Mi ero ripromesso di iniziare questo blog con un altro argomento, che ritengo alla base del processo conoscitivo. Purtroppo la vita quotidiana ci propone altre tematiche su cui riflettere, e poiché da probabilista e buddista attribuisco un significato diverso dall'usuale al termine "caso", ho deciso che invece di continuare ad attendere il momento giusto e la perfezione, come in molte altre occasioni della vita sarebbe stato meglio lanciarsi e imparare dai propri errori strada facendo.
Questo blog nasce come spazio di riflessione "aperto" sulle tematiche più disparate, ma principalmente di natura etica ed epistemologica. Apro questo blog qui, su D'L, per due motivi fondamentali: prima di tutto perché questo forum è un diventato un po' una mia "casa" virtuale: qui sono cresciuto, ho conosciuto persone di valore, ho litigato e imparato a gestire me stesso, le relazioni umane, la mia conoscenza e il lavoro; In secondo luogo perché sono convinto (ma la mia convinzione è il frutto di un'inferenza induttiva basata sulla mia esperienza personale ) che chi gioca di ruolo abbia una marcia in più in termini di empatia e ragionamento.
Ogni intervento di questo blog esporrà un mio ragionamento in fase di sviluppo, per cui richiedo necessariamente che venga messo in discussione o quantomeno che mi si diano dei feedback. L'obiettivo del blog è la trasposizione di tematiche che hanno origine dalla mia sensibilità religiosa, in termini razionali e potenzialmente condivisibili da chiunque.
INDIVIDUALISMO e COLLETTIVISMO
In questa sezione parlerò, forse impropriamente, di concetti culturali e filosofici complessi cercando di semplificarli e collegarli con l'attualità. Prima di iniziare inizierò con l'elencare alcuni articoli la cui lettura ha parzialmente ispirato questo intervento:
Siamo abituati a considerare due grandi paradigmi della società e dell'economia umana: Capitalismo e Comunismo, accomunati rispettivamente a Individualismo e Collettivismo. Da un lato c'è il riconoscimento del valore del singolo individuo, delle sue libertà, dei suoi interessi e del riconoscimento dei suoi meriti. Dall'altra la consapevolezza che ogni individuo è un Rousseau-iano "animale sociale", per cui la collettività viene messa al centro e da essa dipende tutto il resto.
Apparentemente ognuna di queste due posizioni ha i suoi pro e i suoi contro. Se da un lato dare valore all'individuo significa liberarlo da costrizioni e permettergli di esprimere la propria individualità liberamente, condizionatamente solo alla libertà degli altri individui, dall'altro c'è il rischio della prevaricazione (non forzata, ma meritocratica), dell'egoismo, dell'apatia e dello smarrimento. Lo vedo ad esempio nei miei nonni, e in chi mi circonda; troppe persone corrono, si buttano a capofitto nel loro lavoro e, complice la logica del guadagno e dell'interesse personale, si preoccupano di loro stessi e non fanno molto altro. Poi ci si ritrova a 60-70 anni che non si sa cosa fare della propria vita, diffidenti verso tutti, verso le novità, gli estranei e perfino gli amici, e si vorrebbe continuare a lavorare perché quella è l'unica cosa che si sa fare. Perché? Perché nessuno ci ha mai detto quale strada seguire, e abbiamo preso la prima che ci si è presentata davanti.
Parallelamente se da un lato mettere al centro la collettività significa promuovere un trattamento giusto, dare una direzione e promuovere la nostra parte più umana, dall'altro c'è il rischio della costrizione e la svalutazione del valore dei singoli, dell'appiattimento delle diversità. Ci sono tanti esempi attorno a noi, e vediamo fin troppo bene i rischi del promuovere la collettività a scapito di sé stessi. Ma chi si è posto il problema almeno una volta sa che non si può liquidare la questione con qualche parola. Fino a che punto è giusto togliere a sé stessi in favore del prossimo o meglio del gruppo? La risposta è rimessa alla soggettività di ciascuno di noi.
Se è vero che non è tutto bianco o nero, la società occidentale mescola un po' di elementi dell'uno e dell'altro, anche se l'ago della bilancia pende più verso l'individualismo. Ma analizziamo il discorso dal punto di vista personale, che soggiace alla sensibilità di ciascuno di noi. In ultima analisi tutto si riduce a chiedersi chi va messo al primo posto: io o la collettività?
Può sembrare una domanda semplice, ma in realtà è forse un po' troppo complicata. A primo impatto direi "dipende". Ma dipende da cosa? E in che modo?
C'è modo e modo di mediare tra due parti, di trovare la Via di Mezzo. Si può provare a fare "un po' e un po'", e si può cercare di prendere il meglio da ogni parte.
UMANESIMO come VIA di MEZZO
La mia idea (e non solo mia) è che bisogna dare valore all'individuo, alle sue particolarità e alle sue esigenze, ma inserendolo in un contesto di interdipendenza e rispetto reciproco. Rispetto in senso ampio, di dare valore all'altro al pari di sé stesso, e non di semplice astensione dalla lesione dei suoi diritti e libertà. Interdipendenza intesa come la percezione di appartenenza a un gruppo più ampio della propria famiglia, della propria curva, della propria nazione, della propria cultura; appartenenza al grande gruppo degli esseri viventi, collegati come per la rete di Indra, in cui ogni gioiello riluce della luminosità riflessa da tutti gli altri. L'alternativa al "sentirsi parte di" è il "sentirsi separati o diversi da", che è il motore da cui si generano tutti i conflitti che sperimentiamo a livello locale o macroscopico.
Un Umanesimo così inteso può essere la Via di Mezzo più corretta, intesa come unione e non come intersezione, che nasce dalla consapevolezza di poter mettere insieme cose completamente diverse rispettandone la natura essenziale, senza doverle snaturare in un tentativo disperato di farle combaciare.
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