Julie non conosceva niente del mondo al di fuori del castello dei Numisir. Non aveva sangue nobile nelle vene, ma per fortuna la sua non era tra le famiglie costrette a lavorare nei campi o nelle miniere per vivere. Suo padre era un esploratore che viaggiava per lunghi periodi dell’anno per conto del Duca. Julie attendeva sempre con molta trepidazione il ritorno del padre, non solo per poterlo riabbracciare, ma anche per ascoltare le storie su paesi lontani e popoli a lei sconosciuti. Amava in particolare i racconti sugli gnomi, che trovava buffi e pieni di iniziativa.
La madre invece era una sacerdotessa di Pelor e questo permise alla piccola Julie di godere di una vita agiata. Già da bambina, Julie avrebbe voluto seguire le orme della madre. Ma il fuoco sacro non bruciava in lei. Pregava ogni mattina al sorgere del sole, richiamava a sé il potere del sole durante il giorno, ma nulla.
La frustrazione cresceva in lei e soltanto nei brevi momenti in cui suo padre era a casa, il suo animo si rasserenava. Dopo aver ascoltato i racconti del padre, correva in camera sua a scrivere. Riportava su fogli di pergamena quelle storie belle e fantastiche, esaltandole, manipolandole, trasformandole ogni volta in racconti leggendari.
Sembrava il passatempo di una bambina, ma che presto si rivelò come un vero e proprio talento. Fu durante una lunga sera d’inverno, mentre fuori imperava la tempesta ed il cantastorie di corte era a letto con una brutta influenza, che Julie poté mostrare la propria abilità. Aveva ormai 16 anni e, vincendo la sua timidezza, si presentò di fronte al Duca, proponendo di intrattenere i presenti con un racconto.
Il Duca, fra lo scettico e il divertito, acconsentì. Julie si sentiva tremendamente in imbarazzo, le sue prime parole furono incerte e senza pathos, ma ben presto il racconto cominciò a scorrere, come sospinto da una forza invisibile. Tutti gli sguardi, tutte le menti erano rivolti a quella voce melodiosa. Le parole di Julie risuonavano come musica nell’ampio salone, le fiamme del grande camino sembravano più rilucenti del solito ed il freddo sembrava scomparso.
Alla fine della narrazione nella sala il silenzio era interrotto solo dal vento che soffiava feroce all’esterno. Ma durò solo pochi secondi, perché un fragoroso applauso si levò da tutti i presenti. Julie si sentì scossa, si sentiva come se fosse appena stata svegliata bruscamente. Vedeva le persone indistintamente di fronte a sé, come impazzite. Il rumore era insostenibile, le girava la testa.
Si svegliò nel suo letto, sormontata dal viso della madre, preoccupata e più pallida di lei. La donne le teneva la mani sospese sopra, bisbigliando parole sacre. Il calore era piacevole e Julie sorrise. Sua madre si sentì sollevata e le chiese come si sentiva. Le accarezzò dolcemente i capelli, scherzando sui brutti effetti dell’emozione. La tensione si sciolse e Julie si sentì improvvisamente completa, soddisfatta.
“Mamma” le disse, “voglio viaggiare il mondo insieme a papà e raccogliere ancora tante storie da raccontare”.
La madre divenne improvvisamente seria, ma comprese il desiderio della figlia, dopo aver vissuto tanti anni a fianco di un uomo sempre smanioso di partire e viaggiare. Non tentò di fermarla, ma la pregò almeno di seguire un percorso spirituale prima di partire.
Julie non capì, non era mai stata capace di creare un legame stretto con la divinità, ma si sentiva talmente felice della concessione, che non trovò nulla da obiettare.
La sacerdotessa di Pelor stupì completamente la figlia. Julie non si sarebbe mai aspettata di trovare in lei una guida così attenta e preparata. La donna la guidò attraverso un percorso difficile ma gratificante. Le insegnò a incanalare in modo diverso il potere del dio. Se la via ecclesiastica non faceva per lei, poteva però trasformare in parole e musica ciò che provava dentro di lei. Così le preghiere diventarono poesie, le invocazioni si plasmarono in canti che scaldavano l’animo. E poi, arrivò anche la magia.
All’inizio furono soltanto luci fluttuanti, la capacità di individuare la magia, poi Julie imparò ad utilizzare il proprio talento per ravvivare gli animi, affinando la propria abilità. Non erano le grandi magie spettacolari a cui puntava, quanto piuttosto la capacità di portare la luce in modo diverso, meno plateale rispetto ad un chierico, ma efficace allo stesso modo.
Ci vollero alcuni mesi perché Julie potesse considerare completo il suo addestramento. Attese con pazienza il ritorno del padre e poi, alla sua partenza, si unì a lui.
Julie era estremamente entusiasta, ma ben presto si rese conto di come le sue fantasie si erano spinte troppo oltre. Non incontrò nulla di fantastico, nulla di leggendario. Soltanto qualche goblin e animali selvatici. Julie cominciava a pentirsi della sua decisione. Era molto più divertente stare a casa, scrivendo storie assurde ma avvincenti, piuttosto che viaggiare nella scomodità, costretta ad usare l’arco piuttosto che pennino ed inchiostro.
Il viaggio verso sud proseguiva lentamente, le deviazioni erano tante e noiose. Julie cominciò a pensare sul serio a tornare a casa.
Una sera, davanti al fuoco, lei e suo padre stavano in silenzio. Cercava le parole per dirgli che non voleva più proseguire il viaggio, quando un rumore secco la distolse dai suoi pensieri. Fu un attimo, soltanto una piccola distrazione, e si ritrovarono circondati da un gruppo di orchi. Una lama luccicò al riflesso delle fiamme e il corpo dell’uomo cadde pesantemente a terra. La voce le si strozzò in gola. Come poteva essere? Cosa stava succedendo?
Mani forte e ruvide l’afferrarono, trascinandola via nel folto della foresta. Era troppo buio, e lei era troppo spaventata per capire dove stavano andando. Fu gettate rudemente sulla nuda roccia, all’ingresso di una caverna.
Gli orchi le stavano intorno, guardandola pieni di cupidigia. Julie cominciò a piangere, colma di terrore, alimentando il divertimento di quelle bestie.
Ma quando uno di loro avvicinò la sua mano sporca verso di lei, Julie riprese improvvisamente il controllo. L’immagine della madre si ravvivò in lei e le parole cominciarono a fluire una dopo l’altra, senza sosta. Gli orchi rimasero come incantati.
Piano piano Julie modificò il tono della sua voce, trasformandola in una dolce nenia, che fece cadere gli orchi in un sonno profondo.
Si alzò con fatica e fece qualche timido passo verso l’uscita. Quando si rese conto che non sarebbe stata fermata, corse come una furia all’esterno della grotta. Voleva tornare da suo padre, voleva abbracciarlo, voleva far tornare indietro il tempo.
Trovò il corpo e pianse il suo dolore tutta la notte. All’alba trovò la forza di cercare un villaggio, perché l’aiutassero a seppellirlo.
Non si prese neanche un giorno per riposarsi, ma ripartì subito diretta verso casa sua. Fu straziante tornare da sua madre e raccontarle quanto era accaduto, ma ancora una volta trovò in lei una donna forte in grado di sostenerla. Fu però dura per entrambe superare il dolore della perdita e si appoggiarono l’un l’altra sempre più saldamente. Julie ricominciò così il suo cammino, ora indirizzato ancora di più verso una purificazione prima di tutto interiore.
Passò così un altro anno e le sofferenze di Julie sembravano essersi attenuate, ma qualcosa ancora non andava. Sua madre se ne rese conto e si decise a proporre alla figlia una nuova via: la via della ricerca.
Julie non ne voleva sapere di ripartire, ma sua madre le spiegò che soltanto viaggiando avrebbe potuto ritrovare se stessa.
Le diede un incarico preciso: trovare le sale dei cori angelici. Un luogo leggendario, forse addirittura inesistente, ma la cui ricerca le avrebbe comunque permesso di riacquistare sicurezza e fiducia. Julie era molto dubbiosa, ma si fidò della donna che tanto la amava e tanto le era stata vicina. Partì quindi di nuovo, questa volta con un obiettivo, ma senza meta. Non aveva vie da seguire, solo il suo istinto e la fede che portava nel cuore.
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