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Samirah

Circolo degli Antichi
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  1. Samirah ha pubblicato una voce blog in Il gatto di giada
    E' tra mille aspettative e curiosità, che inizia la campagna di AGoT, ambientata cento anni prima della ribellione di Robert Baratheon. I protagonisti di questa storia sono i due fratelli Martell, Gael e Daeveron (il cui bg è in un post precedente), la prima persona curiosa ed elusiva, il secondo personaggio insicuro e diviso tra la vita pia del septon e il contrasto con la propria nemesi, Leo Baratheon; abbiamo poi il maestro Ethan, persona dal passato costellato di nomi importanti, e, per scopi sconosciuti, tutore di Nate Rivers, un giovine di vent'anni suonati, dedito alle feste e al buon vino. Abbiamo infine Marik, un cacciatore di frodo beccato nei boschi del re e destinato alla Barriera, ma la cui strada si incrocia con il bastardo Frey e il maestro. Costoro, attaccati da alcuni briganti, hanno perso alcuni uomini della loro scorta, per cui stanno cercando nuove guardie. E così, nella difficile scelta tra il cacciatore dal viso sfregiato e lo stupratore, prendono il primo (non senza rimpianti). Nel gruppo delle guardie è però presente un personaggio che farà storia: il prode Lucas! Sentirete ancora parlare di lui... ma non adesso! Giungono quindi nella bella e puzzolente Approdo del Re, dove i due fratelli (cugini della regina, ricordo) si stanno intanto infognando in losche vicende. La piccola e discreta Gael, difatti, è nientemeno che un'abile (abilissima, oserei dire!) spia al servizio del fighissimo Brynden Rivers, altresì noto come Bloodraven. Costui la invia a spiare il Primo Cavaliere del re, sospettato di essere in mezzo alla congiura che Blackfyre (fratellastro del re e di Bloodraven) sta ordendo per prendere il potere. Ovviamente il pedinamento fallisce (ah, che abilità!), per cui la donzella se ne torna tutta triste al castello, dove viene accolta dal fratello Daeveron. Costui è tutto agitato perché ha scoperto che, nel torneo che si sta per tenere in onore dei dieci anni di regno di Daeron II, parteciperà anche la sua nemesi. "Uccidiamolo!" "Ok, se proprio ci tieni" Arriva il torneo, gli scontri sono entusiasmanti, c'è anche il solito baldanzoso cavaliere mascherato. Il marito di Gael, Marq Dayne, si fa valere, disarcionando un avversario dietro l'altro. Ma ecco che, proprio contro Leo Baratheon, succede la disgrazia. Qualcuno ha scambiato le lance e il Baratheon viene trafitto a morte. Di qui, inizia la veloce discesa verso l'inferno. Leo Baratheon è in realtà il fratello maggiore Robert (che ha disobbedito al paparino partecipando al torneo), mentre Leo se la svigna da dietro gli spalti (aggiungo che il terzo fratello è nella guardia reale, per cui non sarà lui ad ereditare il casato, ma Leo!). Marq viene arrestato, Gael viene arrestata, Daeveron viene arrestato. Tutti insieme allegramente nelle segrete della Fortezza Rossa! E tutti allegramente accusati di omicidio! "Ma non è vero, siamo innocenti!" "Avete detto che volevate ucciderlo" "Sì, ma tra il dire e il fare..." "Morirete tutti!" "Ma porc..." Passano i giorni, i secchi si riempiono (naturalmente, visto il rango, noi abbiamo il secchio personalizzato Martell...), finché Bloodraven non va a fare visita ai poveri derelitti, proponendo una soluzione. I due fratelli dovranno recarsi al nord e convincere gli Stark a scendere in campo a favore di Daeron II contro il pretendente Blackfyre. "Ah ma è facilissimo!" "Gli Stark hanno un carattere di *****..." "Ah ok..." Per farla breve, ci prelevano di peso e ci imbarcano su una nave diretta al nord, insieme al maestro Ethan e a Nate (pare che Nate abbia insistito per voler vedere il nord e maestro Ethan GIURA di non aver influenzato questa sua scelta). Ovviamente Marik e Lucas fanno parte della spedizione. Bene, saluti, baci e abbracci... si parte! ... segue nella prossima puntata...
  2. Samirah commented on DarKnight's commento su una voce blog in The Man in Black
    Graaaaaaaaande!! Gli Stark sono troppo i migliori! E la firma, con la frase del giuramento, dice tutto...
  3. Samirah commented on Samirah's commento su una voce blog in Il gatto di giada
    http://www.scheletri.com/racconto1615.htm Qua verranno fatti i commenti... speriamo bene
  4. Gael Il vociare di cavalieri e scudieri si miscelava ai rumori tintinnanti del metallo e al frusciare dei tessuti. La famiglia reale si era trascinata dietro circa duecento persone, tra nobili e servitori e Gael trovava quella confusione assordante ma allo stesso tempo incredibilmente affascinante. Si muoveva a passi rapidi in mezzo a quella folla, tentando di carpire volti, nomi, stemmi. La sua curiosità sembrava amplificarsi ad ogni metro, mentre i suoi occhi neri frugavano in ogni angolo. Quando sentì la pesante mano sulla sua spalla, pensò che qualche cavaliere si dovesse essere infastidito per la sua presenza estranea. Invece si voltò e si trovò faccia a faccia con suo padre. Il breve sguardo perplesso con cui la scandagliò, la indusse ad osservarsi e si ricordò solo in quel momento che sarebbe dovuta andare a cambiarsi già da parecchi minuti. “Ehm... ti chiedo scusa, io... mi ero dimenticata...”, cercò di giustificarsi. “Come sempre”. Il tono di suo padre la lasciò quanto mai sorpresa. Di solito utilizzava quelle parole per rimproverarla e, quasi sempre, alle parole seguiva una schiarita di gola, segno inconfondibile della pazienza ormai terminata. Invece questa volta il tono di voce era calmo, dolce, e la ragazzina osservò incuriosita il volto del padre, in cerca di una spiegazione. E vi trovò un'espressione malinconica, un inequivocabile addio che Elimond le stava lasciando. Perché non avrebbe sprecato molte parole per congedarsi dai suoi figli, lei lo sapeva bene, e quello sguardo portava con sé l'affetto di mille abbracci e mille saluti. Ma poi, come una staffilata improvvisa, Elimond parlò: “Ho parlato con Decan Dayne. E' d'accordo per il tuo matrimonio con suo figlio Marq”. Gael sentì una stretta allo stomaco. Sapeva che suo padre le avrebbe combinato un matrimonio, soprattutto in vista del suo allontanamento da Lancia del Sole, ma l'affermazione rese reale quella che fino ad allora era solo stata un'ipotesi per lei lontana, evanescente. Conosceva abbastanza bene Marq Dayne ed aveva deciso da tempo che non gli piaceva per niente. Troppo serio per i suoi gusti, troppo interessato alle “cose da adulti”, come definiva, con disprezzo, gli affari di palazzo e la politica. Inoltre era decisamente troppo vecchio. Lei aveva appena otto anni e lui invece andava già per i dodici. Come aveva potuto suo padre scegliere un simile pretendente? Ma si guardò bene dal protestare, non solo inutile, ma probabilmente anche controproducente. Oltre alla costrizione al matrimonio, le sarebbe toccata anche una punizione. Decise che era comunque ancora abbastanza giovane per poter rimandare il pensiero agli anni successivi, quando sarebbe stata in età da marito. Età che in quel momento le sembrava infinitamente lontana. Elimond non aggiunse altro e Gael gli fu grata per aver reso la notizia breve a sufficienza per non angosciarla più del dovuto. L'uomo le fece un breve gesto con la mano, per incitarla a sbrigarsi e lei corse verso le sue stanze, dove una cameriera la stava attendendo con un abito di raso giallo in una mano e una spazzola di legno nell'altra. Mentre la servetta le pettinava i capelli, Gael osservò dalla finestra alla sua destra le pianure che si intravedevano oltre le cinta murarie. Un groppo in gola fu l'ennesimo sintomo della nostalgia che già la stava pervadendo. Avrebbe dovuto abbandonare il caldo e soleggiato sud per una città che, a detta dei più, era fredda e grigia. Aveva anche sentito alcuni ragazzi in uno dei cortili dire che ad Approdo del Re non c'erano cavalli belli e scattanti come a Dorne, ma suo padre l'aveva rassicurata che avrebbe potuto portare con sé Aurora, la sua puledra saura che le era stata regalata per il compleanno passato. Cercò di rilassarsi, al ritmo cadenzato della spazzola sui suoi lunghi capelli neri, mentre i profumi dalle cucine si facevano sempre più intensi. Ma il groppo in gola non l'abbandonò. Daeveron Il banchetto aveva occupato le ore centrali della giornata e, quando i commensali si alzarono da tavola, il sole era già sceso verso l'orizzonte. Ma le ore di luce sarebbero state comunque sufficienti per il piccolo torneo. Prima ci sarebbe stata la giostra dei cavalieri, per sfruttare al meglio l'illuminazione diurna ed evitare incidenti. In seguito, sarebbe stato il turno dei bambini, momento che Daeveron temeva più di ogni altra cosa. Assistette agli scontri tra cavalieri come in trance, senza neanche badare a chi stesse vincendo o meno. Sentiva il cozzare delle lance contro gli scudi, il rumore del legno spezzato, i battiti degli zoccoli sulla terra nuda, ma i suoi occhi non vedevano altro che gli allenamenti infruttuosi a cui era stato sottoposto. Per un attimo desiderò sgattaiolare via, cercando di passare inosservato, salire a cavallo e fuggire il più lontano possibile. Era un dorniano, sarebbe sopravvissuto anche nelle terre selvagge. Ma subito comprese come questo assurdo pensiero non fosse neanche lontanamente da accarezzare. Era sì un Dorniano, figlio di antichi guerrieri, ma era pur sempre soltanto un bambino. Inghiottì amaro e pregò in silenzio, muovendo appena le labbra, affinché il suo turno passasse rapido e il più indolore possibile. Non fu mai troppo lunga l'attesa di quando venne chiamato dal maestro d'armi e gli venne fatta indossare un'armatura imbottita con lo stemma dei Martell ricamato sul petto, gli fu posto in testa un elmo di metallo leggero e gli venne data in mano una lancia a strisce rosse e arancioni. Si sforzò di tenere l'arma salda in pugno, ma la tensione gli faceva tremare la mano. Ciononostante, con estrema determinazione, salì a cavallo e si preparò ad affrontare quell'odiosa sfida. Di fronte a lui vide posizionarsi un ragazzo decisamente più robusto di lui, che portava sul petto l'immagine di un cervo. La sua mente preparata gli portò alla mente il nome della Casa Baratheon, una casata vicina ai Targaryen. La massa del suo sfidante lo mise a disagio, ma si sforzò di portare a termine quel compito nel miglior modo possibile. Quasi non ebbe il tempo di sistemarsi adeguatamente sulla sella, che la gara ebbe inizio. I puledri si mossero scattanti l'uno contro l'altro, alzando altra polvere sugli astanti e portando i due contendenti ad avvicinarsi rapidamente. La lancia di Daeveron sembrava allineata abbastanza bene, ma quella del giovane Baratheon lo era decisamente meglio. L'arma si schiantò sullo scudo legato al braccio di Daeveron, che accusò il contraccolpo e si sentì sbalzare dalla sella. Riuscì a stringere le ginocchia a sufficienza per non cadere, ma il primo punto era andato al suo avversario. Girò il cavallo, deciso a fare ancora meglio. Doveva dimostrare a suo padre che lui non era da meno. Si preparò, questa volta con maggior concentrazione, e durante la carica mantenne lo sguardo fisso sul suo obiettivo. Non avrebbe sbagliato, non poteva sbagliare. E difatti la sua lancia centrò in pieno lo scudo dell'altro cavaliere, ma non sufficientemente forte da frantumarsi, mentre la lancia del giovane Baratheon andò a segno con prepotenza ancora una volta, e ancora una volta schegge di legno schizzarono in ogni direzione. Aveva perso. Daeveron aveva perso e l'umiliazione bruciò improvvisa in lui. Scese da cavallo con furia, ignorando l'avversario, che, sceso a sua volta, si stava avvicinando a lui per stringergli la mano, come da etichetta. Sentì vagamente suo padre che gli gridò tra i denti di complimentarsi con Leo Baratheon per la vittoria, poi vide Leo avvicinarsi a lui con la coda dell'occhio, con l'aria soddisfatta del vincitore. La rabbia si impossessò di Daeveron, così improvvisa ed incontrollata che le sue tante ore di meditazione nel tempio svanirono neve gettata al sole del mezzogiorno. Contrasse il pugno che reggeva la lancia, premendo forte il legno contro la pelle avvolta in un morbido guanto, si girò di scatto e colpì con tutta la forza che poteva esercitare il suo braccio. La punta della lancia andò a piantarsi sulla spalla sinistra di Leo, pestando pelle e muscoli e spingendo l'omero fuori dalla sua sede. Il suono sordo della lussazione lo colmò di soddisfazione, ben presto soppiantata però dalla consapevolezza di quel gesto folle. Leo emise un grido di dolore, mentre si afferrava istintivamente la spalla. Il suo sguardo sprezzante si posò su Daeveron, che si sentì schiacciato sotto il peso della vergogna. I minuti che seguirono furono convulsi e Daeveron sentì mano che lo trascinavano via, lontano dal putiferio che seguì il suo gesto, via fino alla sua stanza, che gli parve improvvisamente fredda e grigia come una prigione. E altrettanto freddo e grigio fu il tono della voce di suo padre, mentre riversava su di lui rimproveri graffianti come la sabbia del deserto gettata sul viso da un vento sferzante e improvviso. E quelle parole cariche di delusione furono l'addio che Elimond Martell riservò a suo figlio. Gael Le possenti mura attorno alla Fortezza Rossa erano dello stesso colore vermiglio del sole nella luce del tramonto. Gael osservò il disco luminoso scendere lentamente oltre la linea dell'orizzonte. Dopo sedici anni, l'immagine delle pianure di Dorne come fiamme brucianti nella luce rossastra riviveva nella sua mente. Ogni giorno provava nostalgia per la sua terra, ma aveva imparato, se non proprio ad amare, ad apprezzare i lati positivi di Approdo del Re. Quando erano giunti in città, ai tempi del matrimonio di sua cugina Myriah con il futuro re Targaryen, non aveva impiegato molto tempo a rendersi conto come la vita di corte fosse immensamente più complicata rispetto a quella di Lancia del Sole. Daeveron era assorto nei suoi studi e lei prese ad impiegare il suo tempo esplorando il palazzo e i suoi dintorni. Fu per gioco che si ritrovò a raccogliere alcuni pettegolezzi, che riferì a Myriah durante i loro pomeriggi assieme. Trovò divertente spiare le dame di corte, coi loro piccoli e insulsi segreti, per poi riderci sopra assieme alla cugina, che, più grande di otto anni, le faceva un po' da sorella maggiore e un po' da mamma. Ma il divertimento si spense quando, invece del solito pettegolezzo, si ritrovò ad origliare voci femminili che raccontavano di incontri segreti della regina con un giovane cavaliere di una casata minore, che Gael non conosceva né di nome né di vista. Quando si recò da sua cugina per riferirle quello spiacevole pettegolezzo, Myriah, che all'epoca aveva diciotto anni ed era sposata da appena sei mesi, lo trovò squallido e assolutamente denigratorio, ma dovette ammettere di non stupirsene affatto. Gael rimase altrettanto amareggiata e cominciò a comprendere che, se avesse voluto veramente guardare le spalle della regina, avrebbe dovuto farlo da una posizione insospettabile. Fu così che, insieme, decisero di inscenare una piccola discussione, in cui Gael accusava Myriah di essere la causa del suo allontanamento dalla terra che amava. Da quel momento, i rapporti ufficiali tra le due donne rimasero freddi e scostanti, cosa che sortì i suoi effetti in breve tempo. Le nobildonne più velenose si recarono da Gael per sputare sentenze sulla regina, mentre quelle più pettegole le riferirono ogni sorta di storia, dalle più innocenti ed ironiche, a quelle talmente assurde da non riuscire neanche a comprendere come qualcuno potesse crederci. Gael si immerse sempre più nelle voci, nelle dicerie, distaccandosi però dalla vita di corte, che cominciava a disgustarla per la falsità e l'ipocrisia che vi regnava. Ascoltava e osservava, ma allo stesso tempo costruiva attorno a sé una barricata di diffidenza sempre più alta ed impenetrabile. Sapeva perfettamente che le persone che più si confidavano con lei, erano anche quelle di cui poteva fidarsi meno. Chi non era in grado di mantenere un segreto con qualcuno, non sarebbe riuscito a mantenerlo neanche con qualcun altro. E con questo pensiero costante, continuava a raccogliere pezzetti di malignità in ogni corridoio, in ogni salotto, per poi unirli come in un mosaico, raffigurante gli artigli pronti a ghermire la tranquillità della famiglia reale, ma anche quella sua e di suo fratello. Fu proprio mentre si recava da Myriah, in un piovoso pomeriggio della lunga primavera ormai avanzata, che fu bloccata, in uno dei corridoi della fortezza, da un'apparizione. Brynden Rivers, anche detto Bloodraven, le era comparso davanti, facendole intendere col suo solo sguardo che era proprio lei che cercava. Gael sussultò. Aveva già visto Bloodraven, in qualche rara occasione, ed era rimasta colpita dal suo aspetto. Ma trovarsi di fronte l'albino, con quegli occhi simili a braci ancora incandescenti, la mise profondamente a disagio. Ma fu la sensazione di un attimo. Brynden, con un semplice sorriso, sciolse la tensione che si era creata e la invitò a seguirlo in un luogo appartato. Gael si chiese per quale motivo quel corridoio non potesse ritenersi un luogo appartato ed un campanello d'allarme nella sua mente le fece rivedere tutti gli incontri segreti, o presunti tali, con la regina. Comprese immediatamente, prima ancora che Bloodraven le spiegasse il motivo del loro incontro, che quelle sortite non dovevano essere sfuggite ai fantomatici occhi che popolavano le mura delle fortezza. Bloodraven fu chiaro e diretto. A lui un paio di occhi e di orecchie in più sarebbero sempre stati utili, mentre a Gael avrebbe fatto comodo una garanzia per la sicurezza dei suoi incontri con Myriah. Chi avesse tentato di complottare contro i reali, avrebbe potuto utilizzarla come strumento per portare a Myriah notizie errate e fuorvianti. Lui le avrebbe garanto informazioni sicure e pulite per la regina, mentre lei avrebbe dovuto fare la sua parte nel contribuire a raccoglierle, quelle informazioni. Gael fu colta di sorpresa dalla proposta. Si trattava di un patto di fiducia, valore che riteneva cancellato da Approdo del Re (e probabilmente da buona parte del regno). Ma l'offerta di Bloodraven era stata diretta e, in fondo, una parvenza di protezione era sempre meglio di niente. Decise di accettare. E la barriera si ispessì. Daeveron Per Daeveron gli anni passati nella Fortezza Rossa parvero infinito, peggio del più lungo inverno che avesse investito il Westeros. Più e più volte aveva chiesto al sacerdote del Grande Tempio di essere iniziato come septon, e più e più volte gli era stato risposto che avrebbe dovuto approfondire ulteriormente i suoi studi. Era palese che dietro quella sentenza, c'era una forte volontà nel vedere bloccata la sua possibilità di carriera nel mondo ecclesiastico. Una volontà di cui lui sospettava l'origine. Quando fu abbastanza grande per prendere il posto di diplomatico di Dorne, i suoi impegni lo portarono spesso a trascorrere anche intere giornate lontano dal suo studio, ma se Daeveron non era un gran combattente, era comunque contraddistinto da una tenacia non indifferente e non tralasciò mai, neppure per un giorno, i suoi studi, a costo di rimanere fino a notte fonda sui suoi amati libri, alla tenue luce delle candele. Quando poi aveva abbondante tempo libero, lo trascorreva nel tempio, pregando incessantemente. E nelle sue preghiere, in maniera ligia e metodica, non tralasciava mai di ricordare Leo Baratheon, il ragazzo che gli aveva tolto l'ultimo spiraglio di dignità di fronte a suo padre. Pregava la Madre perché tenesse Leo lontano dal suo cammino, pregava il Guerriero perché, in caso di un nuovo, per quanto improbabile scontro, la sua mano non fallisse di nuovo. E, di nascosto alla sua stessa coscienza, pregava lo Sconosciuto perché portasse il ricordo di Leo nell'oblio ed il suo corpo sotto terra. Diviso tra la pietà che si dovrebbe confare a un religioso ed il desiderio di rivalsa, covò la sua vendetta per anni, fermamente convinto che dietro i suoi recenti fallimenti si muovesse la mano infierente dei Baratheon. Era certo che Leo non lo avesse perdonato per quella dolorosa ferita, che probabilmente aveva avuto ripercussioni, anche se non gravi, sul suo seguente addestramento. Ed era altrettanto certo che stesse cercando di fargliela pagare in ogni modo. Il pensiero di quel giovane uomo, della sua espressione sprezzante, lo tormentava nei ricordi di giorno e nei sogni di notte. A volte la preghiera sortiva da palliativo ed i pensieri di Daeveron si dirigevano verso soggetti più lieti, ma altre volte era inefficace, aumentando il suo tormento. E ora, mentre saliva le scale verso gli appartamenti di sua sorella, l'ansia era più viva che mai. Il torneo in onore dei dieci anni di regno di Daeron II. Doveva parlarle. Doveva condividere la sua angoscia con chi poteva comprenderlo fino in fondo.
  5. “Adoro il profumo delle candele.. mi piace passare ore e ore dinanzi all’effige del Padre ed inspirare a pieni polmoni il profumo della cera che si scioglie lentamente. La quiete del Tempio dei Sette è oramai da tempo il mio luogo preferito... Qui posso sentire davvero la presenza degli Dei... cosa servono mai duelli, sfide o intrighi di fronte alla placida contemplazione del mistero divino? Mah… non capirò mai mia sorella... la persona più cara al mondo è anche quella che, a volte, stento a comprendere...” Prologo Le terre a nord di Dorne giacevano indolenti nel freddo che li cingeva ormai da anni, a causa del lungo inverno di cui ancora non si intravedeva la fine. Uomini e bestie lottavano contro il gelo e contro la mancanza di cibo, ma non nel caldo sud. Da Lancia del Sole a Vecchia Città i campi erano rimasti fertili ed il clima clemente. La penuria di alimenti non era un problema che la popolazione di Dorne aveva dovuto affrontare, anche se la guerra con cui il Regno era riuscito a riconquistarsi la libertà dal dominio Targaryen aveva lasciato le sue ferite anche a distanza di anni. Ferite che ora stavano per essere risanate, in un modo che i Dorniani non si sarebbero mai aspettati. Difatti il Principe delle terre di Westeros, Daeron Targaryen II, stava per giungere a Lancia del Sole, per incontrare per la prima volta la Principessa di Dorne Myriah, sua futura sposa e simbolo di pace duratura fra le terre del sud e il regno instaurato dalla dinastia del drago. Una nuova sottomissione, ottenuta non con la forza ma tramite la diplomazia, stava per riportare Dorne sotto il dominio dei Targaryen e molti Dorniani, seppure storcendo il naso, attendevano comunque impazienti l'esito dell'evento. Ed era proprio nel palazzo della capitale che il fermento era maggiore. La famiglia reale era ormai vicina e tutti affollavano le strade, più per curiosità che per vero desiderio di accogliere coloro che erano sempre e comunque considerati degli invasori. Daeveron Invece il piccolo Daeveron Martell, a differenza degli altri bambini della sua età, si era rifugiato nel tempio della città, dove i rumori assordanti dell'esterno arrivavano attenuati. Sapeva che quel giorno sarebbe stato molto importante per la sua Casa, che sua cugina sarebbe andata in sposa ad un re e, per questo, sarebbe diventata regina. Ma sapeva anche che questo l'avrebbe portato via da casa sua, lontano dalle calde piane che circondavano Lancia del Sole, dove aveva cavalcato tante volte di fianco a suo padre e sua sorella Gael. Anche se Daeveron non era un amante della fatica fisica, andare a cavallo gli dava la sensazione di potersi scrollare di dosso il peso che sentiva costantemente dentro di sé. A soltanto otto anni, aveva già compreso che la sua strada non avrebbe ricalcato quella del padre e che, per questo, il genitore non l'avrebbe mai considerato al suo pari. Ma Daeveron aveva già chiaro il sentiero che si stava per aprire davanti a sé e, incurante delle prese in giro di Gael, trascorreva ogni giorno almeno qualche minuto nel tempio, pregando e chiedendo ai Sette Dei di aiutarlo a vedere sempre un po' più in là lungo quel sentiero. Ma quel giorno le preghiere non presero forma, non uscirono dalla sua bocca, tanto era il suo disagio per gli avvenimenti che stavano per presentarsi. Osservava incantato le fiamme delle candele, incurante della loro luce accecante, affascinato dal ritmo lento con cui consumavano la cera, per dar vita a filiforme fumo nero, che saliva fino al soffitto e si confondeva con i chiaroscuri creati dai costoni. Il rumore fuori stava crescendo, la folla si stava accalcando e Daeveron comprese che il corteo reale era ormai giunto in città. Si alzò riluttante dall'inginocchiatoio ed immediatamente ebbe la sensazione di non essere solo nel tempio. Si voltò di scatto, sussultando leggermente per la sorpresa. Sua sorella gemella, Gael Martell, era appoggiata ad una colonna con aria divertita. Anche questa volta era riuscita a spaventarlo, cosa che le fece sfuggire una risata di soddisfazione. Daeveron, dopo un primo momento di disappunto, le restituì il sorriso e si avvicinò a lei. “Che fai qui?”, le chiese, sul serio incuriosito dalla presenza della sorella nel tempio. “Ho sentito una cosa, mentre correvo fuori dalle cucine” “E perché correvi fuori dalle cucine?” “Cosa importa?”, ribatté pronta, “Stai piuttosto a sentire cosa ho da dirti”. Si sistemò per bene sulla panca più vicina, facendo crescere l'apprensione nel fratello. “Dai, dimmelo. Cosa hai sentito?” Lo sguardo della bambina si posò malizioso su di lui, facendo intendere di essere in possesso di uno di quei segreti per cui vale la pena aspettare qualche secondo prima che vengano rivelati. “Allora, come dicevo, stavo correndo per i corridoi del piano terra, quando ho sentito nostro zio parlare con il maestro d'armi”. “Sempre a ficcare il naso negli affari degli altri, eh?” “Allora, vuoi sentire o no cos'ho scoperto?” “Sì, sì, dimmelo”, ma Daeveron era sempre meno desideroso di saperlo. Aveva l'impressione che non gli sarebbe piaciuto quello che stava per ascoltare. “Insomma, stavano parlando di combattimenti e di cose del genere. Allora mi sono avvicinata un po' e ho scoperto che oggi pomeriggio, in onore del re e della sua famiglia, verrà allestito un torneo”. Daeveron impallidì. Sapeva benissimo cosa significava ciò, perché comprendeva finalmente la finalità degli allenamenti particolarmente faticosi a cui il padre l'aveva sottoposto nelle ultime settimane. Pensava che fosse soltanto per fargli assumere un migliore portamento, invece ora era certo che volesse farlo partecipare. Scorse con la mente tutti i probabili contendenti, ripassando i nomi dei rampolli delle famiglie che sarebbero state presenti, ma il panico non gli permise di metterne a fuoco nemmeno uno. Gael notò lo stato di smarrimento del fratello e gli mise una mano sulla spalla: “Su, dai, tranquillo, vedrai che sarà solo una formalità. Ti faranno fare un giro a cavallo, un paio di mosse con la spada di legno e basta”. Lo disse con poca convinzione e Daeveron sprofondò nello sconforto. “Grazie per avermi avvertito, credo che passerò un altro po' di tempo qui al tempio”. “Non dovresti andare ad allenarti piuttosto?” “No”. La risposta categorica del fratello la convinse a non insistere. Lo salutò con un sorriso solidale e si allontanò in fretta, diretta verso il castello, lasciandolo solo. Daeveron avrebbe voluto piangere, ma l'ansia e l'orgoglio glielo impedirono. Si sentiva smarrito e, in qualche modo, tradito dal suo stesso padre. Aveva sperato che avesse finalmente compreso che il combattimento non avrebbe mai fatto della sua vita. Senza avere la minima idea di come agire, si limitò a fare l'unica cosa che gli riusciva veramente bene: pregare. Gael Gael Martell si allontanò in fretta dal tempio, decisa ad arrivare all'ingresso del palazzo prima del corteo, per poterlo osservare con attenzione. Mentre correva per le strade affollate, sfruttando i vicoli per evitare il grosso della calca, pensò con pena al fratello, comprendendo appieno lo stato di prostrazione in cui si trovava. Il loro padre, Elimond Martell, ultimo erede di quel ramo cadetto della casata Martell, aveva sempre confidato nei propri figli per poter camminare a testa alta di fronte ai suoi cugini di più alto rango. Non aveva mai potuto sopportare di non essere lui a capo della casata dominante il caldo e prosperoso sud. Non aveva mai accettato il fatto di essere secondo. Ma i suoi eredi non erano stati all'altezza delle sue aspettative. Daeveron aveva sempre trovato più coinvolgente il tempio del campo di allenamento e lei era forse stata una delusione ancora peggiore, sempre in giro per il castello o per le strade della città, piuttosto che nel palazzo insieme alle altre bambine, che trascorrevano il loro tempo a ricamare e imparare le regole della vita nobiliare. In realtà Elimond amava profondamente i suoi figli e li aveva cresciuti con fermezza ma anche con affetto. Aveva sempre pensato che l'essere cresciuti senza madre, morta di parto, sarebbe stata per loro una sofferenza già sufficiente, per cui non aveva mai cercato di ostacolarli. Però ora non poteva più tollerare il loro stile di vita, stavano crescendo e presto sarebbero stati abbastanza grandi da poter affrontare le responsabilità della vita. Avrebbero dovuto abbandonare le loro mire anarchiche e la testardaggine di evitare in ogni modo la vita di corte. Gael, seppure nel piccolo dei suoi otto anni, era a conoscenza dei pensieri e delle preoccupazioni del padre. Tante volte l'aveva sentito parlare con la septa a cui era stata affidata l'educazione delle bambine Martell, andata a lamentarsi per l'ennesima volta per l'assenza di Gael alle lezioni di ricamo. Ma tante altre volte l'aveva sentito sussurrare parole di sconforto sulla tomba della loro madre, una donna che appariva a Gael quasi mistica, per la nostalgia che leggeva negli occhi di Elimond ogni volta che veniva nominata. Gael scrollò le spalle per liberarsi di quei pensieri scomodi. Era arrivata all'ingresso del palazzo dei reali di Dorne. Si intrufolò in mezzo a lord impazienti e nobildonne imbellettate frettolosamente alla notizia dell'arrivo del Principe Daeron, cercando un buon punto di osservazione. Si arrampicò, come se niente fosse, dietro alla statua di un cavaliere impettito che reggeva il suo spadone dritto di fronte a sé, fece presa sul suo collo di pietra e si issò fino a puntare i piedi sulla sua cintura. La posizione non era delle più comode, ma avrebbe potuto guardare il passaggio del re e del suo seguito senza dover saltellare dietro a spalle troppo alte e teste troppo cotonate. Nessuno l'avrebbe notata, come sempre d'altronde. Il silenzio improvviso che invase la sala preannunciò l'ingresso della famiglia reale. A precederla, con passo scandito e petto in fuori, furono i Mantelli Bianchi, le guardie personali del re. Marciarono a ritmo coordinato, con lo sguardo puntato in avanti, aprendo la strada a re Aegon IV, un uomo dal ventre largo e di statura elevata, imponente nel suo abito di raso giallo e arancione. Portava alla cintura una spada, racchiusa in un fodero ricoperto di velluto nero, ricamato con filo dorato. I capelli si univano alla folta barba ad incorniciare il viso austero, vivacizzato dagli occhi sempre vigili e pronti a scattare come un serpente sulla propria preda. Gael non riuscì a capire se il suo fosse disgusto per il luogo in cui si trovava o semplicemente quell'uomo possedesse di natura quell'espressione. Alla sua destra procedeva, elegante e diafana, sua sorella e moglie Naerys Targaryen. La sua pelle candida splendeva radiosa, sotto la chioma argentata lasciata libera e fluente sulle spalle nude. L'abito di organza violetto, leggero e adatto al clima caldo del sud, richiamava il colore degli occhi, dandole un aspetto etereo e quasi angelico. Dietro di loro, tra altri due Mantelli Bianchi, i loro tre figli. Il maggiore, Daeron Targaryen, secondo del suo nome, aveva quasi vent'anni, qualcuno in più dell'età solita in cui venivano contratti i matrimoni, ma sicuramente dell'età giusto per prendere in sposa la Principessa Myriah, di due anni più giovane. Il suo viso disteso e sorridente era talmente diverso da quello del padre, da dar adito alle malelingue che volevano Daeron come figlio segreto di Aemon, fratello minore del re. Il suo sguardo incuriosito si spostava sugli astanti, avido di particolari, come se volesse memorizzare ogni volto che incrociasse. Dietro di lui camminava sua sorella Thiaral, stessi occhi gelidi del padre ma stessa bellezza evanescente della madre. Aveva quattordici anni e gli sguardi di molti uomini si posarono desiderosi su di lei e sulla candida pelle lasciata scoperta dal leggero abito di seta bianca. Uno scossone improvviso fece perdere la concentrazione a Gael, che, per tenersi in equilibrio, dovette interrompere la sua osservazione e cercare un appiglio migliore. Ma ormai il suo interesse era stato sedato e l'ultima cosa che desiderava era trovarsi incastrata nel salone dei ricevimenti insieme a tutta quella folla. Con agilità scese dalla statua, le diede una pacca sul sedere in segno di ringraziamento e sgattaiolò fuori, di nuovo all'aria aperta. Daeveron Daeveron, in realtà, era rimasto per poco tempo in preghiera, sapendo che non sarebbe potuto rimanere in quel luogo a lungo. A breve si sarebbe tenuto il banchetto in onore della Casa Reale, a cui lui e la sorella avrebbero dovuto presenziare. Incurante del fiume in piena di nero, rosso e acciaio che passava dalle porte della fortezza, aveva raggiunto il palazzo dei Martell e si stava dirigendo verso l’interno della fortezza. La vita politica, l’intrigo, non facevano per lui. Preferiva la calma innaturale del tempio a tutto ciò che era mondano e questo, sia il padre che la gemella, lo avevano capito da tempo. Con passo veloce si immerse nelle ombre della fortezza, senza prestare attenzione al rumore, sempre più forte, che arrivava dall’esterno. Camminava senza prestare attenzione a ciò che gli si parava dinanzi, preso solo dai suoi pensieri, dalla preoccupazione per il torneo. Aveva deluso troppe volte suo padre, ma questa volta con l’aiuto del Guerriero sarebbe riuscito a rendere giusto onore al padre che tanto si era prodigato per rendere lui un uomo d’arme. Qualcuno gli pose una mano ferma e decisa sulla spalla per fermarlo e Daeveron in tutta risposta sobbalzò per la sorpresa. Alzò lo sguardo e vide Elimond Martell che lo squadrava da capo a piedi con uno sguardo deluso. Ma oramai Daeveron ci aveva fatto l’abitudine a quel genere di occhiate. Un tempo Elimond era stato un uomo molto attraente, ma il tempo lo aveva reso grigio, con la pelle spenta e solcata di rughe contorte. “Figlio, dove pensi di andare conciato così? Fra poche ore vi sarà il banchetto in onore degli ospiti. Vedi di prepararti a dovere. L’etichetta innanzi tutto”. “Sì padre, andrò nelle mie stanze a cercare un abito più adatto all’occasione. Se posso porre una domanda, dopo il banchetto, è prevista qualche altra attività in onore del sovrano Targaryen?”. Daeveron non poteva dire al padre di sapere per certo cosa lo attendeva, in quanto avrebbe messo nei guai la gemella, che tanto si era prodigata per passare l’informazione al suo spaventato fratello. A Daeveron piaceva pensare, a volte, che era lui a proteggere Gael, ma la realtà era ben diversa. Molte volte era stata proprio lei a togliere Daeveron dai pasticci ed era sempre lei che ascoltava pazientemente le lamentele e le confessioni del gemello. Senza la sorella, Daeveron si sarebbe sentito perduto e avrebbe sacrificato anche se stesso per vederla al sicuro da tutto e da tutti. Elimond socchiuse gli occhi, come se avvertisse la menzogna del figlio: “No, nulla di cui tu ti debba preoccupare. Lascia fare ai grandi e non ti impicciare ulteriormente. Ti stavo cercando per un altro motivo... Come già vi ho accennato, a breve voi partirete verso Approdo del Re, per fortificare il sodalizio che si creerà fra la Casa Martell e Casa Targaryen. Voglio ed esigo che tu, figlio mio, impari alla perfezione l’etichetta e l’arte della diplomazia, onde prendere il posto, alla giusta età, di diplomatico di Dorne nella capitale Targaryen. Ho già preso accordi con tutori d’alto rango per renderti abile nel tuo futuro impiego”. A Daeveron crollò il mondo sotto i piedi. Aveva già visto il suo futuro, un futuro di contemplazione e di serenità fra le mura del Tempio dei Sette... Ma questo cambiava tutto. “Ma padre… io…” “Taci! Non importunarmi con le tue stupide suppliche! Tu farai ciò che io ti comando, per gli Dei! So che non vedevi l’ora di andartene da Lancia del Sole per perseguire quel tuo stupido sogno. Vedi di scordartelo... Ho già preparato tutto. Dopo che avrai servito al meglio la Casata, per quanto mi riguarda, potrai anche scomparire dalla faccia di Westeros e potrai fare ciò che vuoi. Ma finché la Nobile Casata Martell avrà bisogno di te, tu non ti potrai nascondere dai tuoi impegni. Sono stato chiaro?”. Daeveron sentì le lacrime farsi strada nei suoi occhi e tentò invano di ricacciarle indietro. “Come vuoi tu padre... ai tuoi ordini”. Detto questo corse via, in direzione delle sue stanze, non curandosi dei passanti che andavano e venivano lungo il corridoio. Voleva andarsene. Doveva andarsene. Pregò in silenzio la Madre affinché gli desse il sostegno di cui aveva bisogno in quel triste momento. No, non avrebbe abbandonato il suo cammino... se doveva diventare diplomatico di Dorne per volontà del padre, lo sarebbe diventato. Ma avrebbe anche proseguito gli studi per diventare un giorno Septon. Raggiunta la sua stanza, si precipitò allo scrittoio. Intinse la penna d’oca nell’inchiostro e scrisse in un pezzo di pergamena vergine, con calligrafia sicura: ”Prima la volontà degli Dei. Poi quella degli uomini”. Sarebbe diventato ciò che suo padre voleva, ma non avrebbe mai dimenticato qual’era la sua vera strada. Avrebbe affiancato al suo dovere nei confronti del Casato la propria realizzazione personale. Con un sorriso stampato in volto si asciugò le lacrime che gli rigavano il volto e chiamò la sua serva, ordinandole di portargli il più bel vestito da cerimonia che possedeva. Il banchetto sarebbe iniziato a breve. Nel corridoio, Elimond Martell rimase ad osservare il figlio che fuggiva tra le lacrime. Per la prima volta dall’inizio della giornata, il volto del padre dei gemelli assunse uno sguardo malinconico: ”Figli miei, so cosa pensate… Ma ciò che faccio, lo faccio per il vostro bene. Mi dispiace Daeveron, ma non si può fare in diverso modo. Per ora dovrai accantonare i tuoi sogni, ma in un futuro mi ringrazierai”. Elimond cancellò l’espressione dal viso, ritornando ad essere quello di sempre. Ora doveva trovare Gael. segue...
  6. Samirah ha pubblicato una voce blog in Il gatto di giada
    Da qualche mese abbiamo iniziato una campagna di questo bellissimo GdR, incentrato sulla narrazione e l'interpretazione. Certo, per chi non legge Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin può risultare forse troppo anonimo e anche poco stimolante giocare in un'ambientazione tipicamente medievale quasi priva di elementi fantasy. Chi invece ha letto i romanzi si trova catapultato in un mondo ricco di nomi e luoghi conosciuti, con l'emozione particolare di poterli vivere e respirare direttamente. Il mio progetto iniziale era di scrivere un resoconto delle sessioni a mo' di racconto, in stile Martin, ma purtroppo la mancanza di tempo non mi ha permesso di cominciarlo fin dall'inizio ed ora gli avvenimenti accaduti sono talmente tanti che non sarebbe fattibile. Ma mi dispiaceva molto non rendere partecipe gli altri delle nostre vicende avventurose, per cui posterò... un altro tipo di resoconto! Per cominciare, riporto il bg del mio PG e di quello di padishar, che nella campagna sono due fratelli gemelli della casa Martell (ramo cadetto, quindi un po' sfigatelli! ). Dopo seguiranno invece i riassunti mirabili di uno dei giocatori e vi assicuro che ne rimarrete soddisfatti! PS: informazioni e commenti sul gioco sono in questo topic.
  7. Scusate ma... http://www.tvblog.it/tag/cancellazione+heroes O__O
  8. Samirah commented on Samirah's commento su una voce blog in Il gatto di giada
    Guarda, le tue perplessità sono anche le mie. Ne parlavo anche l'altro giorno con Loth. Questo racconto è assolutamente inclassificabile e forse è proprio questo che lo rende così particolare. Devo dire che il divertimento con cui l'ho scritto probabilmente si riflette nelle parole scritte e lo rende più speciale di quello che in realtà sarebbe. Non lo so. So che ogni volta che ripenso a questa storiella mi viene da ridere ed è una sensazione che mi dà molta soddisfazione. Vorrei mandarlo a qualche concorso, ma onestamente, non saprei proprio come presentare una cosa del genere! PS: sì, sono, anzi ero, un'esperta. Ho avuto l'acquario per tanti anni ed è una passione che mi è rimasta nel cuore.
  9. Anch'io ho problemi con gli allegati in questi giorni e presumo sia un problema di tutti. Purtroppo l'apocalisse che sta per calare su di noi si preannuncia con questi segni nefasti!
  10. Samirah commented on Samirah's commento su una voce blog in Il gatto di giada
    Per ora mi hanno risposto "grazie, ciao", il che potrebbe essere un buon segno! Mi sono iscritta anche al loro forum. Non ho ancora capito di che dimensioni sia il sito e quanto sia frequentato, ma da qualche parte dovevo pur iniziare. Inoltre, i frequentatori del forum sembrano molto aggiornati su concorsi e simili, per cui potrebbe essere un buon punto di riferimento per andare ancora un passettino oltre. Insomma, speriamo che la mia nottata insonne di questa estate mi porti bene!
  11. Samirah replied to Rej's post in a topic in Disegni e Illustrazioni
    Rej, è bellissimo. Riesce ad evocare perfettamente il personaggio e devo dire che è un omaggio molto gradito per chi ha letto Le cronache.
  12. Samirah commented on Samirah's commento su una voce blog in Il gatto di giada
    Tanto per rompere il ghiaccio, ho mandato questo raccontino a una rivista on line. Vediamo un po' come va. ^^
  13. Samirah commented on Samirah's commento su una voce blog in Il gatto di giada
    Discussioni proprie in che senso? Se intendi il blog, è solo per i soci DL.
  14. Idem... mamma mia, che delusione...
  15. Samirah replied to Shar's post in a topic in Altri GdR
    Purtroppo non ho ancora avuto modo di stendere il resoconto dell'avventura sotto forma di racconto, ma spero vivamente di riuscirci, anche se magari dovrò tagliare un bel po' di cose, per farcela. Volevo solo fare un piccolo bilancio, dopo circa una decina di sessioni di gioco. Devo ammettere che avendo giocato solo a D&D fino ad ora, ho ancora difficoltà a immergermi completamente in questo stile di gioco completamente diverso. La paura di fallire è tangibile e la frustrazione per le missioni fallite è quanto di più realistico si possa provare. Ovviamente, i complimenti al master per averci fatto immergere appieno nell'atmosfera delle cronache e per le continue sfide che ci pone davanti, assolutamente intriganti. Sono sempre più convinta che l'unico modo per divertirsi veramente ad AGoT sia di adottare il livello di gioco "game of thrones". Temo infatti che giocando a livelli più "easy" si rischi soltanto di annoiarsi o, peggio, di trovarsi coinvolti spesso e volentieri in combattimenti da cui, se si esce vivi, è una magra consolazione. AGoT non è fatto per combattere gente, ma per ruolare.
  16. Samirah replied to Alister's post in a topic in Ambientazioni e Avventure
    E con l'uscita della quarta edizione cosa succederà? Immagino che il manuale di ambientazione rimarrà valido così com'è, salvo qualche piccola modifica.
  17. Samirah commented on Subumloc's commento su una voce blog in Blog Subumloc
    Quando sei diventato il famiglio di azalich?
  18. Samirah commented on Subumloc's commento su una voce blog in Blog Subumloc
    Buono a sapersi! Cercherò di evitare come la peste questa trappola mortale! PS: ne avevo sentito parlare della famigerata Mary Sue, ma non avevo mai approfondito. Ho fatto una piccola ricerca in rete e ora ne so un po' di più. Una ola per la Subcultura!
  19. Samirah replied to ectobius's post in a topic in Libri, fumetti e animazione
    Alé, alla fine ce l'ho fatta a leggere tutto! Devo dire che il racconto lungo mi è piaciuto molto, si respira l'atmosfera tipica dei piccoli paesi del sud, dolce e amara allo stesso tempo (l'ho assaporata per brevi momenti e, per quanto l'ho odiata da piccola, per quanto ne provo nostalgia ora). Per quanto i primi racconti brevi abbiano una complessità maggiore, con immagini ben costruite e d'impatto, quest'ultimo racconto è più, come dire, "rilassato", godibile. E la lettura ne guadagna. Se posso solo farti un appunto, io eviterei di interporre di continuo i tre punti. Sono un ottimo strumento per creare la sospensione del discorso, che si voglia aumentare la tensione oppure soltanto lasciare un senso di "non detto", ma è uno strumento da usare con molta parsimonia, altrimenti perde il suo effetto.
  20. Ehm, non solo è nel posto sbagliato, ma il contest non è neanche iniziato. I racconti potranno essere postati a partire dal 1° novembre e in questo topic.
  21. http://www.dragonslair.it/downloads/dnd3e/dnd3e_avv_ilcorvoelamaschera.zip
  22. Samirah replied to aza's post in a topic in Dragons’ Lair
    http://www.dragonslair.it/forum/showpost.php?p=235956&postcount=5 (non era certo il topic giusto in cui postare, un po' di attenzione per favore )
  23. Che bravo, meriteresti una reputa! E' esattamente come ha detto Wolf, per entrambe le questioni.
  24. Samirah commented on DarKnight's commento su una voce blog in The Man in Black
    Oddio, ho paura di saperlo!!!
  25. Quindi mi consigliate di aspettare? In realtà la mia non è un'urgenza, è solo curiosità e voglia di ampliare le mie conoscenze. Ma di manuali in italiano cosa c'è?