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Per ora tolgo i topic dal rilievo, lasciandoli ovviamente aperti. In ogni caso, vorrei approfittarne per fare una proposta. Penso che uno dei maggiori limiti di LNS sia la pretesa di scrivere qualcosa di lungo, con una trama che si snoda attraverso numerose vicende. Ieri sera, invece, più per scherzo che per altro, ho tentato un piccolo esperimento, di cui ancora non ho visto il risultato, ma che spero di condividere presto con voi. Si tratterebbe di scrivere racconti brevi, con pochissimi personaggi, rimpallandosi il racconto e aggiungendo ognuno un piccolo pezzo. In questo caso, quindi non si gestirebbe un PG a testa, ma si porterebbe avanti una singola linea narrativa, magari riguardante soltanto un personaggio. In questo modo, se qualcuno non ha più tempo per scrivere, la storia non si fermerebbe, perché non rimarrebbero personaggi in sospeso. Inoltre, dandosi un limite (ovviamente non rigido) di lunghezza, si sarebbe più spronati a portare a termine la narrazione. Voi che ne dite?
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Va bene, ma diciamo che per il prossimo lavoro ci sarà da aspettare un bel po'. Ho finalmente iniziato qualcosa di più corposo e con le idee abbastanza chiare per tutta la trama. Le critiche ci vogliono, anche se poi danno fastidio, perché si impara solo in questo modo. I complimenti sono necessari per tenersi su di morale e non perdere la presa sui propri obiettivi, ma è solo con le bacchettate che si migliora. Il mio hombre invece non so da dove venga fuori!
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Ho un paio di domande sull'ambientazione, riguardanti alcuni aspetti che mi interessano particolarmente. Per prima cosa: le razze che origine hanno avuto? Chi/cosa le ha create? Da dove vengono? Insomma, come son scappate fuori? Seconda cosa: e gli dei? Il pantheon è uno di quelli classici, con le divinità che si spartiscono piani e aree di influenza, oppure possiede delle particolarità proprie di questa ambientazione? Grazie in anticipo per le risposte! ^^
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Sicuramente bisognerebbe implementare almeno qualcuno di questi strumenti. E' anche vero che secondo me il video alla fin fine non mostra tutte le potenzialità dello strumento. Immagino sia ancora in fase di sviluppo, per cui penso (e spero!) che sarà qualcosa in più di una semplice griglia su cui muovere delle pedine, per quanto ben fatte siano. Se così non fosse, 10 dollari al mese sono assolutamente ingiustificabili.
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La mia impressione è che questa LNS sia partita fin dall'inizio con meno slancio della precedente. Inoltre mi pare che alcuni dei partecipanti (e mi ci metto dentro pure io) siano troppo impegnati. E' vero che si tratta di scrivere qualche riga ogni tanto, ma è anche vero che quando si è presi da mille cose è anche fatica concentrarsi e riuscire a scrivere. Io direi che sarebbe meglio prendersi tutta una pausa e poi, tra un po' di tempo, vedere se ripartire, magari con solo 4 o 5 partecipanti (io penso che me ne tirerò fuori, visto l'andazzo... ).
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Io temo che non sarà a gruppo, visto che permetterà di giocare a distanza. In effetti è veramente tanto, nonostante lo strumento mi sembri utile ed interessante. Ho avuto diversi gruppi di gioco on line e continuo ad averne e in effetti il maggior problema è proprio la griglia di battaglia da aggiornare in tempo reale (si perdono ore intere per un semplice combattimento), però non penso proprio che sarei disposta a sborsare una simile cifra, soprattutto ora che cominciano a esistere e a diffondersi strumenti come google doc. Non saprei, come ho detto per i manuali, forse è meglio aspettare per avere tutte le notizie in mano, in modo da valutare in maniera più corretta il tutto.
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Io però non ho capito se Spoiler: quando Hiro torna e c'è la veglia funebre, la ragazza è comunque morta assassinata oppure è morta per l'aneurisma... a dire il vero, ieri sera, non ci ho capito quasi niente nell'ultimo quarto d'ora!
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[MOD] - Visto che si tratta di un semplice copia/incolla da qui, sarebbe stato cortesia nominare l'autore di questo bell'articolo . Comunque, se lo scopo del topic era quello, si può chiudere. Aspetterò una risposta da Arcangel Gabriel.
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Non è un romanzo, ma una via di mezzo tra autobiografia e saggio, ma allo stesso tempo nessuna di queste due cose. In questo libro King racconta la genesi della sua vita da scrittore e lo fa col suo stile assolutamente incredibile, asciutto e impregnato di significato come solo lui sa fare. Acquistandolo, temevo di trovarmi di fronte ad una sorta di saggio un po' noioso e relativamente utile, invece è stato per me una fonte di ispirazione, un'iniezione di fiducia e la spinta decisiva che mi ha fatta piazzare di fronte al pc a scrivere con più impegno e regolarità. Certo, la maggior parte dei consigli sono utili ma scontati. Eppure, chissà quanto tempo ci sarebbe voluto per arrivare alle stesse conclusioni? Il compito dei maestri non è forse quello di spiegare cose note a chi ancora non le ha viste, sperimentate? Ma oltre ai consigli, c'è stata la componente "ramanzina" che ha fatto il suo dovere. Dopo righe di puro ottimismo, se ne esce con frasi secche a cui non si può replicare: "o fai così o te lo scordi di fare lo scrittore". Ma, invece che demoralizzare l'aspirante romanziere, queste sentenze non fanno altro che rafforzare le parti propositive, spingendo chi legge a pensare in maniera pragmatica e decisa a quello che si vuol fare. Ci sono stati in passato libri che mi hanno ridonato, dopo anni di "silenzio intellettuale", la voglia e il piacere di leggere. Questo libro ha riportato in superficie la voglia e il piacere di scrivere. Quindi, è tutta colpa sua se vi sto sommergendo con le mie follie!
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Ragazzi, non so che dire, mi aspettavo molte critiche per questo racconto e invece leggo solo complimenti... non siete dei critici seri! Grazie a tutti, le vostre parole sono il miglior incitamento che potessi sperare di ricevere. @ Shar: mi stai illudendo!
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Ti ringrazio. In effetti, il finale ha dato quella sensazione anche a me, perché è scaturito da solo. Mentre scrivevo non sapevo come si sarebbe concluso il racconto, è come se il finale già esistesse e io l'avessi solo "portato alla luce".
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Questo racconto, un po' più lungo dei precedenti, è stato scritto di getto in un pomeriggio, dopo che l'idea mi era piombata sul coppetto la sera prima, poco prima di addormentarmi. E' completamente diverso dai precedenti, ma mi ha divertito scriverlo e alla fine, dopo qualche giorno di valutazione, ho deciso di postarlo, sperando di strapparvi almeno un sorriso. ^^
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Pedro Aleandros uscì dal negozio di acquari e pesci esotici con uno sfavillante sorriso stampato su quel suo faccione tondo e sudato per l'afa estiva. Il pesce palla racchiuso nel sacchetto di plastica trasparente reagì al mondo esterno gonfiandosi, scatenando nel suo nuovo proprietario una fragorosa risata. Pedro aveva una passione per gli acquari tropicali sin da bambino, quando andò in gita con la scuola a visitare il nuovo mastodontico complesso di Lisbona, allestito in occasione dell'Expo del 1998. La sua attrazione principale era una vasca a cilindro alta tre piani, talmente larga da non riuscire a scorgere con chiarezza la parete opposta. Durante il viaggio di ritorno a Badajoz, sul confine tra il Portogallo e la sua Spagna, non degnò di una parola i suoi compagni di scuola, che tra l'altro lo evitavano quasi sempre, accorgendosi di lui solo quando si presentava l'occasione di prenderlo in giro, ovvero quando la sua gioviale faccia rotonda assumeva il colore della marmellata di fragole al solo rivolgergli la parola. I suoi pensieri erano rimasti davanti a quella grande vasca piena d'acqua e di meraviglie. Ora, sulla soglia dei diciannove anni, era finalmente riuscito a dare sfogo alla sua passione. Lavorava da sei mesi nella libreria di sua sorella Adele, a Sagrajas, e aveva preso in affitto un monolocale asfittico per ben trecentosettanta euro al mese. La cifra era nella media del mercato immobiliare, ma per il suo stipendio di poco più di mezzo migliaio di euro significava un salasso non indifferente. Nonostante questo, già alla prima busta paga decise di riservarne una parte per il suo progetto, riuscendo a racimolare, in quel breve periodo, i soldi sufficienti per allestire un piccolo acquario. Due settimane prima aveva acquistato la vasca con i relativi accessori. Si era dovuto accontentare di una capacità di sessanta litri, ma era quello che gli consentivano le sue finanze e le dimensioni dell'appartamento. Dentro al negozio era rimasto fortemente tentato anche dall'impianto di osmosi per il ricambio costante dell'acqua, ma la cifra a due zeri lo avevano dissuaso nel giro di pochi secondi. Era quindi uscito con il suo acquisto in braccio e una grande sporta dondolante dal gomito destro. Arrivato a casa, aveva saltato la cena e si era messo subito al lavoro. Aveva disposto di fronte a sé, sul divano dalla fodera stracciata in più punti, i libri che era riuscito a portare a casa dalla libreria, impietosendo la sorella e pagandoli quasi la metà. Aveva seguito le istruzioni con ogni scrupolo. Aveva pulito i vetri dentro e fuori con acqua tiepida, evitando accuratamente ogni tipo di detersivo. Aveva disposto sul fondo uno spesso strato di ghiaia, che il venditore gli aveva assicurato, sbuffando per la sua insistenza, essere assolutamente priva di calcare. Aveva sistemato le sfere per il filtro biologico nel cassettino laterale, montato le luci, regolato al decimo di grado il termostato e, infine, versato l'acqua deionizzata su un piattino di ceramica, che aveva posato sulla ghiaia per evitare di smuoverla. Dopodiché aveva addizionato tutto l'addizionabile: sali marini, biocondizionatore e qualsivoglia altro prodotto “assolutamente indispensabile alla sana vita dei pesci e degli invertebrati marini”. Osservando il lavoro finito, aveva scambiato un cenno d'intesa con le sacre bibbie che stavano giudicando il suo operato in silenzio. Aveva quindi deciso di aver raggiunto la perfezione e che avrebbe resistito alla tentazione di buttarci dentro qualunque tipo di creatura marina prima del tempo stabilito sui libri, ovvero dalle due alle quattro settimane. Aveva quindi richiuso i libri con amorevole devozione, riponendoli nello scaffale sottostante del mobile porta-acquario. Allo scadere delle due settimane, aveva ritenuto che la sua straziante attesa avesse meritato la ricompensa tanto agognata. Le sue tasche gli dissero che non poteva permettersela. Aveva calcolato le spese considerando un mese tra l'allestimento della vasca e l'introduzione dei primi invertebrati, ma Pedro non poteva più attendere. Aveva quindi deciso che il compromesso migliore sarebbe stato l'acquisto di un singolo pesce, in modo da dare un po' di vita a quel vuoto contenitore. Soddisfatto dell'accordo che aveva raggiunto con sé stesso, aveva chiesto una mezza giornata di permesso ad Adele e si era presentato al negozio all'ora di pranzo, trovandolo, ovviamente, chiuso. Aveva atteso sotto il sole di luglio che il proprietario tornasse ad aprire il suo esercizio, per poi entrare nel fresco negozio al suo seguito. Il negoziante lo aveva guardato infastidito, ma, ricordando la sua precedente spesa, si era poi profuso in gentilezze di ogni sorta. Pedro aveva dovuto combattere contro la tentazione di acquistare ogni più bizzarra creatura del mare. Frustrato dall'impossibilità di riuscire a decidere, aveva camminato avanti e indietro osservando febbrile tutte le vasche da esposizione più e più volte. Quando era ripassato per l'ennesima volta di fronte alla vasca coi pesci palla, uno di loro, spaventato dall'improvvisa comparsa di quella forma rotonda e immensa che era la sua faccia, si era gonfiato fino all'inverosimile. L'inatteso spettacolo aveva fatto ridere Pedro a crepapelle, portando il negoziante a voltarsi imbarazzato verso di lui, mentre altri due acquirenti stavano entrando proprio in quell'istante. Pedro aveva deciso che quel pesce si era conquistato il premio simpatia dell'acquario e lo aveva scelto come primo inquilino della sua vasca. Per tutto il percorso dal negozio a casa, davanti ai suoi occhi passarono immagini di giardini sottomarini lussureggianti, di pesci multicolori che si rincorrevano tra invertebrati evanescenti e fluttuanti. Giunto a casa, deciso a rispettare tutti i canoni sino in fondo, mise il sacchetto a galleggiare sulla superficie dell'acqua, per portare quella all'interno del sacchetto alla stessa temperatura. Osservava le lancette dell'orologio come nemici in trincea, decisi a sfiancarlo nell'attesa di un attacco annunciato. Allo scadere del quarto d'ora aveva già tagliato l'aria con le forbici una quarantina di volte. Si avventò sul sacchetto e, mentre il pesce ne usciva sospettoso, gli rivolse il suo benvenuto con emozione: Ecco, sei tu il padrone adesso. Sei libero di nuotare in ogni angolo della tua nuova casa. Se il pesce palla avesse potuto parlare, probabilmente gli avrebbe detto che ci voleva del coraggio a chiamare quella scarna e piccola vasca casa, ma d'altra parte anche il monolocale poteva solo che andare orgoglioso di essere chiamato tale. Il nuovo coinquilino decise che quello vecchio non gli stava molto simpatico e si gonfiò ancora una volta. Pedro interpretò quel gesto come una risposta di assenso alla sua affermazione e rise di nuovo con gusto. Il riflesso della sua faccia sul vetro della vasca faceva quasi pensare che di pesci palla nell'acquario ce ne fossero due. Il giorno seguente Pedro dimenticò di andare al lavoro. Sua sorella telefonò ben due volte per sapere che fine avesse fatto, ma lui rispose semplicemente che non poteva allontanarsi da casa. Abituata alle giornate strane del fratello, Adele decise di non insistere. Avrebbe scalato la giornata di lavoro perso dalla prossima busta paga. Anche quella giornata trascorse con il viso di Pedro a mezzo metro dall'acquario e il pesce palla che nuotava senza sosta nella sua piccola prigione di cristallo. Soltanto verso sera Pedro si rese conto di avere fame. Si preparò un panino e andò a mangiarselo nella sua postazione di osservazione. Senza alcun preavviso, il pesce si fermò al centro della vasca, sembrò guardare fisso Pedro e si gonfiò. Ma questa volta non ci fu nessuna risata, nessuna ilarità scomposta. Pedro ebbe la precisa sensazione che il pesce palla lo avesse fatto in segno di scherno. Il disagio si fece strada insieme al dubbio, mentre l'animale tornava alle sue dimensioni normali. Continuò a guardarlo ancora un po', indeciso sul come interpretare quel gesto del suo inquilino. Passarono così altre due ore e tre panini. Il pesce non degnò più di uno sguardo Pedro, neanche quando questo si avvicinò tentando di spaventarlo per l'ennesima volta. Pedro si sentì quasi offeso dalla mancanza di considerazione e decise che per quel giorno lo show era terminato. Andò a letto e non ci pensò più. Si svegliò sorridente, come tutte la mattine. Scese impaziente dal letto e si piazzò a far colazione davanti al suo piccolo capolavoro. Il pesce nuotava tranquillo e non diede segno di irrequietudine quando Pedro si piazzò di nuovo col suo faccione di fronte alla vasca. All'ultimo cucchiaio di cereali imbevuti di latte tiepido, Pedro aveva appena terminato una lunga diatriba con se stesso, convincendosi infine che sarebbe stato il caso di presentarsi al lavoro, dopo l'assenza ingiustificata del giorno precedente. Ma proprio in quel momento, il pesce decise di attirare nuovamente su di sé l'attenzione. Si fermò a pochi centimetri dal vetro anteriore, per poi assumere la sua abnorme forma sferica. Pedro sussultò. Prima di gonfiarsi, il pesce l'aveva osservato con un'aria strana. Sì, ne era certo, era pura e semplice derisione. Razza di bestia ingrata. - gridò con la sua voce troppo stridula per un uomo della sua stazza. - Ti ho preparato una vasca come Dio comanda, ti ho dato il migliore cibo in granuli sul mercato, sono stato qui a guardarti tutto il giorno riempiendoti di complimenti, e tu mi ripaghi così? Sarà meglio che ti dai una regolata o ti butto al gatto della signora Alvarez qua di fianco. Il pesce palla, in tutta risposta, si gonfiò di nuovo. Pedro lo fissò negli occhi, per cercare di carpirne i pensieri. Erano di certo pensieri irridenti, di scherno, lo stesso di quei ragazzini che gli ridevano in faccia quando arrossiva fino all'attaccatura del collo. Il suo rotondo e paffuto viso virò dal rosso al porpora al viola e Pedro scagliò i cereali rimasti nel cucchiaio contro i vetri dell'acquario. Respinse l'istinto di ripulire subito le lastre trasparenti e decise che era ora di andare al lavoro. Ma non ci andò. Rimase tutto il giorno davanti all'acquario, telefono staccato, in attesa di una mossa del suo avversario. Il pesce non lo degnò di uno sguardo, lasciando che il suo osservatore rimanesse a contemplarlo affamato e furente per l'intera giornata. Era di nuovo ora di cena, quando Pedro riaprì il frigo e trovò in esso una desolazione disarmante. Si disse che il giorno dopo sarebbe dovuto andare a fare spesa. Ignorò le proteste del suo stomaco e tornò al suo posto di osservazione. Quel dannato pesce si sarebbe dovuto arrendere all'evidenza, prima o poi. Avrebbe dovuto capire che, se voleva sopravvivere a sufficienza per fare la conoscenza dei futuri inquilini, avrebbe dovuto sottostare alle sue condizioni. Ma il pesce ignorava evidentemente le regole della convivenza con Pedro. La mattina dopo si alzò di cattivo umore e indugiò in bagno, dove si soffermò davanti allo specchio, osservando i contorni del proprio viso e gonfiando le guance, in una satira feroce quanto mai divertente. Si concesse una risata e decise di concedere una seconda opportunità al suo compagno d'appartamento. Si avvicinò di soppiatto all'acquario, per poi piombare all'improvviso a pochi centimetri dal vetro anteriore, ma il pesce palla non diede nemmeno l'impressione di averlo notato. Pedro ringhiò di rabbia repressa, di un furore che gli ribolliva nell'animo dai tempi della scuola, e si scagliò verbalmente contro l'ignaro inquilino della vasca. Dopo essersi sfogato con innumerevoli e coloriti improperi, cercò di calmarsi. Il suo sguardo cadde sul filo del telefono ancora staccato dalla presa nel muro. La logica gli diceva che avrebbe dovuto riattaccarlo, telefonare ad Adele, scusarsi e poi presentarsi al posto di lavoro. Invece rimandò a letto la logica e riprese il suo posto. Il volto paffuto aveva assunto ormai un brutto colorito pallido, mentre gli occhi erano arrossati. Due vistose occhiaie completavano il quadro. Il suo stomaco era sempre più impaziente di ricevere del nutrimento, ma Pedro lo ignorò con ostinazione. Ormai era in guerra e in una guerra non c'è tempo per le frivolezze. Il suo nemico era lì, di fronte a lui, e doveva trovare il modo di portarlo alla resa. O alla morte. La polizia bussò più volte, prima di decidersi a sfondare la porta. Quello che trovarono all'interno del piccolo monolocale fu un divano dalla fodera strappata, una vasca piena soltanto di ghiaia e d'acqua e Pedro Aleandros seduto a tavola a faccia in giù. Il suo rotondo e pallido viso era immerso tra i resti di una magra cena a base di sushi, almeno così parve ad una prima occhiata. I giornali locali non si lasciarono sfuggire l'occasione di una notizia di cronaca nera condita da una certa dose di umorismo. “Giovane uomo cerca di cucinarsi un sushi casalingo col suo pesce palla e muore intossicato”, recitavano quasi tutti. Uno più fantasioso riportava: “Pedro Aleandros entra a tutti gli effetti tra i candidati dei prossimi Darwin Awards”. Melita Rosares ridacchiò leggendo i titoli di fronte all'edicola e l'edicolante le regalò un commento sull'idiozia della gente, su cui Melita si ritrovò assolutamente d'accordo. Sistemò al meglio la sporta che le dondolava dal braccio destro, sincerandosi che il suo ospite non soffrisse per il trasporto. Quando la sua testa contornata di riccioli saltellanti fece capolino dall'alto, il pesce palla dentro al sacchetto del negozio di acquari reagì gonfiandosi a dismisura. Melita rise di gusto, pensando che non ci fosse nulla di più buffo al mondo e che bisognava proprio essere dei mostri per mangiarsi un campione di simpatia come quello.
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[Anche qui riporto il commento inserito nel vecchio topic, prima del racconto] Altro piccolo racconto nato da un'immagine nata tempo fa nelle mia testa, immagine che mi si è ripresentata inaspettata mentre la solita mancanza di sonno mi perseguitava. Quello che ne è nato è un racconto dal ritmo pesante, "asfissiante", come l'atmosfera che cerca di riprodurre. In realtà non mi ha soddisfatta da subito, ma rileggendolo ho pensato che comunque valeva lo stesso la pena di postarlo.
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Anche oggi il cielo si presenta plumbeo, grigio come la fredda città che sovrasta. L'antica pietra ha la stessa triste sfumatura cinerea dei nuovi palazzi, costruiti col ferro e con lo strano impasto che chiamano cemento. Le vetrate, infinite nel loro rispecchiarsi le une con le altre, riflettono l'assenza di colore, amplificandola, ottundendo i sensi ormai privati di stimoli vitali. Ma oggi, da questo cielo, intessuto di un'unica, compatta massa di cupo vapore acqueo, cadono, come se le mani della loro nutrice non riuscissero più a contenerle, gocce di terso liquido cristallino. L'aria di questa tetra città sembra essersi elevata, agognante, fino a toccare la volta di un cielo sempre uguale, portando con sé la sua amante, la sfuggente acqua. E dal loro amplesso hanno generato queste piccole creature che corrono verso il suolo, in una discesa inarrestabile, rapite da un richiamo verso l'elemento che amano e odiano insieme, la terra. E mentre precipitano, intonano il loro coro di voci liquide, gementi e gioiose allo stesso istante, per poi andare a ricoprire, morendo, ogni superficie, donando al grigio una nuova vita, un rinnovato splendore. La città vive. Vive mentre i piccoli esseri formicolanti si rintanano nelle loro dimore invase da fredda luce artificiale. Fuggono dall'acqua, fuggono dalla vita stessa, mentre essa piange, commossa, per ciò che è andato perduto. Perché prima che arrivassero loro, gli umani, i colori ancora si dipanavano come bambini giocosi tra queste mura. La pietra stessa era viva, permeata del respiro della madre terra. Tutto gioiva, prima che queste insulse creature senza pietà né compassione poggiassero i loro piedi sulle nostre vie, dentro le nostre case, soffocando e bruciando la purezza con la loro follia, privandoci del nostro spirito. E non soddisfatti per l'aver distrutto ogni cosa che ci era cara, hanno anche gettato fango sulla nostra memoria, raccontando di noi gesta demoniache, connubi con quelle stesse forze corruttrici che la nostra madre terra tratteneva con forza dentro di sé, per evitare che ci corrodessero nel profondo. Invece loro hanno scavato, hanno mangiato, hanno disgregato ogni anfratto della nostra cara madre, l'hanno portata ad una lenta consunzione, facendola spegnere in una dolorosa agonia, ormai giunta alla sua conclusione. Ma su una cosa non hanno mentito: l'odio profondo che coviamo contro di loro, la rabbia che ci mantiene coscienti, anche se impotenti, immobili nella nostra paralisi infinita. E in questo magma di atavico risentimento, noi continuiamo a bruciare il desiderio di una vendetta, di una riconquista di ciò che ci apparteneva. E per questo noi preghiamo che la nostra cara madre resista, che il suo spirito fonte di vita possa tornare a percorrere ogni granello della nostra essenza. E quel giorno, noi torneremo a volare e scenderemo in guerra contro gli umani, perché tutto dovrà tornare a noi, creature della terra e del cielo, a noi gargoyle.
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[Copio anche il commento, postato prima del racconto in data 20-07-2007, alle ore 02.26.55] Altro esperimento letterario, altro tentativo di scrivere in tempo reale quello che la mente elabora, senza troppe mediazioni. Considerando la serata, mi sono buttata sull'horror, molto classico, direi quasi banale, ma è stato divertente, e un po' inquietante, ricostruire in questa chiave dark l'ultima ora passata a rantolare dal caldo e privata del sonno.
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Era forse un rumore? No, probabilmente non era nulla. Ma ormai gli occhi sono aperti. Fastidioso e pigro, il caldo vento notturno entra a fatica dalla finestra, si spinge come un serpente in agonia fino alla stanza di fianco, lasciando dietro di sé strascichi di un refrigerio soltanto illusorio. Le lenzuola sono come tralci di piante rampicanti avide di linfa, che si attorcigliano attorno alle gambe, il cuscino è un appoggio sempre troppo caldo. I piedi poggiano sul pavimento, grati per l'improvvisa sensazione di fresco e tastano con cautela il pavimento, seguendo un percorso ormai noto. Le scale di marmo, il piccolo studio avvolto nell'oscurità, tutto urla silenzio, ogni cosa reclama riposo. Ma la quiete di questa notte è falsa, ingannevole. La sedia è più scomoda del solito, eppure fino a un'ora fa era un giaciglio quasi più accogliente del letto. Ora è soltanto un appoggio forzato per un corpo che non vorrebbe fermarsi, allentare il ritmo del metabolismo convulso di una serata disarmonica. Gli occhi non vogliono affrontare la luce, ma una luminosità evanescente irradia nella stanza e lo sguardo si tuffa in quel portale spalancato, un varco verso il nulla. Altro silenzio, altro contorcimento dell'anima. Di nuovo quel rumore. Mani compongono parole spezzate, occhi seguono i caratteri, piccoli esseri senza vita costretti a fare bella mostra di sé. Niente privacy per loro, nessun quinto emendamento. Di nuovo quel rumore. La musica comincia ad inondare l'aria satura di umidità e di stanchezza, la mente la percepisce lontana, ovattata, mentre un dolore sordo e insistente comincia a farsi strada, monito per ogni minuto di sonno perso. Di nuovo quel rumore. E un movimento. Le ombre della stanza danzano lente, vibrando alle note dolenti che cercano una via attraverso i pensieri. Sembrano diluirsi, per poi addensarsi di nuovo, in forme note solo all'inconscio. Piccoli tentacoli di tenebra che si insinuano sibilanti tra le dita, risalgono lungo le braccia, accarezzano le spalle, si intrecciano attorno al collo. Allora il rumore non era uno scherzo della mente sfiancata, non era un gemito della brezza calda e strisciante. Eri tu. Tu che sei rimasto ad osservare fino ad ora, nascosto nella tua stessa trama d'ombra. Eri inatteso, la tua venuta non era annunciata. I tuoi piccoli tentacoli approfittano della sorpresa, si contorcono in un un'orgia di oscurità densa come l'aria che non riesce più ad entrare nei polmoni. Abbracciano il collo in una morsa decisa, pronti a compiere ciò per cui si sono spinti sino al cospetto della luce. Ed ecco, la notte non trasuda più il suo umido secreto di umidità, il gelo si è sostituito al velo di sudore che ricopriva il corpo, pungendo la pelle, provocando tremuli brividi. Il corpo si contrae in una convulsione, ma quando infine l'amante oscuro lascia che il suo abbraccio asfissiante diventi una dolce carezza, le membra trovano finalmente, irrimediabilmente, riposo.
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La strada saliva simile a un grande serpente di vecchio asfalto tra le colline coltivate a viti e peschi. Era una via secondaria, percorsa soltanto da poche auto ed era frequente incontrare qualcuno a passeggio, soprattutto nella bella stagione. La giovane coppia stava camminando a ritmo blando, godendosi il fresco della serata estiva e compiacendosi del paesaggio rurale reso incantevole dalle lucciole che danzavano lungo i fossi. In fondo a quel tratto di strada, prima che questa svoltasse a sinistra, inerpicandosi tra case coloniche e villette immerse nel verde dei loro giardini, si stagliava maestosa un'antica quercia. Poteva avere cento, duecento o forse anche più anni, ma a loro non era dato saperlo. I suoi maestosi rami erano stati potati da pochi mesi, troncati a una lunghezza decisamente imbarazzante, per l'imponenza del grande albero. Ma la quercia non aveva ceduto il passo ed i tozzi monconi erano tornati a vivere, disseminati di quelle piccole foglie, quasi sproporzionate alle dimensioni dell'albero. Poco invogliati a proseguire il cammino sempre più in salita, si sedettero sull'erba che cresceva a ciuffi tra le radici della vecchia quercia. Un lanterna, vecchia ed arrugginita, penzolava da un perno infisso nel legno del tronco chissà quanto tempo prima. La piante era cresciuta, inglobando parte del metallo, abbracciandolo e chiudendolo dentro di sé. Una piccola luce dentro la lanterna dai vetri opacati dal tempo illuminava debolmente attorno a sé, creando ombre intricate nel largo tronco della quercia. La ragazza guardò in su, chiedendosi per l'ennesima volta chi fosse la misteriosa mano che ogni sera passava ad accendere la pallida luce. Il ragazzo l'abbracciò a sé e lei dimenticò in fretta quella domanda ricorrente che non trovava mai risposta. Una lieve brezza si alzò, come la mano amorevole di una madre arruffa gentilmente i capelli della propria bambina, in una carezza che fece frusciare le giovani foglie sui rami antichi. Una lucciola girò attorno al perno di metallo che reggeva la lanterna, mandando bagliori intermittenti al suo passaggio, per poi posarsi sulla copertura arrugginita. Mosse le sue zampette rapide, scendendo lungo l'incrinatura di uno dei vetri. Una piccola mano si posò sul lato interno del vetro, facendo volare via la lucciola. Il piccolo gnomo dentro la lanterna osservò melanconico l'insetto allontanarsi, col suo insistente lampeggiare monotono e regolare. Si sedette sul minuscolo scranno nell'angolo e osservò la campagna circostante con lo sguardo velato dalla tristezza. I due giovani sotto di lui si stavano allontanando a loro volta, diretti verso casa o, forse, verso un altro luogo. Non lo sapeva, non l'avrebbe mai saputo. Ma il suo compito non era quello di conoscere le cose, lui doveva soltanto svegliarsi ogni tramonto ed accendere la piccola lampada sferica che si trovava al centro della sua altrettanto piccola dimora. Un gesto delle sue mani, un lieve sfioramento sul vetro, e la luce, con un singhiozzo, cominciava ad emanare al di fuori dei vetri. All'arrivo dell'alba, con un altro agonizzante singhiozzo, si spegneva, mentre il piccolo gnomo eterno chiudeva gli occhi in un sonno monotono, sempre uguale, come il ritmico lampeggiare di una lucciola.
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Ho ritenuto opportuno postare altri racconti nel mio blog, strumento che sto rivalutando sempre più di giorno in giorno. Chiudo quindi il topic, in quanto copierò questi racconti nel blog, per poi aggiungerne altri, e quindi anche tutti i commenti confluiranno lì. Conto di ricevere ancora commenti, soprattutto critiche, perché è da quelle che si impara, più che dai complimenti.
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dnd 4e Passaggio da D&D3.5 a D&D 4a edizione
Samirah ha risposto alla discussione di neurone in Dungeons & Dragons
Mah, mi sembra un po' presto per dirlo, bisognerebbe aspettare l'uscita dei manuali. Decidere a priori mi sembra alquanto pregiudizievole, a dire il vero. Certo, se uno sa già che non vorrà spendere soldi per nuovi manuali, è un conto, ma altre motivazioni tipo "la quarta edizione sarà una ciofeca" non possono reggere. Direi che se ne parlerà tra qualche mese. -
[MOD] - Vi rimando anche a questo topic, così evitate di ripetere la discussione infinita che si era creata. Questo è un topic di creazione personaggio, per cui vi invito a non andare OT discutendo sulle peculiarità delle singole classi più del dovuto.
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L'ispirazione, questa strana creatura
Samirah ha inviato una inserzione nel blog in Il gatto di giada
Ci sono giorni in cui le cose da fare si accumulano come sacchi e sporte che ci si attaccano addosso e dobbiamo portare tutto quel peso senza cedere di un passo, senza poggiare un ginocchio a terra per riposarsi. Eppure, sembra che proprio nei giorni di maggior pressione, riusciamo a tirare fuori una forza residua, primordiale, che ci consente di caricarci di altri pesi e magari di farlo sorridendo, perché stiamo accumulando materiale utile. Ci sono invece giorni cosiddetti di relax, intere giornate trascorse nel nulla, in cui avremmo il tempo per fare tutto quello che fino a quel momento veniva portato avanti a singhiozzo nei piccoli ritagli di tempo. E invece no. E' l'apatia, la fiacchezza più assoluta. E così le ore passano come tanti treni a cui non corriamo neanche dietro, sbraitando ed agitando le braccia perché ci facciano salire. No, ci sediamo sulla banchina e, come bambini annoiati, guardiamo i treni passare, uno dopo l'altro. Poi ci alziamo, usciamo dalla stazione e andiamo a protestare perché non c'era un treno giusto per noi. E cosa c'entra tutto questo con l'ispirazione? C'entra, perché va di pari passo con la nostra laboriosità. Non so se capita anche a voi, ma quando sono sotto pressione, soprattutto per gli esami universitari, riesco ad elaborare idee che mai avrei immaginato di poter avere, riesco a produrre a ritmi impensabili, invece, quando ho tutto il tempo del mondo (come oggi) sto davanti al pc come un'ebete. Ma non è solo mancanza di voglia. Non riesco proprio a tirare fuori niente, come se i pochi neuroni schiavizzati e sfruttati allo stremo decidessero di entrare in sciopero a tempo indeterminato. Ecco, questa cosa è irritante. E sono curiosa di sapere se capita anche ad altri, se in effetti i tanti impegni ci costringono ad un'organizzazione, soprattutto mentale, che non riusciamo ad avere nei momenti di calma. -
Guarda, il mio elenco potrebbe essere molto simile al tuo. Non ho mai provato ad imparare a disegnare perché la mia negazione è più che palese, il massimo delle mie creazioni informatiche si fermano a qualche modifica al mio blog e al tiradadi per msn plus, ho cominciato a suonare la chitarra piena di aspettative, ma poi il tutto è naufragato per mancanza di un gruppo con cui divertirsi veramente, ho fatto 5 anni di kung fu per poi mollare miseramente anche lì, conosco a malapena inglese e francese, ogni prova di masterizzazione è sfumata nel nulla, a parte un PbF che però procede a singhiozzo... vado avanti? Per la scrittura il discorso è diverso, mi avevano ormai fatto credere che sarebbe stato l'ennesimo sogno chiuso in un cassetto di cui la chiave era andata perduta, invece ho scassinato il cassetto e me ne sono riappropriata. Soltanto il tempo ci dirà come andrà a finire. Il discorso fumetteria è un po' diverso. Non penso sia una cosa da escludere a priori, anche se farei un pensierino ovviamente ad aprirla in un altro posto, con un bacino di utenza maggiore. Ora, non so perché ho scritto tutto questo, forse semplicemente per dire che ognuno di noi ha un elenco di sogni attaccati alla testata del letto, ma quasi sempre nessuno di questi viene portato a compimento, un po' per sfiga, un po' per colpa nostra. L'importante è continuare a sognare e MAI MAI MAI staccare il post-it dalla testata del letto.
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Abbiamo provato questo gioco al raduno e devo dire che l'ho trovato molto divertente. Certo, non ho queste grandi conoscenze di boardgame per valutare se sia meglio o peggio di altri giochi, ma devo dire che mi pare strutturato molto bene. Soprattutto è interessante il concetto di gioco di squadra, di solito peculiare dei gdr ma quasi sconosciuto al mondo dei boardgame. Poi, il fatto che alla sottoscritta sia capitata la carta del Traitor è un altro discorso! Spero proprio di poterci giocare di nuovo, perché la prima volta le meccaniche del gioco non sono mai chiare al 100%, soprattutto considerando che questo è in inglese. Aggiornamenti a presto, con la riapertura della stagione del boardgame!
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Per il distacco da Telecom funziona così. Prima di tutto Libero (o chi altri) ti deve dire che ha la possibilità di fare il distacco, altrimenti non puoi fare piani speciali come TuttoIncluso e cose del genere. Poi, una volta partite le pratiche, il distacco richiede comunque un po' di tempo. In questo periodo, continui a pagare la bolletta Telecom (con solo il canone), che ti viene scalata dalla bolletta del nuovo operatore, finché non avviene il distacco definitivo. Da me ci hanno messo 4 mesi..... =_=' Per recedere dal contratto, dovrebbe essere giusto quello che hai trovato.