@Dusdan: infatti, e penso che chiunque abbia o abbia avuto un parente/amico/compagno di classe in condizioni di disagio e abiti in uno stato di (in teoria) non ottenebrati totali, di fronte a situazioni simili non perda tempo a riprendere le parole di Ben Stiller, ma piuttosto a maledire la sorte e a fare il possibile attivamente per la persona in questione.
Ipocrisia, portami via.
@agamennone: dovrò cercare per trovarlo, ma ricordo un contributo scritto (forse un'intervista) in cui i Farrelly spiegavano come la loro cifra sia nata parlando con un amico disabile. Proiezione di un'anteprima domestica di un loro film (non saprei quale, non ricordo), l'amico guarda, ride, e alla fine fa: "Non male, ma perché non c'era nessuno in sedia a rotelle?". Da lì in poi non hanno realizzato un solo film senza una persona con disabilità.
Insomma, loro partono dal presupposto che le cose non vadano ignorate, bensì che si debba parlare della vita. E nella vita c'è anche quello, può non far ridere, può far ridere meno, l'importante è non farsi scendere la falsa lacrimuccia "alla Rainman". Stessa cosa in Tropic Thunder: Simple Jack non vince un premio Oscar perché parla (nei toni grotteschi del film nel film, ma anche nella seriosa scena di battaglia iniziale c'è una grigliata che esce dalle budella del soldato trafitto: i film nel film in Tropic Thunder hanno tinte da cartonaccio animato, non sono il modo in cui il regista vorrebbe realizzare il film fuori dal film) di vita vera, di realtà cruda, presenta un personaggio che ha davvero un ritardo mentale, e il suo interprete (un attore scarso, uno stupido, uno che non capisce le dinamiche hollywoodiane e che ingenuamente tentava di girare un film strappalacrime per riscattarsi da un passato da star d'azione, un tentato furbacchione fallito) si trova "a bocca asciutta". La satira non è contro i "ritardati", è contro quelli che sui "ritardati" ci fanno i soldoni in modo meschino, ovvero senza esplorare davvero il personaggio, senza mostrare com'è davvero la vita per quelle persone. L'io lirico dei film di/con Ben Stiller (film che non mi piacciono granché in generale), il punto di vista di quei film, è quello di persone che accettano l'esistenza di un problema, non lo mistificano né lo indorano: il protagonista di Tutti pazzi per Mary non riesce a capire il fratello con la sindrome di down di lei, ma almeno ci prova, almeno a suo modo ci gioca, gli vuole bene. Si prende un cazzotto sulla gola, ma si rapporta sul serio a lui, instaura un contatto. L'antagonista (l'investigatore privato deviato ma "bello e simpatico") invece si riempie la bocca di belle parole ma non muove un dito, non supera la barriera che la società ha innalzato tra il ragazzo e lui e ci scherza nel modo più atroce, quello dell'ipocrisia: "Li adoro quei rincoglioniti", dice con aria afflitta venendo preso significativamente sul serio.
L'investigatore è Hollywood, l'altro è un film dei Farrelly, un film che scherza su tutto e con tutto.
Stiller ha imparato dai Farrelly.
IMHO