lui le permette di stare ancora dentro quella casa pretendendo un affitto senza monete, ma carico di soddisfazioni. Sua moglie non sa nulla e lo aspetta a casa con la bimba in braccio, quasi consapevole del tradimento del marito, ma troppo impaurita dalla sua reazione per poter reagire o anche solo scappare: è lui che ha i soldi, lui che detiene il potere. Ma non stanotte. Non aspetti neanche che si infili in un vicolo. Lo prendi per un braccio e lo trascini via, urlante e imprecante, mentre cerca senza successo di divincolarsi dalla tua presa ferrea tra gli occhi stupefatti della gente della notte. Come immaginavi, nessuno si sposta per salvarlo o anche solo per capire cosa stia succedendo, tutti troppo impegnati a salvare le proprie vite e a continuare con la loro sopravvivenza. Apri un portone con la sola forza del tuo braccio libero e lo sbatti a terra sul pianerottolo. Si rialza immediatamente, pronto ad affrontarti. Sorridi nel pensare che non ha la minima idea di chi tu sia. E, prima di ucciderlo, hai voglia di farglielo sapere. E’ il solito gioco di sensazioni da infilare in una mente. Niente parole, niente comunicazione, solo fugaci immagini che servono per dare un’idea ben definita della vera natura di chi gli è davanti. Poi è solo questione di fargli capire che sai tutto di quello che ha fatto e che stanotte non hai intenzione di preservare una vita umana dalla tua sete. Lo capisce. La sua espressione si tramuta in una maschera di paura incredula. Lo senti ripetere a se stesso che in vampiri non esistono e che lo stai prendendo in giro. Ma la sua convinzione vacilla, trema e si abbatte al suolo schiacciata dalla realtà di fronte a lui. Sta per morire. Lo sa e non vuole ammetterlo, non ci crede. Non aveva mai pensato di poter morire, come non aveva mai pensato che qualcuno potesse venire a sapere delle sue avventure con quell’affittuaria maltrattata e bisognosa di casa. Vorrebbe fuggire ma la sue gambe lo immobilizzano al terreno, come se i piedi stessi fossero diventati di piombo e lo ancorassero impedendogli quasi anche di respirare. Non sa cosa fare. Tu gli togli ogni dubbio. Ti avvicini lentamente, con il tuo solito passo deciso ed elegante, lo stesso che fa sognare le ragazze che scegli come prede innocenti e tremare gli uomini che decidi di uccidere. E lui trema. Non emetti un suono, se non quello dei tuoi stivali sul pavimento. Ma lo fai apposta, per fargli sentire il tuo incedere, come un orologio che sta facendo un conto alla rovescia verso un momento inevitabile. Lui indietreggia di un passo, la faccia colpevole di una preda che sa di aver commesso un errore, scoprendosi al nemico. E tu avanzi ancora, rallentando la sua agonia, facendogli quasi desiderare di essere già morto per evitare tutta questa attesa. Sorridi leggermente nel ricordare un aforisma di Oscar Wilde: “Questa tensione è insopportabile! Vorrei che non finisse mai!”. Lui interpreta il tuo sorriso come un ghigno maligno di un cacciatore che sta per assaporare la propria preda. Ottimo! Non volevi sorridere, ma ti piace l’effetto che ha causato. Il tuo silenzio lo impaurisce ancora di più e dalla sua bocca escono solo piccoli gemiti di ansia troppo codardi per diventare grida. Non è l’orgoglio a non farlo urlare, ma la semplice paura. E la cosa ti dà una sinistra soddisfazione. Ti scopri a pensare che forse questa attesa è la stessa che deve provare la sua affittuaria quando sa che sta venendo da lei, carico di violenza e animalità. E stasera ti senti in vena di applicare la legge del contrappasso dantesca su di lui. Leggi il terrore nei suoi occhi, ma non la consapevolezza di chi sa di aver sbagliato. Se potesse non rifarebbe gli stessi errori. Eppure la sua non è un’ammissione della sua colpa: non vorrebbe rifare quello che ha fatto per non dover subire quello che sta subendo ora. Non gli importa di quello che sta soffrendo quella donna, di quello che soffrono ogni giorno sua moglie e la figlia. Gli importa solo di sopravvivere, di restare vivo. Tra poco le sue preoccupazioni finiranno. Lasci il corpo svuotato di tutta la linfa vitale nel fiume. Speri solo che qualche ratto lo mangi in fretta, riempiendosi la pancia di una sporcizia più lercia di quella che scorre ogni giorno tra le sue acque. Osservi il corpo galleggiare per qualche secondo. Poi le buste e lo zaino pieni di sassi che gli hai messo addosso fanno il loro effetto, portandolo sul fondale melmoso a fare compagnia alla fanghiglia così simile a lui. Ti incammini di nuovo lungo gli argini del fiume, risalendo le scale che ti portano di nuovo lungo le strade brulicanti di vita e di automobili. Nelle tue tasche hai tutti in soldi che lui aveva appena ritirato dal suo bancomat, più altri che aveva appena preso da altri affittuari regolari. Hai intenzione di portarli a quella donna che lui sfruttava. Ma ti senti sporco, come ogni volta che uccidi una persona. Non importa se siano criminali, malfattori o assassini. Togliere una vita per te è sempre un evento che ti lascia un sapore amaro in bocca, mischiato al dolce salato metallico del sangue. Hai bisogno di lavarti via di nuovo queste sensazioni, di tornare con la mente a qualcosa di piacevole, di bello, che possa toglierti il ricordo di un pasto mortale. (continua...) -
La mano si strinse sull’elsa della spada, sfoderandola con riverente paura. I suoi occhi la guardarono per un attimo, cercando di carpire il suo segreto, la sua forza e la sua natura. Poi smisero di indugiare sul metallo rosseggiante per dirigersi verso la fenditura nel marmo bianco coperto da minuscoli detriti di quella che una volta era una statua. Un’occhiata alla lama ed ancora la conferma che sembrava poter entrare perfettamente in quella striscia nera. La sua mente le diceva che poteva entrarci qualsiasi spada normale, non necessariamente la sua. Ma il suo corpo la spingeva istintivamente a mettere proprio la sua arma in quello squarcio di tenebra. E lei infilò la spada in esso. Poi ci furono solo immagini e sensazioni, unite ad un dolore che sembrava straziarle ogni singolo muscolo, che sembrava volerle spingere il cervello contro le pareti del cranio per sfondarlo e farlo uscire, liberandolo da quella prigione. Ma il suo cervello non esplose, anzi raccoglieva immagini fugaci di una ragazza rifiutata dalla madre, di violenza, di un padre assente e triste, di bottiglie di alcol vuote lanciate contro il muro, di un lavoro umiliante, di tavolini da pulire, di clienti da uccidere, di... di... di vendetta! Poteva udire l’urlo del rancore salirle dal braccio fino ad esploderle nelle tempie. Eppure vi era un sottofondo a tutto questo, una minuscola particella melodica che sembrava stonare con l’odio che la stava pervadendo, l’unica cosa che le fece capire quello che doveva fare, che doveva resistere, che non doveva assolutamente svenire. E non svenne. Poi la vide, in piedi accanto a lei, una ragazza bellissima in un’armatura che sembrava assorbire la stessa luce del sole, dalla quale era convinta si potesse vedere il più nero dei cieli notturni. Un’occhiata verso di lei. Uno scambio di altre sensazioni. La visione di qualcosa che si affacciava da dietro l’odio di quegli occhi neri. E capì in quel momento che la sua armatura nera era nulla in confronto all’armatura che celava nell’animo. Vide uno specchio in quello sguardo. Vide la sua immagine quando si alzava la mattina e si andava a lavare in un lago, in un luogo che non era il suo, lontana dal mondo. Fuggiasca. Aixela aprì gli occhi. Ancora una volta quel sogno, quelle sensazioni. Diede al suo corpo il permesso di stirarsi un po’ per sgranchirsi, poi si mise seduta sul letto, appoggiando le mani dietro di lei. I suoi occhi cominciarono ad indagare la stanza e ad interrogare la mente per associare il tutto a qualche ricordo che le dicesse dove si trovava. Ma bastò un’occhiata alla sua spada posta su un mobile poco distante per capire. Era sporca di sangue, così come gli indumenti che la coprivano in parte. Quindi si trovava nella locanda dove lei e la sua compagna avevano fatto quella strage. Il pensiero di quella battaglia le provocava un misto di repulsione ed eccitazione. Si era sentita libera di fare quello che voleva, di non dover rendere conto a nessuno delle sue azioni. Non doveva più fuggire e nascondersi per la sua diversità. Ora aveva un’alleata che le avrebbe cambiato la vita. Scese dal letto e si preparò, lavandosi con l’acqua di un catino e indossando i vestiti ancora sporchi di sangue. Si ripromise di cercarne degli altri o di lavare questi, anche se per esperienza sapeva che il sangue era difficile da lavare dai vestiti quasi quanto era difficile toglierlo dalla mente. Si allacciò la cinta con il fodero e vi infilò la spada, carezzandola con un misto di attrazione e repulsione. Non sapeva se voleva ancora usarla. Si guardò allo specchio, fissandosi negli occhi, cercando di capire chi fosse quella ragazza riflessa in esso, se era la stessa che una volta voleva entrare nei Cavalieri di Jamalièl per combattere per la giustizia ed aiutare gli indifesi, se era la stessa che... «Muoviti! Dobbiamo andarcene!» Ashling entrò nella stanza, spalancando la porta di schianto, così forte che Aixela pensò che fosse uscita dai cardini. «Come mai?» Le chiese, distogliendo a fatica lo sguardo dallo specchio e sistemandosi la spada. La sola risposta fu uno sguardo che significava che aveva parlato anche troppo. Poi Ashling si incamminò lungo il corridoio a grandi passi, scendendo nella grande sala. Fui solo in quel momento che Aixela si rese conto che vi era l’eco di altri passi e di cavalli al galoppo. Scese in fretta le scale e uscì dalla porta. Ashling era lì, ritta in piedi, la spada sguainata. Di fronte a lei vi erano una decina di uomini in armatura e tre cavalieri. La Guardia Cittadina. Avevano sentito del massacro che c’era stato da qualche viandante ed erano arrivati per controllare. Quello con l’aria da ufficiale si staccò dal resto del gruppo e venne incontro a loro, fermandosi a pochi metri, dominando entrambe le ragazze dall’alto della sua cavalcatura. «Vi consiglio di arrendervi, signore. Ci hanno riferito quello che avete fatto e...» Non fece in tempo e finire che Ashling si gettò come un fulmine su di lui, tagliandogli un braccio. Poi si allontanò di nuovo tornando nella posizione in cui era prima, lo sguardo trionfante che osservava il moncone spillare sangue come se fosse birra da una botte. Gli altri soldati rimasero con gli occhi aperti per lo stupore e la sorpresa, anch’essi incantati da quel macabro spettacolo. Poi uno di loro si scosse e sfoderò la spada, seguito dagli altri, preparandosi a caricare le ragazze. «Fulminali.» Disse con calma Ashling. «Cosa?» Le rispose Aixela, pur se aveva paura di aver capito bene. La ragazza dai capelli neri la guardò con un’occhiata di disapprovazione. «Sfodera la spada e colpiscili... oppure... dammi la mano.» E le tese una mano. Aixela non sapeva che fare e tese la mano verso di lei. Appena la strinse sentì ancora una volta la magia che le pervadeva, uscendo dalla terra stessa e andando nel corpo della sua compagna. La sua testa era inebriata di tanto potere, di tanta energia. Le vennero in mente i predoni e la sua furia che la portò quasi ad uccidere la sua stessa Lirian... già, Lirian... lasciata sola su quell’isola, su quel luogo maledetto, quella trappola orchestrata per far rinascere il male. Lasciata sola. Sola. La sua mano libera andò alla spada, stringendo l’elsa quasi come se volesse strozzarla. La sfoderò e le puntò contro i soldati. Delle saette uscirono dalla lama uccidendo all’istante due di essi. Poi lasciò la mano di Ashling e si gettò contro di loro, urlando rabbiosa tutta la sua impotenza accumulata negli anni. Abbassò la spada ed un braccio cadde in terra, seguito da un grido di dolore zittito immediatamente da un’altro lampo di metallo che fece rotolare la testa a terra, un’espressione di terrore dipinta in volto. Si girò in tempo per parare un colpo. Poi fu solo questione di infilare l’acciaio nella fessura dell’armatura tra collo e spalle. Guardò per un attimo il sangue zampillare dalla ferita, come se fosse una di quelle fontanelle dei villaggi. Si abbassò per evitare un fendente e rispose mozzando una gamba, affondando poi la lama nella fessura della visiera. Si girò di nuovo e si fermò quando trovò davanti a lei Ashling che la guardava affannata e con la sua spada sporca anch’essa di sangue. «Perché l’hai fatto?» Le chiese la ragazza dai lunghi capelli neri. «Non lo so.» Aixela scosse la testa «So che dovevo... che quando mi hai dato la mano... è stato come al tempio... e ho visto... non so...» Ashling rinfoderò la spada e guardò la ragazza confusa negli occhi. Il suo sguardo rivelava gratitudine per una cosa che solo lei poteva capire. Poi la abbracciò ed insieme corsero via da lì, in sella ai cavalli, gli unici spettatori della battaglia.
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Bello bello... ora ci penso io a dire cosa sta facendo nel frattempo Ashling...
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Io li vendo tutti, se vi può interessare. -
La pioggia cadeva incessante sulla strada. Aixela riusciva a stento a vedere la sua compagna che cavalcava di fronte a lei. Non aveva ancora messo la sua bellissima armatura nera, usando ancora quei vestiti da avventuriera semplice. Il motivo le appariva semplice: un'armatura avrebbe destato sospetti, visto che gli unici che ne portavano una erano i Cavalieri di Jamalièl oppure gli eserciti durante una guerra. E lei non era in guerra e non faceva parte del cavalierato. Carezzò la sua spada come sempre, consapevole che la avrebbe utilizzata la più presto, magari proprio contro quei cavalieri che si dicevano giusti e che l'avevano scartata solo per la sua diversità. Si immaginò con un sorriso maligno disegnato sul volto e rabbrividì. Non voleva portare la morte e la sofferenza, ma in quel momento quella donna che le cavalcava davanti le sembrava l'unica via di salvezza da una vita in fuga perenne. In lontananza iniziarono a brillare le luci di una casa, probabilmente una taverna. Ashling fermò il suo cavallo e le indicò proprio quelle finestre illuminate. Si sarebbero fermate lì per passare la notte. Legarono i cavalli nella stalla ed entrarono nella locanda venendo accolte da un intenso aroma di carne e di dolci. Appena fecero il primo passo dentro la sala, l'unico suono che si sentiva era quello dello sfrigolio di diverse bistecche. Tutti smisero di parlare alla vista delle due ragazze chiuse nei loro mantelli fradici. Aixela era sicura di sentire le gocce che cadevano dai suoi vestiti sul pavimento. Ashling invece non si curò di nulla e si diresse verso un tavolino in un angolo semibuio da cui era possibile vedere tutto, invitando la sua compagna a seguirla. Gli sguardi le seguirono per tutto il tempo, fissandole mentre si levavano i mantelli da viaggio, poggiandoli su una sedia lì vicino. Qualche sorrisino malizioso interruppe il silenzio. Ashling reagì con occhiate fredde e minacciose verso gli uomini che avevano fatto tali velati apprezzamenti. Dopo pochi eterni istanti la taverna ricominciò a brulicare di voci e risate tipiche di un locale del genere. Anche l'oste si mosse e venne a chiedere le ordinazioni, andandosene dopo aver appuntatto tutto quello che gli era stato dettato con precisione e fretta. Aixela stava per iniziare a parlare quando notò l'espressione della sua compagna. Aveva lo sguardo furente, fisso verso un gruppo di uomini che ogni tanto lanciavano occhiate nella loro direzione, i sorrisi che non promettevano niente di buono e la gestualità che non lasciava molto spazio alla fantasia. Stava per fare un commento quando notò che in fondo agli occhi vi era un leggero barlume di paura, illuminato dal dolore di quello che doveva essere un ricordo. Forse era lo stesso ricordo che aveva percepito mentre la sua magia fluiva dentro la terra e la liberava. «Cos'hai da guardare?» Le chiede improvvisamente Ashling, il tono freddo e secco, irritato. «Nulla... nulla...» Aixela chinò il capo, lanciando però degli sguardi verso quel gruppetto di uomini. «Mi fanno schifo!» Disse la sua compagna in nero seguendo lo sguardo della ragazza «sai cos'hanno apena fatto?» «No.» «Hanno appena ripulito una casa da tutto l'oro... e, come se non bastasse, hanno ucciso tutti i loro abitanti e violentato le donne.» Strinse il pugno. «Cosa? E...» «E sai cos'hanno intenzione di fare?» Il suo sguardo sembrava fiammeggiare mentre fissava gli occhi di Aixela «Hanno intenzione di fare la stessa cosa con noi, appena andremo a letto o appena ce ne andremo.» Si alzò di scatto in piedi «Ma non lo faranno... mai più!» Le ultime due parole le uscirono in un sussurro. Aixela non capì più nulla. la vide sfoderare la spada e dirigersi verso quegli uomini che non si mossero neanche nel vederla arrivare. E lei ne decapitò subito uno con un colpo netto, infilzando poi il secondo prima che gli altri avessero il tempo di difendersi. La sua lama penetrò nel cuore del terzo e l'ultimo riuscì solo a parare un colpo per poi ritrovarsi con la gola tagliata, steso a terra con gli occhi ancora aperti. Gli altri clienti scapparono o sfoderarono le spade, chiedendo vendetta e giustizia. Ma Ashling ormai era fuori controllo e inseguiva ogni cosa si muovesse, mietendo vite come un contadino fa con il grano. Ogni colpo era un urlo rabbioso. Aixela si mise al suo fianco per difenderla da tre guardie cittadine apparse sulla soglia nel sentire le urla e ne uccise due, solo per vederla poi affondare la spada nella terza con una certa soddisfazione. Poi ci fu solo silenzio e lo sfrigolio della carne sul fuoco. Sentivano entrambe i loro respiri affannati. Intorno a loro vi era solo morte, solo sangue e corpi ormai senza vita. Ashling si inginocchiò, poi allargò le braccia e urlò tutta la sua rabbia in un grido che nulla aveva di umano fino a restare senza fiato. poi chinò il capo. Aixela si avvicinò piano e si accosciò accanto a lei, guardandole il volto. Stava piangendo.
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Se volete vi mando via MP le origini della donna.
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Aixela si mise a cavallo. Non si sentiva sicura su quell'animale, essendo sempre andata a piedi, rifugiandosi nei boschi con il suo Trebor. Ricordava che era proprio in un bosco che lo aveva incontrato, cercando di cacciare della selvaggina e finendo per colpire lo stesso animale che lui aveva puntato da tempo. Con un certo senso di colpevolezza, ricorda di come abbia sfruttato l'attrazione di lui verso di lei per tenerlo con sé e non essere più sola, senza dirgli che i suoi gusti erano ben diversi. Sorrise nel pensare a quella volta in quella taverna. Stavano seduti al solito tavolino posto all'angolo della sala, vicino alla finestra, in modo da avere le spalle coperte, un'ampia visuale della stanza e una via di fuga facile. Una cameriera arrivò a chiedere le ordinazioni. Aixela la guardò intensamente: era bellissima! Forse la ragazza più bella che avesse visto fino ad allora. Ne era rimasta colpita, così tanto che si trovò a fissarla più di una volta, vedendola che ogni tanto si accorgeva dei suoi sguardi, sentendosi a disagio. Trebor non capiva e pensava che lei stesse guardando un uomo, finché lui stesso gli disse che quella cameriera era veramente bella, senza risparmiare dei commenti piccanti, pur se mai volgari, su di lei. E ancora in quel momento ricordava l'espressione di lui quando anche lei fece gli stessi commenti, rivolta sempre alla cameriera, rivelando così la sua omosessualità. Da quel momento lui le era sempre stato vicino, un innamorato che sapeva di non poter essere contraccambiato, ma che accettava tutto questo pur di starle vicino e apprezzando il fatto che lei lo volesse accanto senza secondi fini. La stessa cosa che lei stessa apprezzava, vedendo come lui, pur essendo completamente perso per lei, le stava vicino senza secondi fini. Una voce accanto a lei la distolse dai suoi pensieri. Era Ashling. Le chiedeva se andava tutto bene. Annuì.
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La nostra storia - Vampiri
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Diciamo sì e no. In teoria i vari racconti poi dovrebbero confluire in uno solo, come per "la nostra storia" (fantasy) e per "la nostra storia 3020 - Cyberpunk". -
La nostra storia - Vampiri
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Io ho un'altra storia da postare... e l'avevo già postata solo per poi cancellarla, dal momento che ho paura che possa suscitare sentimenti contrastanti, essendo molto cruda e violenta. -
La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Be', mi era sembtao di leggere che voleva partecipare nel Topic di presentazione... e poi lo ha postato in questo Topic in cui ci sono i BG per "La nostra storia". -
La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Be', ragazzi, visto che la nostra cara Aixela se n'è andata con la "cattiva", lei potrebbe incontrarle, no? -
La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
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La nostra storia...supporto hardware
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di daermon in Prosa e Poesia
Mi hai battuto sul tempo... -
Un buon regolamento per il combattimento con veicoli che può essere facilmente adattato a Dimensioni è senza dubbio quello di Cyberpunk: veramente ben fatto!
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La Nostra Storia 3020 - ->CyberPunk<- -
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Gigared in Prosa e Poesia
L'addestramento non fu lungo, ma la sua intensità fece credere a tutti che fossero passati dei mesi invece che pochi giorni. Per tutta la sua durata Paul fu assalito da un senso di colpa nei confronti di Venus, dal momento che l'addestramento gli ricordava i bei momenti passati ad allenarsi con Sheila. E anche lei provava la stessa sensazione, tanto che li si poteva vedere sempre insieme, spalla contro spalla, contro ogni tipo di avversità. Se non ci fossero stati Mike e Venus forse l'addestramento sarebbe proseguito anche la sera quando tutti se ne andavano esausti nei propri letti. Veela affrontò il tutto con distacco, cercando di non pensare alla ragazza che era stata, ma andando a ripescare tutto il suo repertorio. La sua abilità stupiva tutti, così come li stupiva il fatto che eseguisse ogni cosa come una fredda automa programmata per uccidere. Non provava piacere in quello che faceva, ma amava ripetere a se stessa che non sarebbe tornata quella di prima e che tutto questo non l'avrebbe cambiata. Mike mise da parte la sua gelosia e si impegnò con rinnovato vigore, anche se ogni volta che vedeva quei due stare spalla a spalla rischiava di fare qualcosa di avventato. Ma gli anni come poliziotto gli davano quella disciplina necessaria per non distrarsi. Eliah era ben felice di poter finalmente imparare a difendersi da solo, potendo così dimostrare al padre che anche lui era un Burton ed era orgoglioso di esserlo. Voleva far vedere come fosse cambiato e in cuor suo covava la segreta speranza di poter salvare il mondo dalla catastrofe imminente. Ma la cosa che stupì tutti quanti fu vedere come Venus mettesse anima e corpo in tutto quello che faceva, rialzandosi sempre ad ogni caduta, anche se fosse stato semplicemente per cadere di nuovo. La si poteva vedere con gli occhi puntati verso Sheila e non era difficile immaginare che era sua intenzione far dimenticare tutto a Paul, sostituendosi definitivamente a lei. Finché arrivò il giorno in cui tutto fu pronto per partire alla volta dell'Italia. L'unico problema era che non avevano ancora la minima idea di come arrivarci. Burton spiegò davanti alla sua lavagna olografica i problemi. Dal momento che l'unico mezzo per giungere a destinazione era tramite un velivolo, era molto difficlle, se non impossibile, passare inosservati. Non potevano rubarne uno perché sarebbero stati immediatamente intercettati nei cieli e abbattuti. E non potevano neanche prendere un normalissimo volo di linea, visto che tutti i passeggeri venivano controllati. E loro, essendo ricercati dalle Megacorporazioni maggiori, non avrebbero avuto via di scampo. La situazione era in stallo e tutti cominciarono a pensare all'inutilità del corso di addestramento, se non vi era poi la possibilità di applicarlo. Potevano restare senza fare nulla, aspettando la fine del mondo, ma il pensiero che migliaia di ricchi si sarebbero salvati solo grazie alla loro corruzione non li faceva desistere dal desiderio di andare a vedere cosa steva succedendo. A costo di non salvarsi, avrebbero comunque mandato all'aria i piani di questa gente. Mike non vedeva l'ora di leggere il terrore negli occhi della sua ex moglie. E Paul assaporava il momento in cui avrebbe fatto assaggiare un po' di piombo a chi aveva fatto del male alla sua Venus. Ma questi pensieri venivano amplificati dalla rabbia di non poter fare nulla. Con questi pensieri Paul si siede su una sedia in camera sua, guardando il muro vuoto davanti a sé. Tiene la pistola in mano come se potesse dargli lei la risposta a tutto, ma alla fine tutto quello che gli rimane è del freddo metallo. Venus gli si avvicina alle spalle, sinuosa come una gatta... o come Sheila. Gli dice che andrà tutto bene, che troveranno un modo per andare lì, ma sa che gli sta dicendo delle bugie. E anche lui lo sa. «Devono pagarla!» Le dice, guardandola negli occhi, per poi spostarli sulla sua pistola. «La pagheranno, dopotutto il mondo finirà e non sarà più come prima, no?» «Ma loro saranno vivi! E questo non mi piace.» Venus non sa cosa dire. Ha ragione. Anche lei sta male solo sentendo che sopravviveranno. Ma non deve farsi vedere debole. Cosa farebbe Sheila in questo momento? Lo prenderebbe e lo sbatterebbe sul letto per dargli una sana dose di sesso e amore? Forse... «A volte vorrei andare altrove... vorrei non essere mai nato sulla Terra.» «Preferivi forse Marte? Lo sai quanto si vive male lassù. Ogni volta che uno Shuttle atterra da quelle parti il pilota non vede l'ora di andarsene. Non credo che...» Venus si blocca. Paul spalanca gli occhi. Ecco la soluzione! Shuttle! Sarebbero andati da uno di quei piloti interplanetari senza scrupoli che contrabbandano merce con il silenzioso benestare delle Megacorporazioni e avrebbero simulato un guatso che li avrebbe dovuti far atterrare in Italia. Sì... era perfetto. Rimaneva solo da trovare un pilota abbastanza pazzo e corrotto per farlo. -
white wolf Vampire the requiem
Joram Rosebringer ha risposto alla discussione di Serghuio in Altri GdR
LO VOGLIO! =P~ -
Sarebbe passato a riprendere il gruppo dopo 10 giorni dal loro arrivo. Oppure, se loro non avessero fatto in tempo, sarebbe ripassato dopo un mese.
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Sentiva il suo corpo caldo che la abbracciava, mentre sotto di lei lenzuola di seta le lembivano la pelle come le onde di un morbido mare. La sentiva muoversi e sospirare come una gatta incapace di stare ferma. Teneva gli occhi chiusi per assaporare quel momento, impaurita che se li avesse aperti si sarebbe rivelato tutto un sogno. Aixela aprì gli occhi. Era tutto un sogno. Si toccò i vestiti e notò di stare indossando una comoda camicia da notte, come quelle che indossava prima di iniziare la sua fuga, quando smise di cambiarsi per andare a dormire, tenendo la sua spada sempre accanto a sé. Spostò lo sguardo poco oltre il letto e notò tutto il suo vestiario posto in ordine su una sedia. Si mise a sedere, notando con sollievo che vi era ancora la spada, poggiata proprio contro un rudimentale armadio. Per la prima volta dopo anni, sentiva la sua mente leggera e si concesse il lusso di stirarsi un pochettino, sbadigliando sonoramente e gettandosi di nuovo sul letto. Non sapeva dove si trovasse. Capiva solo di stare in una locanda, a giudicare dall'incessante rumore di passi, voci, bicchieri e piatti. Gli accenti che sentiva le suonavano familiari, molto simili a quelli della zona dove lei era nata. Cominciò a pensare ai genitori e si scoprì a sorridere, pur se sentiva le lacrime bussare agli occhi. Suo padre era morto a causa sua, cercando di riportare in vita la madre. E lei per tutta la vita è dovuta fuggire per la sua diversità. Nella disgrazia ha trovato persone che l'hanno accettata e che si sono prese cura di lei, come la dolce Lirian. Si soprese a pensare a lei con quella sensazione di soffocamento del cuore, quella mancanza di qualcosa che aveva fatto parte della sua vita, seppur per un così breve e intenso tempo. Ma ormai aveva deciso. Quella donna le aveva dato qualcosa, una sensazione che l'aveva colpita con la forza di un fendente al cuore. Mentre la magia entrava dentro l'altare rafforzadola, qualche cosa si insinuò in lei. Immagini di un passato tormentato, scene violente, guerre, battaglie... ma soprattutto del dolore. E quel dolore era nascosto bene, coperto da diversi strati di durezza e impenetrabilità, più sicuri della sua bellissima corazza nera. Si mise a sedere sul letto, massaggiandosi le gambe. In quel momento la porta di aprì ed entrò una ragazza stupenda dai lunghissimi capelli neri e lisci. Indossava abiti semplici da avventuriera, con stivali di cuoio, pantaloni di pelle e camicia di stoffa reistente. Sopra indossava un mantello da viaggio con cappuccio. Il tutto era rigorosamente nero. Alla destra le pendeva un fodero con una spada dall'elsa elegantemente rifinita. Tutto il suo essere emanava nobiltà e fierezza. Tutto... tranne il suo sguardo. Aixela vide l'ombra della malinconia dietro i suoi occhi, un'ombra mascherata da rabbia e tramutata in vendetta verso qualcuno di cui lei non aveva idea. «Buongiorno.» Le disse la figura in nero, porendendole i vestiti dalla sedia e porgendoglieli. «Nella stanzetta accanto troverai dell'acqua calda per darti una lavata.» Le indicò la stanza, poi si girò verso la porta. «Ti aspetto nella sala per la colazione.» Le sorrise e imboccò l'uscita. «Aspetta!» Disse Aixela, alzandosi dal letto con i suoi vestiti in mano. Lei rientrò nella camera, lo sguardo irritato. «Scusami... ma io... volevo sapere come ti chiami.» Arrossì in volto mentre lo diceva, ma era solo per la paura di una sua reazione e quindi di perderla. La figura in nero rimase immobile in silenzio per lunghi attimi. Poi la sua irritazione venne spaccata in due da un sorriso. «Mi sembra giusto.» Disse. «Il mio nome è Ashling.» Si inchinò e si avviò, chiudendosi la porta alle spalle. Aixela scese dopo una mezz'ora nella sala principale. Carezzava la spada con la mano, guardando intanto tutti i presenti alla ricerca di lei. La trovò ad un tavolino vicino ad un angolo da quale era possibile vedere tutta a sala. Stava sorseggiando un bicchiere di latte con l'avidità di chi non assaggiava del cibo da anni e l'eleganza di chi sta partecipando ad una cena tra nobili. Si sedette di fronte a lei, trovando la colazione già servita e pronta per essere mangiata. Prese del pane dolce di Sherlyn e della marmellata e cominciò a mangiare. «Grazie.» Le disse tutto d'un tratto Ashling, la voce profonda e sentita che sembrava come rotta dall'emozione. «E di cosa?» Le chiese Aixela, stupita. Ma lei non rispose e si mise a guardare il mondo fuori da una finestra, facendo capire che la conversazione era finita lì.