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Joram Rosebringer

Circolo degli Antichi
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Tutti i contenuti di Joram Rosebringer

  1. No, aveva solo le gambe metalliche (aveva perso quelle sue schiacciate da un carro anti sommossa), ora sostituite con gambe clonate. Ma quando stava insieme a Paul le aveva metalliche (pur se coperte di Vera Pelle)... e lui era spesso fra le sue gambe.
  2. Cyberudito e Cybervista (gli occhi di Sheila, se visti da vicino, hanno la marca sulle iridi) collegati con un trasmettitore che ha Remy A proposito: Remy è allergico ai metalli e privo di organi genitali.
  3. Quei due naturalmente sono Elijah e Veela. Ora sta a voi.
  4. Non è possibile! Non può essere vero. Paul entra nel negozio, aprendo la porta e lasciandola cadere in terra, divelta. Il bancone davanti a lui era spezzato a metà, probabilmente da un cyberbraccio. I pezzettini dei Tattoobot erano sparsi per il pavimenti e qualche ago era stato lanciato contro il muro in un grottesco gioco di freccette con le fotografie dei proprietari e degli amici. Non c'è nessuno. Neanche la polizia. Questi lavoretti ai negozi erano così frequenti e normali che vi erano compagnie assicurative che gestivano solo questi tipo di incidenti. I poliziotti neanche si muovevano se non vi era qualcuno che urlava o se non ci scappava il morto. E qui c'è un silenzio quasi innaturale. Persino il vicolo esterno è silenzioso. La zona era stata isolata proprio per gestire dei traffici non proprio legali di chip. Al pensiero dei traffici, Paul prende la pistola e si incammina lentamente verso il retro. Come immaginava, trova la porta segreta aperta e divelta. Sembra sia stata presa a pugni da cyberbraccia molto robuste. Tutto intorno è ammaccato e distrutto, ridotto in minimi pezzettini che scricchiolano sotto le scarpe. I muscoli si rilassano. Sembra solo un attacco dei soliti cyberpsicotici, magari ad uno di questi gli era andato in corto il chip neurale ed ha creato tutto questo casino. Era già successo. Ma due cose non vanno bene. Sembrava troppo un lavoro da cyberpsicotico. Come se il pazzo avesse voluto far capire che era stato uno della sua razza a distruggere tutto. E poi, delle cose non combaciavano. Le porte sembravano buttate giù da numerosi colpi, ma il colpo più grosso che le aveva fatte crollare era proprio nella zona della serratura. E' un punto che tutti i killer professionisti imparano a colpire per irrompere con poca fatica e tanta velocità. E dentro il laboratorio non vi erano più i chip. La cosa è quasi ovvia: questi psicotici si prendono i chip come fossero droghe. Ma distruggono i cassetti ed i mobiletti in cui sono, afferrandoli a manciate. Invece i mobiletti sono tutti aperti, con le sole serrature elettroniche fuori uso. E i chip sono spariti... tutti! Non sono stati presi al volo per poi fuggire. Sono stati metodicamente presi e portati via. Una consapevolezza improvvisa lo fa tornare sulla porta d'entrata. Come immaginava, pur se i colpi sembravano provenire dall'interno, si vede chiaramente che il colpo che la aperta proveniva dall'esterno. L'hanno sfondata con un colpo preciso da fuori e poi l'hanno ridotta male per far credere che invece sia stata sfondata dall'interno. Torna a guardare la porta del laboratorio e nota la stessa cosa. Sposta lo sguardo su Sheila e vede che anche lei ha capito. E' stato un lavoro da professionisti organizzato in modo che sembrasse l'opera di un pazzo fuori di testa per un corto nel chip neurale. Un suono lo fa sobbalzare, la pistola spianata davanti a lui, lo sguardo che vaga in giro. Ooi si accorge che è il suo cellulare. Lo prende. Numero sconosciuto. «Pronto?» «Che aspetti a venirmi a prendere, Paul?» «Remy! Dove sei? La tua villa... il negozio...» «Lo so... ti vedo. Pensi che abbia messo solo telecamere evidenti?» Paul sorride: «Furbacchione!» «Sono sotto la mia villa e questa comunicazione è protetta. In teoria non sta avvenendo neanche.» Ridacchia «Non so come uscire: è pieno di poliziotti. Mi hanno fatto proprio un bel casino con quella bomba.» «Ma... ti troveranno la sotto.» «Non lo hanno mai fatto i satelliti, pensi che lo faranno loro?» Sospira «Le scelte sono due. O riesci a mandarli via di qui entro breve o ti trovi un altro fottutissimo incursore della rete. Se vuoi ne conosco uno. Non è affidabile ed è un po' quello che si può definire una testa di cazzo drogata. Ma è in gamba. E mi deve dei soldi. Digli che il conto è saldato se ti aiuta. Voglio capire anche io in che casino mi hai ficcato, tesoro.» «Ma tu... come fai a sapere che ti stavo...?» Poi si azzittisce. Lo sguardo cade su Sheila. «Capito. Come sempre, lavorate in coppia voi due, vero?» «Ormai solo per affari. Lo sai che non c'è implanto sessuale che mi possa siutare per il mio problema, no?» Ride. «Comunque, il ragazzo si chiama Nicholas. Puoi trovarlo nelle zone più infime della città. Ti mando il suo numero.» Un bip appena percepibile. Paul guarda lo schermo e vede un numero di telefono. «Grazie... ma...» Non c'è più comunicazione. Remy ha attaccato. Salva in numero di Nicholas, poi guarda Sheila. «Be' spero di non aver bisogno neanche io di un implanto sessuale.» Le sorride. «No, tranquillo. E poi tu non sei allergico ai metalli... o in passato ti saresti trovato un bel po' di volte tra due gambe che ti davano allergia.» Gli fa un occhiolino malizioso. Un rumore. Passi in avvicinamento. Due persone. Senza dire una parola, si gettano accosciati dietro il bancone, gli occhi che scrutano l'entrata da una fessura, le pistole in pugno... in attesa...
  5. Il fatto è che quando arrivo io devono succedere delle cose (eh eh eh ). Facciamo così... arrivo prima io. Per Nicholas: fai quello che vuoi, tanto ho un modo per farti entrare a pieno ritmo nella storia tra brevissimo.
  6. Ora la domanda è... chi facciamo arrivare prima al negozio devastato? Comunque, veramente un bel pezzo, Wolf!
  7. Aixela sentì in lontananza il rumore di un ruscello. Era un rumore che significava ricordi. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando era solo una locandiera felice che andava a prendere l'acqua, in trepidante attesa di poter mettere la sua spada al servizio dei Cavalieri di Jamalièl. Ma quella strada e quel ruscello le ricordavano anche quando era dovuta andare via dal villaggio perché diversa, non accettata. Strinse i pugni. Sì, doveva andare via da lì il prima possibile, fuggire verso luoghi in cui non era mai stata per tentare di ricominciare tutto da capo. Neanche voleva più continuare la sua missione suicida: contattare il re per dirle la verità sul suo omicidio, se omicidio poteva essere chiamato. Aveva la sua spada e aveva la libertà. Sarebbe andata in un villaggio tranquillo e lontano dove avrebbe ricominciato a fare la locandiera, mettendo la sua arma a riposo, chiusa in un baule. Si girò verso Trebor e lo vide avanzare mano nella mano con la ragazza. Una botta al cuore la sorprese con una leggera rabbia, una rabbia che non comprendeva. Vedeva lui che le parlava. Ridevano felici mentre le raccontava del suo tuffo nel rigagnolo. Anche Aixela sorrise nel sentire di nuovo il racconto, avendo nella mente la scena intera. Poi vide gli occhi di Lirian che fissavano Trebor. Li vide persi completamente, ubriachi di lui. E quella sensazione di rabbia montava un po' di più. Non l'aveva mai provata. Non sapeva cosa fosse. Spostò il suo sguardo verso il ruscello che ormai intravedeva davanti a lei. Lo avrebbero seguito fino alla fonte che non era tanto distante. Lì si sarebbero accampati per la notte, riparati da una grotta ben nascosta dagli alberi. Sempre che fosse ancora così. Si girò ancora una volta verso i due che la seguivano. E fu allora che notò uno sguardo furtivo di Lirian verso di lei, una rapida occhiata che poi, vergognosa, cadde a terra per andare a fissare in seguito il viso di Trebor. La sua rabbia sembrò cessare per un attimo, sormontata da un senso di soddisfazione. Li aspettò e poi si incamminò, fischiettando.
  8. E' uscito il 19 Marzo... ma è l'unica novità.
  9. Mi uccidete se dico che è uscita la prima parte del nuovo album di Biagio Antonacci?
  10. Le moto sfrecciano come saette, percorrendo le strade dissestate del primo livello come se non vi fossero buche o impedimenti. Ogni tanto si sente il chiasso di un gruppo di mutati che incitano i due a correre, convinti che stiano facendo una delle tante gare che si tengono nei bassifondi. Invece non vi è nessuna gara, se non contro il tempo. Ed il premio è la vita. Forse. Arrivati ai piedi di uno dei tanti palazzi del ventesimo secolo, si fermano, le ruote che stridono, alzando un leggero fumo. Paul scende dalla moto e alza una saracinesca, rivelando un vecchio montacarichi. «Sia benedetta la trascuratezza del secolo scorso se questo non è mai stato registrato negli uffici del catasto!» Prese le moto, le portano a mano dentro il montacarichi. Poi, spinto un pulsante, la porta si chiude davanti a loro e la salita inizia. Quasi in contemporanea, entrambi estraggono le pistole, lo sguardo puntato sia verso l'alto che verso la porta davanti a loro. Nonostante nessuno conosca quel mezzo di trasporto tra il primo livello e quello superiore, è pur sempre un bersaglio troppo facile per chi avesse intenzione di cercarli. Uno scossone e tutto si ferma. La porta scorrevole si apre e due moto partono sfrecciando per le strade. Il traffico è intenso, ma loro passano con la facilità di un coltello in un budino, evitando macchine, pedoni e quant'altro si pari innanzi a loro con consumata abilità. Ogni tanto sentono una sirena della polizia che prova a seguirli, ma è soltanto un sistema per intimorire. Agli occhi di tutti loro sono semplicemente due nomadi che stanno facendo una gara per la città, una cosa troppo frequente per essere degna di attenzione. Raggiunta la superstrada elevata, la imboccano a velocità folle. Sheila sente la ruota posteriore slittare leggermente e nei suoi pensieri dà ragione a Paul quando le dice che dovrebbe comprarsi una moto moderna e lasciare quel ferrovecchio. Ma tanto non glielo dirà mai che ha ragione. L'unica volta che l'ha fatto si cono lasciati per poi rivedersi ora, in condizioni non proprio piacevoli. La città lascia improvvisamente il posto ad un paesaggio quasi desertico, se non fosse per qualche traccia di verde sulle colline in lontananza e qualche ciuffo di erba sul lato della strada. Spingono le moto al massimo, il contachilometri che segna velocità impensabili per persone sane di mente. Dopo dieci minuti, rallentano e si infilano in un'uscita, iniziando a percorrere stradine di montagna mantenendo una velocità che in molti avrebbero definito folle. Poi rallentano e si fermano davanti ad un cancello di ferro. E' aperto. Uno sguardo tra i due basta per far capire tutto. Scendono dalle moto, nascondendole nei cespugli a lato della strada e si avviano silenziosamente nel sentiero che si perde oltre l'entrata, armi alla mano. Piano piano che si avvicinano alla sommità del piccolo colle, la villa appare lentamente, prima il tetto e poi il resto. Tutto sembra in ordine. Si avvicinano alla casa, dividendosi. Paul si porta sull'entrata principale mentre guarda Sheila andare sul retro. La porta è aperta e a lui questa cosa non piace. La socchiude lentamente ed entra nel salotto. Tutto è in disordine. I cassetti sono aperti. La cassaforte è stata fatta saltare. I divani sono stati accuratamente tagliati e svuotati della loro imbottitura. In terra ci sono i vetri rotti delle lampadine e delle vetrine delle storiche cristalliere a cui Remy teneva tanto. Poi, tracce di scarpe infangate portano verso la sala dei PC. Si addentra nella casa, percorrendo i corridoi, l'arma spianata davanti a sé. In cuor suo maledice la ricchezza della casa e la sua grandezza, rendendola troppo difficile da controllare. Uno sguardo in alto e nota che le telecamere nascoste sono disattivate. Prova ad accendere la luce e scopre che manca l'energia elettrica. Chiuque sia qui dentro ha fatto un lavoro da professionista. Alla fine del corridoio, si affaccia cauto al salotto. Nessuno. Prosegue costeggiando il muro, la pistola pronta a sparare, i nervi tesi, il cuore che pompa adrenalina mista a sangue. Le tracce in terra ora sono meno evidenti, ma portano proprio alla sala dei PC. Entra nella sala. Si porta una mano sul viso nel vedere un corpo privo di vita seduto in terra appoggiato al muro, un buco rosso sulla fronte ed un rigagnolo scarlatto che gli cola lungo il viso. In giro vi sono pezzi di computer e di monitor sparsi per la stanza, come se fossero stati distrutti in un momento di rabbia. Poi nota con un sorriso che manca il PC di Remy, quel suo Cyberdesk personalizzato dal quale accedeva a tutta la rete con una facilità estrema. Forse è ancora vivo. Forse è fuggito. E' proprio in quel momento che nota una lucetta rossa sotto la camicia dell'uomo morto. Sembra come la lucetta del suo orologio dermale. Si china e apre la camicia. Gli occhi si sgranano dal terrore. L'uomo ha infilata una bomba nello stomaco ed i LED segnano ormai che manca un minuto. Si alza in piedi di scatto, correndo fuori dalla stanza ed urlando il nome di Sheila. Poi sente un colpo di pistola ed un dolore lancinante gli esplode in testa. Cade in terra, stordito. Vede un uomo davanti a lui, la sua arma tesa contro la sua testa. Sente il sapore appiccicoso del sangue in bocca, mentre gli cola da una ferita vicino alla tempia. Poi un colpo e l'uomo cade a terra, morto. Sheila si china su Paul e lo aiuta ad alzarsi. «E' solo una ferita di striscio.» Gli dice «Ne hai subite di peggiori.» Lui scuote la testa, indolenzito... poi vede il tatuaggio sulla spalla dell'uomo in terra si ricorda della bomba. Afferra la mano di Sheila e la trascina fuori casa. A metà del viale si ode il boato impressionante ed istintivamente i due si buttano a terra. Quando si rialzano, dietro di loro vi è solo una piatta superificie fumante. «Dobbiamo andare via!» Le dice Paul, mentre si medica la ferita prendendo la cassetta di pronto soccorso dalla moto, nascosto tra i cespugli. «A breve arriverà la polizia... se non peggio.» «E Remy?» Gli chiede lei, il tono leggermente apprensivo. «Credo che sia scappato.» Nota con sollievo che il sangue si è fermato «Proviamo al solito posto: TATTOOine.» Sheila fa un segno di assenso, poi sale in moto seguita da lui ed insieme sfrecciano verso la città.
  11. Dimenticavo... Prima di andare al negozio di Tattoo (che troverete devastato e distrutto), Paul e Sheila faranno un salto da un'altra parte che servirà per portare avanti la trama (e forse per mettere in circolo Nicholas).
  12. Eh eh eh... la cosa è più complessa di quello che credete...
  13. Ottimo. Il negozio di tatuaggi è proprio la meta di Paul, essendo il resto un mercato clandestino di programmi e altro gestito proprio da quel Remy le Beau che ho nominato.
  14. Percorre la palestra con il braccio di Sheila stretto nella sua mano, una morsa a tratti dolorosa ma controllata da quell'orgoglio che lei non ha mai abbandonato. Paul sembra quasi ipnotizzato dalla sua meta, quando ad un tratto si ferma. Fa cenno a lei di non fare rumore, ma non ce n'è bisogno. Entrambi scivolano lentamente nell'oscurità accanto alla parete, gli occhi fissi su una delle finestre sbarrate da assi di legno. Attraverso le fessure si vedono dei movimenti. Troppo silenziosi per essere solo dei barboni che tentano di entrare per avere un rifugio nella notte. Il pensiero corre alla sua moto: l'avranno trovata? Se lo hanno fatto sapranno che lì sotto ci sono due bei piccioncini da prendere con una sola fava. Eppure, nessuno conosce quel posto. Facendo segno a lei di restare nascosta, un segno inutile che sa non verrà ascoltato, si avvicina alla finestra, gli occhi che tentano di scrutare attraverso le fessure del legno. Improvvisamente un corpo cade davanti a lui. Un tonfo sordo segnala che ne è caduto un altro. Si gira e nota che lei non è più nella stanza. Senza perdere altro tempo corre fuori, la pistola in mano, il dito sul grilletto. Appena esce vede solo due uomini ben vestiti in terra. Sheila è inginocchiata accanto a loro, intenta a frugare nelle tasche. «Mafiosi.» Gli dice con il tono di chi guarda il tempo atmosferico. Prende le loro pistole e ne svuota i caricatori, infilando i proiettili nella sua tasca da cintura. «Probabilmente erano qui per un incontro di affari.» Commenta Paul, mettendo la pistola nella fondina ascellare. «Meglio andarcene, prima che arrivino gli altri.» Corre verso il vicolo coi rifiuti e scopre la moto, insieme a quella di lei. Dopo una rapida sistemata, monta in sella e la accende. Sheila fa lo stesso ed il motore romba. «Sempre affezionata a questi motori antichi, vedo.» Le dice lui, sorridendo. «Sempre, scacciaguai.» Si sistema meglio sulla sella «Allora, dove hai intenzione di andare? Trovare un PC è facile. Trovarne uno nascosto un po' meno.» «Lo so. Per questo andremo fuori città da Remy De La Rose.»
  15. Trebor si volse di scatto, l'arco teso e la freccia incoccata contro l'origine del rumore. Aixela sfoderò la spada e si mise al suo fianco. La figura che aveva provocato quel rumore indietreggiava lentamente, le mani che le coprivano il volto, alzate per proteggerla da quello che poteva essere un attacco. Invece sentì una mano che la sfiorava. Sussultò, ma rimase immobile, sperando che quella tecnica di immobilità che andava bene con i serpenti potesse andare bene anche contro due umani. «Tutto bene, ragazza?» Le chiese Aixela, la mano che scopriva delicatamente il volto di Lirian. Fece un cenno di assenso con la testa, gli occhi che indugiavano sulla figura agile inginocchiata accanto a lei. La vide rinfoderare la spada, una spada bellissima con l'effige dei Cavalieri di Jamalièl. Ma era diversa, era più bella, come se fosse... come se fosse... perfetta. La Lama Perfetta! Sgranò gli occhi e Trebor seguì il suo sguardo fino ad incontrare anche lui la spada. Si avvicinò a lei con due passi e si inginocchiò: «Stai tranquilla. Non vogliamo farti del male.» Gli sembrava di stare recitando una parte in una rappresentazione teatrale «Il mio nome è Trebor e lei è Aixela.» Le tese una mano e si scoprì a vederla tremare. La ritirò vergognoso. Cosa gli stava succedendo? «Come ti chiami?» «Tu... tu sei quella che ha ucciso il Reggente dei Cavalieri di Jamalièl!» Esclamò la ragazza, completamente presa dalla spada. Aixela si alzò in piedi, la mano che carezzava l'elsa come un gatto. «Sì, sono io. Non me ne vanto, ma sono stata io.» Trebor spostò lo sguardo verso la spada, poi si alzò in piedi e tese la mano tremante alla ragazza. «Vieni, alzati. Dobbiamo allontanarci in fretta.» Lirian tese la mano, afferrando saldamente quella dell'uomo che la sollevò in piedi con impressionante facilità. Solo ora si accorse dei suoi occhi e del suo viso. Lo sguardo passava dal suo viso a quello di Aixela, finché abbassò gli occhi, imbarazzata. «Mi chiamo Lirian.» «Piacere di conoscerti, Lirian. Ed ora, dicci: cosa ci facevi qui?» Le chiede Aixela. «Nulla... vagavo. Come sempre.» Arrossisce nel sentire gli occhi di Trebor su di lei. Non sa chi guardare, non sa come farlo. «La porteremo con noi?» Chiese Trebor, anche se la sua era più un'affermazione, un desiderio. Guardò Aixela e vide un lampo strano nei suoi occhi. Gelosia? No, come poteva essere? Come poteva lei essere gelosa di lui? Magari lo fosse stata! Si volta verso Lirian: «Vieni con noi. Andremo in un villaggio e faremo un po' di provviste.» «Dove state... stiamo andando?» Chiese lei. Trebor lanciò uno sguardo di aiuto ad Aixela che si limitò a girarsi, incamminandosi. Lui sospirò, non capendo e disse: «Non lo sappiamo, ma per ora lontano da qui.» Le sorrise. Lei ricambiò il suo sorriso, imbarazzata ma sincera e lui sentì una botta al petto come non la sentiva da anni. Prese la sua mano e cominciò a seguire Aixela.
  16. New Entry... Lirian Lirian ha 19 anni, è umana, i suoi capelli biondo miele sono tagliati corti in una specie di caschetto irregolare (si taglia lei i capelli da sola usando il suo coltello) e sono leggermente ondulati, ha gli occhi verdi non molto grandi ma leggermente a mandorla, il naso è piccolino, le labbra sono sottili e rosa tenue, nonè altissima più o meno 1,65 ma se pesa 40 kg è tanto, il suo corpo è coperto da una tunica di pelle lunga fino al ginocchio, con una corda che le fa da cintura, è scalza e con se porta un piccolo arco corto,, una decina di fecce e un coltello da caccia ancora affilato, anche se è da molto che lo usa.
  17. Ottimo daermon. Ora mi servirebbe una descrizione della ragazza.
  18. Per inguaiare Trebor ed Aixela ci stiamo pensando io e daermon...
  19. Aixela si appoggiò al muro, ansimante, un sorriso disegnato sul suo volto mentre gli occhi seguivano il suo acciaio uscire lentamente dal ventre di uno degli assalitori, colorando la lama di una sporca scia rossa. La battaglia era finita. Erano in nove, ma quattro erano caduti sotto le frecce di Trebor. Gli altri cinque avevano trovato la loro sorte nel freddo ferro delle spade. Pulendo la lama sugli indumenti del cadavere, la rinfoderò con cura. «Questo posto non è più sicuro, piccola. Ogni predone nei dintorni verrà a sapere presto che fine hanno fatto questi qui. Ed ognuno di loro vorrà vendicarli o semplicemente sfidarci.» Le disse Trebor, rinfonderando anche lui la sua spada. «Sì, è la loro filosofia di vita: affrontare nemici sempre più forti e vendicare le morti dei compagni. Un controsenso.» Aixela scosse la testa. Poi si mise a frugare tra i cadaveri, prendendo uno zaino e svuotandolo. «Ci serviranno le loro provviste se ce ne vogliamo andare. Tutta la nostra roba è ancora a quella locanda.» Sorrise... un sorriso amaramente ironico «Sempre che, dopo quello che abbiamo fatto, ce l'abbiano lasciata.» Alzò lo sguardo verso il suo amico e vide un lampo nei suoi occhi, come se avesse intenzione di chiederle qualcosa, ma non ne trovasse il coraggio «Be'... che hai?» «Non potresti portarci lì... come hai fatto per... per... portarci qui?» Lei si alzò in piedi, la mano che accarezzò la spada, come se fosse un gatto. «Non credo. Non so neanche come ho fatto. Ho solo desiderato di tornare qui.» Lo guardò negli occhi «Ed ora, sinceramente, non me la sento di tornare in quel luogo. Non me la sento di andare nda nessuna parte.» Sospirò. «Voglio solo andare via da qui. Quindi... suppongo che non funzioni.» Fece spallucce e preparò uno zaino con le provviste. Trebor annuì e la seguì mentre si inccamminavano verso il bosco in lontananza, evitando il sentiero.
  20. Sheila lo guarda rivestirsi. La sua mente gli urla che è stato da inconscienti lasciarsi andare alla passione e tornare a fare l'amore come ai vecchi tempi. Ma i suoi istinti ora urlano appagati mentre si alza dal centro dei ring, gli occhi fissi su quella schiena agile e muscolosa che viene coperta dalla camicia. Vorrebbe che in quell'atto appena passato ci fosse di più, che ci fosse anche quel sentimento, quel volere stare insieme che i suoi sensi ed il suo cuore desiderano, ma che la sua parte razionale rifiuta, come rifiuta ogni relazione. Ma quando lo guarda negli occhi vede che per lui è stato solo uno sfogo, l'ennesimo. Solo un momento di passione e follia per gettare via i pensieri. E nota anche il senso di colpa per aver tradito in questo modo la sua amata, stesa su un lettino d'aspedale, collegata alla vita tramite tubi sintetici. Prende anche lei i suoi vestiti e si riveste, lo sguardo fisso a terra. Vorrebbe urlare che non le è piaciuto, che non voleva farlo, che lui l'ha quasi costretta, ma sa che urlerebbe bugie. «Sono morto.» Dice lui ad un tratto, facendola quasi sobbalzare. «Morto?» Gli risponde, tirando su l'ultima lampo. Paul si gira verso di lei, poggiandosi alle corde del ring come un pugile stanco in attesa del prossimo round e sicuro della sconfitta. «Sì, morto. Hai presente quando il cuore cessa di battere e diventi freddo e rigido? Ecco... così.» «Ho capito, cann... scacciaguai.» Lui scende agilmente dal ring, iniziando a camminare per la palestra. Ogni tanto scompare in un angolo buio per poi riapparire alla fievole luce di qualche lampadina che non è ancora fulminata. Nella testa ha mille pensieri. Non riesce ad accettare che debba fare morire lei, la sua amata. E, anche se lo accettasse, come potrebbe mai sfuggire a chi lo vuole uccidere? Come sfuggire a chi non conosce? Tutto gli si fa chiaro. Capisce come tutti gli incidenti passati erano in realtà sabotaggi e attentati ben orchestrati, ma falliti. Capisce come mai quelle sparatorie in cui capitava finivano inesorabilmente per convergere su di lui. E capisce ormai il motivo per cui lei è ancora in vita. Ma non sa chi lo vuole morto, chi desidera la sua morte. Sheila gli ha detto che ha a che fare con il tatuaggio. Qualcuno sta cercando di fare fuori tutti quelli che non hanno quei due geroglifici sotto il tatuaggio. Perché? Si mette la giacca di Kevlar e controlla la sua pistola. Dalla sua cinta prende dei proiettili e la carica. Gli servirà presto, ne è sicuro. «Cosa vuoi fare?» Gli chiede lei, poggiandole una mano sulla spalla. Paul si gira, notando quasi con disappunto che si è rivestita. «Andrò all'ospedale e la ucciderò... e, se non ci riuscirò...» Lo sguardo fa intendere più delle parole. «Non andare! E' questo che vogliono!» Lo afferra per le spalle, stringendogliele «Se vuoi che lei viva, allora non andarci! Aspetta che la curino e, quando sarà guarita, portala via con te. Ti aiuterò!» «Non capisci? Non la cureranno mai. La terranno in coma finché non arriverò io. E, una volta che mi avranno fatto fuori, le staccheranno i tubi. Sta vivendo come una vegetale solo in attesa della sua morte» Tenta di divincolarsi dalla presa di lei, ma non ci riesce. «Lasciami...» «No, non ti lascio. Non puoi andare.» Gli stringe ancora di più le spalle. Lui si divincola, ma fa cadere la pistola. Il caricatore non ancora inserito a dovere si stacca dall'arma. Con uno sguardo infuriato verso Sheila, raccoglie l'arma e il caricatore. Poi si blocca. La luce sopra il ring riflette un oggetto metallico a terra. E' piccolo come l'unghia di un dito, ma lucidissimo. Non può stare lì da tanto ed il suo istinto gli dice che è caduto proprio dalla pistola. Lo raccoglie con delicatezza, portandoselo davanti gli occhi. Mentre lo guarda gli viene in mente quella sparatoria a cui aveva assitito qualche anno fa. Vede i proiettili vagare per l'aria. La sua banda aveva tenuto un agguato a due tizi che sembravano facili prede. Invece in due stavano quasi sterminando tutto il suo branco. Finché arrivò Sheila che li stese tutti e due. Raccolse le pistole dalle mani dei cadaveri e ne porse una a lui, invitandolo a salire sulla sua moto. E da allora divenne una cosa sola con lei per più di due anni, una cosa che gli costò l'espulsione dal suo branco. Ma ora gli vengono in mente altri particolari. Il rumore di un elicottero militare che stava giungendo sul luogo e soprattutto quegli occhiali strani che portavano gli quei due: li aveva visti anche in seguito ed erano occhiali con una microcamera incorporata. E soprattutto era estate. E sia lui che Sheila avevano le braccia scoperte... ed i tatuaggi che splendevano nella notte. «Che cos'è?» Chiese lei, guardando il microchip nella mano di lui. «Credo che sia la ragione per cui ci vogliono ammazzare.» La prende per un braccio e la trascina verso l'uscita della palestra «Vieni... abbiamo bisogno di un computer.»
  21. Ottimo daermon: hai proprio colto l'indizio che ci mancava. La Sword of Avalon ce l'hanno gli agenti speciali o dei particolari reparti miltari. Quindi è rarissima! E le sorprese non finiscono qui. 8)
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