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E' da vedere assolutamente: fa capire l'attuale situazione italiana, fa riflettere, fa discutere... recensione
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Partecipo a vari forum semplicemente perchè mi interessa confrontare le mie opinioni con la maggior parte di amanti del cinema, e per avere qualche stimolo in più. Ciao a tutti, Leo
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Catherine Deneuve e Gérard Depardieu, di nuovo insieme dopo il loro splendido duetto anni Ottanta nell'«Ultimo metrò» di Truffaut. Vi era il pericolo che potesse essere soprattutto un'operazione divistica, un pretesto al servizio di due mostri sacri. Fortunatamente André Téchiné è autore troppo intelligente per prestarsi a giochi simili ed abbiamo così un lavoro sottile e delicato, un racconto fatto di sentimenti che sfidano il tempo, un sapiente ritratto di varia umanità... recensione
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Hayao Miyazaki (il regista giapponese considerato il maestro mondiale dell’animazione) nel 2003 ha vinto l’Oscar con “La città incantata“, premiato anche al Festival di Berlino (ed è a tutt‘oggi il più grande incasso giapponese di tutti i tempi). A settembre del 2004, alla Mostra di Venezia, ha ricevuto il Leone alla carriera, assegnato ai grandi del cinema. Quest’ultimo lavoro non è forse il suo capolavoro indiscusso ma è certamente una opera nettamente al di sopra della media, una gioia per gli occhi, una buona dose di ossigeno per l’intelligenza dello spettatore... recensione completa
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Prima dell'ondata dei film della nuova stagione raccomando di vedere due ottimi film usciti ad agosto: Acque silenziose Un film che ha l'intelligenza di offrire poco al folklore, pur servendosi di una bellissima fotografia e di costumi che spesso sono una gioia per gli occhi. Un film che fa riflettere, che invita alla discussione e ci induce a conoscere meglio "gli altri": condizione essenziale per dialogare e non combattere. Dear Frankie Un film dolce e delicato, una storia di gente comune alle prese con i grandi e piccoli problemi della vita, un racconto di sentimenti profondi che non cade mai nel patetico e nel retorico.
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Si è preso il western (il più popolare dei generi hollywoodiani) e lo si è combinato con il fantasy, condendo il tutto con mirabolanti effetti speciali digitali e profondi e allusivi significati spirituali (moralità colpevolezza inconscio, nonché incontro-scontro di due civiltà): si è cercato di realizzare così un qualcosa che risultasse del tutto originale e innovativo (qualcuno ha parlato di "cyber-western misticheggiante"). Il prodotto finale appare un fumetto riscritto da un Sartre coadiuvato da maghi degli effetti visivi. La storia raccontata è talmente banale, e vista e rivista tante volte, che era naturalmente necessario lavorarvi sopra e inventarsi qualcosa: ma ammantarla talmente tanto di intellettualismo produce un risultato tutt'altro che godibile (e presuntuoso, per giunta). Riprese molto belle, montaggio scattante e veloce, ritmo a volte vorticoso, panoramiche mozzafiato... ma il tutto è così ricercato e calligrafico che si mostra alla fine indigesto. recensione completa
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Finalmente "un giocattolone hollywoodiano" che non si basa esclusivamente sugli effetti speciali (che comunque ci sono e fanno grande spettacolo) ma costruito su una solida sceneggiatura che racconta una storia coinvolgente al massimo, a cui lo spettatore partecipa senza un attimo di noia. Bellissima l’idea di mostrare come un uomo comune (seppur multimiliardario), oppresso dai sensi di colpa e dedito alla tormentata ricerca del bene (un uomo in perenne lotta con la propria anima), riesca a diventare un supereroe imbattibile, edificando così il proprio mito: un simbolo di speranza e di forza per tutti. Assistiamo con interesse e curiosità alle varie fasi di questa "costruzione" e tutto è credibile, ogni azione ha una sua logica: il "mito" ha una spiegazione concreta. recensione completa
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A me non è piaciuto. Il film vorrebbe fondere fantascienza, avventura, suspense, dramma ma difetta la mancanza della capacità, tipica del miglior Spielberg, di mescolare realtà e fantasia senza soluzione di continuità: inventiva originalità creatività latitano completamente. Le diavolerie tecniche (e sonore, soprattutto) sono naturalmente mirabolanti (bellissima la sequenza dell'incrocio, una scena di folla caratterizzata dalla presenza di un numero incredibile di effetti), ma Hollywood da tempo ci ha abituato ad esse e quindi è sempre più difficile stupire ed entusiasmare il pubblico solo con esse. E' necessaria una storia, un racconto che appassioni, una sceneggiatura costruita solidamente e in questo film sono loro a costituire il maggiore difetto... recensione
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“E’ nata una stella”. Tre film (ma ne è stata annunciata una quarta versione con Jennifer Lopez e Will Smith): il primo del 37 di William Wellman con Janet Gaynor e Fredric March; il terzo del 76 di Frank Pierson con Barbra Streisand e Kris Kristofferson. Ma il più celebrato, e meritatamente, è questo secondo: del 54, regia di George Cukor, protagonisti Judy Garland e James Mason. Il film costituisce, si può dire, il testamento artistico della Garland, ottima attrice drammatica e sicuramente la più grande stella femminile che Hollywood abbia prodotto nel campo dei musical (Frank Sinatra disse: “The rest of us will be forgotten, never Judy“ e Tony Bennett: “Judy was the star of the century” ). L’intero film è centrato su di lei (e infatti il ruolo di co-protagonista era stato rifiutato da Cary Grant e Humphrey Bogart vista la preminenza del ruolo femminile). Film che ha avuto vita difficile: numerose le depressioni, i crolli psicofisici, le continue assenze dal set della Garland; budget preventivato raddoppiato (4milioni e mezzo di dollari, cifra record per l‘epoca); riprese durate oltre dieci mesi, anche perché erano già incominciate quando si decise di rifare il tutto nel nuovo sistema in cinemascope; il taglio di molte scene e di bellissimi numeri musicali decisi dalla Warner (ma ora fortunatamente visibili nella versione in DVD)… Nonostante ciò il film risulta una pietra miliare dell’arte ineguagliabile di questa attrice tanto ammirata, tanto sfruttata, tanto sofferente, e un capolavoro di questo tipico genere hollywoodiano nonché uno dei pilastri dell’intero cinema americano (...) recensione completa
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Con un ritmo veloce e una notevole padronanza dei mezzi tecnici, il regista Valerio Jalongo fa un amaro ritratto dell’Italia odierna toccando (come il nostro migliore cinema degli anni 60) temi che ci riguardano tutti, chi più chi meno. Riesce a coinvolgerci al massimo nelle avventure-sciagure dei suoi personaggi che sentiamo vicini e in cui è impossibile non immedesimarsi. Storia di un uomo che ha sbagliato e apparentemente la società gli offre la possibilità di cambiare: apparentemente perché la nostra società non è in grado di curare e di sostenere chi vuole riabilitarsi. Fuori dal carcere si trovano stress, lavori duri e mal pagati, incomprensioni, continue inutili umiliazioni e nessuno che ti aiuti ad affrontare il paradosso di essere considerato di notte un criminale in cella, e la pretesa che di giorno tu sia una persona normale. Non sarà facile per il protagonista affrontare tutto ciò, non è facile per noi spettatori fare un esame di coscienza. Un film da vedere, da consigliare sia per i suoi indubbi meriti artistici, ma anche per il coraggio nell’affrontare tematiche "scomode" su cui riflettere e che i nostri film troppo spesso ignorano.
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film Film vari (commenti e opinioni)
filmleo ha risposto alla discussione di Wolf in Cinema, TV e musica
Una Gena Rowlands in versione gangster, una Humphrey Bogart al femminile, sempre con la sigaretta in bocca e la pistola in mano. Magnifica come non mai, conferma di essere una delle migliori attrici del mondo (un delitto di lesa maestà non averle dato l’Oscar). Uno dei più bei ruoli femminili che siano stati mai scritti nell’intera storia hollywoodiana, un ritratto eccezionale di donna per una attrice eccezionale. Un film imperdibile, un vero e proprio cult. -
Anne Bancroft è stata sicuramente una delle grandi: ci mancherà. Tra i suoi film vorrei ricordare Agnese di Dio dell'85, The elephant man dell'80, Due vite una svolta del 77, Prigioniero della seconda strada del 75, Il laureato del 67, Anna dei miracoli del 62.
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A mio parere si esce dalla sala con l’impressione di aver visto qualcosa di particolarmente artificioso. Un lavoro estremamente calligrafico ed estetizzante, quasi espressionista, che appare vuoto e senza nerbo. Uno studio accuratissimo (quasi maniacale) delle immagini, delle inquadrature, degli ossessivi primi piani, degli effetti fotografici che mal si conciliano col racconto e che finiscono non solo per distrarre lo spettatore ma per togliere tensione e mordente alla narrazione. Narrazione che risulta a volte non chiara nella sua evoluzione e spesso incongrua. Le inquadrature danno sempre l’impressione di essere state freddamente e con calcolo studiate a tavolino. Ogni singola scena è cinematograficamente bella ma nell’insieme il tutto sa troppo di costruito e di operazione intellettualoide. Il risultato finale è l’impressione che Salvatores non abbia creduto molto nella trama e che quindi l’abbia usata come pretesto per una esercitazione stilistica che lascia il tempo che trova.
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(...) A me è sembrato, dopo qualche iniziale perplessità, un lavoro creativo e stimolante. Abbiamo un lungo continuo piano sequenza con la cinepresa piazzata tra le gambe del protagonista (non ci sono tagli nel montaggio), mentre da fuori campo voci oggetti e presenze invadono la scena: abilmente il regista evita che ci annoiamo e che ci sentiamo tutti “guardoni” calcando sull’ironia e riuscendo a suscitare l’interesse e la curiosità dello spettatore per le avventure-disavventure del personaggio principale (aiutato in questo da un’ottima sceneggiatura)... recensione completa
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Sono fuori dal coro. A me il film non è piaciuto. L’inizio è folgorante: le mani volano sulla tastiera, bianco nero nero bianco… Ma dopo pochi minuti la delusione avanza e un senso di falso, di costruito, di retorico permea il tutto che vuole rappresentarci l’ennesima realizzazione di un American Dream. La partenza è un’infanzia terribile e traumatica, l’arrivo è il trionfo di un genio (poco riconoscente, egoista, incurante dei sentimenti delle donne e degli amici che abbandona man mano). Il percorso è illustrato dettagliatamente (troppo) con scene ripetute e gratuite che continuamente confermano quanto detto poco prima destando in me spettatore poca aspettativa e un po’ di noia. Jamie Foxx è il punto di forza del film e la sua straordinaria prestazione è fuori discussione, ma a me, personalmente, non ha trasmesso niente: ho visto la copia esatta delle immagini che la memoria conserva del vero Ray e la cosa mi ha dato fastidio (mi sarebbe piaciuto un attore che interpretasse il personaggio e non lo riproducesse fedelmente)... recensione completa
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Uno dei peggiori (e incomprensibili) film visti in questa stagione. Se i nostri cineasti la smettessero una buona volta di considerarsi dei piccoli geni capaci di far tutto da soli penso che sarebbe un bene, specialmente per i poveri spettatori. Daniele Vicari è autore del soggetto, è sceneggiatore, è regista: a quale dei tre aspetti è da imputare la colpa di un film sconnesso e sbagliato? Il racconto non si capisce bene a cosa vuole tendere (sottolineare il contrasto tra due mondi geograficamente vicini eppure concettualmente lontani? mostrare la ambizione l’ambiguità la confusione della nostra classe intellettuale? dipingere le condizioni di lavoro arcaico degli immigrati?), la sceneggiatura non brilla (e abbondano le ripetizioni e le scene superflue), la regia non aiuta gli attori e descrive ambienti che sanno di falso (e il tutto con uno stile lento, inutilmente calligrafico che mette a duro rischio la pazienza del malcapitato pubblico). recensione
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link corretto, pardon
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Un film non facile (e con varie scene difficili da digerire, truculenti e inquietanti), ma fatto talmente bene che anche chi non gradirà non avrà sprecato tempo e soldi, un film che ha avuto un enorme successo in Corea (sede degli studios tra i più grandi e attrezzati dell’intera Asia) ma anche a Cannes dove, lo scorso anno, ha ricevuto uno dei premi più prestigiosi. Funzionale al massimo la colonna sonora (raramente ne ho ascoltato una che accompagnasse in modo così giusto le varie sequenze), ottimo e sorprendente il montaggio (uno dei punti di forza del film), da dieci e lode la regia, impeccabile la recitazione dell’intero cast. Grande suspense, veramente sorprendenti i colpi di scena. Visivamente splendido, violento e spregiudicato, pieno di invenzioni stilistiche: un film che sicuramente i giovani, in cerca di emozioni e di cinema forte, adoreranno. Qualche critico ha parlato di esplosività creativa dell’Est contro la anemia del cinema occidentale: sottoscrivo (...) recensione: http://www.cinemaplus.it/leggi-recensione.asp?id=1087
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Per questo esordio in un film in costume, Takeshi Kitano ha scelto di non utilizzare un suo soggetto ma di ispirarsi alla omonima popolare serie tv giapponese, ricca di 26 episodi in quasi altrettanti anni, tra '62 e '89. Il film è comunque interamente "suo": lo scrive, dirige, gira, monta e interpreta. Il risultato è un lavoro entusiasmante (giustamente premiato a Venezia, 2003), curato in ogni minimo dettaglio: la macchina da presa non sbaglia un’inquadratura, la scenografia è magistrale, gli attori eccellenti (...) recensione: http://filmleo.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=518074
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Stranamente a parte della critica italiana il film non è piaciuto. A me è sembrata un'opera geniale, di una originalità assoluta (probabilmente sarà studiata ed analizzata per anni nelle accademie cinematografiche). E' una profonda riflessione sulla vita, è una spietata e sottile critica all'industria hollywoodiana. Un gioco intelligentissimo ad incastro, un film che descrive se stesso autocitandosi continuamente e che tutti gli amanti dell'arte cinematografica dovrebbero vedere. Eccezionali i tre protagonisti: la scena in cui Meryl Streep -che conferma il suo essere la numero uno- si lava i denti vale da sola l'0scar! Sky lo trasmette ripetutamente, non perdetevelo.
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Un film da vedere e, per meglio assaporarlo, rivedere. Un film non facile ma originalissimo che nobilita l'arte cinematografica e conferma il grande talento del regista. La sequenza iniziale è un assoluto capolavoro ma tutto il lavoro è quanto di meglio le ultime stagioni ci abbiano dato. Ogni scena ha una potenza drammatica ed espressiva eccezionale, la musica di Philip Glass è struggente ed efficacissima, il montaggio favoloso, le diverse ambientazioni accuratissime. La sceneggiatura del drammaturgo David Hare delinea perfettamente le angosce, le perplessità, i tormenti nella giornata di tre donne di epoche diverse, dimostrando come la solitudine e l’infelicità siano identiche nel tempo e nello spazio. Lo spettatore all’inizio è disorientato ma poi entra facilmente, immergendosi completamente, nella triplice storia che poi è un’unica storia, un unico racconto delle tempeste interiori che un essere umano può avere. Portentosa la prova di tutti gli attori che affollano la vicenda (nessuno escluso). Prodigiosa la prova delle tre grandi Signore: una performance, la loro, superiore a ogni possibile commento (un delitto che l’Academy Awards non le abbia premiate ex-aequo, come giustamente accaduto al Festival di Berlino).
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film Quando sei nato non puoi più nasconderti
filmleo ha inviato una discussione in Cinema, TV e musica
(...) Qui abbiamo un racconto che parla al nostro intelletto ma non all’animo: volendo illustrare una tragedia senza mai giudicare né dare risposte a domande che probabilmente non ne hanno (o ne hanno troppe), il regista ha creato una opera certamente sobria, certamente non retorica ma che non emoziona più di tanto. Tratto dal romanzo omonimo di Maria Pace Ottieri, “Quando sei nato non puoi più nasconderti” segna il ritorno a Cannes di Marco Tullio Giordana ed è molta la curiosità di vedere come la stampa straniera accoglierà il film. Quella italiana si è divisa: tutti concordano sulla serietà e le buone intenzioni del regista, ma il risultato finale non ha convinto pienamente. A mio parere manca nel film unità e armonia di sviluppo tra le varie parti, tre o quattro veri blocchi che mi sono sembrati separati e non comunicanti: Brescia e il mondo del lavoro, il viaggio in mare, il centro di accoglienza, il ritorno a Brescia. Ogni singola parte è analizzata con la stessa attenzione e un eccesso di dettagli che finiscono per essere lungaggini inutili (occorrerebbero coraggiosi tagli anche perché certi silenzi, certe panoramiche in cui non accade nulla ricordano troppo Antonioni e un cinema che ormai mi sembra superato e fanno arrivare troppo tardi il finale aperto, la cosa più bella del film), lungaggini che distraggono (se non annoiano) lo spettatore che ha quasi l’impressione di vedere tanti film diversi o puntate diverse di uno stesso lavoro. Difetta poi l’approfondimento psicologico di alcuni protagonisti (...) continua su Cinemaplus -
Quanto di meglio si possa pretendere per passare un pomeriggio o una sera in modo piacevolmente intelligente. Un film da consigliare a tutti coloro che dal cinema pretendono qualcosa di diverso dalle insulsaggini e banalità che quotidianamente il piccolo schermo (e spesso purtroppo anche il grande) ammannisce. Raramente capita l’occasione di vedere un lavoro in cui tutto funziona: una storia intrigante che segui con curiosità e piacere, una ricostruzione storica che dire eccellente è poco, una regia scattante veloce e attenta ai minimi dettagli, un intero cast da lodare senza riserve. Prodotto da Robert De Niro, tratto da un testo teatrale, l'opera di Richard Eyre, ex direttore del Royal National Theatre, è tutto giocato sullo scambio di ruoli sessuali e sulla ricerca della propria identità (bellissima la frase "non si tratta di come ti vesti, l’importante è come ti senti dentro") con un tantinello di suspense nel finale (il film è interessante anche perché mostra come da una recitazione artefatta e manierata si passa a una moderna e realistica). Punto di forza gli interpreti, veramente formidabili: Billy Crudup è la prova che non sempre la bellezza è a discapito della bravura (ma non è aiutato dal doppiaggio), Claire Danes, che già si era fatta ammirare come "figlia" di Meryl Streep in "The Hours" sembra una delle poche attrici di oggi in grado di essere credibile in costume, Rupert Everett meriterebbe tutti i premi attualmente in circolazione.
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Dopo il successo di “Tre metri sopra il cielo” (che ha entusiasmato il pubblico giovanile) torna Luca Lucini con “L’uomo perfetto”, film completamente diverso dal primo (e questo gli fa onore): commedia di equivoci imperniata su un matrimonio da far saltare con un susseguirsi di equivoci, incontri e sorprese… Tentativo di risuscitare la vecchia commedia all’italiana? Beh, direi di no. E’ evidente che qui l’ispirazione è la commedia americana (da Howard Hawks a Blake Edwards): dialoghi molto curati, scambio di battute veloce, attenzione particolare alla recitazione degli attori e il tutto imperniato sul tema della felicità conquistata con il superamento di vari ostacoli. A mio parere Luca Lucini ha superato la prova (non facile nell’odierno panorama della cinematografia italiana che oscilla perennemente tra cretinerie natalizie sfonda-botteghini e tentativi più o meno intellettualoidi): ha creato una commedia delicata, allegra, garbata, piacevolmente romantica, e senza ricorrere a turpiloqui vari, sesso gratuito, macchiette da avanspettacolo (perennemente presenti nel nostro cinema comico). Un maggiore approfondimento delle psicologie dei personaggi avrebbe certo giovato, alcuni temi accennati (crisi di coscienza, modelli di vita scelti, rapporto amicizia-amore…) potevano essere sviluppati e analizzati con più vigore… ma forse ciò avrebbe tolto leggerezza al tutto. Il film promette un’ora e mezza di svago intelligente e mantiene la promessa. Ottimo l’intero cast (anche se le due protagoniste femminili, che fanno la parte del leone, per i ruoli che interpretano ci si aspetterebbe più mature).
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Anche a me "Get Shorty" non era dispiaciuto. Battute e gag divertenti, un Gene Hackman come al solito eccezionale. Un film piacevole e curato, con attori che si divertono e divertono.