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Meg-9

Circolo degli Antichi
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  1. D'accordo anch'io.
  2. Vediamo se ho capito bene: 1 punto per livello in meno di danno non magico dal 1° livello, e per il danno magico 5 punti in meno al 5° e 10 al 10°? Non sono contraria a priori, ma così la descrizione dell'effetto si complica parecchio... Rilancio: al 1° livello luce (sempre come fuoco da campo e non come l'incantesimo), al 4° livello protezione dal danno normale (1 punto più 1 per livello del mago oltre il 4°) e al 7° protezione dal danno magico (1 punto più 1 per livello oltre il 7°, ma senza limiti). E' SEMPRE complicato, ma un po' meno.
  3. Mi interesserebbe lasciarlo di primo più che altro, ma 1 punto per livello è proprio POCO.
  4. Se la metti da questo punto di vista, ok. Diciamo allora che Aria è più una scuola di utility che di danno. Che danno vorresti allora per un incantesimo di 1° livello? 1 punto per livello mi sembra proprio pochino...
  5. Non so... una qualche protezione dal danno magico la vorrei. Pensa che Protezione dal fuoco (che è sì sacerdotale, ma solo di 3° livello) permette di ridurre il danno magico di 12 punti per livello se lanciato su di sé, rendendo quindi il sacerdote praticamente immune ad una Palla di fuoco già al 5° livello!!! D'accordo che il mio è ad area, ma 1 punto per livello è una sciocchezza al confronto... e anche Protezione dal fuoco non prevede limiti!
  6. Ok per le fiamme "sceniche" e basta:lol: Come tempo di lancio per Metamorphose... uhm, magari una via di mezzo? 2 round? Proverei anche a consultare quell'articolo che ti ho inviato tempo fa per avere una guida...
  7. Che ne dici se lascio al destriero di fuoco la supervelocità ma a terra?
  8. Io ne ho una in fieri... dovrebbe chiamarsi "Palinsesto" e permettere di decifrare scritti magici criptati o cancellati (tipo sapere quale incantesimo c'era su una pergamena usata... NON poterlo usare, però).
  9. Per "Metamorphose", lo manterrei più simile possibile a quello di 1° livello visto che ne è un potenziamento, quindi piuttosto aumentare il tempo di lancio e concedere bonus sul TS, ma permettere la creazione di veleni. Per Trottola, credo che la forma di fuoco faccia "atmosfera", quindi mi dispiacerebbe un po' toglierla, anche se certo, un mago che pesta gli avversari ruotando vorticosamente su se stesso è già di per sé molto "caratteristico".
  10. Destriero elementale: Sì, gli attacchi speciali sono in alternativa a quelli normali (avevo dimenticato di specificarlo) e sì, ammettono TS per dimezzare il danno ("nessuno" si riferisce all'evocazione, non agli attacchi delle creature evocate). Direi TS contro pietrificazione per negare nel caso del destriero di terra, e TS contro soffio per dimezzare nel caso di fuoco e ghiaccio (per il soffio del destriero di vento si seguono le regole dell'incantesimo omonimo). Il fatto che il destriero di fuoco voli e anche più veloce di quello di vento è dovuto al fatto che il fuoco "sembra" più volatile e potente del vento (e non dimentichiamo che in epoca medievale si pensava che una sfera di fuoco circondasse la terra al di sopra di quella dell'aria), ma si può cambiare se preferisci. Era per atmosfera. L'appartenenza alla scuola d'Alchimia è invece data dal fatto che il destriero non è convocato (infatti l'incantesimo non è di Convocazione), ma creato a partire dalla materia elementale, il che gli dà qualcosa dell'homunculus. Attacchi possibili "una volta per incontro" ci sono in AD&D... ho fatto così per non rendere i destrieri troppo potenti. Lo lascerei. Profumo: Niente da dire, ottima magia "interpretativa". Pollice su. Liquido combustibile: Un alchimista può preparare roba del genere, e anche in quantità, senza usare la magia. Se si dice che la magia si può usare per fare rapidamente ciò che altrimenti richiederebbe lunghi e costosi procedimenti, allora sta bene. Credo quindi che la durata di 3 round andrebbe interpretata come la durata oltre la quale il reagente non può più essere usato, limitando perciò l'uso dell'incantesimo al combattimento in corso. D'accordo con le altre osservazioni di Elayne.
  11. Nessun problema, più pareri abbiamo e meglio è. Mi fa piacere che la nuova descrizione ti soddisfi, sembra molto azzeccata anche a me. Per quanto riguarda il Duplice raggio bianco-scarlatto, il problema sta evidentemente nel danno che fa: e qui ci andiamo a scontrare col punto principale, ovvero: visto che è un effetto disponibile dal 5° livello in poi, è accettabile che faccia danno come un incantesimo di 3° livello oppure no? Naturalmente questo punto vale anche per Neve di fuoco (visto che, come abbiamo detto, Bruciare il ghiaccio/Ghiacciare il fuoco lo lasciamo com'è).
  12. Metamorphose: Mi piace, ma viste le tue obiezioni forse lo sposterei al 4° livello. TS: che ne diresti di "Fattura" o "Scalogna"? Trottola Distruttrice: divertente, anche se dà un bel po' di penalità al mago che lo usa. Lo si potrebbe abbassare di livello o aumentare il danno per compensare.
  13. Elayne, ma DOVE sei?! Dopo altre riflessioni, questa sarebbe la mia proposta definitiva... poi comincio una volta per tutte a lavorare sul secondo effetto. Ho anche un paio di nuove idee per incantesimi in più in cantiere... 1° livello: Fiamma bianca. Dal palmo della mano del mago scaturisce un fuoco candido che, pur non causandogli alcun dolore, illumina in modo equivalente a un fuoco da campo in una sfera con raggio di 6 m. Per tutta la durata della fiamma, all’interno dell’area d’effetto si mantiene un piacevole tepore: tutti coloro che vi si trovano sono protetti dalle alte e basse temperature, riducendo il danno da caldo e da freddo normali o magici di 1 punto per livello del mago. Per il resto, la fiamma non provoca danni di nessun genere. L’incantesimo dura solo finché il mago mantiene la concentrazione: non può compiere altre azioni a parte parlare e camminare lentamente (non può lanciare altri incantesimi). Se si distrae o se viene colpito, la protezione svanisce. Componenti materiali: un pizzico di fosforo e un po’ di neve oppure, in alternativa, un petalo di bucaneve.
  14. Meg-9

    L'inizio del mondo

    Il ragazzino apprendista si era ritirato senza una parola dopo aver preso in consegna la pergamena magica secondo i patti. Per essere qualcosa che aveva tanto desiderato, Minos non l’aveva quasi degnata di uno sguardo. Stava ficcando furiosamente pochi stracci e robe inutili in una borsa per il viaggio, tanto per far qualcosa. Non aveva acceso nessuna luce: non aveva voglia neanche di fingere di averne bisogno. Con un vasetto della sua conserva appena fatta in mano, rimuginò cupo per un istante se fosse il caso di portarne tre o quattro. D’altra parte, se fosse stato via più del previsto –sorrise scheletrico– avrebbe sempre potuto chiedere ai suoi cari amici di offrirsi volontari per la bisogna… –Chi mi costringe, comunque?– brontolò a se stesso nell’aria stantia. –Non mi importa di loro più di quanto a loro importi di me. Potrei benissimo prendere il ragazzo e piantare qui loro e tutte queste altre povere stupide anime piagnucolose. –Oooo, ottima idea, padrone– sentì ironizzare rauco alle sue spalle l’esserino la cui maledizione non lo abbandonava mai. Si voltò con studiata lentezza per fissarlo con tutto il suo odio, che parve non toccarlo. Fluttuante sulle alucce coriacee a due spanne dalla sua faccia, Rigil piantava gli occhi nei suoi allegramente ghignando con tutte le zanne della bocca puntuta. –Rigil è fiero di te, padrone. Anche dopo tanto tempo, sapeva che il padrone avrebbe agito nel modo sbagliato. Rigil ti ha allevato bene. –Stai cercando di incoraggiarmi a non andare o di convincermi ad andare per farti dispetto?– ringhiò lo stregone. –So bene quanto ti credi furbo. –Il padrone crede che Rigil abbia bisogno di convincerlo? Il padrone fa ancora lo spiritoso. Ma tanto fa lo stesso. Qualunque cosa decida, sarà sbagliata comunque. –E dovrei credere a questo, naturalmente. Solo perché sei tu a dirlo. Come dovrei credere che il mio destino sia già stabilito, solo perché l’ha detto il vecchio. Farei proprio il tuo gioco, in questo modo. –Il padrone non ha scelta. Il padrone è nato cattivo. Può giocare a fare il bravo ragazzo quanto vuole. Tanto Rigil sa aspettare. E anche colui che l’ha mandato. Quel che si è non si può cambiare. E neanche la propria fine. Altrimenti perché Rigil sarebbe sempre accanto al padrone? Era quel che Minos si era sempre ripetuto da quando per la prima volta il diavoletto era comparso nelle fiamme del suo incantesimo, la sigla della sua condanna, ai tempi in cui pensava che di quella condanna non gli importasse nulla. Ai tempi in cui mordeva e uccideva selvaggiamente terrorizzando gli uomini alla testa di una schiera di morti. Sapeva bene già allora di aver commesso troppo male perché potesse essergli perdonato facilmente. Quello specchio sarcastico della sua coscienza non lo abbandonava da allora e non lo avrebbe abbandonato per quanto cambiassero le cose. Tanto valeva che ci si rassegnasse. Ma anche lui sapeva essere sarcastico. E testardo. –Bene, se qualunque cosa decida sarà sbagliata, allora tanto vale che scelga senza farmi influenzare da te. Vattene da qualche altra parte ad appestare l’aria, bestiolina degli inferi. Non so dove sarò domani a quest’ora… o all’ora della mia fine… ma ci sarò perché l’ho voluto solamente io. –Ora, lasciate che vi ragguagli– declamò Brazo in tono professorale davanti al gruppo di viaggiatori riuniti pronti per la partenza. Minos era con gli altri, ma la sua faccia furibonda scoraggiava apertamente dal cercare di parlargli o commentare la sua presenza in qualsivoglia modo. –Sapete bene che secondo le credenze della Gilda, tutta la magia al mondo si divide in cinque Colori… che rappresentano le forze primarie motrici di ogni realtà. Ogni altra distinzione tra energie sacre, profane e personali è artificiosa. Chi opera incantesimi, a seconda del risultato che vuole raggiungere, chiede aiuto coscientemente o meno ad una o più di queste forze presenti negli elementi del mondo circostante. Anche gli dei le adoperano oppure sono rappresentazioni di esse. Sapendo ciò, un adepto può superare le distinzioni tra un genere di potere e l’altro, per creare un tutto e riuscire a far cose impossibili a chi non lo è. –Lo sai che non tutti crediamo in questa filosofia– obiettò Romita storcendo il naso. –Il mio dio è precedente al mondo, non sottomesso o rappresentante di una forza della natura. –Non è necessario che tu ci creda. L’importante è l’apporto di potere che puoi dare. Sarn conosce qualcosa delle procedure della Gilda, e ha accettato di fidarsi di me visto il tipo di viaggio che stiamo per intraprendere. Noi abbiamo molta dimestichezza coi passaggi tra mondi nelle nostre attività… quindi, senza offendere nessuno, credo di essere il più esperto tra i presenti in materia. Quando si vuole realizzare qualcosa d’importanza vitale, è necessario tener presente l’equilibrio delle forze e assicurarsi che tutte siano presenti e rispettate: Vita, Morte, Natura, Energia e Mente… per definirle in modo davvero molto semplificato… soprattutto se si tratta di attraversare le barriere dell’esistenza. –Quindi, fammi capire…– intervenne Tzivad. –Stiamo per andare davvero in un altro mondo? E tu lo sapevi dall’inizio? –Diciamo che lo sospettavo, dalle informazioni che mi ha dato il Magnifico qui presente. Comunque, non direi che si tratti esattamente di un altro mondo. Piuttosto… l’inizio di un altro mondo. –E che vorrebbe dire? –Difficile spiegarlo a dei profani con parole. Lo capirete quando ci saremo. –Ah, un bel salto nel buio senza spiegazioni. Complimenti per l’esaustivo ragguaglio. Sono le mie situazioni preferite. Erano tutti radunati in casa di Perla Bottonfiore, nell’infinito corridoio delle porte, davanti a quella che lei aveva imboccato poche sere prima per andarsene. Otto viaggiatori in tutto, considerando anche i compagni che non avevano rinunciato –o non avevano potuto rinunciare– a portare. Ferencfurter raspava nervoso il pavimento con gli artigli, ringhiando basso a disagio e confortato solo dalle carezze di Tzivad sulla testa. Reja stava tranquilla e composta in silenzio ad ascoltare la spiegazione, badando solo a tenersi alla maggior distanza possibile da Rigil che, da parte sua, non sarebbe potuto apparire più pasciuto nella sua soddisfazione. –Deve proprio venire anche quell’eretico?– chiese sottovoce la bambina a Sarn tirandogli la manica. –Non credo che Minos abbia molta voce in capitolo– sorrise l’eroe incoraggiante. –A meno che, naturalmente, non sia proprio di lui che parli. Anche in una situazione del genere riusciva ad essere spiritoso. In un certo senso, sentiva che fosse suo dovere esserlo, per mantenere la speranza sua e degli altri. Finché ci si poteva scherzare su, ogni situazione restava superabile. Perdersi d’animo era il modo più sicuro di subire una sconfitta. Era anche questo che a Perla era piaciuto di lui– ricordò fuggevolmente, stringendo le dita sull’elsa della spada in modo quasi impercettibile. Che non sfuggì tuttavia alla coda dell’occhio di Tzivad. Il Buontempone indicò il cavaliere senza commenti con l’unghia del pollice, continuando a rivolgersi a Brazo: –Non poteva essere lui la nostra guida? Le streghe sono esperte di viaggi di questo genere, o mi sbaglio? Ed è senz’altro più coinvolto di te nel problema. –Le streghe sono anche abili a comunicare con l’aldilà, eppure ho avuto bisogno dell’aiuto di Minos per farlo– replicò Sarn in prima persona al posto dell’amico mago. –Sapete bene che la mia posizione nella cerchia non è ortodossa. I Purificatori sono combattenti più che mistici… un po’ come i Custodi di Romita… e quindi sono più legati al mondo che per noi è reale. Io poi ho anche altri interessi… come la mia passione per i tesori nascosti… quindi mi potreste considerare nulla più che un bravo dilettante. Non ho ancora completato neanche il terzo grado d’iniziazione. Diciamo che la mia ecletticità stavolta ha giocato a mio sfavore. E le maestre della cerchia mi hanno fatto capire più che discretamente che non posso contare sul loro aiuto per una faccenda così personale. –Bene. Farò finta di aver capito.– Tzivad si grattò la testa. –Quanto a me, sappiamo benissimo che sono il più dilettante tra tutti qui in qualsivoglia argomento… eccetto vini pregiati e fisarmoniche… quindi immagino che non si possa chiedere a me una consulenza in questo campo. E l’allegrone qui? Minos, intendo. Sull’aldilà non dovrebbe saperne più di noi tutti messi insieme? Il così chiamato in causa digrignò i denti– uno spettacolo non molto bello da vedere. –Vuoi che ti ci mandi, chiacchierone? Non hai che da dirlo– ringhiò. –Vuoi che te ne faccia tornare con gli occhi vacui e fame di carne umana invece che di spiedini e vino? Posso fare anche questo. E posso anche tormentare e schiavizzare la tua anima per l’eternità, se mi va. Ma andarci da vivo non rientra nelle mie capacità né nei miei interessi, checché tu ne dica. Sempre ammesso che mi si possa definire vivo– brontolò quasi sottovoce. –In ogni modo, hai sentito il mago. Qui non si tratta dell’aldilà ma di un altro mondo. Non è necessariamente la stessa cosa. –Infatti– confermò Brazo riprendendo la parola. –Quindi, come dicevo… io sono la vostra miglior possibilità di raggiungere la signora scomparsa e cercare di riportarla indietro senza lasciarci la pelle. Per questo bisognerà che vi affidiate al mio modo di fare le cose. Tutti noi qui presenti possediamo poteri magici, ma seguiamo generi di magia tutti diversi l’uno dall’altro e abbiamo competenze diverse. Il che non è un male, anzi potrebbe essere la nostra miglior arma là dove andremo. Ognuno di noi in quest’impresa rappresenterà una delle cinque forze o Colori. Romita con il suo credo compassionevole ed energia positiva è naturalmente portata a impersonare la Vita… mentre, per ovvi motivi, Minos è ottimo come personificazione della Morte. Come figlio di un’eminente strega e cavaliere degli elfi, Sarnakand il Magnifico sarà la Natura, e con la sua irruenza ed amore per gli aspetti più… prosaici della vita, Tzivad si presta più che bene ad incarnare l’Energia. In quanto arbitro della Gilda io potrei assumere senza difficoltà la parte di uno qualunque dei Colori, ma vista la situazione questa volta mi presterò ad essere il Blu… la Mente… che, guarda caso, è il mio preferito. Perché abbiamo successo… non solo nell’arrivare dove dobbiamo, ma anche nel compito che ci toccherà una volta là… sarà necessario l’apporto di tutti in egual misura. Sarn prese allora a spiegare: –Per fortuna le mie competenze, anche se inferiori a quelle di Brazo, sono state sufficienti a scoprire dove cercare approssimativamente. Il famiglio di Perla mi ha trasmesso quel che ha visto… e che continua a vedere… attraverso i suoi occhi. Poi lo spirito che abbiamo consultato mi ha dato informazioni più precise, diciamo… sulle coordinate a cui cercarla. Ed adesso avremo le conferme che cerchiamo dietro questa porta, una volta che avremo eliminato i sigilli magici che permettono solo alla padrona di casa di entrare. –Il che non sarà tanto facile neanche per personaggi della nostra levatura– precisò Brazo. –Dopotutto la signora sapeva quello che faceva e questa è la sua specialità. La prima difficoltà da superare nella nostra cerca. –Una porta che dà su un altro mondo, quindi?– Tzivad fece scrocchiare le dita come un pianista prima del concerto, non poco intrigato dall’idea. –Bella cosa! Dall’altra parte devo aspettarmi che troviamo stelle e luci che vorticano e mostri paurosi? Prego, signori, fatevi da parte che io… Un lampo rosseggiante gli partì dalle dita verso la porta, solo per rimbalzare bellamente indietro e colpirlo quasi dritto nel mezzo della capoccia, non fosse stato per la sua prontezza nello schivare. Con un suono simile a una torcia che si spegne nell’acqua, il ritorno di fiamma si schiantò allora contro il muro alle sue spalle lasciandovi una traccia nera fumante. –…che io NON riesco proprio ad annullare questa magia a quanto pare– commentò il Cavaliere del Gatto spegnendosi con due dita i capelli strinati. –Non credi che ci abbia già provato IO?– esclamò Brazo non poco irritato, dall’incidente quanto dall’interruzione al suo pontificare. –Se questa protezione si potesse annullare facilmente come un trucchetto di basso grado, potrebbe farlo chiunque di noi! È stata posta da un potere superiore a quello a tua disposizione… oserei dire, pari addirittura al mio! Credo che nessuno dei presenti sia in grado di superarla… incluso me stesso– ammise molto di malavoglia bofonchiando. –E distruggere la porta senza rimuovere la magia?– chiese Romita imbracciando volenterosamente il suo nuovissimo giocattolo dal caloroso soprannome di «Cicci», e infilando un colpo in canna. –Mi spiace tanto frustrare la sua brama di distruzione insensata, signora generale, ma… sebbene detesti ripetermi… a parte l’ovvia stupidità di esplodere un’arma da fuoco in un ambiente ristretto come questo, se la cosa fosse fattibile non staremmo tenendo questa riunione. L’avrei già sistemata da solo.– Il mago afferrò a due mani il proprio bastone e diede un colpo violento contro il battente a scopo dimostrativo. L’arma rimbalzò quasi trascinando con sé il suo braccio, e tutti poterono vedere che la porta non si era fatta un graffio. –Le magie d’alto livello non si ingannano così facilmente. Il suo piano è purtroppo scartato in partenza quanto quello del suo fidanzato. –NON è il mio…– esclamò la nana indignata. –Allora la nostra gita termina prima di iniziare– la interruppe Tzivad con buon tempismo. –Se non possiamo entrare là dentro, buonanotte a baracca e burattini, giusto? Se lo sapevi, perché ci hai fatti venire qui? –Perché c’è un’altra maniera per entrare– sorrise Sarn. –Non mi hai lasciato finire… non si tratta di RIMUOVERE i sigilli, ma di ELIMINARLI. È qualcosa che ho suggerito io. Dovrebbe essere la prima regola di ogni buon ladro, no? Se non hai modo di disinnescare una trappola, il sistema più rapido per toglierla di mezzo è farla scattare. –Beccandoci saette come quelle di prima?… Oh, capisco.– Lo tzigano passò dall’espressione di uno che sente sragionare un amico deciso a fiondarsi a morte certa a quella sorniona di chi ha capito tutto. –Hai intenzione di farlo TU. L’eroe lanciò un’occhiata di sbieco quasi distratta alla figuretta rosa in piedi fedelmente al suo fianco. –Era la mia idea iniziale. Finché ho Reja accanto a me, la sua influenza mi protegge da diverse forme di danno. Certo, potrebbe darsi che l’effetto della trappola non rientri tra queste. Conosco un po’ gli incantesimi che usa Perla di solito e che può aver predisposto per scatenarsi su chi forza la porta. Ho chiamato Brazo proprio per analizzare la trappola. Se è qualcosa che io non posso gestire… –…allora manderai tranquillamente avanti me come capro espiatorio– abbaiò Minos a braccia conserte. –È questo che stavi per dire, no? Sai bene che anch’io godo di certe protezioni grazie alla presenza di Rigil. Anche se ne farei volentieri a meno. –Faceva anche questo parte della mia idea– ammise il cavaliere. –In fondo, in questo modo tutti corrono il rischio minimo. –E se invece qualcosa nell’incantesimo funzionasse diversamente da come credi tu? E se le protezioni non valessero? Puoi fare quello che vuoi della tua carcassa, ma ti assumeresti così a cuor leggero la responsabilità di potermi uccidere? E di ciò che accadrebbe dopo in questo caso?– Gli lampeggiò uno sguardo di puro odio. –Se accadesse, giuro che il prossimo a morire saresti proprio tu. –A meno che non ti sistemi prima.– Il sorriso di Sarn era immutato ed esasperante per lo stregone. –In fondo, può darsi che la cosa mi avvantaggi anziché il contrario. Per un attimo Tzivad si chiese se avrebbe dovuto fare l’eroe gettandosi a corpo morto a dividere i due litiganti –e non ne aveva, detto schiettamente, una gran voglia– ma Minos pareva fortunatamente limitarsi a bruciare di rabbia senza muoversi. Il tremito dei suoi pugni stretti si calmò dopo non molto, dominato con grande volontà. Si aprì perfino sulla faccia grigiastra qualcosa di simile alla ferita di un sorriso ironico. –Alla fine sarebbe una specie di liberazione, vero? Stavi pensando a questo? O forse semplicemente, come è nella tua dannata natura, pensi che non mi lasceresti morire comunque. Va bene. Vediamo di fare a modo tuo. –Se non altro, la bravata del nostro canterino amico qui presente mi ha evitato di dover sprecare un incantesimo per scoprire la natura del sigillo– continuò a sermoneggiare Brazo professionalmente come se nulla fosse successo. –Si tratta di una trappola a ripercussione che usa il fuoco. Non la più potente che la sua autrice potesse disporre, per fortuna nostra… altrimenti avremmo avuto molte più difficoltà. Di conseguenza… –…pare che tocchi appunto a me– ghignò lo stregone facendo un passo avanti. In mano teneva un ferretto ricurvo pescato nelle tasche dei calzoni aderenti, che avvicinò lentamente alla serratura. –Ma guarda il caso. Il mio benefattore non è a prova di fuoco, ma io potrei esserlo più di lui… sebbene non del tutto. Ma non credo che la cosa gli interessi più di tanto. Non avrebbe potuto sperare di meglio. Bene, signori, inutile dirvi che probabilmente non ne uscirò illeso. Se fossi un bravo ragazzo, a questo punto vi suggerirei di allontanarvi. Non essendolo, spero proprio che qualcuno di voi si becchi almeno una scheggia vagante quando la aprirò. E si mise silenziosamente ad armeggiare col chiavistello. Quanti si erano istintivamente riparati la faccia pensando a un’esplosione immediata appena mano estranea avesse toccato la porta rimasero delusi. Ci fu soltanto il ticchettio intermittente del ferro che tentava gli elementi interni, in modo esperto. Durò vari minuti. Lo vedevano sudare: non doveva essere un’impresa da poco, anche se gli anni trascorsi a fare intrugli per la tribù del deserto non parevano aver intaccato la sua abilità. Tutti erano caduti in un ansioso silenzio. Tranne il respiro interrotto dello stregone e le risatine sottovoce del soddisfatto Rigil, nessun altro rumore osava romperlo. Poi, nel preciso istante in cui si udì il click della serratura che scattava… FBOOOOM! L’esplosione di fiamma sollevò una nube di polvere e di fumo nascondendo la figura dello scassinatore agli occhi dei compagni, retrocessi prudentemente a distanza di sicurezza. Dal cuore dell’incendio un dardo fiammeggiante scaturì furibondo cercando un altro bersaglio sul quale abbattersi, non contento del colpevole primario. Romita fece per gettarsi avanti mormorando una preghiera iraconda, ma Sarnakand fu più veloce di lei. L’eroe extraordinaire tuttofare si gettò sulla scia del proiettile prendendolo in pieno con tutto il corpo, riparandosi con la spada. Tzivad stava per gridare qualcosa, ma il fumo ci mise un attimo a dissiparsi rivelando il suo amico dritto in piedi al centro del corridoio, senza neanche una bruciatura sul suo bel completo verde e argento. E un attimo dopo, anche la nuvola fiammeggiante presso la porta si aprì come un sipario sulla porta medesima bell’e socchiusa e su Minos Bonifar, alto e scuro col suo sorriso torto in volto… e anche lui senza neanche un graffio. –Ma avevi detto…– esclamò Romita quasi indignata. –Ho mentito, signor generale suorina. Non dirmi che non c’era da aspettarselo, da uno come me? Posso proteggermi da solo da cose del genere. O avresti preferito che venissi consumato dalle fiamme per il tuo bisogno di coerenza? Grazie comunque… non credevo davvero che potessi gettarti a cercare di proteggermi nonostante io sia una creatura blasfema. Ti saresti spinta fino a guarirmi se ne avessi avuto bisogno, mi chiedo? Sempre ammesso che su di me facesse effetto. La nana fece un passo indietro borbottando qualcosa d’inintelligibile. –E naturalmente– concluse lo stregone voltandosi al cavaliere e cambiando sfumatura nel ghigno –tu lo sapevi fin dall’inizio. Dovrei chiederti in che modo mi hai spiato tutto questo tempo, per conoscere così bene i miei poteri. Devo dirmi deluso… in un certo senso speravo proprio che fossi diventato abbastanza cattivo da rischiare di sacrificarmi. Sei prevedibile, invece. Non ti smentisci mai. –E tu sei un ottimo attore– ricambiò Sarn cordialmente –a far credere a tutti che così fosse. Tranne che a me, naturalmente. –E dovevi anche esibirti nella solita guasconata e fare da scudo a tutti gli altri senza sapere se saresti riuscito a sopportare la fiamma. Mi nausei. –Sì, be’… per fortuna ha funzionato.– Il cavaliere si spolverò con noncuranza il vestito. –Comunque non mi avrebbe certo ucciso… credo. –Dire che la magia Bianca e Verde dovrebbero essere nemiche giurate di quella Nera– fece Brazo alzando teatralmente le braccia al cielo, quasi rassegnato. –Il che dimostra come le interazioni di questo mondo possono essere molto più complicate di quanto sembri a prima vista. –Ah, ecco– commentò Tzivad che nel frattempo era un po’ riuscito a raccapezzarsi. –Mi sembrava che non fosse proprio da te proporre quel piano. Quindi adesso è fatta, giusto? Porta aperta? Bene, allora muoviamoci! Voglio proprio vedere com’è fatto un… Si fiondò a spalancare il battente. Si bloccò a bocca spalancata. –…una normalissima camera da letto? Proprio così. Una brandina in un angolo, mobili di legno, uno specchio ovale vicino a una finestra mezzo rovesciato in avanti nella sua montatura, con un pezzo di tenda bianca che ne pendeva. Onde alla rinfusa di quelle che parevano altre stoffe occupavano il pavimento, suppellettili e soprammobili vari erano sottosopra sugli scaffali o fuori posto, c’era confusione e disordine generale, ma assolutamente nulla di fuori dal normale. Tranne il Buontempone esaltato sulla porta che si era aspettato un paesaggio di stelle in collisione e se ne ritrovava uno che –quando recuperò la parola– non esitò a definire: –Incredibilmente prosaico. –Non ti avevo mica detto che la tua idea fosse giusta– osservò Sarn oltrepassandolo di fretta e inginocchiandosi a frugare tra le cose sparse al suolo. –E non è neanche una camera da letto, è uno dei suoi laboratori secondari. Spesso un mago si ferma a dormire accanto ai suoi esperimenti in corso. È pericoloso perdere di vista quelli importanti. Comunque, non resterai deluso per molto… è da qui che Perla è partita per andare dove è andata. –E cioè dove? Senza rispondere, il cavaliere spiegò per diritto e per rovescio il lembo di cartapecora grande come un lenzuolino che aveva raccolto da terra, esaminandolo alla luce. Era stato un errore scambiarlo per stoffa. –Proprio come pensavo. Brazo, puoi dare un’occhiata a questo? Non solo quello, ma anche tutte le altre pezze per terra erano in realtà fogli di carta pregiata. Completamente bianchi. Mentre Brazo li guardava intento come se li leggesse, Sarn raddrizzava lo specchio fissando la propria immagine e passando lentamente la mano sulla superficie, per poi fare lo stesso con la finestra. Pareva una normale porta–finestra un po’ logora nell’intelaiatura, da cui entrava un getto di luce bianca: sennonché non si trovava su una parete esterna, e infatti dietro le tende si scorgeva solamente quella stessa luce e nient’altro. Anch’essa frutto d’incantesimo, per rendere più gradevole l’ambiente. Una cosa proprio da Perla. –Sì. Effettivamente. Pergamene vuote, d’incantesimi piuttosto complicati– confermava intanto Brazo scrutando i fogli bianchi con aria professorale. –Sono stati già adoperati e quindi sono svaniti dalla carta, ma riesco a leggere ancora abbastanza bene il palinsesto magico. Ciò spiega come abbia fatto. Doveva essere superiore anche alle sue capacità compiere ciò che mi hai detto. Evidentemente le ha usate per incantare un qualche oggetto… che potrebbe trovarsi in questa stanza oppure no. Magari l’ha portato con sé. –Speriamo di no o seguire le sue tracce diventerà più difficile. –Mi chiedo da chi possa essersele procurate. E cosa avrà dovuto dare in cambio. Non mi sembra roba da cui qualsiasi mago si separerebbe molto facilmente, e dev’essere senz’altro opera di un mago coi controfiocchi. Non mi stupirebbe se anche solo tentare di usare incantesimi simili possa aver avuto conseguenze sul suo fisico. E questa– Brazo sollevò con due dita una pergamena spiegata dai bordi elegantemente fregiati in rosso e oro, legata a un’estremità ad un bastoncino d’ebano –conteneva quello che immaginavi. La Preghiera della Creazione. Sarn interruppe la sua ricerca per contemplare il foglio vuoto come se anche lui riuscisse a leggerci qualcosa. –Allora le informazioni erano giuste. Ora dobbiamo solo rintracciare una pagliuzza in un pagliaio pressoché infinito. –Traduzione, prego?– si sentirono richiamare entrambi dalla loro disquisizione. Gli altri tre erano sulla soglia, Minos palesemente disinteressato, Romita disorientata e Tzivad a braccia conserte che batteva leggermente un piede in attesa che qualcuno si ricordasse finalmente di spiegargli in modo esauriente l’intera faccenda. Non era poi qualcosa di estremamente complicato. Non tutti sanno –ma senz’altro un buon numero di persone ben informate sì– che alcuni arcimaghi, non trovandosi bene nel mondo reale (insofferenti a chi vi abita o anche delusi di non riuscire a piegare quanto vorrebbero alla propria volontà le leggi della fisica) finiscono dopo decenni di onorata carriera per concepire il desiderio di crearsi un mondo tutto loro. Dove le cose vadano esclusivamente secondo i loro desideri. La creazione vera e propria è sempre stata ritenuta appannaggio degli dei… ma c’è chi, molto tempo fa, è riuscito a scoprire il modo di utilizzare la materia presente in alcune sacche di realtà negli intervalli del tempo e dello spazio… i residui della creazione del mondo iniziale, se vogliamo… per costruirsi una piccola realtà propria. Questi mondi personali possono essere grandi come reami o piccoli come una casetta con giardino, ma le leggi di ognuno di essi sono dettate puntualmente solo dalla volontà del padrone: gli uomini possono camminare nell’aria, i fiumi scorrere a rovescio… e il tempo non passare. Molti personaggi leggendari della storia della magia, che secondo i libri scomparvero di punto in bianco senza lasciar traccia, in realtà si erano ritirati in luoghi simili, dove potrebbero benissimo essere ancora vivi. Perla aveva parlato spesso di quella possibilità. Con entusiasmo. Come soggetto di studio, ma anche come uno dei tanti possibili modi per prolungarsi la vita in modo da poter imparare più cose, e godersi per più tempo le cose che si amano. –Era preoccupata per la nostra differenza di razza, e quindi d’età. Le ho ripetuto tantissime volte che non mi importava e che non doveva farsene una malattia, ma mi ascoltava poco. Non ci davo troppo peso, però, perché sapevo che non era ancora alla sua portata fare un incantesimo del genere. Ma deve aver trovato il modo di aggirare l’ostacolo. –Quindi si è creata un mondo così? E tu pensi che sia lì che si trova ora?– chiese Romita. –Il suo famiglio mi ha parlato delle impressioni che riceveva da lei. Una visione nebbiosa, un luogo familiare e allo stesso tempo sconosciuto, a metà tra un sogno e un incubo. Una sensazione di sicurezza eppure di qualcosa che era andato storto, che intrappolava, uno stillicidio che consumava la vita. Una prigione costruita dalla sua stessa prigioniera. Dolore mai provato prima, un pianto continuo, una richiesta d’aiuto che si perde inascoltata… è stato piuttosto angosciante. –E tu hai sospettato che potesse trattarsi di questo.– La nana era contrariata anzichenò. Per la sua religione cercare di prolungarsi la vita oltre il termine naturale era qualcosa d’inutile oltre che sbagliato, e lei in particolare lo vedeva con non poco timore superstizioso. –E lo spirito me l’ha confermato. Come ho detto, si tratta di qualcuno che la conosceva bene e la tiene d’occhio anche dall’aldilà. Raramente i defunti sono chiari nel rispondere alle nostre domande, ma secondo le sue esatte parole, Perla è rinchiusa nel luogo creato dai suoi stessi desideri e non riesce a uscirne. Il che ci lascia solo con il problema di arrivarci… senza una guida, non avrebbe senso neanche partire. Potremmo cercare quel piccolo mondo nel vuoto fuori dal tempo letteralmente per l’eternità. Perciò spero di trovare qui l’oggetto che ha usato per il passaggio… o perlomeno qualcosa che possa darci un indizio.– Nonostante il cavaliere si stesse evidentemente controllando e valutando tutte le opzioni con la maggior freddezza possibile, per gli amici era evidente la sua ansia di precipitarsi a soccorrere la donna amata al più presto. –Hai trascurato di menzionare– intervenne Minos con molta calma, guardando altrove, –che anche sapendo dove andare ci sarà il problema di riuscire ad entrarci. Immagino che difficilmente qualsiasi mago lascerebbe incustodito l’ingresso al suo paradiso privato. A maggior ragione sarà pericoloso se quel paradiso si è trasformato in un inferno. –Già. E naturalmente, c’è anche il fatto che anche riuscendo a entrare non sappiamo cosa ci troveremo. Letteralmente. Quel mondo potrebbe funzionare in modo totalmente diverso dal nostro. Non possiamo neanche essere certi che là potremo usare le nostre magie, oppure che agiranno in modo normale– commentò Brazo serio. –Anche per questo il nostro amico ha chiesto il mio aiuto. Le variazioni della fisica e della taumaturgia da un mondo all’altro sono il pane quotidiano della Gilda. Tzivad alzò la mano come uno scolaretto in aula. –Aspettate, mi pare che ci sia anche dell’altro. L’hai detto dopo aver parlato con lo spettro, no, Sarnuccio? Che la tua Perla è la dove non vuole essere trovata. È stata lei a chiudersi là dentro e ora non vuole essere disturbata? In questo caso, ci sarebbe anche il problema di salvare una damigella contro la sua stessa volontà. –Le parole dello spettro sono state queste… ma il senso non era ben chiaro.– Sarn rimuginava. –Da quel che ho capito, ciò che la imprigiona non è una forza esterna ma qualcosa dentro di lei. Era quasi come se lo spirito intendesse che Perla si vergogna di qualcosa e nonostante stia male non vuole essere trovata… da me. Ma questo importa fino a un certo punto.– Era decisissimo. –Se sta soffrendo, non posso non andare a soccorrerla. Che lei sia d’accordo o meno. –Per cui il suo mondo le è sfuggito di mano?– Lo tzigano elaborava parlando molto in fretta. –La sua ambizione le si è rivoltata contro, ora è prigioniera della sua stessa mente e dopo essere stati quasi schiacciati dalle creature mostruose che ha evocato inconsapevolmente, solo facendo appello alla sua parte più nobile e ai suoi affetti la salveremo da se stessa (magari con un bacio) riportandola a più miti consigli e facendole ammettere che la lezione le è servita e accetterà i suoi limiti umani imparando ad essere felice? E poi di nuovo a casa e tutti felici e contenti. Una cosa così, insomma. –Una cosa che succede soltanto nei tuoi romanzi cavallereschi, canterino– commentò con disprezzo lo stregone, sbuffando. –Pensi che sia sempre tutto così prevedibile? –Ehi, anche tu mi sei molto simpatico, amico. –Comunque Minos ha ragione– rispose Sarn. –Credo che le cose non stiano esattamente così. Ma posso solo fare congetture su come stiano realmente. Bisognerà che veda coi miei stessi occhi. –Cosa che non sarà tanto rapida. –Brazo riportò lo sguardo in giro su tutti gli ammennicoli e soprammobili di forma strana sparpagliati in giro per la stanza. Sembrava poco diverso dal mucchio delle invenzioni dello gnomo Ragair. –Ammetto che avevo sottovalutato il gusto della tua fidanzata per i souvenir bizzarri. Qui dentro tutto irradia magia. Deve averli riportati da un sacco di posti strani. Sarà meglio che non si trovi in pericolo troppo immediato, perché se devo perdere del tempo per identificare il funzionamento di ognuno di essi, anche col vostro aiuto… e anche ammesso che quello che cerchiamo si trovi effettivamente qui… –Tipo questo?– esclamò Tzivad tranquillissimo sollevando una pallina multicolore di una sconosciuta materia dura dall’angolo in ombra di uno scaffale. Lo guardarono tutti allibiti. –Be’, che c’è? Lo sapete tutti che Sarn qui non è l’unico con la passione per i tesori. Soprattutto quelli magici. Ne saprò pur qualcosa di come si nasconde un elemento importante in piena vista, con tutti quelli che ho sgraffignato in vita mia.– Lanciò il globetto a Brazo che lo afferrò al volo rigirandoselo in mano. –Se pensi che stia bluffando per farmi bello, analizzalo pure. Gli occhi del mago rotearono allo stesso modo della pallina sul suo palmo i cui colori si confondevano l’uno con l’altro come in un caleidoscopio. Il moto accelerò gradualmente da solo finché non vorticò come una trottola dalla vaga sfumatura arancio, per poi fermarsi di nuovo spontaneamente poco dopo riassumendo le sue strisce di verde, rosa e viola. –Accidenti se è vero! O sei più fortunato di quanto abbia mai creduto e hai tirato a indovinare, o sei più furfante di quanto abbia mai creduto per andare così a colpo sicuro! Questo affare… non riesco a capire di cosa sia fatto, è cedevole ma resistente e non propriamente di gomma… ma irradia magia dimensionale da tutti i pori. O meglio lo farebbe se avesse i pori. Sembra una specie… di bussola, o meglio, di faro per collegare due luoghi sfasati l’uno rispetto all’altro. Per trovare e ritrovare la strada, immagino. –Sì, effettivamente aveva un’aria del genere.– Il tono dello tzigano affettava modestia sentendo lo sguardo quasi ammirato di Romita su di sé. –Come vedete non sono inutile quanto alcuni di voi pensano. –Come ti dici da solo– tagliò corto sbrigativamente Minos. –Chissà quanta roba avrai rubato, dopotutto, per farti una cultura del genere. Conosciamo la reputazione degli zingari. –Io conosco la reputazione dei tuoi parenti– replicò l’insultato amabilmente senza dar segno di prendersela. –E so anche quanta robetta hai sgraffignato tu nella tua considerevole attività. Però non te ne faccio una colpa, sai– precisò al crescere del ringhio di risposta. Sarn interruppe il litigio sul nascere. –È proprio per l’intuito di Tzivad che ho voluto anche lui nel gruppo. È qualcosa che nessuno di noi altri possiede e che non ci sappiamo nemmeno spiegare. Sapevo che ci sarebbe tornato utile. Grazie, amico. Ci hai fatto risparmiare un bel po’ di tempo. –Mi servirà probabilmente qualche ora per acquistare familiarità con questo oggetto e capire come usarlo– esclamò Brazo alzandosi in piedi. –Posso adoperare il laboratorio di questa casa, giusto? Nel frattempo voi continuate a controllare qui e vedete se trovate dell’altro che possa servirci. –E una volta terminato?– chiese Romita. –Non ne so niente di viaggi in altri mondi, ma mi sembra che non siano neanche alla tua portata, per quanto possa esserne esperta la tua Gilda. Come pensi di portarci là dove si trova Perla? –Oh, semplice.– Il mago ebbe un guizzo divertito nello sguardo. –Non dovremo fare altro che duellare tra di noi a morte.
  15. Meg-9

    L'inizio del mondo

    Capitolo 3 Aiuto, sanguino… aiuto… Aiuto, mi sto perdendo… Completamente sola nel silenzio… lacerata… no, non so dove siano gli altri… dove siano tutti… era una giornata qualunque… nessuno mi sente?… La veglia è persa, il sonno è perso… il corpo si perderà, frammento dopo frammento… non resterà più niente… Già non mi obbedisce più. Pezzetti di me… che vanno per conto loro, che fanno ciò che vogliono. Com’è possibile che sia il mio corpo, se non posso controllarlo? Volevo solo la vita… È stata la vita a farmi questo? Non la morte? È questo che accade a chi la desidera troppo? Qualcuno venga a prendermi prima che mi dissangui… qualcuno venga a prendermi prima che sia troppo tardi… aiutatemi… perché nessuno mi aiuta?… Fate qualcosa… Fatemi una magia… fatemi tornare come prima… Non mi posso muovere… mi fa male… e sono sola… E non lo posso dire neanche a chi mi è più vicino… Ho tanta paura… Dove sono? Perché è successo questo? Non tornerò mai più quella che ero? Aiuto… Luci ovunque, uno splendore a festa che superava addirittura lo stesso chiarore del giorno. La sala principale della caserma dei Custodi degli Anelli sotto i monti di Dolm–Uthim, la capitale nanica, era illuminata da centinaia di torce che si rifrangevano sulle pareti e sulle colonne accuratamente ricoperte di vernici e smalti dorati e perfettamente lucidate, dando l’impressione di trovarsi in una caverna d’oro massiccio, il centro di una leggendaria miniera. La volta era tanto alta da perdersi all’occhio e sembrare un vero e proprio cielo aureo. Dentro, ferveva l’attività. I monaci cavalieri dell’ordine erano ben noti per non stare mai con le mani in mano. Il lavoro produce ricchezza, la ricchezza va impiegata per sollevare le sofferenze altrui e creare bellezza e arte, che genereranno nuova ricchezza. Questo è il credo di Amir Achthael, Signore del Sangue del Mondo. Oro e gioielli sono il sangue nelle vene della terra, il sangue convien che circoli e vada dove più ce n’è bisogno, e i Custodi sono il braccio armato della sua chiesa. Tutti sono valenti artigiani, protettori delle arti e mecenati, oltre che potenti guerrieri sempre in prima linea per assicurarsi che l’onesto lavoro prosegua indisturbato, difendere i profitti ottenuti lealmente, arrestare i ladri che vorrebbero appropriarsi a torto di ciò che altri hanno duramente guadagnato, oppure anche togliere le ricchezze mal acquisite ai corrotti e agli sfruttatori donandole per fare del bene. C’è chi dice che i nani sono guidati soltanto dalla propria avidità: la chiesa di Achthael è l’antitesi di questo. Si prefigge di dimostrare come la vera ricchezza non possa essere accompagnata che dal più profondo disinteresse e generosità. E chiunque ne faccia parte non può esimersi dal lavorare sodo per migliorare il mondo. Romita Durapetra in tutto ciò ci sguazzava allegramente. Attraversava a gran passi il salone salutando con la mano a destra e a manca e distribuendo gran sorrisi. Tutti, dai novizi appena ordinati con una sola gemma o due sul pettorale ai veterani decorati strapieni di medaglie e con le rune delle loro gesta istoriate sulla corazza, non mancavano di rispondere con tutto l’entusiasmo possibile, interrompendo vigorosi allenamenti all’ascia o alla spada, potenti martellate alla fucina, sudate contrattazioni di compravendita e pazienti opere di cesellatura di gioielli per non perdere l’occasione di ricevere da lei uno sguardo o una parola. Quando si dice essere un capo carismatico. Del resto, non è poco essere personalmente salutati da un generale nominato per le sue gesta eroiche nelle ultime guerre sotterranee. Sarn e Tzivad, che incedevano alle sue spalle mirando la scena operosa insieme a Reja –Ferencfurter si era categoricamente impuntato sulle quattro zampone alla soglia rifiutando categoricamente l’idea di entrare in un ambiente tanto chiuso e rimbombante, e comunque non gli sarebbe stato consentito l’ingresso– si chiedevano più che altro come facessero tutti i presenti a non darsi noia a vicenda con quelle molteplici attività. I duellanti sottolineavano ogni colpo proprio o altrui con potenti esclamazioni tipo «Bene, perbacco!» o «Mettici più grinta, novellino, se vuoi arrivare da qualche parte!», altrove abbondavano le chiacchiere e le discussioni religiose o filosofiche, i fabbri battevano con tutta la loro forza producendo una sinfonia risuonante come un milione di tuoni di tempesta e tuttavia la concentrazione degli artigiani non ne risentiva assolutamente. Anzi, sembravano gradire l’atmosfera. Le forge erano strane ed eleganti strutture affusolate simili a forni o case di terracotta, ma con consistenza metallica: ardevano internamente ma né calore soffocante né fumo ne uscivano a inquinare lo splendore circostante. Tzivad fece cenno al cavaliere al suo fianco che notò come i gioiellieri e gli scultori non usassero alcun attrezzo o fiamma per modellare le loro opere: passavano semplicemente la mano sulla foglia d’oro e questa sembrava sciogliersi lasciandosi formare come creta o cera nelle fogge più diverse, l’argento si mescolava docile ad altri metalli creando intarsi preziosi e bellissimi, le leghe si formavano come da sole. In un angolo si alzavano decise le voci di commercianti e banditori d’asta, che quasi intimavano ai visitatori di acquistare le merci create dai confratelli stanziali e procurate da quelli viaggianti ovunque si fermassero, tra una battaglia e l‘altra contro mostri, pirati e ladroni. L’imponente banco delle elemosine si assicurava che i proventi di quel commercio fossero distribuiti equamente, e magari arrotondati con qualche obolo che neanche i più tirchi e spilorci trovavano facile rifiutare alle arcigne facce guerresche che tendevano la cassetta tintinnante come un’ennesima spada da duello. Intorno, si aprivano nicchie conducenti a caverne più piccole, sia fucine che luoghi di culto, dove si poteva assistere ad uffici sacri, prender parte a diatribe ed anche appartarsi in colloquio privato coi sacerdoti, sia militanti che membri secolari della chiesa. Alcuni di questi ultimi, riconoscibili dal grembiule da fabbro al posto dell’armatura, si aggiravano anche tra i banchi da lavoro e quelli di vendita esaminando i prodotti, supervisionando fatture e trattative e fermandosi ogni tanto a dare il loro parere. Sia gli uni che gli altri erano per la stragrande maggioranza nani, ma qua e là si notava anche la presenza di qualche umano e perfino di alcuni elfi, trattati nient’affatto diversamente dagli altri commilitoni ma che dovevano aver avuto un bel coraggio ad arruolarsi tra loro. Romita diceva sul serio quando parlava di mediazione e integrazione. Il capo dell’ordine si era dedicato con solerzia a questo compito fin dall’inizio della nuova era. Verso il centro dell’ambiente, in corrispondenza del punto più alto della volta, un macchinario strano simile a una colonna piramidale, ricco di rotelle e ingranaggi, ronzava cacofonicamente a un volume altissimo distinguendosi tra tutti gli altri suoni. Da molteplici bracci fissati tutt’intorno alla circonferenza pendevano ammennicoli vari come cinghie di cuoio, armi, strumenti da lavoro, nastri, fogli d’appunti e anche roba che non pareva entrarci assolutamente, tipo uova, minuscole gabbiette con uccelli canterini e mazzolini di fiori. Una figura più piccola di un nano, e con orecchie più grosse, supervisionava il misterioso funzionamento che apparentemente non produceva nulla, esaminando con interesse una strisciolina di carta emessa con regolarità dal marchingegno. Si voltò all’allegro richiamo di Romita e scattò in un saluto militare. Uno gnomo, infagottato in una veste non proprio da mago sormontata da una corazza strapiena di tasche da cui sbucavano palline, trottole, schemi disegnati e cacciaviti, e con occhiali blu spessi come fondi di bicchieri. –I miei rispetti, capo. –Riposo, Professor Ragair, riposo– replicò Romita restituendo il saluto. –Ho portato gli amici di cui avevo parlato nel messaggio. Signori, il Professore è il mio attendente personale, nonché Grandingegnere ed artigliere di fiducia del corpo d’armata. È stato indispensabile nel conseguimento di diverse vittorie. –Troppo buona, signor generale. Metto semplicemente i miei talenti a disposizione di chi sa apprezzarli.– Il lodato Professore accennò un inchino agli ospiti senza nascondere del tutto il proprio compiacimento. –A quanto pare, i tuoi esperimenti stanno procedendo per il meglio. Ne ho piacere. –Signorsì– esclamò lo gnomo. –Il Vibroprevisore Equalizzante Onnipotenziale risponde molto meglio rispetto a una settimana fa. Continuando a questo ritmo, entro pochi anni potremo già ottenere risultati apprezzabili dal punto di vista sinergico sul morale delle truppe… «Tanto per sapere», sussurrò tra i denti Tzivad all’orecchio della nana chinandosi di metà della propria statura, «tu hai idea a cosa serva quel coso?» «Nemmeno un po’», rispose serafica Romita allo stesso volume, mentre annuiva al Professore con aria condiscendente. Sarn non trattenne un sorriso. «Ah». «Però molta roba che progetta lui funziona più che bene. Quindi ho fiducia anche in questo». –…e le lezioni di Artiglieria e Macchine d’Assedio all’accademia ufficiali sono molto ben seguite… anche se devo dire che non tutti i giovani cadetti della nuova generazione mostrano il rispetto che dovrebbero per i loro insegnanti! D’altra parte, si sa che il mondo va peggiorando… –Al tempo, R. Parleremo in un’altra occasione di questo. Come ti ho detto, dovrò assentarmi per un certo periodo e potrei trovarmi in situazioni pericolose dove vado. Conto che tu abbia messo in moto l’ingegno per preparare qualcosa di utile a me e ai miei compagni in questo frangente. –Oh, naturalmente, madama. Sapendo quanto vi piacciono le imprese eroiche, ho applicato tutta la mia conoscenza in fatto di armi per… dove ho messo quell’aggeggio…– Il Professore si distrasse mormorando fra se stesso mentre frugava in un cumulo di oggetti e cianfrusaglie gettate alla rinfusa alle sue spalle. –A proposito, voglio sperare che il martello appesantito di mia ideazione stia ben soddisfacendo le vostre esigenze in battaglia. Romita estrasse l’arma enorme e luccicante dalla custodia sulla schiena, soppesandola con piacere. –Oh, devo dire che dà molta soddisfazione, R. Grazie. In effetti, i ministri delle armi dell’ordine si sono chiesti appena l’hanno visto come mai non ci avessimo già pensato. Non che in molti siano forti abbastanza da alzare una bestia simile, ma una volta adattato nel modo giusto non ne ho più potuto fare a meno… –Hm–mmm– approvò lo gnomo soprappensiero. Buttò via due o tre cose dalla cima del mucchio –una specie d’incrocio tra un appendiabiti e un braccio artificiale, un vaso di terracotta da cui spuntavano tentacoli di ferro, qualcosa come un elmo a catino con decorazioni floreali– per emergere con un martello dalla pesante testa plumbea e l’asta in qualche modo rigonfia e sporgente, come se ne crescessero a metà strada una canna, un calcio e un grilletto. A ben guardare, la canna terminava col suo foro minaccioso giusto al centro della normale testa dell’arma. –Ecco a voi. Il punto debole degli archibugi e simili è sempre stato il fatto che prima o poi esauriscono i proiettili. Con questa innovazione, una volta scaricata l’arma la si può riutilizzare in modo alternativo sfracellando le teste degli avversari! Mi piace pensare che sia un nuovo picco nella mia creatività. Ho utilizzato materiali particolari dal peso bilanciato e, rivoluzionando la fase di progettazione… –Ah, non venirmi a spiegare tutto quanto ora. Non ho mai avuto troppa inclinazione per i dettagli tecnici.– Romita mise via il primo martello per provare a due mani il nuovo. Lo alzò e abbassò un paio di volte, dubbiosa, intralciandosi le mani con il grilletto, poi provò una schiacciata. –Uhm. Non so… il peso c’è… ma non è il massimo come maneggevolezza… con un’asta di questa forma non credo di riuscire a portare il colpo alla perfezione. Però l’idea è senz’altro originale… –Come vuoi che il proiettile vada dritto se devi tenere quella testa di martello in orizzontale mentre prendi la mira?– si lasciò sfuggire Tzivad attirandosi lo sguardo malevolo dell’armaiolo criticato da un ignorante profano. Il quale armaiolo poi si affrettò sollecitamente a giustificarsi con la fruitrice del proprio operato. –Bene… come tutte le nuove invenzioni, magari deve essere un po’ raffinato… testato sul campo, ecco… vi prego tuttavia di non scartarlo a priori… provatelo e poi ditemi le vostre impressioni per poterlo migliorare… nel frattempo, ecco un’altra cosetta (certo, più tradizionale e meno innovativa) che potreste trovare utile… Il pistolone che tirò su con uno sforzo era quanto meno gigantesco e carico di tanti disegni e rune che sembrava doversi sbriciolare sotto il loro peso come un merletto traforato. Da quando, grazie agli scambi con l’est, erano cominciate ad arrivare nel Centro–del–Mondo le nuove, strane armi da fuoco, non si potevano avere dubbi sul fatto che –mentre gli elfi le evitavano praticamente in massa disgustati quasi come opera del demonio– nani e gnomi le avessero accolte con molto più entusiasmo di qualsiasi altra razza, umani compresi. Dopotutto, la polvere nera era quanto di più utile in miniere, demolizioni e assedi, e in battaglia i pallettoni avevano un indubbio vantaggio su mazze, asce e picconi, colpendo a distanza e facendo un bel po’ di danno. Cos’era qualche insignificante rischio di ritorno di fiamma o il tempo perso ogni volta per ricaricare, a paragone di cotanto bel potere distruttivo? Tuttavia… mentre gli umani, come al solito, mettevano ad uso proficuamente anche quella nuova diavoleria col loro solito senso pratico senza stare più di tanto a guardare al lato estetico, gli abitanti del sottosuolo avevano reso l’artiglieria pesante una forma d’arte quanto e più di un mezzo di combattimento, con le loro pistole pesanti e decoratissime fabbricate in materiali densi e rari e coperte di poesie e invocazioni più di qualsiasi spada magica nella storia. Le pallottole, poi… ognuna era unica e artigianale e spesso i proprietari andavano a cercarsele dopo le battaglie per non perderle. Con la fatica che si faceva a fabbricarle e a scriverci minuziosamente sopra in modo che il perdente sapesse a chi doveva il buco nella sua pancia! (E in effetti, spesso le iscrizioni venivano usate per dirimere le dispute assegnando i colpi nelle mischie di battaglia e nelle gare di tiro). Il minimo che potevi aspettarti di trovare scritto su un proiettile nanico che veniva a piantartisi in mezzo agli occhi (ammesso che tu fossi tanto veloce da decifrarlo PRIMA che arrivasse) era «Se riesci a leggere questo stai per crepare» o anche solo «Fesso (o morto) chi legge». Il Professor R consegnò dunque il pezzo di modernariato pesantissimo alla signora generale (che lo sollevò con molta meno fatica di lui esaminandolo da ogni angolazione) precisando, una volta smesso di ansimare: –A prima vista potrà forse sembrare comune… ma a parte l’artigianato profusovi che, vi assicuro, non è poco… ha il pregio di un dispositivo sperimentale magico di ricarica automatica che evita i pericolosi tempi morti tra uno sparo e l’altro. Pensate al vantaggio di poter colpire due o tre volte più rapidamente che con un normale archibugio! Nel dettaglio, le specifiche… –Ricarica magica?– Romita arricciò il naso leggermente. –Cosa ne ha detto il consiglio dei Generali Emeriti? Personalmente non ho nulla in contrario, ma la tua ultima modifica in quel senso raddoppiava i rischi di ritorno di fiamma. Ci si è riempita l’infermeria prima che… –Madama, vi ASSICURO che il dispositivo è stato più che testato!– esclamò il Professore allarmassimo. –Non vi metterei mai nei guai intenzionalmente dopo che mi avete raccomandato per un posto qui garantendo in prima persona! Il Consiglio è stato informato… e ha sentenziato che si può provare l’oggetto in via sperimentale! Ovvero, pensò Sarn, l’idea li attira ma la diffidenza c’è sempre… per cui lo danno a lei che è la responsabile per il piccolo inventore e se deve scoppiare in faccia a qualcuno, scoppi sulla sua. Molto diplomatico. D’altra parte, scommetto che lei lo capisce benissimo e lo accetta. C’è davvero da ammirarla. Quasi si ricredette quando il generale, di punto in bianco, a queste parole fece spallucce, imbracciò l’arma e fece partire tranquillamente un colpo. BADAM! Il tuono rimbombò in tutta la gigantesca caverna scintillante come l’eco di un urlo di Dio. Superò lo sferragliare e il martellare dei confratelli, anche se pazzescamente pochi si preoccuparono di sollevare la testa dalle proprie attività sentendolo– per poi riabbassarla tranquillamente con un sorriso saputo–condiscendente e una scrollatina di testa una volta appurato da dove venisse. Decisamente… i nani sono fuori come uno sperone di roccia quando si tratta delle loro passioni! –‘Sta donna è matta!– puntualizzò infatti Tzivad all’indirizzo del suo amico eroe extraordinaire sfilandosi gli indici dalle orecchie, forse per la prima volta indotto a riconsiderare i suoi progetti sentimentali. Romita grugnì appena senza ascoltare davvero, e si limitò a tirare indietro il cane dell’arma producendo un click mai sentito prima. Qualcosa come un frammento metallico scintillò volando in aria e scomparendo subito, e l’arma fu nuovamente in posizione. Sarn indicò a Tzivad senza parole una campanellina d’oro appesa ad uno dei bracci della colonna meccanica del Professor Ragair, posta proprio di fronte a un grosso bersaglio plurisforacchiato dipinto sulla parete di fondo. Serviva a misurare la mira dei tiratori, che si allenavano il più possibile a cercare di sfiorarla senza colpirla. Infatti, non appena Romita tirò di nuovo il grilletto… KABLAM! …la campanellina saltò puntualmente per aria spargendo schegge luccicanti ovunque mentre il proiettile andava a scavare un cratere più che rispettabile nel muro a poca distanza da quello provocato dallo sparo precedente– riconoscibile dalla più che discreta PROFONDITÀ. I nani che nei dintorni avevano seguito la prova mandarono un’acclamazione unanime alla mira del generale quanto all’incredibile prestazione della pistola. Anche Ragair applaudì volenterosamente mentre una nuova campanella–piattello spuntava con un ronzio da uno scomparto andando a mettersi in posizione. Evidentemente molte altre avevano già fatto la stessa poco gloriosa fine. Inutile negarlo: la loro amica aveva un modo tutto suo di fare le cose. Era un bel po’ avanti a loro due per potenza distruttiva, ma non era mai stata nota per badare troppo a… certe sottigliezze. Tzivad si affrettò con entusiasmo a completare il suo commento: –È matta, ma la amo! –Incredibile, Professore! Che potenza di fuoco!– esclamò Romita allo gnomo con le guance rosse dall’eccitazione, ostentando di non aver assolutamente sentito. Sembrava già innamorata di quell’aggeggio. –E non ho mai ricaricato tanto in fretta! Questo gioiellino potrebbe perfino essere giudicato immorale per il vantaggio che può dare in combattimento… ma lo testerò più che volentieri sul campo! Quante volte può sparare di seguito? –Poche, per ora… ma ci sto ancora lavorando. Sono felice che incontri la vostra approvazione– gongolò l’inventore. –Si basa su un principio semplice una volta che se ne conosce il funzionamento ma troppo spesso sottovalutato… vale a dire… –Lascia stare, ti ho detto. Ottimo lavoro. Hai qualcosa anche per i miei compagni qui? –Sissignora. Come promesso. Avevo vari progetti in corso che possono tornare utili nel vostro caso specifico. Se posso attirare la vostra attenzione… ho qui una clessidra da polso lanciadardi, una scarpa con finto tacco a lama e un anello rilascia–gas che…– Carabattole dalla forma strana e di ogni dimensione presero a rotolar fuori da ceste, tasche della corazza, nicchie della colonna e da ogni dove. C’era da credere che illustrarle tutte avrebbe richiesto fino al giorno dopo e che il loro costruttore avesse ogni intenzione di farlo. –Sì, sì. Mostrali a loro. Io nel frattempo devo andare a vendere alla cassa comune le merci che mi sono procurata al paese e poi passare dal mastro elemosiniere. Dopodiché potremo partire. –Ehi…– esclamò Tzivad balbettante vedendo la sua amata pazza imbracciare con disinvoltura il giocattolo nuovo e voltare le spalle, e notando il luccichio feroce negli occhi dello gnomo lasciato a briglia sciolta. –Ci lasci qui con lui… cioè, non dovremmo venire con te? Devi chiedere la licenza ai tuoi superiori, no? Se spieghiamo tutti insieme… –Chiedere la licenza? Perché dovrei? Passerò giusto dal Consiglio mentre ce ne andiamo per informarli della mia assenza… e magari anche dal Gran Sacerdote per conoscenza. Ve l’ho detto che non ci sono problemi particolari in questo periodo. Me la posso benissimo concedere da sola. –Cosa?… –Be’, certo– soggiunse il Professor Ragair stupito alle facce dei due. –Perché dovrebbe chiedere il permesso a qualcuno? È il generale Durapetra a concedere licenze ad altri, non viceversa. Sarebbe proprio strana se il comandante in capo dell’Ordine dovesse render conto a qualcuno delle sue azioni. Sarn e Tzivad cambiarono letteralmente colore. Le loro facce si sarebbero potute ritrarre sul Dizionario Illustrato delle Meraviglie del Mondo alla voce «Le Bocche Più Spalancate». –Ma… ma… ma!… Quando ci siamo conosciuti… dicesti di essere stata appena promossa generale di brigata! –Già. Ma è passato un po’ di tempo da allora, sapete?– Romita si fermò un attimo grattandosi pensosamente la barba curata. –Pare che aver combattuto con onore nella grande guerra ti renda un candidato molto appetibile per le alte cariche, anche se non vorresti delle responsabilità in più. In ogni modo l’Ordine non è più maschilista come tanti altri là fuori, per quanto sembri che non sia mai stata eletta una donna prima come comandante. Ho appena iniziato il mio triennio di mandato. Semplicemente mi devo essere scordata di dirvelo.– Si rimise in marcia e lasciò gli amici nelle grinfie voraci dell’attendente bramoso di esporre congegni e congegnini, ignorando i richiami e rivolgendosi quasi con tenerezza alla sua nuovissima sputafuoco: –Credo proprio che ti chiamerò Cicci… Il vento della sera tirava ormai al freddo. Il villaggio senza nome nel deserto stava conoscendo quanto di più simile ad un grande evento nella sua storia più volte interrotta, dopo l’arrivo del singolare stregone. Alcuni grandi pali –c’era da chiedersi dove mai fossero andati a trovarli in una desolazione simile– erano stati rizzati con corde robuste a sostenerli in uno spiazzo vuoto tra le case, turbando gli abitanti con la loro visibilità da lontano, e sotto era stato accumulato abbastanza combustibile da poterli trasformare al momento giusto in enormi falò o roghi da streghe. Al centro, il paiolo annerito di Minos era stato portato all’aperto e sistemato su una pira più piccola: tutto intorno a quel teatro in attesa svolazzava ridacchiando Rigil, più macabro e infausto di un condor. C’era vegetazione secca –quel po’ che era stato possibile raccattare–, ossa di piccoli animali che davano un’aria appropriatamente tetra ai mucchi, olio nero infiammabile raccolto da pozze di marciume che diffondeva un sentore acre penetrante e letame di altri animali che… aggiungeva un aroma di carattere un po’ diverso su cui è meglio sorvolare, ma comunque sarebbe bruciato benissimo. Il tutto osservato in silenzio intimorito dalla gente deforme radunatasi fuori dalle sue capanne, e supervisionato in un silenzio di disgusto e sfida da Minos Bonifar, con una torcia spenta alta in mano a fissare il gruppo dei suoi conoscenti di fronte a sé in attesa che si accendessero le prime stelle. Romita guardava intorno le facce intimidite della gente del villaggio che chinava gli occhi per non incontrare i suoi, con tacita compassione dipinta in volto, ma troppo discreta per umiliarli chiedendo apertamente se poteva aiutare. Tzivad rabbrividiva educatamente chiedendosi nell’ordine perché fosse venuto in un posto simile, quanto avrebbe dovuto pagare per un cicchetto e una stufa e quanto ci avrebbe messo la voce tecnica dello gnomo ad uscirgli dalle orecchie rintronate. SEI ore era durata la spiegazione! Ogni tanto allungava qualche grattatina sulle orecchie al suo nervoso micione che lasciava uscire a intervalli un lamento di gola, innervosito dall’atmosfera lugubre. Gli abitanti del villaggio badavano a stargli ben alla larga e fuori portata del suo sguardo giallissimo e inquisitore. Sarn aspettava ricambiando con tranquillità lo sguardo di Minos, senza segni d’impazienza. O di esaurimento nervoso, per questo. A lui le delucidazioni scientifico–arcane di Ragair erano PIACIUTE. Anzi, gliene aveva perfino chieste di supplementari. Per l’orrore del suo amico. Fin da piccolo aveva sempre avuto molto interesse per come funzionavano tutte le cose, soprattutto quelle magiche. Alla fine tra tutti e due si erano lanciati in una discussione specialistica che sarebbe potuta durare tutta la notte se non fossero stati interrotti da un Cavaliere del Gatto raccapricciato dalla pelle ormai accapponata supportato da tutti i nani presenti nella grotta radunati in circolo con gli occhi sbarrati. Reja, accanto a Sarn, posava su tutti gli astanti occhiate infantilmente sdegnose, pur continuando a saltellare impaziente da un piede all’altro. Brazo, buon ultimo, con le mani nelle maniche della tunica, a metà strada tra i due gruppi che sogguardava alternativamente, dava l’idea di godersi al massimo la scena… pur tremando un po’ nella stoffa leggera al vento. Finalmente lo stregone parve decidere che fosse trascorso abbastanza tempo. Avanzò facendo battere un acciarino e accostandolo agli stracci inzuppati d’olio nero in cima alla sua fiaccola. Un ragazzino –almeno a giudicare dalla taglia– incedeva goffamente alle sue spalle, avvolto nello stesso abito lungo un po’ sformato che tutti i suoi compaesani indossavano per nascondere le proprie deformità. Quando sollevò timidamente gli occhi, videro che il destro era verde, con la pupilla a fessura di un rettile, e il sinistro enorme e giallo come quello di un rapace notturno. Il naso era schiacciato e camuso; non aveva il labbro superiore e mostrava canini e incisivi allungati che quasi tagliavano quello inferiore in più punti. Ma lo sguardo era intelligente e scrutatore. A un gesto spazientito di Minos, Rigil scese a posarsi in un ampio cerchio sulla sua spalla, senza smettere di sghignazzare insolente. Lo stregone indicò a Brazo il bambino alle sue spalle. –Consegnerai la tua pergamena a lui. È il mio apprendista. Più versato di me nelle arti magiche propriamente dette. Potrà badare alle necessità del villaggio in mia vece se dovessi restar via per un periodo. Mi fido di più a far imparare a lui l’incantesimo che a lasciare che provveda tu. –Come preferisci– commentò Brazo estraendo la pergamena come prova di buona fede, apparentemente per nulla infastidito dalla dichiarazione senza mezzi termini. –In effetti avevo previsto che avresti detto esattamente questo. –Ovviamente non pretendo che tu lo faccia ora. Manterrò la mia parte dell’accordo e solo dopo mi aspetto che tu mantenga la tua. Da questo momento, chiunque non se la senta di assistere– e lo sguardo rossastro passò con intenzione sui paesani deformi –può andarsene. Anzi, è pregato di farlo. –Vorrei solo ripetere, prima che cominci– intervenne Sarn, serio –che per quanto mi riguarda, con stasera avrai pagato il tuo debito. Non ti obbligherò a fare per me nient’altro che tu non voglia. – Il debito con te, può darsi. Ma l’accordo col mago è un’altra cosa. È stato chiaro: se desidero quella magia dovrò andare fino in fondo a questa cosa. Quindi è quel che farò, e non c’è altro da aggiungere. Cominciamo. Hai deciso con chi vuoi parlare? Sarn glielo disse. La notte gelida dietro, i falò roventi davanti che non la annullavano ma spaccavano a metà ogni astante in due sofferenze uguali e contrarie. La maggior parte dei deformi, soprattutto donne e bambini, avevano seguito il suggerimento di andare a rintanarsi in casa sottraendosi allo spettacolo, ma alcuni erano rimasti acclamando e pregando forte: –Stregone Minos! Facci parlare con i nostri morti! –Stregone Minos! Fai sapere a mia madre che sono vivo! –Il mio bambino… se n’è andato così piccolo… ti prego, puoi dirmi dov’è? Le fiamme arrivavano così in alto che non se ne vedeva la cima. Era senz’altro uno spettacolo anche più imponente dei grandi falò augurali dell’anno nuovo che Sarn ricordava di aver visto accendere alle streghe della sua terra per tener lontani i fantasmi vaganti. Questo aveva invece la funzione esattamente opposta. Romita passava da un piede all’altro innervosita dalla tensione macabra e pagana nell’aria che infastidiva il suo luminoso senso del sacro. –Era proprio necessario?– chiese. –A me sembra una cosa favolosa– canterellò Tzivad gongolante, gustando ogni parola. –C’è del male innegabile qui. Non penso possa uscirne facilmente qualcosa di buono. Sarn fece un breve cenno col capo alla nana, ma continuò a guardare la figura sottile dello stregone al centro delle vampate, tremante e ondeggiante per qualcosa che non aveva a che fare con freddo o calore. Recitava sottovoce parole inaudibili, dondolando ritmicamente il corpo da pipistrello gigante, sollevando ogni tanto la testa in attesa. Si era levato un vento gelido, probabilmente richiamato dagli stessi falò. Le stelle erano nascoste da nubi in alto più nere del cielo. –Pensavo che gli stregoni danzassero selvaggiamente strappandosi i capelli in queste occasioni– osservò ancora Tzivad. –Minos non è come gli altri– rispose Sarnakand a bassa voce. Il piccolo apprendista aspettava immobile e in silenzio presso il fuoco più piccolo su cui bolliva il paiolo. Al centro dell’inferno le voci circostanti arrivavano molto attutite dal crepitio violento che tutto sovrastava. Ad ogni modo, via via che il rito andava avanti le invocazioni si erano affievolite fin quasi a zittirsi completamente, i supplici esausti per essersi sgolati o soltanto sopraffatti dal timore. Il calore bruciava gli occhi di Minos, troppo sensibili alla luce, che non avrebbero potuto lacrimare per altri motivi. Gli odori diversi e nauseabondi dei combustibili in fiamme si erano fusi in uno solo, acre, vorace, fumoso, che impregnava abiti e capelli. A un cenno del maestro, il ragazzino mescolò la broda con un lungo mestolo d’acciaio un numero prestabilito di volte e ne raccolse quindi una dose gocciolante che zelantemente gli porse, proteggendola con la mano perché non ne cadesse una goccia per terra. Lui bevve, avido come se fosse stato vino di sangue. E poi, con ampio gesto della mano da seminatore, sparse il resto sui fuochi circostanti. Prima che avvenga qualcosa, prima di provare qualcosa, puoi immaginarti con ogni dettaglio e precisione come sarà. Puoi anche esserne matematicamente certo, ma non saprai mai se davvero hai ragione finché non farai il paragone con la realtà. Scoprirai, solo allora, se hai colto perfettamente nel segno o hai commesso errori madornali– che neanche la migliore tua logica ha potuto prevedere. Solo la realtà sa sempre come andranno le cose. Lo sa già da prima, in modo da adattarvisi. È la logica che deve conformarsi ai fatti, non viceversa. Anche quando si tratta di un evento inaudito e mai sperimentato in tutta la durata del tempo, la realtà non resta sospesa per un attimo incerta su cosa fare. Accade, e basta. In quel certo modo e non in altri. Ne conteneva già la possibilità, e sa come gestirlo. Poi gli uomini sorpresi, studiando, ragionando, capiscono perché doveva essere così e non altrimenti. Ma la realtà lo sapeva prima di loro. Come se fin dal principio le fossero state scritte dentro tutte le possibilità, anche le più inverosimili, perché non rimanesse mai interdetta. Da chi? Per quale motivo? E in che modo? Alla fine, chiunque viva sulla terra non fa che chiedersi altro. E forse anche chi vive altrove. In questo caso, qualunque cosa si fossero aspettati quelli che guardavano, questo è quanto videro– le fiamme diventarono rosse come ciliegie spaccate appena quelle poche gocce che le avevano colpite evaporarono sfrigolando. Poi nere. Poi arancio vibrante. E contemporaneamente un lamento funebre raccapricciante parve passare nel vento, anche se nessuno poteva dire di averlo udito veramente con le proprie orecchie. Il vento stesso crebbe di forza e di volume, quasi trascinando via i presenti e spegnendo i fuochi giganteschi. Questione di pochi istanti. Poi tutto tornò come prima. Luci e colori si smorzarono d’improvviso. Poteva essere stata solo un’impressione fugace. Ma tutti i rumori erano come attutiti. Le fiamme non crepitavano più. Tutte le voci erano ridotte a men che mormorii. Il vento, dopo la sfuriata, era calato di colpo lasciando ogni cosa perfettamente immobile come se il tempo fosse rallentato fin quasi a fermarsi. E in quella luminosità innaturale, a qualche distanza dal suolo al centro dei falò, dove guardavano gli occhi bramosi di Minos, le fioche ombre convergenti create dalle colonne di fuoco parvero creare l’illusione condensata di una fievole figura umana, trasparente, le braccia lungo i fianchi e i capelli scarmigliati dal calore che saliva, in attesa. –Il suo spirito guida– disse Sarn. –Ora si comincia sul serio. –Tuo non è mai stato il diritto di chiamarmi qui– pronunciò lo spirito, con accento di noia adirata. Le sue parole erano troppo sussurrate perché anche in quel silenzio innaturale le udisse qualcuno al di fuori della cerchia dei fuochi, e comunque parlava in una lingua che nessuno dei presenti a parte Minos riusciva a capire, impostata ed arcaica nel vocabolario. Era l’unico abbastanza vicino da vedere i dettagli dei suoi lineamenti, il volto anziano e nobile arricchito da grandi baffi che contrastava stranamente con il selvaggio disordine della chioma e l’ondeggiare spettrale della figura a un vento inesistente. Lo stregone sostenne il suo sguardo. Normalmente gli stregoni hanno un buon rapporto coi loro spiriti guida. Minos, appunto, non era come gli altri. –Mio è sempre stato il diritto di comandarti– ribatté nel medesimo idioma. –Dov’è lei? –La sua anima è ancora turbata. Non la vedrai come non l’hai vista finora. Le provocheresti solo nuovo dolore. –Ed è una cosa che è stata decisa dall’alto… sempre se è in alto il mondo dove ti trovi ora… o è soltanto una decisione tua, nonno? Come lo è sempre stata? Il vecchio spettro parve irrigidirsi e impallidire, se fosse stato possibile. –Non osare… sei stato tu a… –Incolpi proprio me di quanto è successo. Io che sono l’unico a non averne colpa. Tipico di te. Così facevi anche da vivo. Ti è mai venuto in mente che se non fosse stato per il tuo atteggiamento, forse lei non sarebbe mai stata spinta a fare quello che ha fatto? Immobile, l’evocato si rifiutò di rispondere. L’evocatore gli lanciò uno sguardo di puro disprezzo. –È stata ingannata, ma è tua la responsabilità. Sei colpevole di quello che è successo a lei e a me. Altrimenti, perché altro saresti stato condannato a servirmi in morte per espiare i tuoi peccati? Chieditelo. –Io non ti considero…– esclamò lo spirito con sdegno. –Non voglio che tu mi consideri in alcun modo. Se non come tuo padrone. Un giorno darò pace alla sua anima. Non credo di avere motivi di fare altrettanto con la tua. Ora devi solo obbedire al mio ordine. Il vecchio parve lottare e divincolarsi, trattenuto dalle lingue protese delle colonne di fuoco come se fossero state colonne di pietra a cui era incatenato. Infine cedette gemendo tetramente. –E qual è il tuo ordine, padrone? –Concedi passaggio attraverso il mondo degli spiriti. Scortami salvo fino dall’anima che nominerò. –Non quella di lei. Sai bene che non ti è concesso. –Non quella di lei– convenne sordo Minos. –Non ancora, almeno. Ma per stavolta mi accontento. –Non la rivedrai in morte come non l’hai vista da vivo. Sai bene cosa ti aspetta alla tua dipartita. –Questo non lo sapremo fino a quel momento. Conducimi, ora. Tutto il resto finì piuttosto in fretta. Quelli al di fuori del cerchio videro solo una specie di corrente bianca passare nello spazio interno senza venire apparentemente da nessuna parte e andare da nessuna parte, come una folla di anime che scorressero davanti agli occhi dello stregone per essere esaminate e sceverate. Nessuna faccia era riconoscibile, anche se ogni tanto qualche bocca spalancata si separava dalla massa urlando imprecazioni o preghiere all’indirizzo della magra figura in nero, che gli altri non potevano udire. Fin quando il flusso rallentò e un’altra forma fumosa ristette accanto alla prima, sola, immobile e silenziosa. E alzò gli occhi verso l’esterno del cerchio, sul volto di colui per il quale era stata chiamata. Allora Sarn avanzò verso il centro, senza neanche attendere il gesto d’invito di Minos. Non videro quasi le sue labbra muoversi mentre dialogava con l’anima defunta. Durò soltanto pochi minuti. Dopodichè lo stregone gettò con gesto repentino sul fuoco di destra una manciata di qualcosa che somigliava a sabbia rosso cupo, e le fiamme di tutti i falò si spensero di colpo. Gli spiriti, reali o illusioni, scomparvero insieme alla luce, il gelo si abbatté su di loro come una belva in agguato quando il calore fu scacciato senza il tempo di dissiparsi, quasi un’illusione anch’esso. I colori della notte erano tornati normali, e la gente del villaggio sbatteva le palpebre per allontanare i bagliori lasciati negli occhi dallo spettacolo dissolto. Pian piano uno dopo l’altro presero a disperdersi e a tornare alle loro case, mormorando, forse delusi che le loro preghiere non fossero state ascoltate o consolandosi con l’immaginare di avere magari colto il volto di qualche familiare baluginare nel confuso fiume spirituale. Quando Sarn si riavvicinò ai compagni, fu con passo fermo come sempre, ma bianco anche lui quasi come un fantasma. –Cosa è successo precisamente?– chiese Tzivad, come sempre curioso. –Ho fatto chiamare la persona che la conosceva meglio– rispose a mezza voce il cavaliere –e che poteva sapere meglio di tutti dov’è andata. E infatti era così. –Dunque? Dove andremo a cercare la tua donna? Sarn esitò per un attimo, cercando le parole esatte. –Là dove non vuole essere trovata. Dove lei stessa è andata… nel suo mondo.
  16. Più che d'accordissimo sull'ultimo punto e naturalmente anche sulla Storia Infinita, uno dei libri che hanno segnato la mia crescita interiore e che avevo colpevolmente dimenticato di citare... non su Tolkien però, che è UN ALTRO degli autori ad averla segnata^^
  17. Meg-9

    L'inizio del mondo

    Quando comincia ad aumentare la mescolanza tra le razze, è quasi scontato che per riflesso aumenti anche l’intolleranza… e allora cosa fanno quelli che sono discriminati se non unirsi a loro volta per stare tra loro? Se sono violenti, cercano di opporsi con la forza a chi vorrebbe scacciarli e di prendersi o riprendersi ciò che dopotutto è loro diritto. Altrimenti, cercano soltanto un posto proprio dove stare relativamente in pace. Il villaggio era un posto del genere. Non aveva un vero e proprio nome perché nato da troppo pochi anni. Probabilmente non era ancora nemmeno indicato sulle carte del regno, incastrato com’era tra i boschi del Granducato in disparte da piste e sentieri trafficati, raggiunto da stradine ben note forse solo ai briganti. E a chi ci viveva andava bene così. Non che non ci fossero tanti altri piccoli abitati di quel genere ovunque, ora che si stava bene e perlomeno viaggiare era un po’ più sicuro. A pensarci, non c’era poi tanta differenza nello spirito rispetto all’agglomerato di baracche nel deserto. Qui tuttavia non mancava niente. Per le strade, una varietà di razze da far girare la testa, ma come aria generale quanto di più normale. Gentili signore umane che salutavano centauri col rastrello in spalla di ritorno dai campi… cacciatori non più alti di una spanna che confrontavano il loro carniere con mezzi giganti… un banditore elfo solitario nella piazza del mercato che decantava le sue ciotole di terracotta. Perfino membri di razze di solito considerate ostili, che sorridevano ai compaesani e andavano d’accordo con tutti. Una specie di piccola oasi. C’era un maniscalco, qualche negozietto, accenni di orti coltivati, un pozzo e perfino una locanda per eventuali viaggiatori smarriti… e per quelli che avessero avuto voglia di farsi in santa pace una buona bevuta di distillato fatto in casa. E naturalmente, come tutti i posti tranquilli che volevano restare tranquilli… –Ehi, buon oste! Un altro! …aveva anche i suoi difensori. –Signorsì! Immediatamente, vostra eccellenza ufficiale! Mi fa davvero piacere che apprezziate la marca di casa… –Ha! Non è neanche lontanamente forte come la birra nanica! Però come ANALCOLICO non ha affatto un cattivo sapore da gustare nel mezzo del pomeriggio… –Hic! Ssss un sbrufffonnnnn… ssss già DDDDIEC che tttt nnnnnnn ssss scooooolllllattt… L’oste sapeva che da qualcuno di quella razza non c’era da aspettarsi complimento migliore, perciò scosse solo la testa sorridendo e lucidò con cura un nuovo boccale. I due bevitori erano habitué del locale che avevano sempre fatto onore alla sua cucina e soprattutto alla cantina… e ormai la gente riservava loro il solito tavolo per abitudine anche nei giorni in cui non venivano a brindare. –Io sono ancora in forma. TU faresti meglio a non bere tanto di pomeriggio se poi ti riduci in questo stato. Lo sai che non dovresti cercare di starmi dietro.– Lunghe trecce bionde, una folta barba riccioluta e inanellata della stessa sfumatura e occhi vivaci tra l’una e le altre, la figura tozza era in effetti il ritratto della salute nell’uniforme metallica luccicante, orgogliosamente adorna del cerchio a nove pietre dei Custodi degli Anelli. Lo stesso non si poteva dire del tizio alto in vesti sgargianti letteralmente schiantato sul tavolo con la faccia su una pozzanghera di birra spillata dal suo ultimo bicchiere. Il cappellone con la piuma a tesa larga lasciava intravedere solo una barbetta ispida biondo–rossastra. –Giuro, non cambi mai. –E tu dovresti sapere… groan… che NON so dire di no a una buona pinta! Punto debole personale! Del resto, le poche volte che vieni a trovarmi come posso rifiutare di farti compagnia? Non ti vedo praticamente mai… –L’ultima volta mi hai visto la settimana scorsa! –Sempre troppo per me. Glub… vai con l’undicesimo… –Attento che svieni, lusingatore alcolizzato. O peggio, ti metti a cantare sotto le finestre altrui. –Mai. Sono ffffffedele fino alla morte. Ehi bella camerieraaaaa… –Come volevasi dimostrare… Tutti gli avventori sorridevano alla coppia rumorosa, avendo già assistito mille volte ad una scena poco diversa. I pochi che sbattevano gli occhi sorpresi o infastiditi erano quelli mai passati prima dal paese, o che ci si erano ritrovati per sbaglio, e non riuscivano a capire come si permettesse a quei due di far bisboccia tanto ad alta voce. Tra questi, evidentemente, anche l’uomo appena entrato dal quadrato luminoso della porta di fondo, che cercò per un po’ qualcuno con lo sguardo tenendo apparentemente a bada una buona dose di nervosismo, prima di decidere che forse gli strani bevitori facevano al caso suo e dirigersi decisamente verso di loro. –Vogliate scusarmi, signori… –Meglio che smetti finché sei in tempo. Lo dico per il tuo bene. –Ehi. Stessono uno tzzzzzzzzzigano e gli tzzzzzzigani reggono… glub… benissimo l’alcol… bleah! –E non vomitarmi addosso se puoi, grazie. Ho appena fatto lucidare l’armatura. Ho una reputazione da difendere in caserma. –Ah quanta... hic… freddezza e insensibilità… come sono sfortunato… speravo che almeno fossimo amici! –Signori, scusate…– Il ragazzo era giovane, nervoso, brufoloso ed evidentemente un mezzosangue. Come la maggior parte degli abitanti del paese, diventato un porto franco per quel genere di persone via via che il mondo esterno si faceva più freddo e scostante con loro. L’impaziente avventore però non era una faccia conosciuta, né apparentemente uso alla tolleranza, a quanto pareva dal suo comportamento insofferente verso il battibecco che non riusciva a interrompere e che tutti gli altri presenti conoscevano a menadito, ed anche dal suo atteggiamento offeso verso i due battibeccanti che lo ignoravano totalmente. Infine, dietro nuova insistenza, gli occhi chiari offuscati dall’alcol del tipo alto si arrovesciarono verso di lui. –Ssssì, gentile messere? Avete bisogno di me? –Quello di cui avrei bisogno– sbottò il giovane leggermente esasperato –è sapere a chi appartiene quel gatto parcheggiato qui di fuori. E mi dicono di venire a chiedere a voi. –Il gatto?– Le palpebre sbatterono due o tre volte nell’equivalente molto più lento e pesante di una perplessità passeggera poi sostituita dal ricordo del soggetto corrispondente alla denominazione. –Chi, Ferenc? Vi sta dando fastidio il mio micino? –A me? No, lo dà al mio cavallo. Lo sta terrorizzando a morte e non lo lascia passare! –Ah.– Nuova sbattuta di palpebre al rallentatore. –Ma Ferenc è solo un cucciolone, sapete. Ha voglia di giocare… –Be’, il mio cavallo non si sta divertendo! –Nuovo di qui, vedo– fu la risposta lagnosa. –E non molto abituato all’educazione. Protestare così per… hic… un innocuo micino… che non ha mai fatto male a nessuno… –Tzivad, vergognati– sentenziò gravemente la figura dall’altra parte del tavolo. –Stai causando disagio al signore. Adoro Ferencfurter ma te l’ho sempre detto che devi tenerlo più sotto controllo! Animo, ora vai fuori con lui e risolvi il problema. Lo sgargiante bevitore apostrofato col nome di Tzivad si aggiustò il cappellone sulla fronte riccioluta e fece qualche scarso tentativo di alzarsi dalla sedia per obbedire. Al quarto forse riuscì finalmente a raggiungere una parvenza d’equilibrio, rivelando una statura piuttosto superiore a quella dell’interlocutore– per quanto, il fatto che stesse in piedi ondeggiando più o meno come un nastro di stoffa sollevato dal vento non promettesse che avrebbe conservato a lungo quella posizione. Sbatté qualche volta la mano sul tavolo in cerca dello spadino inguainato posatovi sopra, ma non centrò mai quello di mezzo tra i tre o quattro che vedeva e finì per affibbiarsi dignitosamente aria alla cintura. L’ufficiale in armatura nanica venne sollecitamente in suo soccorso sostenendolo da una parte e guidandolo verso la porta. Un martello luccicante di metallo candido dondolava sulla schiena– di dimensioni tali che riusciva difficile crederlo sollevabile anche da un umano di due metri. –Forza. Dai. Un po’ d’aria ti farà bene. Ti farà tornare la lucidità. Un passo per volta… Il cavallo fuori era effettivamente intralciato. Ed era effettivamente, se non spaventato, quantomeno interdetto. La sua onesta intenzione giungendo alla stalla della locanda era stata di abbeverarsi ed entrarvi come un qualunque altro stallone stanco del viaggio e ligio al suo dovere di buon destriero. Non si aspettava di dover invece giocare al gatto col topo. E fare la parte del topo. Perché l’ingresso alla stalla era completamente sbarrato dal più superbo esemplare di felino pezzato mai visto, lustro pelo biancorosso, occhioni gialli socchiusi, ronron ciclopico nei polmoni, muscoli poderosi in petto e zampe e posizione di balzo pronta, da vero re dei vicoli o dei tappeti di lusso. Il tutto lungo più di tre metri e pesante in proporzione. Aveva perfino una ricca sella elaborata montata sulla schiena, e non mostrava la benché minima intenzione di spostarsi prima che il nuovo amico o preda gli avesse dato un po’ d’occasione di divertimento. Non qualcosa a cui la brava bestia, impegnata in quel momento a chiedersi se non era capitata dalla parte sbagliata di una lente d’ingrandimento, fosse preparata a reagire. Quindi restava semplicemente immobile ed incerta sul da farsi quando Tzivad il Buontempone, o Tzivad il Cavaliere del Gatto –come tutti lo conoscevano in paese– venne fuori a cercare di rendersi conto della situazione. Voltò in su gli occhi biechi e annebbiati sbattendoli un paio di volte con aria clinica mentre il suo cuccioletto riconosceva la presenza del padrone voltandosi appena e rivolgendogli un cortese mezzo miao, senza abbandonare la sua postazione di difesa da sentinella di fortino nel deserto. Dopodichè fece per voltarsi puntando decisamente di nuovo dentro la locanda e al suo tavolo. –Visto?– bofonchiò. –Come dicevo io. Ha solo voglia di giocare. Non ti preoccupare, non ha mai gradito la carne di cavallo… cruda. Llllasciali fare che fanno amicizia. Fu trattenuto da una solida mano guantata di metallo prima che il proprietario dell’equino minacciato potesse darsi alla disperazione di fronte a quell’atteggiamento. –Non osare lasciare le cose come stanno! Lo vedi perché dico sempre che non sei affidabile? Mettiti nei panni di questo povero signore! Di’ a Ferenc di togliersi di lì… –Sono contro ogni possibile violazione dello spazio personale altrui… –Senti, io lo so e tu lo sai che è innocuo, ma quel cavallo non lo sa… e se non è una violazione questa… –…e poi, ti sembra che quel micio mi dia mai retta quando gli dico di fare qualcosa? –Ehm.– L’altra mano armata andò a grattare la barba d’oro. –In effetti… –Inoltre, non è il cavallo che sta puntando. Guarda. Infatti in quel preciso momento il gattone colossale aveva spiccato il suo balzo predatorio con un gioioso urlo di guerra da presa del topo. Il cavallo s’impennò terrorizzato scalciando furiosamente con le zampe anteriori mentre il ragazzo cacciava un’imprecazione semidisperata, ma Ferencfurter volò decisamente almeno un metro sopra la presunta vittima coprendola con tutta la sua ombra prima di atterrarle dietro con tutt’e quattro le zampe piantate con precisione e artigli sguainati addosso a un giovane orso ringhiante che nessuno aveva visto uscire dai cespugli– e che, quello sì, aveva mirato al cavallo o forse alle persone riunite imprudentemente in un punto così marginale del villaggio e vicino alla boscaglia. Il grosso predatore si contorse nella presa del gatto in cerca d’aiuto. –Quello dev’essere un orso nuovo della zona– osservò Tzivad serio, apparentemente tornato sobrio di colpo. –O forse la carestia spinge anche gli animali della foresta a gesti disperati. È un’annata scarsa per tutti, questa, purtroppo. –O magari stai sopravvalutando le bestie feroci– soggiunse con tutta calma l’ufficiale nano lasciandogli il braccio e avanzando verso la preda squittente che il gatto gigante teneva ferma con fusa sonore, senza decidersi a giocarci o mordere, dandole un’umida leccatona ogni tanto. Ferenc non fece una mossa al suo avvicinarsi, lasciando che il suo giocattolino fosse esaminato tranquillamente e alzando il livello del ronron a un’energica carezza sul testone. –Oppure sottovalutando la ferocia di certe persone. Afferrò il pelo sulla nuca dell’orso tirando verso l’alto in modo che il suo pugno sinistro fosse ben visibile agli occhi spaventati. –Allora… vogliamo farci vedere e smetterla con questa buffonata o ti lascio al micio? O preferisci che mi occupi io di te? Non saremo nella mia giurisdizione ma secondo la regola dell’ordine posso sempre arrestare i disturbatori della quiete pubblica usando la forza necessaria. Sappiamo benissimo che nessun orso vero attaccherebbe della gente nel mezzo di un paese. O anche qualcosa di grosso come un cavallo. Rischierebbe di finir male. Ma tu questi scrupoli non li hai, dico bene? Parve per un istante, a queste parole, che le nocche balenassero realmente di bianco. Il muso peloso reagì trasalendo, se così si poteva dire di un animale. Ma era un animale? Lunghe orecchie e protuberanze rientrarono nella testa, i peli si diradarono, tutta la sagoma parve sciogliersi e in men che non si dica tenuto nella salda presa dorata c’era un uomo nudo con le mani ben alzate, e più che leggermente terrorizzato. –Mi arrendo. Mi arrendo. Arrestatemi pure… ma non lasciatemi mangiare da questo mostro! –Oh, non c’è problema per questo. Lascialo, Ferenc, per favore. Bravo micio.– Il gattone obbediente spostò le zampe da un quintale l’una e lasciò estrarre il poveraccio mezzo morto che cercava di coprirsi, ottenendo in premio l’agognata vigorosa grattata dietro le orecchie. –Lo vedi, Tzivad? Obbedisce, se sai come prenderlo. E così abbiamo un altro brigante ladro di cavalli capace di cambiar forma. È già il terzo, questo mese. Prima o poi riusciremo a fargli confessare dove si nasconde la loro banda, spero. Buon per lui che Ferenc è sempre stato troppo schizzinoso per mangiare carne viva. Dovremo dargli i suoi soliti cinque chili di salsicce per premio.– Si rivolse al proprietario del cavallo sbalordito. –E voi, buon signore, a quanto pare dovrete fargli le vostre scuse. Ha salvato la vostra bestia. L’avevate malgiudicato solo a causa della stazza. –Ah… eh… ehm… certo…– mormorò il giovane mezzosangue sbalordito, trattenendo in volto le due domande che doveva avere più voglia di fare tra tutte quelle che si affollavano, cioè come si chiede scusa a un felino di quelle dimensioni e, soprattutto… era normale che un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni voltasse così le spalle a un criminale appena arrestato? Infatti, prima che nel suo sbalordimento potesse mugolare una parola o alzare un braccio in avvertimento, l’ex orso si era tirato barcollando in piedi e, vedendo che tutti distoglievano lo sguardo da lui, aveva preso la corsa per tornarsene nella sua foresta. L’ufficiale però l’aveva notato, voltando appena appena la testa con aria annoiata. E a quanto pareva anche il Cavaliere del Gatto, con uno sguardo più scocciato che mai per la doppia interruzione ai sacrosanti fatti suoi. –Ma dove te ne vai?– esclamò stancamente. –Ma dove vuoi andare?– Sollevò una mano a palmo in su e gettò senza neppure guardare una luce blu brillante contro la schiena del fuggitivo. Beccandolo in pieno. L’alone luminoso ci mise un istante a ricoprire completamente il corpo dell’uomo e a bloccarlo rigido come una statua nel bel mezzo di un balzo– una gamba per terra, una per aria, pugni stretti e occhi sbarrati, senza poter spiccicare parola e costretto a mostrare a tutti i passanti le proprie meraviglie della natura. Due o tre signore si erano fermate a dare un’occhiata alla scena, e le si sentì ridacchiare. –Va bene così? Cielo, questa gente. Pensano davvero sempre di farla franca. Dovrebbero averla imparata. Vabbe’, vado a dire ai miei ragazzi che lo portino in cella– brontolò l’ex ubriaco arrotando con somma cura ancor più ogni esibizione della sua erre moscia. Si grattò con forza la testa sotto il cappello come a svegliarsi del tutto e si voltò con uno sbadiglio, mentre l’ufficiale si rivolgeva di nuovo cortesemente al nuovo arrivato. –Vogliate scusarlo. È un po’ rozzo dopo tanti bicchieri, ma ci si abitua. E voi, invece? Se venite da fuori, credo abbiate qualche affare da sbrigare qui? Non sono neanch’io del posto, ma lo conosco piuttosto bene. Ditemi pure se posso aiutarvi. –Ah… sì, sì, certo– ripeté quasi il tipo ancor più sbalordito, confermando i pregiudizi degli astanti sullo sviluppo del suo vocabolario. –In realtà ho sentito parlare di questo villaggio… e della milizia locale… ero venuto a chiedere se fosse possibile unirvisi. Raccontano cose incredibili su… –Capisco. Be’, devo dire che allora avete avuto fortuna. Vi ci accompagniamo noi. Sono sempre in cerca di giovani volenterosi per sistemare rompiscatole come quello. E non sono tanto formali. Se ve la cavate a combattere, di certo non ci sarà alcun problema ad entrare. –Be’…– Il ragazzo sorrise, visibilmente rinfrancato dalla cortesia. –Mi siete molto d’aiuto… Grazie. Davvero grazie mille, mastro nano. –Mastro… L’espressione cordiale degli occhi ridenti si raggelò di colpo. –…nano?! Tzivad fermò il passo quasi con un piede appoggiato e l’altro no, senza nemmeno voltarsi. Un istante dopo, il rinfrancato aspirante miliziano locale stava saltellando in giro all’impazzata cercando di schivare i colpi vorticosi dell’enorme martello candido più che intenzionati ad abbattersi sulla sua capoccia, mentre l’ex cortesissimo ufficiale sbraitava con gli occhi rossi e i capelli quasi dritti in testa mortalmente offeso. –Mastro nano a chi?! Ma possibile che in GIRO debbano sempre esserci solo dei dannatissimi MASCHILISTI! Vedete una barba lunga e cosa pensate SUBITO, eh? Come se non avessimo anche noi il diritto di abbigliarci come ci pare! Ma io ti SFRACELLO… ti DISINTEGRO… ti RIDUCO A UN… Senza più la forza di scappare, il povero malcapitato che aveva sì e no capito a metà il suo errore vide tutta la vita passargli davanti in una testa metallica calante prima di essere afferrato da un braccio magro, tirato con forza in sella a un gattone in corsa e portato via riverso come un sacco di patate in direzione del fortino del villaggio. Si sentì il tonfo del martello che pestava la terra morbida e poi una serie di esplosioni ravvicinate quando la sete di vendetta passò ad esprimersi con le pallottole della pistola istoriata cavata dalla cintura. Gliene fischiarono tre o quattro intorno alla testa, con Ferencfurter che correva a tutto spiano e Tzivad che ridacchiava ben divertito: –La vedi? Quella è la mia ragazza. –NON sono la tua ragazza, pervertito FIGLIO DI UN SATIRO!– urlò in lontananza la voce EFFETTIVAMENTE un po’ più acuta –l’indelicato forestiero avrebbe dovuto accorgersene– di quella di un nano maschio. Un nuovo pallettone decorato a rune sfiorò ronzando l’orecchio dello tzigano irriverente e il cappellone calò di lato –fortunatamente trattenuto da una previdente cordicella al collo– rivelando due cornini appena visibili sulla testa biondo–rossastra riccioluta. –Colpo basso, Romita! Ti do forse della FIGLIA DI UNA NANA DEL SUD di fronte alla gente, io? Ti perdono solo perché non sei in te!– Il Buontempone si chinò perfettamente tranquillo e sorridente sul suo passeggero interdetto commentandogli con occhi lampeggianti: –È una da cercare di non far arrabbiare, eh? Ma non preoccuparti, è tutta scena. Se avesse voluto davvero ammazzarti, l’avrebbe fatto al primo colpo.– Una pausa pensosa di un istante. –Ed è la mia ragazza, beninteso. Devo solo riuscire a farle accettare la cosa. Il portone di tronchi intrecciati del fortino calò dietro la corsa del gatto gigante come a far entrare una ritirata di cavalleria coi nemici alle calcagna, anche se le grida e gli spari di Romita ormai si erano spenti alle spalle dei fuggitivi da un po’. Si vedeva che gli occupanti erano abituati a simili emergenze quotidiane. I membri della milizia si affollarono attorno al Cavaliere del Gatto e il suo malcapitato accompagnatore dovette rendersi conto dell’ennesima cosa sbalorditiva della mattinata… era lui il capo di quel formidabile corpo di volontari che respingevano in ugual misura dalla foresta predoni di strada, squadre di miliziani intolleranti e animali incattiviti, di cui aveva tanto sentito parlare e desiderato entrare a far parte. In mezzo ai suoi uomini sembrava deciso, autoritario e sciolto quanto prima aveva dato l’impressione di essere semplicemente un ubriacone come tanti. Un centauro vestito di una peculiare armatura metà cotta e metà bardatura si avvicinò a far rapporto e chiedere ordini, e il giovane sballottato venne affidato a lui. –Ha detto che vuole star qui. Prendetevene cura e fategli fare un giretto del fortino. Mi sa che ha anche bisogno di qualche bicchierino di quello buono… e anch’io. L’effetto di quella birra mi è passato quasi del tutto. Vado un po’ in camera mia a strimpellare qualche canzone. Quando il generale Durapetra sbollisce e viene a bussare, fatela entrare, d’accordo? Ah, e qualcuno porti Ferenc nella sua cuccia e gli dia una buona spazzolata col suo pettine preferito. Se lo merita. E pappa a volontà. –Vedi– proseguì poi rivolgendosi all’ospite –qui siamo tutti o quasi mezzosangue. Anche discretamente insoliti, non so se mi spiego. In paese c’è gente di tantissimi tipi diversi e nessuno si permette di offendere qualcun altro. Comunque abbiamo tutti almeno una cosa in comune: non ci trovavamo bene dov’eravamo. Diversi per razza, per idee o per altro. E avevamo tutti solo voglia di starcene in pace. Oggigiorno purtroppo non sono più in tanti disposti a lasciare in pace chi vuol farsi i fatti suoi. Quindi ce ne siamo venuti qui. Suppongo che per te sia lo stesso. Il ragazzo aveva recuperato abbastanza presenza di spirito da rispondere con un vago cenno d’assenso che Tzivad accolse con un altro. –Allora, da noi si accettano tutti… devi solo capire che non attacchiamo mai per primi. Ci limitiamo a difenderci. Vogliamo stare in pace coi nostri vicini e se loro non ci fanno brutti scherzi non gliene facciamo neanche noi. Anzi, tante volte quando hanno bisogno di una mano ce la chiedono e gliela diamo volentieri, e loro fanno lo stesso. Non ci interessano dispute per il territorio né per la religione, non ci interessano questioni feudali, non ci interessano stupide liti. Non ci facciamo coinvolgere nella politica, non abbiamo bisogno della protezione di nessuno e non ci importa neppure di avere un capo. L’unico nostro desiderio è una vita tranquilla in un posto tranquillo dove ognuno possa fare quel che più gli piace senza infastidire nessuno. Se hai capito e sei disposto a restare a questi patti… sei il benvenuto, d’accordo? Fatti guidare dal mio secondo.– Indicò col pollice un tipo robusto che si stava avvicinando, con una tunica biancoverde lunga che fuoriusciva dal giustacuore protettivo e una grossa spada ricurva affibbiata in spalla. Anche lui apparentemente un sanguemisto, ma dall’aspetto più fiero di tutti quelli che avesse visto finora. –Lui penserà a spiegarti tutto il resto. –Ehm. A questo proposito, capo… hai visite– riferì il tipo così armato. –Quel tuo amico. L’abbiamo fatto accomodare nel tuo appartamento visto che non sapevamo quando saresti tornato. Dice di aver bisogno di te per una cosa urgente. –Il mio amico? Sarnuccio? Davvero? Bene! Quanto sarà che non lo vedevo? Sarà ottimo farci una bella bevuta di rimpatriata tutti e tre! Romita ovviamente alla fine si era calmata ed era venuta a bussare. Scusandosi per il suo scoppio di rabbia ma precisando di ritenerlo tuttavia giustificato. Era TANTO che doveva vedersela ogni giorno coi pregiudizi di chi non riconosceva il diritto delle donne nane a non radersi e a vestirsi allo stesso modo dei maschi. Nelle terre vichinghe del nord lo facevano tutte e nessuno ci trovava niente di strano! Nonostante il suo grado, a volte si sentiva ancora discriminata e NON era una bella sensazione. Difficile stare al mondo quando cerchi di lanciare una nuova moda. O un nuovo modo di vedere le cose. Era una struttura fantastica, quella. Degna della sua reputazione. Tutta costruita in legno, senza l’ombra di pietra o di cemento, dall’esterno era ricoperta di rami verdi in modo da sembrare parte integrante del bosco finché non si arrivava a distanza davvero molto ravvicinata. Qua e là, alberi vivi erano addirittura incorporati nei muri senza sbavature, quasi modellati appositamente grazie a magia o semplicemente arte della coltivazione molto avanzata per integrarsi negli angoli e fornire riparo e postazioni agli arcieri. Altrove, era la palizzata a seguire contorni più bizzarri per inglobare una quercia particolarmente voluminosa o girare intorno a un grosso macigno che non si era voluto lasciare fuori. All’interno c’erano semplici casermoni, campi d’addestramento, dispense, ma anche edifici più elaborati con stanze dotate di tappeti preziosi, opere d’arte, bel mobilio… a seconda dei gusti dell’occupante… che non avevano nulla da invidiare a un sontuoso palazzo ed erano anche MOLTO più tranquille. E senza il minimo spiffero che passasse tra le pareti di tronchi, tanta era stata l’arte del costruttore. E adesso tutti e tre gli amici se ne stavano effettivamente tranquilli nella stanza in penombra di Tzivad a chiacchierare sommessamente davanti a una buona tazza di tè nero. Quello del Cavaliere del Gatto, corretto con la birra di mirtilli. Anzi, era più giusto dire che fosse birra di mirtilli corretta col tè nero. Romita si versò invece una dose generosa di latte e una buona porzione di torta allo stesso gusto– fatta da lei, ne andava molto fiera. –Bene, capisco benissimo– disse guardando il preoccupato Sarn di fronte a sé con simpatia tutta femminile. –Se non fosse una situazione del genere, ti farei anche le mie congratulazioni. Sono contenta che finalmente tu abbia trovato qualcuno. Mi sembravi sempre così triste da solo.– Sarn la ringraziò con un cenno discreto del capo. –Naturalmente puoi contare sul mio aiuto. In questo periodo non ci sono emergenze che richiedano la mia presenza continua alla roccaforte. Posso lasciare al comando i miei subalterni e concedermi tranquillamente una piccola licenza. Tzivad apriva e chiudeva distrattamente la sua fisarmonica traendo qualche accordo a caso tra un sorso e l’altro. –Ovvio che vengo anch’io. Con Ferenc. E dunque, saremo in cinque più i nostri cuccioli? Hai chiesto anche a qualcuno degli altri? –No… Comes è partito per uno dei suoi viaggi verso il nuovo continente… e comunque sua moglie lo vuole a casa con lei e col bambino. Anche i nostri altri amici maghi hanno messo o stanno mettendo su famiglia e non avrebbero tempo da dedicarmi. A parte che non chiederei loro di lasciare dei bambini piccoli da soli. E poi, Brazo ha detto che in cinque saremo sufficienti. Altri generi di magia sarebbero superflui, secondo lui. –Vecchio Brazo– rise Tzivad. –Ti dà sempre l’impressione di saperne più di te perfino sui tuoi stessi affari privati, vero? Sarà un piacere rivederlo. Diavolo, sarà un piacere rivedere perfino quel mezzo morto di Bonifar. È ancora così lugubre? –Forse un po’ meno. Ma anche, se possibile, di più– sorrise il Magnifico. Romita arricciò il naso. –Bene. E così un altro di noi si sistema. Il prossimo potrei essere io. Appena riuscirò a far capitolare questa bellezza montana. La nana sbuffò nella barba. –Tzivad, ne abbiamo parlato cento volte. Siamo troppo diversi per… –A proposito di diversi– tagliò corto lui impedendo alla predica nascente di prender forma. –Khiza e Klaus sono stati qui proprio questa settimana. Inutile dire che cercavano te. Vengono ogni volta al villaggio perché sei sempre in giro e non saprebbero dove altro trovarti. –Capisco. Dev’essere per via del fatto che faccio di tutto per non essere trovato. –Immaginavo.– Il comandante del fortino annuì saggiamente. –Ma in fin dei conti non è che abbiano tutti i torti. La loro idea è fondata. Ormai esiste un gran numero di ibridi tra le varie razze… lasciando stare quelli insoliti come ME, i tuoi simili si possono già considerare una razza a parte. Ed altri si aggregherebbero a loro. Visto che i posti dove siamo accettati sono sempre meno… e che dobbiamo venire a rifugiarci in porti franchi come questo su tutto il continente… perché non rivendicare un territorio nostro e un posto nostro come popolo? Sarebbe il modo migliore per difenderci e assicurarci l’esistenza pacifica che cerchiamo. –Sembra quasi che tu sia d’accordo con loro– borbottò Romita storcendo la bocca. –Non sono contrario. Capisco il loro punto di vista. –Anch’io– soggiunse Sarn. –Però continuo a non essere convinto che sia la soluzione giusta. Con la nuova era… si diceva che tutte le razze avrebbero imparato a vivere insieme come un tutt’uno. Purtroppo sembra che sia più difficile del previsto. Ma questo non vuol dire che si dovrebbe smettere di provare. La necessità di difenderci da chi vorrebbe farci del male è una cosa… sapete che vi ho sempre aiutato a proteggere i vostri avamposti. Ma isolandoci dagli altri, separandoci ancor più, cosa vogliamo ottenere? Cosa potremmo ottenere se non aumentare incomprensioni e conflitti? E poi, dove potremmo reclamare un territorio nostro in un continente già così popolato? A meno di non partire tutti in massa per chissà dove… come pare stiano facendo alcuni elfi… o di strapparlo a qualcuno. E sarebbe soltanto una nuova guerra. A volte può essere necessario scontrarsi. Ma non credo nelle guerre che iniziano col motto di servire a riportare la pace. Finora ce ne sono state tante e non ne ho mai vista nessuna mantenere le sue promesse. –È possibile che alcuni decidano di avviarla comunque– commentò Tzivad a bassa voce. –Khiza forse no… lui cerca sempre di essere la voce della ragione… ma Klaus e quelli come lui… sono fin troppo stufi di starsene con le mani in mano. –Allora la avviino pure, ma senza di me. Forse sarò troppo idealista, ma non farò parte di qualcosa che non ritengo giusto. Il giovane alto scosse la testa. –L’avrebbero già fatto se avessero pensato che poteva funzionare. Ma il popolo non si unirà senza un capo in cui aver fede. E Klaus sa bene di non poter essere lui quello. Pochi lo seguirebbero. È troppo testa calda… e, diciamocelo, fa anche paura ai suoi stessi compagni. Serve qualcuno che sappia fare il capo. Serviresti tu. –Non credo di essere l’unico ad avere le qualità che vogliono loro. –Potresti esserlo, invece. Forse solo per le tue tante abilità. Forse perché sei obiettivo e riesci sempre a far prevalere la ragione, più di chiunque altro conosca. Forse per il rango di tua madre come strega, o per la tua posizione nella chiesa della Redentrice. La Fanciulla Cigno sta raccogliendo una quantità di fedeli da qualche anno a questa parte, come protettrice dei figli di razze diverse, sai? –Tanto più a ragione, allora. Lei rappresenta anche l’unione degli opposti. Ed è contraria ad ogni divisione e segregazione. Anche per questo l’ho scelta tra tanti dei bellicosi. –Non saprei. Non m’interesso più di tanto di religione.– (Nuova smorfia di Romita a queste parole. Ammicco acuto di Tzivad). –Ma in fin dei conti l’importante non è cosa penso io o tu. È solo che sei stato scelto. In qualche modo già solo questo non ti rende responsabile? Per quanto io sia l’ultimo che può dare lezioni sulla responsabilità. Ma so che per te invece è importante. –E cosa faremo quando i mezzosangue saranno una nazione?– chiese Sarn amaramente. –Passeremo poi a creare tante piccole nazioni per ogni tipo diverso di incrocio? Una per i figli di orchi come Khiza, un’altra per Klaus e i suoi simili? Penso che lui ne sarebbe molto contento già adesso. Una solo per te, o solo per Minos? Tutti insieme ma ognuno per conto suo, con tanti confini sorvegliati? E a chi sgarra, cosa succede? In queste condizioni… altro che difenderci, se arrivasse un nemico vero da qualche altra parte non avremmo possibilità di resistere. Né noi, né gli altri popoli del continente. Se cominciamo ora a sottolineare le nostre differenze invece delle somiglianze, ci autodistruggeremo e basta. Non solo dal punto di vista militare, ma come persone. Dobbiamo vivere insieme. –Esatto. Proprio quello che dico io– approvò la nana annuendo con vigore. –Bisogna mediare e convincere la gente con l’esempio che è possibile. Io ci sto provando da anni alla capitale. –Se è per questo, anche Sarnuccio… cioè, il qui presente glorioso eroe Sarnakand il Magnifico– commentò Tzivad. –Da quando lo conosco. Va sempre avanti e indietro tra un posto e l’altro per mantenere i contatti tra comunità diverse. Non si è mai stancato di agire da intermediario per preservare la pace tra città vicine. E dovresti vedere che postazione ha creato: un vero centro di scambi culturali e di commercio. Al confronto mi vergognerei, visto che io non faccio altro che proteggere questo posticino… sempre se fossi abbastanza morale per vergognarmi, certo– ridacchiò strizzando l’occhio furbescamente a Romita. –Però… purtroppo, per quanti tentativi si facciano, dobbiamo ammettere che non sempre funziona. E che non tutti sono disposti a provarci. Almeno qui, vedo la situazione incupirsi più che migliorare. Forse si sta davvero andando almeno verso una guerra tra umani ed elfi. A questo punto, non potendo evitarla, dovremmo magari scegliere il male minore?– sogghignò. –Ehi, una nazione tutta mia… Tzivadolandia… potrebbe non essere poi tanto male! –Un paese dove non andrei a fare una vacanza– storse la bocca la nana. –Almeno non una lunga. –Non credere che non ci abbia pensato– sospirò Sarn rigirando il suo bicchiere prima di sorbire attentamente il liquore. –O che non mi senta responsabile, come dici tu. Non sono ancora certo che un dittatore e una posizione difendibile siano la cosa migliore per la nostra gente. Però potrebbe essere l’unica scelta per limitare le vittime se tutto dovesse precipitare. E in questo caso… non credo che avrei il diritto di tirarmi indietro. Non ho detto di sì a Khiza e Klaus, ma neanche di no, per ora. Sto semplicemente evitando il problema. Mentre continuo a rifletterci. Ma almeno per un po’, in questo momento, non voglio sentirne parlare. Sarò egoista. Ma c’è qualcosa che per me adesso è più importante. Proteggere la mia famiglia. –Su questo siamo più che d’accordo.– Il Buontempone poggiò da parte il suo strumento stiracchiandosi per alzarsi. –Dunque, ho il tempo di fare i bagagli o si parte immediatamente? E ci dirai anche per dove? –Vi spiegherò tutto cammin facendo mentre torniamo da Minos. Brazo ha decisamente cominciato a comportarsi come chi prende il comando, e vuole rimandare certi dettagli a quando saremo tutti insieme. –Se c’è un po’ di tempo a disposizione– intervenne Romita –passerei a rifornirmi alla capitale. Potete venire anche voi. Un buon equipaggiamento è la prima cosa a cui pensare per evitare guai durante una cerca.
  18. Meg-9

    L'inizio del mondo

    Il cielo si fece buio e la terra si fece scura. Il fuoco tingeva il terreno circostante dello stesso colore dimenticato indietro dal crepuscolo. Unico rumore, il suo crepitio: o in quel deserto non c’erano animali, oppure erano incredibilmente bravi a non farsi vedere e sentire. Come in tutti i posti dove vivono predatori molto pericolosi. Il campeggiatore propendeva per la seconda ipotesi. In fondo, sapeva quale preda lui stesso era venuto a cacciare. Doveva essere davvero difficile sopravvivere in quel posto. Anche se a ben cercare, si trovano sempre segni di vita. Un piccolo stagno stentato alimentato da un ruscello rachitico, ma abbastanza per contenere qualche pesce. Un ciuffo d’erba in qualche angolo riparato. Veramente poco, ma poco qualche volta basta. Cova e resiste finché un giorno non esplode inaspettatamente dalla devastazione. L’aveva visto succedere. Tante volte. Teneva gli occhi fissi sul pesciolino che stava arrostendo sulla fiamma, ma le orecchie tese al minimo fruscio d’agguato. Restava quasi immobile, come recitando una parte. Perché non aveva il minimo dubbio di essere osservato. Sarebbe potuto venire di persona, oppure tendergli un’imboscata. Non c’era modo di saperlo. Solo aspettare. La notte era gelida quanto il giorno doveva essere stato torrido, ma la cosa non gli importava più di tanto. Finalmente. Né un sibilo di freccia, né uno strisciare di serpente. Passi. Passi strascicati e una figura zoppicante, avvolta in un mantello tutto bozzi, che avanzava verso di lui dal buio. Si alzò in piedi. L’essere ammantato si fermò appena fuori dal cerchio di luce, dondolando leggermente sulle estremità e badando a tenere in ombra il volto nel cappuccio. La voce con cui gli si rivolse era roca e non familiare– non lui, quindi. –Cosa volete qui, signore? Non cerchiamo problemi con nessuno. Vogliamo solo essere lasciati in pace. –Allora dovreste aspettare più di qualche ora prima di farvi vedere da un estraneo interessato– notò Sarn, clinicamente. Poi, con un profondo respiro, quasi scusandosi: –Sto cercando una persona. –Non ci sono persone qui, buon signore. Solamente noi. Scartò le battute ovvie che gli venivano in mente alla strana risposta. –Sto cercando uno stregone. L’uomo, o quello che era, dondolò nuovamente un attimo su se stesso prima di rispondere. Forse sorpreso, o forse perché se l’aspettava. –Non vogliamo vedere nessuno. Anche se tra noi ci fosse chi cercate, nemmeno lui vorrebbe vedere nessuno. Vi preghiamo di non farci del male. A questo punto era ovvio chi gli avesse messo in bocca queste parole. –Minos sa che non ve ne farei. Se no non vi avrebbe mandato a darmi questo messaggio. Ma so bene che si è stabilito in questa zona. Mi spiace, ma ho bisogno del suo aiuto. Devo insistere. –Non vuole vedervi. Potete anche andarvene. È inutile. Bene, carte scoperte. –E voi potete anche rispondergli che resterò a dar fastidio finché non si deciderà a parlare con me. Dopotutto me ne deve una. Per quanto questo possa valere per lui. La creatura avanzò di due passi come se le costasse caro, gettando indietro con un sospiro il cappuccio. Sarn non poté trattenere un fremito di stupore al vedere quel volto. Deforme e sfregiato come un pupazzo di creta su cui un bambino si fosse divertito prima che indurisse del tutto. –Sapeva che avreste risposto così. Va bene, venite con me e vi porterò da lui. Ma devo pregarvi… –Se vi ha detto chi sono, vi ha detto anche che terrò il segreto, qualunque sia. E che non farò nulla per danneggiare voi o lui. Voglio solo parlargli. Avete la mia parola. La brutta faccia sembrò ancor più brutta e alterata quando sorrise. –Danneggiare lui? Credo che nessuno ne sia in grado, signore. Seguitemi. Vi avviso, però. Oggi è di malumore. E il vostro arrivo ha peggiorato la situazione. Quando è così, non c’è nessuno che non abbia paura di lui. Sarn seguì la creatura zoppicante in silenzio, ascoltandone il respiro affannoso e notando la difficoltà con cui avanzava. Il suo corpo, sotto l’abito ampio, doveva essere malformato come il volto. Ma rimandò anche le domande a se stesso a dopo che avesse incontrato Minos. Era una strana piccola processione, loro tre in fila indiana, sotto la luna, attraverso il terreno brullo e piatto, apparentemente uniforme e senza segni particolari, a parte le rocce affioranti ogni tanto dal suolo. L’oscurità quasi totale non dava fastidio al pellegrino guidato né alla sua compagna, e apparentemente neanche alla loro guida, che non portava torce né lanterne ma avanzava lo stesso con passo sicuro dal nulla verso il nulla. Nonostante la distanza già percorsa, il paesaggio continuava a non cambiare. Sarebbe anche potuta essere una marcia in tondo all’infinito. Eppure ci si poteva vivere evidentemente, anche lì. Perfino in più persone. Risicando, stentando. Ma tenendo duro. Una vita da semimorti, in un certo senso. Be’, e perché no? Aveva visto succedere tante volte anche questo. E sembrava decisamente adatto al personaggio. Infatti… a poco a poco, ecco che intorno a loro cominciavano ad affiorare segni di una presenza. Uno straccio bagnato gettato su una roccia. Pezzi di legno sfasciato che dovevano essere stati qualche tipo di utensile, con una lucertola dalla strana forma che vi aveva stabilito la sua dimora. Le immondizie, calcificate dal calore, di una casa, oppure di una comunità. E infine, addossate ad un’altura nuda un po’ più grande che doveva ripararle dagli eccessi di clima e temperatura, un cerchio di piccole baracche. Alcune figure si muovevano incerte tra esse. –Mi avete dato del voi, prima– mormorò inaspettatamente la creatura, senza voltarsi. Sarn non rispose. –Volevo ringraziarvi. Non l’aveva mai fatto nessuno. Per quanto per noi una cosa del genere sia sprecata. –Non credo che la gentilezza sia mai sprecata. O che esista qualcuno che non la meriti. Non ebbe risposta. Gli abitanti dello strano piccolo villaggio notturno li fissavano a occhi sgranati, interrompendo un attimo le loro attività quotidiane al vederli passare, spaventati dalla presenza degli stranieri. La loro guida rassicurava continuamente tutti a gesti che non c’era pericolo immediato. Solo pochi osavano mormorarsi qualcosa con tono soffocato. Qualcuno indietreggiava rientrando nella capanna. Nessuno alzava la voce. Alcuni intrecciavano cesti, altri raccoglievano carne essiccata o cucivano abiti. Sembravano abituati a vivere di notte. Di giorno probabilmente restavano nascosti per non attirare l’attenzione. Non c’erano luci accese da nessuna parte. Uomini, donne e perfino qualche bambino, pareva, per quanto pochi… e nessuno con un aspetto normale, come l’avrebbe definito un umano o un elfo. E nessuno simile all’altro. Qualche faccia sbucava dai cappucci… occhi non allo stesso livello, o di dimensioni diverse. Esseri piccolissimi con volti rugosi. Tratti animali in un volto sovrapposto a un corpo di donna. Alcuni avevano più di due braccia, o gambe diseguali, o una coda. Le case erano le più miserabili che avesse mai visto… raffazzonate, cadenti, come se bastasse un colpetto per disfarle in mille pezzi e spostarsi altrove. Come doveva forse essere già successo altre volte. Tutto il posto sembrava effimero, sul punto di fuggire al minimo segno di pericolo o di ostilità, senza neanche un tentativo di resistere. Chissà di cosa avevano paura quelle strane creature. Probabilmente di tutto e tutti. –Minos?– sussurrò Reja. –Credi che lui abbia… –No. Non lo credo.– Infatti Sarnakand non voleva crederci. Ma non solo. Dubitava che per quanto il suo vecchio conoscente fosse pazzo, crearsi dei sudditi del genere per il proprio sollazzo fosse in suo potere. O che per quanto potesse essere in suo potere, fosse davvero così pazzo. Le due cose non potevano stare insieme. Lui dov’era comunque in mezzo a questa gente spaurita? Parte del villaggio era costruita in superficie. Un’altra parte sembrava situata all’interno di una gigantesca caverna aperta nello sperone roccioso. Era lì che il loro anfitrione apparentemente li stava guidando. Il buio era ancor più profondo all’interno, dove la luce della luna e delle stelle non arrivava. La grotta appariva molto più grande dentro di quanto fosse sembrato da fuori… si estendeva scendendo lentamente di parecchio dentro la terra oltre l’imboccatura. Vari ripiani di pietra collegati da rozze scale scolpite ospitavano casette un po’ più robuste ed elaborate, qualcuna scavata direttamente all’interno del muro, qualcuna con piccole lampade accese. Lo stesso silenzio esterno, gli stessi sguardi stupiti dominavano anche qui. Più avanti ancora, case e persone tornavano a diradarsi verso la parete rocciosa che finalmente segnava il fondo. E proprio là, in disparte da tutto il resto del villaggio, stava un’ultima capanna più cadente di tutte, fatta soltanto di frasche mezze secche (dove potevano averle trovate?) e qualche bastoncino. Molto teatrali ed evidenti, all’ingresso, il teschio animale montato su un bastone e le ossa incrociate. Nessun dubbio che… –…Qui troverete chi cercate– confermò la guida fermandosi a una ventina di passi dall’ingresso. –Vi prego solo di non farlo arrabbiare più di quanto già sia. Fa abbastanza paura così. Sarn non ci mise molto a notare quello che Reja già gli stava indicando col naso storto. Attaccata al bastone davanti all’ingresso della catapecchia, sotto il teschietto, c’era una ciotola di terraglia inequivocabilmente mezza piena di un liquido rosso. Sangue mezzo coagulato. Misto a rametti, qualche monetina arrugginita e sporcizie varie. –E quello? –I servigi di uno stregone hanno un prezzo. Qualche goccia per ogni favore richiesto. Così, dice che impareremo a non disturbarlo per cose da poco… Il giovane fissò l’uomo–mostro con intenzione, molto serio. –Si comporta male con voi? L’altro parve impallidire un po’ prima di rispondere, ma lo fece con tono deciso. –Ha fatto molto per noi. Ci protegge dai pericoli. È la speranza dei nostri figli. Non potremmo chiedere di più. Dopotutto, signore… si sa… quale stregone non è un po’ pazzo? Ciò detto, si affrettò ad allontanarsi senza attendere risposta come se temesse di essere stato ascoltato. Già, in effetti non c’era proprio niente da ribattere. Era vero. Restava solo da vedere fino a che punto. Sarnakand il Magnifico emise un sospiro e scostò le frasche dell’ingresso, facendo un passo dentro. –Vedo che l’educazione diminuisce, cavaliere. Adesso non si chiede più neanche il permesso per entrare in casa d’altri. La prima cosa fu quella voce, la seconda il suono sommesso di qualcosa che bolle in un calderone, la terza il bagliore rosso troppo in alto per essere delle braci sotto quel calderone. Infatti erano gli occhietti maligni di Rigil, posato su un rozzo trespolo fatto di bastoni di legno, che ridacchiava sommessamente soddisfatto in faccia agli ospiti. Le alucce grinzose e il naso adunco erano gli stessi che Sarn ricordava, come anche la malvagità del sorriso. Reja rivolse al diavoletto un’occhiata infastidita. Solo dopo distinsero finalmente la familiare forma allampanata del padrone di casa, lungo e magro all’inverosimile, che rimestava qualcosa nel suddetto paiolo fissandolo intentamente. Difficile che fosse la minestra per quella sera. Il volto affilato dalla pelle quasi color ghiaccio e il corpo fasciato da un aderente abito nero con calzoni sembravano addirsi poco allo stregone di una tribù del deserto. Infine, quando gli occhi pur acuti del nuovo arrivato si furono finalmente abituati a quella particolare oscurità, scorsero un’altra massa seduta in un angolo decisamente troppo mobile per essere un mucchio di vestiti ripiegati, che infatti si alzò appoggiandosi al suo bastone e salutò con la mano. –Brazo? Che ci fai qui? –Oh, sono passato per un salutino– rispose Kaalu Brazo col suo vocione ironico, asciugandosi il sudore dalla grossa testa rasata. Era decisamente grosso e robusto per il mestiere che esercitava. La tunica assurdamente rossa a stelline dorate luccicò ondeggiando per un attimo alla luce proveniente da fuori. Nella piccola capanna, faceva un caldo soffocante. –Mi è sembrato un po’ strano quando mi hai chiesto dove potevi trovare il nostro amico… e poiché, come ti ho detto, ogni tanto mi concedo di fargli visita per portargli alcuni generi di conforto, ho pensato che tanto valeva organizzare una piccola riunione. –Vale a dire che l’hai avvertito del mio arrivo dopo avermi svelato la sua posizione. –Il qui presente signor Arbitro della Gilda è noto per la sua curiosità e propensione ad impicciarsi– ringhiò di nuovo basso Minos Bonifar, alzando finalmente gli occhi adirati sui presenti. Erano rossi sotto l’apparente azzurro, lucenti al buio, e il volto era teso e scarno come Sarn lo ricordava. –Come anche per la tendenza a fare il doppio gioco. –Via, via, Minos. Non mi sembra il modo di parlare di un amico che continua a rifornirti anno dopo anno. Anche se paghi bene. Sappiamo tutti e due che non avresti altro modo di trovare delle gemme come quelle che mi ordini per le tue misture, qui. Perciò ci guadagniamo entrambi.– Il mago sorrideva giovialmente. –Mi piace semplicemente tenermi informato su tutto. E in questo caso, mi è venuto il capriccio di sapere cosa poteva spingere il nostro nobile cavaliere a cercarti dopo tutti questi anni. Sappiamo che non si smuove per poco. –Di qualunque cosa si tratti, non m’interessa– ribatté lo stregone. La voce era dura, liscia e fredda come una pietra tombale nera senza incrinature o sbavature. –Se sei venuto a controllare, sto rigando dritto come avevo detto. Se invece sei venuto a chiedere favori, non ti devo niente. Spiacente per la strada che hai fatto. Puoi anche andartene. Diceva sul serio. E per un attimo Sarn avvertì distintamente l’odio del suo vecchio conoscente, quasi dotato di una forma fisica, una barriera maligna che cercava di respingere lontano il suo corpo da quel luogo con tutta la propria forza. Esattamente come la prima volta che l’aveva incontrato. Si era sbagliato su di lui, dunque? Non era cambiato per niente? Vacillò leggermente sotto la pressione, ma resistette. E contraccambiò. Non mosse un muscolo, ma lo stregone dovette fare suo malgrado qualche passo indietro emettendo un suono soffocato, prima di riprendere il controllo di sé con rabbia pura nello sguardo quando il cavaliere ritrasse le sue forze. –Questo gioco si gioca in due, Minos. Dovresti ricordartelo. Stai rigando dritto, dici? È davvero così? Con questa povera gente a farti pagare il tuo aiuto in sangue? Non voglio giudicarti, ma… –Ma lo stai facendo.– Il tono di Minos era disgustato. Tornò al calderone con passi incerti, piegandosi in avanti, e riprese il suo lavoro con un gesto brusco. –Quelli come voi badano sempre solo alle apparenze. Sì, mi faccio pagare in sangue. Cosa dovrei fare secondo te, succhiarglielo a forza? Come hai sentito, le gemme sono costose.– Così dicendo frugò in una piccola ciotola su un tavolino alle sue spalle, pescandone qualcosa di luccicante –un rubino– che frantumò tra le dita come una noce sbriciolandolo nella pozione ribollente. Il rosso della pietra pervase la mistura. Odore e densità cambiarono sotto gli occhi famelici dell’uomo. Entro pochi istanti, non c’era alcun dubbio che quello che riempiva il calderone fosse sangue umano, mentre prima altrettanto indubbiamente non lo era. Minos ne raccolse una ciotola, smettendo di mescolare, e vi pronunciò sopra poche parole sottovoce. –Non è che io abbia molta altra scelta. Conservandola bene questa dose può durarmi per un po’ di tempo, ma è un’alternativa a cui non posso ricorrere sempre. E sai cosa mi succederebbe in caso contrario. Come puoi vedere… sto cercando di tenermi a bada come posso.– Ora Sarn notava la lunga fila di barattoli di vetro ben puliti posati sul tavolo. Un cuciniere con la sua scorta di macabra conserva… Minos fece una smorfia e bevve avidamente dalla ciotola, il liquido che gli traboccava sul mento, per poi ripulirsi col dorso della mano. –E questa che tu chiami «povera gente» è poco diversa da me. Mi sono sistemato con loro perché mi ricordavano quello che passavo io. Tutti loro sono stati ridotti così dalla magia… vittime di esperimenti malriusciti, o esposti a radiazioni arcane per generazioni, o altre diavolerie. Sono contaminati, fusi con altre razze o con sangue di bestie. Non possono stare con nessun altro, hanno paura di tutti e tutti li evitano. Così stanno tra loro. Io cerco di aiutarli. Li hai sentiti dire che sono la speranza dei loro figli? Posso proteggere la generazione dei bambini, in modo che nascano con un aspetto più normale. Per questo ne hai visti così pochi. Prima erano ancor meno. Quando un bambino nasce senza difetti, i genitori lo fanno affidare a qualcuno che stia meglio di loro… e che desideri figli. Perché abbia una vita migliore. Quindi questo villaggio prima o poi si estinguerà. Non posso dire di approvarli del tutto, ma chi sono io per giudicare?– Fece spallucce. –Non sono ancora abbastanza potente da purificare anche gli adulti… ma un giorno… forse potrò riuscirci anche con me stesso. Per questo resto qui. Gli puntò al petto il bastone gocciolante di sangue come se fosse una lancia. –Ed è per questo che non ho intenzione di andarmene. Qualsiasi cosa tu possa dire. Hanno bisogno di me. Sarebbero prede facili per chiunque, se non li difendessi. E io si può dire che abbia bisogno di loro… sono gli unici che mi accettano. Anche uno come me deve avere un po’ di compagnia. Per non perdere la testa del tutto. –Oh, mio pooooovero padrone– rise beffardamente il diavoletto sul trespolo. –Taaanto tormentato. Rigil conoscerebbe un altro modo per avere sangue, oh sì… Rigil non è abbastanza di compagnia per il padrone? Minos ringhiò di gola contro la creaturina scoprendo dei canini decisamente troppo lunghi per un umano. Quella arretrò zampettando. –Lo vedi bene, cavaliere. Questo mostriciattolo disgustoso è ancora con me. Mi sto pentendo da anni ma il Dio Corvo non ha ancora risposto alle mie preghiere. Per cui non posso rischiare di andarmene in giro tra troppa gente a sangue caldo. Non risponderei di quello che può succedere. Capisci, ora? –Mi scuso.– L’ira dello stregone r*****ò all’indietro sbattendo contro il muro di quelle parole. Le stesse che Sarn gli aveva rivolto al loro primo incontro. –Ho frainteso e mi scuso. Non avrei dovuto pensar male di te a priori. Ma mi spiace, ho comunque bisogno del tuo aiuto. Si tratta di una persona a me cara. –Ovverosia una donna– ridacchiò Brazo soddisfatto. Più un’affermazione che una domanda. –Oh gioia, oh gaudio. E dire che speravo quasi che tu e io saremmo invecchiati da scapoli insieme. Possiamo sperare che ci racconti qualcosa? Magari di imbarazzante? –Temo che potresti non trovarlo molto interessante. –Infatti a me non interessa.– Minos tornò a rivolgersi ai suoi barattoli agitando una mano unghiuta in gesto di congedo, mentre cercava con l’altra un mestolo sul tavolo. –Vai pure a spettegolare e a chiedere aiuto sentimentale altrove. Ho da fare. –…E poi, scommetto che sai già ogni cosa. Ti piace informarti su tutto, appunto. È il vero motivo per cui sei venuto qui anche tu, non è vero? –Touché– rise di nuovo il mago. –È il mio unico punto debole. Andiamo, Minos… non ti fa pena un amico nei guai? Lui ti aiuterebbe. E potrebbe essere un modo di accelerare la tua redenzione. –Può anche darsi che la redenzione non sia possibile per me– mormorò lo stregone. –Ho amato una donna, un tempo. Sapete com’è andata a finire. Lo sapevano e tacquero per un lungo momento. –Non ti costringerò ad andartene da qui, o a fare niente che non vuoi– assicurò infine Sarn. –Ma è vero che il tuo Dio Corvo è lo sposo della Redentrice. Se tu mi fossi d’aiuto, non potrebbero guardarti più favorevolmente entrambi? Lo stregone rimase per un attimo sospeso. –Non lo so.– Poi ebbe un nuovo moto di rabbia. –Forse dovrei semplicemente gettar via ogni fede in qualunque dio. Non mi è servita a niente, finora. Ma concesse comunque un nuovo sguardo ai due. –In ogni modo… in che cosa posso aiutarti io con una donna? Se davvero non hai intenzione di reclutarmi per qualche folle viaggio chissà dove? –Credo che il nostro amico qui ti abbia già ragguagliato almeno in parte. Visto che non sa proprio tenere i segreti. Lei è scomparsa… probabilmente in pericolo grave… e forse so dove andare a cercarla. Non con precisione. Ma tu puoi chiederlo a… persone che potrebbero saperlo. E che io non posso contattare. Un lampo di comprensione accese gli occhi felini di Minos. –Ah. È questo il punto. Per parlare con chi è di là, cerca uno come me. Ma sai bene che è pericoloso. Per chiunque ci provi. E soprattutto per me che sono già metà dall’altra parte. L’aldilà è pieno di gente che io ho ucciso a sangue freddo e che non vede l’ora di vendicarsi! Vuoi che getti via quel po’ di anima che ancora mi rimane? Per quanto possa essere in debito con te… e ripeto che non mi ci sento… questo è chiedere troppo come risarcimento. Dammi solo un buon motivo per cui dovrei farlo. Sarn non rispose. In effetti, non aveva nessun motivo che l’altro avrebbe trovato abbastanza buono. Sapeva cosa gli chiedeva di rischiare. E in caso fosse accaduto il peggio, per quanto ne avesse bisogno, quanto in colpa si sarebbe sentito? Pensò per un attimo di andarsene sul serio. –Che ne dici se te lo do io?– chiese invece improvvisamente Brazo a sorpresa. Frugò nelle maniche ampie del suo abito estraendone una piccola pergamena sigillata in oro. –Questa me la sono fatta fare da un’amica alchimista che mi doveva un favore, appena ho saputo di questa piccola escursione. È una magia di trasmutazione semplicissima… per un mago… che ti permetterà di avere le tue scorte di cibo senza doverti procurare tutte quelle gemme ogni volta. Dovunque debba andare il nostro prode a salvare la sua amata, ho già deciso di accompagnarlo… e se ci sarai d’aiuto, sarò felice di usare l’incantesimo per te. Anzi, se dovessi venire con noi potrei anche decidere di regalartelo. Risolverai per sempre i tuoi problemi. Che ne dici? Entrambi gli altri spalancarono gli occhi sbalorditi. Questo proprio non se l’aspettavano. –Sai bene che non sarei in grado di usare quel tipo di magia– soffiò lo stregone, sospettoso. –Anche possedendola, non mi servirebbe a nulla. Non insultare la mia intelligenza. –E tu non insultare la mia. Abbiamo appena parlato del mio talento per le informazioni. So anche che hai la soluzione e ci stai già pensando. –E lo faresti così per generosità? Perché dovresti? –È vero, perché dovresti?– fece eco Sarn. –Si tratta di faccende mie personali. Ci perderesti anche il guadagno per i rubini. –Perché? Be’, chissà… forse solo perché mi stuzzica l’avventura. E poi, sarà un esperimento interessante vedere fino a che punto possono arrivare insieme tre diversi tipi di magia– esclamò Brazo giulivo. –Ah, piccolo Sarn, saresti stato un magnifico allievo nella Gilda dei Cinque Colori… se non avessi deciso di seguire invece la strada di tua madre. Avevi un gran talento. –Ti farò addestrare un mio figlio un giorno. È una promessa– sorrise l’eroe tuttofare, comprensivo. –Sei un ottimo amico. Non potrei sperare di più. –Via, così mi fai arrossire. Dopotutto la tua prossima tappa sarebbe stata venire a chiedere il mio aiuto, non è vero? (Non dire di no altrimenti mi arrabbio). E ora vediamo che tu possa averlo un figlio, o non potrò rinfacciarti questa promessa tra vent’anni. Signor stregone, allora che ne dici? Sarai dei nostri, spero. –Devo pensarci.– Minos rimuginava cupo come rigirando qualcosa d’amaro in bocca, ma senza staccare gli occhi dalla pergamena. –Bene. E mentre ci pensi, credo che il nostro cavaliere strega avrà un altro posto dove andare a reclutar gente. –L’avevi capito, vero? –Certo. È ovvio. Vuoi portare tutti quelli che puoi. O almeno quelli che possono, giusto? Se non ci avessi pensato da solo, te lo avrei suggerito io. Ci sarà bisogno di altri tipi di magia oltre ai nostri tre. Lei era così speciale e in qualche modo non se ne era mai resa conto. Eppure era così normale e non riusciva a rendersi conto neanche di questo. Così matura e così infantile. Conscia dei propri poteri eppure sempre spaventata che non bastassero. Saggia ma spaventosamente ingenua, testarda, impegnata a difendersi da tutto e da tutti. Una bambina che tende le mani chiedendo che qualcuno venga a sollevarla. Era questa l’impressione che Sarn aveva avuto la prima volta di lei. E ce n’era voluto di tempo per fargliene rendere conto. Mentre per lui era stato tutto chiaro, quasi fin da subito. Un ladro che vede un gioiello prezioso ignorato in un vicolo può forse lasciarsi scappare l’occasione di prenderlo per sé? Così l’aveva corteggiata con tutto l’ardore di cui era capace. Con l’ardore e anche con tutta la delicatezza possibile, come se avesse dovuto addomesticare un gattino spaurito. Notando quanto la cosa la lusingasse e allo stesso tempo la sconcertasse. Abituata a credere di non valere nulla, oppure di valere troppo… di avere troppo bisogno per poter prendere quel che le era offerto, o di non meritarselo, o di commettere comunque in qualche modo un errore irreparabile… di non riuscire a contraccambiare, di fare del male… Lui sentiva di avere così tanto da dare che una così grande necessità d’affetto poteva solo intenerirlo sempre di più. E non aveva mai dubitato della propria vittoria. Era un eroe extraordinaire, no? E quanto finalmente aveva conquistato il suo premio, aveva giurato a se stesso e a lei che non se ne sarebbe pentita. Avrebbe insegnato a quel gioiello trascurato quale fosse il suo vero valore. L’avrebbe fatta sorridere. Per sempre. Arrabbiandosi anche vagamente allo stesso tempo con coloro che non avevano mai saputo apprezzarla per quel valore. E lo farò anche adesso. Qualunque cosa ti sia successa… che tu sia stata portata via o te ne sia andata per conto tuo… non ti permetterò più di restare sola o disperata. Siamo una famiglia. Sono responsabile della mia donna. E te lo dimostrerò.
  19. Meg-9

    L'inizio del mondo

    Capitolo 2 –Ehm. Devo dire… che questa è l’ultima cosa che mi sarei potuto aspettare… L’ometto nervoso in divisa da gendarme si tormentava le mani con imbarazzo evidente mentre guidava il visitatore per i corridoi vertiginosi della casa. Non era usuale che in quegli ambienti entrasse luce a fiotti, e i contenuti degli scaffali e i muri sembravano ancor più polverosi così inondati dal sole. Cose disparate e stranissime, da quadri antichi di personaggi in pose goffe e collezioni di farfalle a bambole di pezza a serie di occhi in salamoia che si sarebbe detto ti seguissero con lo sguardo… e forse era vero. Tanto ci si doveva aspettare, abbinando i gusti così diversi delle due sorelle maghe. Di tanto in tanto si udiva da chissà dove l’eco di un attutito lungo lamento felino o un esile singhiozzare infantile. Sarnakand il Magnifico sarebbe dovuto sembrare fuori posto in un ambiente così cittadino, con indosso la sua corazza leggera e l’abito più adatto ad un uomo che trascorre il suo tempo nei boschi. E invece vi si muoveva, scrutando porte e suppellettili, come se fosse del tutto a casa sua. Ben più stonata in quel posto era la sua guida. Il distintivo della guardia cittadina era posto di traverso, un po’ arrugginito, affiancato da un altro lucidato con cura ben maggiore che denunciava la sua appartenenza alla Gilda dei Commedianti di Novalian, sezione polizia. –Insomma, ehm… conosco la signorina da moltissimo tempo, ed è sempre stata così riservata… non immaginavo proprio. Non mi aveva mai parlato di un suo fidanzamento. Sarn diede un’occhiata laterale alla sua guida apparentemente così desiderosa di stabilire un contatto, senza che il suo viso cambiasse espressione. –Ciò che il simpaticissimo signore qui presente cerca di dire– esclamò alle loro spalle la voce alterata di qualcuno poco abituato ad alterarsi –è che nessuno da queste parti credeva che la signora avrebbe mai trovato un compagno. Soprattutto lui. Era Almitra ed era visibilmente molto stravolta, specialmente rispetto alla normale calma olimpica dei geni. Accanto a lei una minuscola bimbetta scalza dai capelli rossi singhiozzava asciugandosi le copiose lacrime, con in braccio uno dei galatti di Perla –il piccolo branco di gatti alati che viveva in casa sua– il quale a sua volta non cessava di lamentarsi come malato, gli occhi pesanti, le ali pendenti semiaperte sui fianchi ansimanti. La segretaria sorvolava completamente con lo sguardo l’ometto fastidioso rivolgendosi a Sarn come se tutti i membri del gruppetto lo conoscessero bene. –L’ha frequentata tempo fa e non ha mai smesso di farglielo notare. Col suo permesso, signor Sarn, io glielo dicevo sempre che non mi piaceva per niente come la trattava… L’ospite alzò una mano accennando di tacere, facendo scorrere gli occhi solo un istante sull’agente ancor più imbarazzato e poi sul resto dei presenti. Quindi andò a inginocchiarsi davanti alla piccola piangente e accarezzò la testa del gatto, che interruppe un attimo i suoi gemiti per un debole tentativo di fusa. –Non preoccuparti, Almitra. E anche tu, Akiarina, non fare così. Qualunque cosa sia successa, sappiamo che Perla dev’essere viva. Altrimenti anche Myelen, qui, sarebbe morta. L’affermazione sorprese tutti i convenuti, che sobbalzarono. Nessuno tranne le due sue più strette collaboratrici era mai stato al corrente di quale fra gli occupanti della casa fosse realmente il famiglio di Perla Bottonfiore. Il gendarme parve perfino valutare per un istante l’uso che avrebbe potuto fare di una tale ghiotta informazione– per poi scuotere la testa risvegliandosi. Sarn non vi prestò interesse e si guardò nuovamente in giro. –Però non è neanche più in questi dintorni– aggiunse. –Non sono riuscito a percepire alcun segno di lei, né dell’anello che le avevo regalato. E so che non se lo toglierebbe per motivi da poco. Il gendarme commediante ridacchiò tossicchiando o tossicchiò ridacchiando, cercando di darsi un contegno dopo le ultime battute. –Ah. Ahem. Naturalmente, avrei dovuto pensarci… la signora Almitra è sconvolta, capirete che esagera… in ogni modo, è comprensibile che la signorina si sia legata a qualcuno coi suoi stessi interessi… un mago come lei… –Infatti non lo sono.– Sarn si rialzò e passò la mano a una certa distanza dai muri e dalle porte davanti a sé senza toccarli veramente, fino a fermarsi davanti ad una di esse. –E non sono neanche tanto potente da poter fare congetture su dove sia. Almeno non così su due piedi. A quanto mi avete detto voi, nessuno l’ha vista uscire dalla porta principale. A quanto mi ha raccontato Diva, i suoi occhi spia l’hanno vista entrare qui dentro. E la porta non lascia passare nessun altro che lei. Quindi, o è stata portata via con la magia oppure potrebbe semplicemente essere andata da qualche parte per conto suo. Certo, sarebbe un po’ strano che non abbia avvertito. Ma è già successo che si assentasse per diverso tempo. E mi è difficile credere che qualcuno possa averla rapita. Si tratta pur sempre di un’arcimaga, o poco meno. Sono poche le cose da cui non sa proteggersi da sola… è la sua specialità. –Sissignore– esclamò prontamente il genio. –Ma quello di cui volevo informarla… era che da un po’ la signora non si sentiva bene. Cercava di nasconderlo, ma anche l’ultima volta che le ho parlato… Faresti meglio a curarti della salute di chi ti sta a cuore. L’uomo bruno si voltò di scatto. –Da quanto tempo?– chiese. –Parecchio… senz’altro da prima della sua ultima visita, signore. Quando le ha chiesto di sposarla. Non voleva parlarne, e all’inizio pensavamo che fosse soltanto un malessere passeggero. Però era sempre più stanca e affaticata… non credo che a parte noi qualcuno l’abbia notato… e ci aveva proibito di dirlo a chiunque. Specialmente a lei. Non voleva che si preoccupasse, diceva. Sappiamo solo che attendeva con molta ansia il suo arrivo. Diceva che quando l’avesse rivista si sarebbe risolto tutto. Mentre io perdevo tempo a recuperare idoli e farmi bello coi paesani. Sarn strinse le labbra. Il genio incalzò: –Per questo sono così in ansia. Sì, è vero che altre volte la signora è stata via anche mesi di seguito per le sue ricerche. E conosco benissimo le sue capacità, ma se sta male… se non è in grado di difendersi… non posso sapere quanto sia grave… Non c’era certo bisogno di notare l’urgenza nella voce di Almitra. Il piccoletto pubblico ufficiale, tagliato fuori dal dialogo, parve ricordarsi finalmente il suo ruolo e armeggiò nelle tasche frettolosamente per estrarne penna e taccuino. –Ah, ma in questo caso cambia tutto… estrema rilevanza… sarà necessario raccogliere tutte le testimonianze! E anche lei, signore… devo chiederle di seguirmi in gendarmeria per declinare le sue generalità al commissario e restare a disposizione finché… –Finché niente.– Sarn rivolse finalmente gli occhi all’ometto parlando con calma. –Le mie scuse, ma non credo proprio che questo sia un caso di ordinaria amministrazione per la gendarmeria. Dovrò essere io a chiedervi di lasciare le indagini a qualcuno di cui mi fido maggiormente. In fin dei conti… penso concordiate con me che non siete le persone più adatte a cui rivolgersi quando si ha a che fare con faccende magiche. E tu in particolare, credo sia migliore come attore dilettante che come poliziotto. Il che è tutto dire. Non riesci neanche a fingere un vero interesse per lei, omiciattolo. –Non è cortese…– bofonchiò l’altro. –Tutto ciò ricade pur sempre nella giurisdizione… Stiamo organizzando un reparto di polizia specifico per queste faccende… ci vuole tempo, certo… Comunque lei non ha il diritto d’imporsi così, signore. Neanche se fosse già stato il coniuge della scomparsa. Tutti devono sottostare alle leggi… –E infatti esistono leggi apposite proprio per certi casi particolari. Vi seguirò e ne parlerò personalmente col commissario. Vedrete che riuscirò a convincerlo.– L’uomo fece tintinnare sicuro di sé il simbolo a fiocco di neve sul suo vestito. –E sarà meglio che non ci voglia troppo. Potremmo non avere il tempo dalla nostra parte. Se ci sono altre persone che possono averla incontrata ieri, avrò bisogno di parlare con tutte. Conto molto anche sul suo personale per questo.– Almitra e Akiarina annuirono speranzosamente. Sarn tornò ad inginocchiarsi in modo da fissare la gattina negli occhi intelligenti, che lei strinse leggermente in risposta. –E soprattutto su di te, Myelen. Potresti essere l’unica in grado di darmi le informazioni di cui ho bisogno. So che desideri riportarla indietro quanto lo desidero io. Allora… vuoi parlare con me? Cosa mi dici? Esistono molte forme diverse di magia… e la ricerca su di esse, man mano che gli anni passavano, per Perla Bottonfiore era diventata un passatempo sempre più appassionante ed ossessivo. Alcuni malignavano che lo facesse per dimenticare il fatto che nella sua vita non c’era altro. In fondo in fondo, lo pensava lei stessa, anche se si proibiva di trastullarsi con quell’idea. O di lagnarsene. Dopotutto, non poteva farci niente. E non è che fosse un disonore. Non sono pochi i praticanti di magia che hanno trascorso da soli l’intera esistenza. Ci sono destini peggiori che non conoscere mai l’amore. E così, i viaggi alla ricerca di testi arcani perduti e leggendari, gli inseguimenti di voci su pratiche quasi dimenticate, ma anche le lunghe ore passate nella biblioteca dell’Università Magica a tradurre brani da lingue antiche o a studiare trattati su nuove scoperte, l’avevano assorbita in modo via via crescente col tempo. Era arrivata a mettere quasi da parte le altre sue passioni, per questo… anche se non perdeva mai le speranze di passare un giorno alla storia della magia per il suo golem sperimentale o per l’incantesimo di protezione definitiva dalla morte su cui prendeva appunti da anni, ma che richiedeva ancora un potere molto superiore al suo. Sarebbe mai riuscita a completarlo? Vivere più a lungo… non tanto per pura vanità come alcune persone che conosceva, né per paura della morte, ma vivere più a lungo per riuscire ad imparare più cose, a realizzare più cose, a far avverare i suoi sogni. Di recente ci aveva pensato sempre più spesso con l’approfondirsi delle sue ricerche. I poteri fondamentali esistenti al mondo si possono declinare in diversi modi, quasi inimmaginabili nella loro varietà, ma alla fine si riducono a tre. Il potere del mondo stesso, a cui attingono i maghi servendosi delle forze naturali per i loro prodigi… il potere del cielo, invocato dai sacerdoti che fanno affidamento su energie concesse loro da oltre la vita… e le strane tecniche che da pochi anni, da quando si erano aperti i rapporti con l’altro continente in seguito alla guerra, avevano iniziato confusamente a filtrare attraverso i racconti e gli insegnamenti di personaggi provenienti da oriente, apparentemente diverse da qualsiasi forma di magia: un potere che non aveva bisogno di studi e pratiche arcane né di formule e patti con creature ultraterrene, ma che poteva essere potente quanto il più elaborato degli incantesimi. I suoi praticanti lo estraevano direttamente dal proprio corpo e spirito, senza contare su alcun aiuto esterno. I classificatori studiosi occidentali –quelli che ne ammettevano l’esistenza: le nuove idee faticano sempre a prender piede– lo avevano battezzato appropriatamente potere dell’uomo. Tutti questi offrivano mezzi differenti di prolungarsi la vita… in certi casi più facili, in altri più difficili. Ed esistevano anche modi di fonderli tra loro. La Nuova Era sembrava aver dato il via ad un aprirsi d’infinite possibilità. Sempre più nuove teorie magiche nascevano, alcune innovative nei metodi, altre nella filosofia sottostante, altre ancora che cercavano un approccio completamente diverso alla magia che comprendesse anche poteri finora riservati ad altri. Contemporaneamente, si riscopriva una profusione di testi antichi contenenti ricchezze di conoscenza inimmaginabili per i moderni. Nuove religioni sorgevano, a volte bizzarre, a volte molto più logiche e sensate… ed altre, consolidate da tempo, subivano mutamenti e riforme. E antichi culti di cui si era dimenticato persino il nome tornavano alla luce, rivelando di non essere mai cessati ma di aver solo atteso pazientemente e segretamente per secoli il momento giusto per riaffiorare. Tutt’intorno c’era un caos, un fermento, un sincretismo e un rinascimento mai visto prima. L’ambiente ideale per una studiosa mai sazia. E c’era la stregoneria. La cosa più misteriosa di tutte. Un tempo in tutto il continente ed anche nel Centro–del–Mondo si diceva che le streghe fossero state bruciate sul rogo fino all’ultima e che non si sarebbero più viste. Se era per questo, si diceva anche che la stregoneria fosse una leggenda e in realtà non fosse mai esistito niente di simile. Le poverette e i poveretti bruciati erano solo maghi incompresi dai loro contemporanei… oppure sacerdoti della natura in incognito ugualmente fraintesi. Ed ora che anche nel mondo occidentale si conoscevano altre vie, alcuni avevano avanzato l’ipotesi che si trattasse di persone in qualche modo dotate dalla nascita di quelle capacità ora chiamate «potere dell’uomo» ma ignote all’epoca della persecuzione, quando non si erano potute quindi riconoscere e indirizzare. Insomma, qualcosa di riconducibile ad uno dei tre poteri accertati. Qualcosa di molto normale. Comunque, si dava per scontato che il fenomeno ormai fosse esaurito… che in un’epoca di maggiore cultura e consapevolezza non si sarebbero più commessi errori simili. E che in ogni modo, quella che era stata chiamata stregoneria non nascondesse in realtà nulla di misterioso. E tuttavia in ogni epoca successiva maghi e sacerdoti più o meno potenti, o sedicenti tali, avevano dichiarato di aver letto testi arcani e stretto patti occulti con creature più o meno equivoche e di essere così diventati streghe e stregoni… ottenendo poteri di cui potevano oppure no dimostrare l’esistenza ma comunque a loro dire diversi e superiori a quelli conosciuti. Altri avevano guadagnato questa nomea dal popolo, che lo volessero o meno, come una leggenda cresciuta spontaneamente attorno al loro nome. Erano mezze frasi e accenni ad esaltanti accordi con poteri infernali che infine esigevano la tua anima in cambio… o, più tranquillamente, culti di antichi dei minori che esaltavano soprattutto il potere femminile e potevano farti vivere a lungo e donarti capacità curative o solo abilità con le erbe, e per lo più richiedevano semplicemente come contropartita strane danze in periodi prefissati dell’anno, con vestiti insoliti o proprio senza. Racconti molto diversi tra loro che ti facevano chiedere quale fosse la verità e quale una totale invenzione… e anche se valesse la pena investigare su qualcosa di così incerto e confusionario. Tutte queste cose erano la verità e contemporaneamente essa stava anche da un’altra parte. Negli ultimi anni, diversi praticanti di magia ammettevano apertamente e senza tanti misteri traffici col soprannaturale più intensi rispetto ai loro colleghi per ottenere capacità arcane, senza che ciò fosse necessariamente malvagio… e diverse divinità avevano svelato di aver sempre avuto nascostamente tranquilli erboristi e pozionisti al proprio servizio, oppure avevano preso interesse alla cosa e ve li avevano introdotti di recente. Si diceva che tra questi ce ne fossero alcuni che per grazia, abilità nelle misture o vita regolata avevano raggiunto un’età di secoli e secoli. Eppure… questi due approcci così differenti erano solo un avvicinarsi da due parti opposte alla vera stregoneria. Che era simile e diversa da entrambi. Si trovava da qualche parte nel mezzo eppure in qualche modo li comprendeva tutti… ed anche di più. Ormai non c’erano più dubbi che esistesse davvero. C’erano maghi rispettabili che offrivano prove concrete di aver imparato da vere streghe. E c’erano chiese che ammettevano di contarne alcune al proprio servizio. Loro stesse cominciavano per la prima volta ad uscire allo scoperto, pur se senza sbottonarsi troppo e senza fare pubblicità al fatto di esserlo. Per lo più preferivano tenere le loro congregazioni isolate, lontano dalle città, e segreti i loro luoghi di culto. E parlavano poco con chi non fosse un confratello. Di certo, alcune possedevano capacità mai viste prima. E potevano vantare un‘incredibile longevità. Ma non avrebbero rivelato facilmente ai profani i loro segreti. E ciò non poteva che attirare irresistibilmente la curiosità di Perla Bottonfiore. Si era imbattuta in lui mentre faceva ricerche su voci riguardanti tomi perduti di stregoneria. Si era recata in una biblioteca in rovina, sepolta sotto una montagna, seguendo indizi trovati in altre biblioteche e vecchie compilazioni magiche. Una biblioteca che il suo ultimo proprietario, prevedibilmente, non aveva lasciato indifesa, e che il tempo trascorso dal suo abbandono aveva reso ancor più pericolosa. Trappole, guardiani e bestie vaganti non erano comunque un problema così grosso per lei, col suo potere. Protetta dalle sue barriere e neutralizzazioni, si era avventurata nella profondità di vecchie sale polverose, illuminando pareti e mobili che non vedevano il sole da secoli e rompendo silenzi da troppo tempo indisturbati. Aveva proceduto illesa attraverso le sale che sarebbero state letali per chiunque altro più sprovveduto. Era giunta nel cuore più segreto e difeso del luogo disabitato senza eccessive difficoltà. E quando finalmente stava per mettere le mani sull’oggetto delle sue brame, si era ritrovata faccia a faccia e occhi negli occhi con quell’uomo che vi allungava sopra le sue nel medesimo momento. Dopo un attimo d’imbarazzo, lui le aveva fatto un inchino più che galante e svolazzante, lodando la perizia magica che senza dubbio doveva possedere per essere giunta fin là… e rammaricandosi di non poterle purtroppo lasciar prendere il libro. Era stato rubato con la frode ad una cerchia di streghe diversi secoli prima ed era giusto che fosse loro restituito. Persone poco scrupolose avrebbero potuto farne un uso men che adeguato. Ma se davvero desiderava saperne di più, poteva offrirle di rivedersi. Lui stesso avrebbe potuto insegnarle qualcosa d’interessante. –E chi non vorrebbe conoscere meglio una così bella dama? Dopodichè, dandole un appuntamento sussurrato all’orecchio, si era velocemente volatilizzato prima che lei potesse ribattere in qualche modo o cercare di fermarlo. Bella? Perla era rimasta interdetta. Bella lei? L’aveva vista bene? La stava prendendo in giro? Doveva essere uno scherzo di cattivo gusto. Prima di allora nessuno l’aveva mai trattata in quel modo. Comunque quel tipo sembrava davvero interessante… non poteva esserci nulla di male ad incontrarlo di nuovo. L’aveva incontrato. E poi ancora. E ancora. E l’aveva trovato diverso da chiunque avesse conosciuto prima. I racconti delle sue avventure erano affascinanti. Come i suoi modi e il suo sorriso. E aveva davvero appreso da lui qualcosa sulle streghe… più di quanto avesse immaginato, e più sorprendente. Niente che le fosse permesso pubblicare in un tomo o una rivista ufficiale, ma non era questo a interessarle veramente. La scoperta più importante era stata che non sarebbe mai potuta davvero diventare una di loro. La longevità in cui aveva sperato le sfumava davanti agli occhi… proprio nel momento in cui le si presentava qualcos’altro di nuovo e diverso. Per cui l’avrebbe forse desiderata ancora di più. E nelle discussioni con lui, mentre imparava ad apprezzare la sua cultura, il suo intuito, il suo modo profondo ed equanime di ragionare… aveva assistito anche ai suoi tentativi sempre più pressanti di avvicinarla, di conoscerla, impressionarla. Sembrava ammirarla genuinamente, apprezzare non solo le sue capacità ma il suo carattere, le difficoltà che aveva affrontato nella vita, perfino il suo aspetto. Come poteva essere? pensava confusa. Erano probabilmente quasi coetanei, ma lui appariva così tanto più giovane. Era evidente la sua parentela con una razza dalla vita più lunga. Cosa poteva mai trovarci in una come lei… vecchia e brutta, sicuramente brutta… in cui nessuno aveva mai trovato nulla che valesse? Sicuramente avrebbe potuto avere molto di meglio in fatto di donne. Doveva essere una sua illusione. O forse lui voleva giocare al conquistatore. Ma via via che a sua volta lo conosceva meglio, doveva ammettere che non poteva essere una persona falsa. Fino a quella sera… quando si era avvicinato più di quanto nessuno avesse mai fatto, e le aveva parlato come nessuno aveva mai fatto. Non pretendeva nulla, ma ciò che aveva da darle non sarebbe mutato. Non sarebbe stato ritirato. Di questo poteva fidarsi ciecamente. La parte di lei che temeva di soffrire com’era già successo si rifiutava ancora di crederci. Un’altra temeva di non essere in grado di affrontarlo. E mille altre continuavano a snocciolarle altrettanti motivi per cui non avrebbe dovuto… ma quando lui aveva iniziato a baciarla con passione, ogni pensiero di quel genere si era dileguato. Non credeva di potersi sciogliere così in fretta. Di poter abbandonare così completamente tutte le sue difese. Era accaduto tutto come in un sogno… tutto ciò che aveva dato per scontato su se stessa, sul suo futuro, in poco tempo si era ribaltato. Ed ora doveva affrontare che si aprisse un capitolo nuovo nella sua vita. Ma per quanto sarebbe durato? Per quanto sarebbe riuscita a tenerselo stretto? Quanto tempo le restava da passare con lui? E per quanto poteva tenere legato a sé un uomo allegro, vivace e giramondo con cui la differenza d’età sarebbe cresciuta sempre di più? Non le aveva chiesto niente… sicuramente non pensava a niente di simile… ma era lei quella a cui il pensiero di dovere un giorno lasciarlo spezzava straziantemente il cuore. In ogni modo… ormai non poteva più tirarsi indietro. Non senza distruggere anche se stessa nello spirito come nel corpo. Avrebbe potuto rassegnarsi ad una vita limitata… a un sapere, un potere limitato… quando era sola. Ora, aveva un altro motivo per desiderare di vivere il più possibile… di restare il più possibile con lui, di essere in grado di stargli al fianco. Doveva trovare un modo. L’ippogrifo rosa e oro si posò al crepuscolo in una pianura così brulla e desolata da far credere che fosse stata calpestata da un esercito di zombi. E forse era vero. Per quanto fosse primavera non un filo d’erba cresceva nei dintorni fin dove arrivava lo sguardo. Reja arricciò tacitamente il naso riprendendo la sua forma infantile quando il cavaliere scese. Il cielo era di un giallo ocra che tingeva ogni cosa. La politica della polizia nelle città del Centro–del–Mondo, per decreto reale, era di non scontentare le chiese nelle indagini di polizia… quando qualcuno che poteva dimostrare di essere un importante ufficiale di un culto chiedeva di farsi da parte e lasciargli condurre un’inchiesta in quanto riguardante strettamente il suo ordine o i suoi fedeli, poche volte si vedeva opporre un rifiuto. Dal canto loro, gli investigatori ecclesiastici erano spesso molto più scrupolosi di quelli laici e risolvevano le cose più in fretta, approfittando raramente del loro privilegio per insabbiare prove o proteggere colpevoli: sapevano che in questo caso, se scoperti, l’avrebbero perso. E quando raramente era successo, erano sempre stati scoperti. La corte aveva i suoi mezzi per assicurarsene. La legge era valida anche nel caso di una chiesa relativamente nuova e con poca o nessuna gerarchia, in cui nessuno era più importante degli altri. Con scorno del piccolo poliziotto, c’erano state proteste bofonchiate da parte del commissario reale di Novalian su quanto la cosa fosse tecnicamente irregolare… ma alla fine nessuno voleva guai, quindi avevano accettato di ritirarsi a patto che sarebbero subentrati loro se il ritrovamento della persona scomparsa avesse richiesto più del tempo fissato dalla legge. Esattamente come Sarn aveva sperato. Contava sul fatto che le ricerche non sarebbero durate tanto. Anche perché non poteva permettersi che durassero tanto. Fortunatamente, aveva ricevuto ottime indicazioni con cui cominciare. Ma, poco ma sicuro, non sarebbe riuscito a farcela da solo. –Proprio il tipo di posto dove mi aspettavo di trovarlo– commentò, guardandosi intorno. Sotto ogni aspetto, la landa sembrava completamente disabitata e ostile alla vita. –Adesso speriamo che non sia troppo di malumore e di poterlo convincere ad aiutarci. –Questo posto sembra maledetto– grugnì Reja quasi disgustata. –Mi sento a disagio. Sei sicuro che viva qui? E poi perché abbiamo bisogno proprio di lui? –In ordine inverso: ci serve innanzitutto perché ci serve tutto l’aiuto possibile, e poi perché è in grado di scoprire cose che io non posso. Per quanto non mi piacciano molto le sue FONTI. Secondo… sì, sono sicuro di trovarlo. È il tipo di posto dove si stabilirebbe. Non gli piace stare in vista o cambiare tana spesso. E poi, ho le mie fonti anch’io. Un ladro sa sempre dove trovarne un altro. –E pensi di poterti fidare? –Ha fatto una promessa. Credo sia abbastanza uomo da mantenerla. E non solo perché sa che provvedimenti potrei prendere altrimenti. Anche tu gli hai creduto, mi pare. Fosti tu a convincermi che potevo dargli una possibilità. Hai cambiato idea? Reja non rispose. A volte faceva così, per quanto fosse irritante. Scrutò per un po’ la terra circostante con le labbra atteggiate a broncetto. Quando parlò, fu cambiando argomento. –E come pensi di trovarlo? –Lasciando che sia lui a trovare noi. Ciò detto, Sarn sedette semplicemente per terra in un punto qualunque e aprì il suo zaino, iniziando a preparare un campo per la notte. Se conosceva un po’ il suo pollo, aveva già percepito la sua presenza e non avrebbe potuto ignorarlo per sempre. Altrimenti… era disposto ad aspettare il tempo necessario.
  20. 1) Il Signore degli Anelli. Quella non è fantasy, è EPICA CLASSICA allo stato puro. (Meglio sarebbe leggerlo senza aver prima visto il film, ma se non è possibile cerca almeno di dimenticare il film quanto puoi... non che non sia bello ma il libro è molto meglio). E poi i romanzi di Pratchett, METALETTERATURA da sbellicarsi... anche se quelli si gustano meglio se si conoscono a fondo tutti i meccanismi del fantasy. 2) Difficile da dire. Io amavo certi generi anche da prima del liceo, ed è uno dei motivi per cui ho scelto di studiare lettere... senza dubbio la formazione scolastica influenza, ma non solo. 3) Amo la metaletteratura: l'autore che prende in giro se stesso e il suo genere e scopre i meccanismi del romanzo all'interno del romanzo. Si può trovare metaletteratura in qualsiasi tipo di libro, dal realistico al fantastico...
  21. Meg-9

    L'inizio del mondo

    Ciao, questo è il mio ultimo tentativo di romanzo su AD&D. Posterò un capitolo per volta. Siate generosi di recensioni... Capitolo 1 L’arte è lunga, la vita è breve. È questo che si dice ai giovani quando per la prima volta intraprendono il lungo cammino dell’apprendimento: la nostra arte è tanto estesa e meravigliosa che nessuno può giungere a conoscerla tutta, per quanto ci impieghi tutta la vita. Per quanto possa essere geniale. All’inizio in tanti si illudono che per loro sarà diverso. Anch’io. Poi ci ho fatto i conti, come tutti. Nessuno è geniale abbastanza. Per questo ci sono stati quelli che, nel passato e nel presente, hanno scelto di prolungarsi la vita, di afferrare ogni opportunità pur di resistere per continuare a studiare, ad apprendere, a scoprire nuove cose. Anche se molti di loro hanno fatto una brutta fine. O comunque si sono esposti a questo rischio. C’è chi dice che gli uomini non sono fatti per vivere in eterno. Anche la più longeva delle razze deve alla fine accettare il cambiamento, altrimenti condanna se stessa… alla solitudine, alla stagnazione, al logorio dell’anima che porta prima o poi al male, o a tutte queste cose insieme. Non so. Non ho mai provato di persona niente del genere, finora. Dovrei passarci. Visto che mai nessuno è riuscito davvero a diventare immortale, non credo si possa dire con certezza cosa succederebbe a chi ci riuscisse. Prima o poi anche i sedicenti immortali che ho incontrato se ne sono andati. Se non altro uccisi da qualcuno per cui la loro immortalità non contava. C’è anche chi dice che gli uomini erano in origine fatti per essere immortali, e non saranno veramente felici finché non riavranno l’immortalità rubata loro in origine. Non so quanto abbiano ragione, neanche questi. Sarei più di tutto d’accordo col fatto che è triste vederti morire intorno tutti coloro che ami. Però… c’è anche chi cerca un’altra via per un motivo poco diverso da questo… Perla Bottonfiore ricoprì stancamente la forma dell’armatura sul manichino per abiti a cui aveva appena smesso di lavorare e si guardò intorno nel laboratorio di magia ingombro e semibuio. Gli ultimi residui guizzi colorati si spensero sotto il drappo. Un altro giorno ininterrotto di lavorazione, un altro passo della lunga strada per terminarla. Aveva messo da parte tutti gli altri suoi progetti per finirla in tempo. Guardò le forme sparse in giro di progetti, appunti arcani, bottiglie semivuote di liquidi colorati, pezzi compositi di vari materiali, la forma incompleta del golem rivoluzionario per il quale sognava di essere un giorno ricordata… chissà quando avrebbe potuto rimettervi mano? Perlomeno aveva ripreso con l’armatura. Era stata ferma fin troppo, prima di riuscire a trovare l’ingrediente finale. Fortunatamente dei gentili aspiranti eroi avevano accettato di recuperarlo per lei, ma anche così non sapeva se sarebbe riuscita a finire. Una volta iniziato il processo, rendere magica l’opera richiedeva un mese. Gli stessi ragazzi avrebbero consegnato la corazza a colui per il quale la stava incantando, il principe Rodk delle montagne dei nani, suo amico da anni ed ex compagno d’avventura, che l’aveva forgiata. Li aveva convinti a posticipare il loro viaggio verso nord fino allora. Ma la debolezza che ormai avvertiva diffusa in tutto il corpo le faceva dubitare di farcela. Il tempo che le restava era poco. Doveva almeno tentare. E sperava che Rodk avrebbe colto il significato. Aveva sempre nutrito molto affetto per lei, fin dai tempi dei loro viaggi insieme. Sperava che avrebbe capito come da parte sua quello fosse un dono d’addio. –Trentotto anni…– mormorò, piano, a se stessa. –Be’, c’è anche chi direbbe che alla mia età c’era da aspettarselo… per quanto… Aveva deciso di imparare la magia da ragazza per proteggere se stessa e i suoi cari… Chissà se e quanto avrebbe potuto dire un giorno di esserci riuscita. –Stiamo cominciando a diventare un po’ tenebrose?– disse una voce leggermente ironica alle sue spalle. –Si è fatto tardi. Guarda che chiudo. La sua sorellastra, Diva la negromante, con cui divideva il laboratorio, sbirciava dalla porta socchiusa nelle sue vesti nere e il volto pallido. Una frase retorica, la sua. Naturalmente sapeva che per certe applicazioni magiche è consigliato tenere chiuse le finestre. Comunque, era la battuta che ci si aspettava da una che non aveva mai amato troppo il sole e di giorno restava chiusa dentro come un’appestata per evitare il caldo. Ora che si stava facendo buio, per lei era come l’alba. Facile che se ne andasse in giro a far vita notturna fino al giorno dopo. –Ho finito– rispose Perla stancamente restituendo tuttavia il sorriso e affrettandosi ad infilare un mantello sopra la tunica rossa. –Scendo di sotto a sistemare un paio di cose. Tu puoi uscire nel frattempo, chiudo io.– Un tempo loro due erano state come cane e gatto. Strano come fossero migliorati i loro rapporti negli ultimi tempi, anche se fingevano ancora battibecchi davanti agli estranei tanto per tener vivi i ricordi di gioventù. Troppo tardi, però… peccato. –Non metterci troppo. Qui sono io la nottambula e non vorrei cambiare le tradizioni. E poi lo sai che ai monaci non va che restiamo nel loro locale fino a notte fonda. Dopo tanti anni, ancora non digeriscono che li abbia costretti a darcelo in affitto per un tozzo di pane a luna. –Allora saranno contenti che ce ne andiamo. Certo che è strano pensare che questo sia l’ultimo mese che passiamo insieme qui. Diva annuì. –Già, ed è stata dura tenere il segreto… tutti i nostri clienti sarebbero andati nel panico e la comunità magica ci avrebbe chiesto un sacco di rendiconti. Ma vedrai che i nostri colleghi riusciranno a cavarsela comunque senza problemi una volta che saremo via. Fu il turno di Perla di fare l’ironica. –Onestamente, devo dirti che tutto mi aspettavo tranne che accettassi finalmente la corte di Secundus. Sembravi tutta presa dal tuo musicista macabro. Non avrei mai immaginato di vederti un giorno sposata. E invece adesso… ci ha messo metà della vita, quel cocciuto, ma ti ha espugnato alla fine. –Eh eh… e mi trasferisco anche con lui in un’altra città. Che vuoi che ti dica. Si vede che con l’età ci si ammorbidisce tutti. Sto diventando una vecchia bonacciona. –Tu vivrai più a lungo di me. –Probabilmente. Come fantasma. Del resto… anche da te c’erano cose che alcuni non si sarebbero mai aspettati. Io però forse sì. –Davvero? –Ho sempre saputo che avevi e valevi più di quanto credessi. E adesso basta o finirà che mi accusi di essere umana. Scendo. Buonanotte. La porta si richiuse. Con un sospiro, Perla finì di prepararsi per uscire. Una forma fluttuante alle sue spalle si condensò nell’aria dal nulla chiedendo con voce preoccupata: –Qualche ultima istruzione, signora? –No, Almitra. Tutto bene. Assicurati solo che i gatti abbiano da mangiare, e quando Akiarina si sveglia, chiedile di controllare che i bagagli siano ben imballati. E che non scordino niente. Non credo che potremo tornare indietro a prendere qualcosa di dimenticato all’ultimo momento.– Voltandosi a guardare l’espressione della sua segretaria, la maga sorrise leggermente: –E non fare quella faccia. Non ci stiamo dicendo addio. Probabilmente potrò portarvi tutti con me. Non hai da temere per il rinnovo del tuo contratto. –Sissignora… ma volevo chiedere della sua salute… –Niente che non passerà in due o tre settimane. Vai. Almitra avrebbe voluto dir altro, ma all’ordine laconico si limitò a tacere e svanire nuovamente. Normalmente un genio, anche grazie alla sua vita così lunga, non si cura molto di chi sia il suo padrone pur di avere uno stipendio fisso e poter allungare il suo curriculum. Ma lei era con Perla da anni e forse le si era affezionata un pochino di più del normale. Non l’ultima delle stranezze della sua vita, ultimamente. La maga tolse dal dito un anello lavorato e, alla luce che veniva meno, vide il proprio profilo sbiadito nello specchio semicoperto del laboratorio mutare di colpo, deformarsi mentre l’incantesimo che celava il suo vero aspetto si spegneva. Doveva ringraziare l’amica che le aveva fornito quell’oggetto per nascondere la sua condizione, anche se lei stessa non era a conoscenza della verità. Comunque, meno persone lo avessero saputo prima che arrivasse il momento e meglio sarebbe stato. C’erano situazioni che neanche nel pacifico e tollerante Centro–del–Mondo erano ancora accettate facilmente. E altrove, si sentiva parlare di umori e tensioni anche peggiori tra la gente… dopo la guerra si pensava che il mondo fosse entrato in una nuova era, ma forse la cosa non sarebbe stata positiva quanto era sembrata a prima vista. Si avviò giù per le scale con passo molto più pesante e strascicato di prima. Forse… la sua ricerca segreta sarebbe servita anche a risolvere quel problema. Quella che non aveva confidato neanche alle poche persone che sapevano il resto. Doveva perlomeno darci un’occhiata prima di andare a casa e vedere come stava procedendo. L’arte è lunga, la vita è breve… Probabilmente non arriverò mai a conoscere le vere meraviglie dell’arte… E non esiste neanche solo quella. Nella nostra terra si è sempre praticata e codificata in un certo modo la magia, ma ci sono altri modi… altri orizzonti… basta viaggiare un po’, fare solo qualche ricerca, per ritrovarseli dispiegati davanti appena lasciata la soglia di casa… Non basterebbero cento vite per arrivare a conoscerli tutti. Non è giusto… E quando incontri tante meraviglie inaspettate, come fai a non affondarci le mani come un bambino in un tesoro di palline colorate che non potrà mai avere… Non capirò mai come tante persone possano storcere il naso e condannare quello che non capiscono solo perché è diverso e multicolore. Anche questo espediente non è ortodosso. Mi farebbero la predica in tanti se sapessero. Ma potrebbe essere l’unica speranza che ho di riuscire un giorno ad esplorare anche quelle nuove strade… Se mai sarà possibile… Si trascinava, ormai, più che camminare, nei lunghi corridoi magicamente distorti del piano di sotto. Ormai anche poche rampe di scale erano un’impresa quasi insostenibile. La prospettiva deformata della galleria avrebbe fatto girare la testa a una persona meno abituata. Contò le porte in successione quasi infinita, quali reali, quali illusorie, fino a trovare quella che stava cercando. Esitò un attimo prima di aprirla. Potrei perdere di nuovo la cognizione del tempo, dentro… Mi chiedo se Almitra possa sospettare che forse le ho mentito. Dove vado, loro potrebbero non potermi seguire. Ma almeno… almeno… Aprì la porta con decisione, e poi la richiuse. E –senza tanti tumulti e tante grida– nel corridoio, e nella casa, non ci fu più nessuno. La nuova era è stata salutata come l’inizio di un mondo diverso… solo che, come sempre, quando inizia qualcosa di nuovo ci sono tanti –troppi– a cui non piace. E che combattono per mantenere tutto com’era prima. O anche peggio di prima. Il granducato di Laguna è grande, pieno di foreste, montagne, acque e nebbie. È anche una delle regioni più settentrionali del Centro–del–Mondo, mai soddisfattissima del governo distante della capitale e molto popolata da razze come nani ed elfi diffusi estesamente nei paesi confinanti. Come tale… tra le più esposte al cambiamento e alo stesso tempo tra le più influenzate dalle idee di terre esterne dove il cambiamento è poco accettato. Tra i cambiamenti in questione ci sono il mescolarsi delle razze tra loro e l’emersione o la riscoperta di nuove e vecchie forme diverse di magia… E di conseguenza, proprio qui da una parte fanno sentire più alta che mai la loro voce i tradizionalisti inneggianti alla purezza e alla chiusura, come i promotori dei bei tempi andati… e dall’altra parte, quelli che vorrebbero fare piazza pulita del vecchio e ricominciare da capo senza criterio, buttando il buono quanto il cattivo senza badarci troppo. Alla fine, comunque, chi può dire cosa sia davvero da considerare vecchio e cosa nuovo? L’unica cosa certa è che in questi tempi l’interesse verso i reperti del passato… soprattutto quelli preziosi e magici… è parecchio aumentato. Anche quando c’è da fare una bella fatica per recuperarli. Tanto c’è sempre qualche stupido eroe amante dell’avventura che si prende la briga di farlo, giusto? –Ops… La lunga frusta si avvolse rapidamente con uno schiocco attorno all’idoletto d’oro, tirandolo con uno strattone oltre la serranda di pietra che stava per calare mentre nel tempio sepolto crollava tutto. Naturalmente nel piedistallo c’era un’altra trappola e il rombo di sottofondo si accentuò ancora di più facendo cadere calcinacci e rampicanti, ma questo era scontato fin dall’inizio. L’importante non è non attivare le trappole, ma essere abbastanza veloci da non caderci. Un ruzzolone esperto frenato appena prima di finire contro il muro e il prezioso reperto fu al sicuro nelle braccia di papà giusto in tempo perché se la filasse a rotta di collo dal passaggio da cui era appena venuto, inutilmente inseguito dalla frana infuriata. –…Stavo quasi per rimetterci il cappello! Naturalmente l’uomo dalla corporatura snella elegantemente vestito in verde e argento non portava nessun cappello sulla chioma nera già un po’ brizzolata, ma in qualche modo certe frasi in certe situazioni sembrano sempre la cosa giusta da dire. Che gusto c’è a fregare la morte all’ultimo secondo se non puoi vantartene un po’? Anche e specialmente se non c’è nessuno che ti ascolta tranne lei… se no ti sentiresti un po’ troppo spaccone. Il posto era labirintico… e tra i nuovi buchi che ad ogni momento si aprivano nelle pareti e i cumuli di macerie che ostruivano il percorso dell’andata, era ancor più difficile ritrovare la via esatta per la superficie. Per fortuna i segnali lasciati in precedenza –frecce incise nel muro, strani fuochi fatui sospesi nell’aria– aiutavano molto un senso dell’orientamento già di per sé sviluppatissimo, e molto allenamento permetteva di schivare con precisione ogni macigno particolarmente pericoloso prima che sfondasse la zucca priva di copricapo. Quando oramai il fuggiasco stava per vedere la luce alla fine del tunnel, dal soffitto piombò purtroppo qualcosa di molto più grosso e nero di un macigno, sbarrandogli la strada. Morbido, peloso e con una quantità di zampe e mandibole gocciolanti veleno piuttosto arrabbiate per la distruzione improvvisa e inaspettata della sua casa. La bestia sollevò le quattro zampe anteriori inarcandosi e si preparò a saltare sulla preda con quelle dietro, spalancando perfidamente le mascelle. –Un altro?…– esclamò lui fermandosi di colpo con uno stridio degli stivali. –Uff… lo dico sempre che dovrei cambiare mestiere… detesto i ragni. Il fioretto alla sua cintura lasciò un arco di scintille argentee nell’aria quando lo estrasse in un colpo solo. Riemerse dal buco nel terreno incorniciato di vecchie rocce giallastre con uno sforzo delle braccia non troppo degno di una ballata (eh sì, bisognerebbe saper fare le acrobazie ma quella era una cosa che purtroppo andava da sempre oltre la sua portata) e rimase a guardare mentre l’ingresso alla cripta sotterranea franava morbidamente alle sue spalle senza lasciare traccia, entro pochi minuti, di esserci mai stato se non una montagnola di zolle fumanti. Dopodichè si permise un soffio di sollievo. –Ti diverti proprio a farmi invecchiare di dieci anni, vero?– commentò una vocetta infantile con tono di rimprovero. Una bimbetta bionda seduta a gambe accavallate su un tronco poco distante, con un lungo vestito rosa, che dondolava un piedino calzato da un sandalo, con aria stranamente adulta e piuttosto accusatoria. Il coraggioso archeologo si spolverò i resti del crollo dai vestiti. –Via, Reja, lo sai che queste cose per me sono ordinaria amministrazione. Quante volte me l’hai già visto fare? E poi, invecchiare di dieci anni per te non significa niente. –Non vuol dire che non mi spaventi a morte tutte le volte. Allora, finita la piccola deviazione? Possiamo arrivare a destinazione, finalmente? Si chiederanno se siamo stati inghiottiti dalla terra, ormai… e mi sto un po’ stancando di fermarmi tutte le volte che senti parlare di antiche rovine. Hai trovato qualcosa d’interessante stavolta, almeno? Immagino sia inutile chiederti se te lo terrai. Lui le rivolse un ghigno tutto denti candidi palleggiando il suo trofeo. Il volto era più giovane e fresco di quanto la chioma bicolore suggerisse a prima vista, ombreggiato da una corta barba tra il curato e il selvaggio. Sembrava un ragazzo con quell’espressione. L’unica cosa che tradiva forse un’età più matura erano alcune minuscole rughe agli angoli degli occhi luminosi, vagamente a mandorla, ridotti quasi a fessure nel sorriso. –Una raffigurazione piuttosto rozza ma evidentemente magica di un antico dio sconosciuto. Un po’ poco per un’intera cripta infestata di schifosissimi ragni, ma comunque ne è valsa la pena. I sacerdoti eruditi del paese vicino saranno molto felici di averlo. La ragazzina alzò rassegnata gli occhi al cielo, ma con un sorriso che smentiva la posa. –E ancora una volta senza farti pagare? –Giusto le spese, mia cherubina. Il brivido è una ricompensa di per sé. Altrimenti staresti al mio fianco? Non sarei degno del mio nome orgoglioso da eroe extraordinaire tuttofare.– Mentre lui si inchinava una spilletta d’argento a forma di fiocco di neve sul suo abito pendette in avanti dondolando lievemente. –Comunque ti prometto che questa è l’ultima tappa. Sono impaziente di arrivare quanto te. Dopotutto, saremo ansiosamente attesi.– Ammiccò. –Prima eravamo solo io e te. Sicura che non sei gelosa? Reja sbuffò alla piccola provocazione. –Se tu sei felice lo sono anch’io. Il resto non ha importanza. Però… forse dovremo ritardare ulteriormente.– Esibì una piccolissima smorfia disturbata. –Ci sono visite per te… di nuovo. L’uomo si guardò intorno nella radura, assottigliando ancor più gli occhi, ma senz’ansia. Non vedeva nessuno, ma ciò naturalmente non voleva dire che nessuno ci fosse. La luce del giorno si era come lucidata e incupita, e il silenzio che li circondava aveva cambiato sfumatura. –Buongiorno– disse, apparentemente al nulla. E poi il silenzio parlò con un’intensa voce femminile che sembrava echeggiare da tutte le direzioni. –Sarn… –Sarnakand, per favore, mamma. Sarnakand il Magnifico. È da un pezzo che ti prego di ricordarti di chiamarmi così. La voce era giovane e rassegnata e faceva vibrare l’aria di una specie di frequenza calmante ultraterrena. –Ti ho chiamato Sarn quando sei nato, e per quanto tu voglia fare lo spaccone come un umano sai bene che è il tuo vero nome. Quando la smetterai con queste sciocchezze? –Sono un po’ umano anch’io. Come lo era mio padre. Non dovresti avercela tanto con loro. Dopotutto lui ti ha fatto innamorare, chiunque fosse. E quali sarebbero le sciocchezze? Faccio un rispettabile lavoro e ho seguito le tue orme, come desideravi. Non sei fiera che sia un Purificatore prescelto dalla Redentrice? –Non hai seguito le mie orme. Almeno non fino in fondo, e non come desideravo. Sarn, non c’è speranza che ti convinca a lasciar perdere questa follia e tornare a casa? –Sono a casa, madre.– Il giovane allargò allegro le braccia. –Ne abbiamo già parlato. Il mondo è la mia casa. –In mezzo ai pericoli. Sperso per le campagne a respirare polvere e fango nei cunicoli. La congrega ti attende sempre. Saresti un ottimo capo, per quando io non ci sarò più. –Madre, abbiamo fatto questo discorso tantissime volte. So badare a me stesso e ho fatto le mie scelte. Non che non mi sarebbe piaciuta quella vita, ma fare l’eroe mi piace infinitamente di più. Potresti anche non tenere sempre puntata la tua sfera di cristallo su di me e rilassarti un po’. E poi… perché tu non ci sia più, dovrei aspettare fin quasi alla fine del mondo. La vita che ti resta è molto lunga. –È proprio questo il punto.– La voce s’interruppe in un profondo sospiro. –Nessun genitore dovrebbe sopravvivere al proprio figlio. Anche tu, se volessi, potresti prolungare il tuo tempo su questa terra almeno un po’… Sarn, è vero quel che mi è stato riferito? –Se ti riferisci al motivo del mio ultimo viaggio, non ho mai cercato di nascondertelo. Perché avrei dovuto? –È vero, allora. Ascolta, figlio mio. Non commettere il mio stesso errore. Io me ne sono dovuta pentire amaramente. Non sarai un elfo completo… ma già così, la tua vita è più lunga della loro. Non c’è niente di peggio che doversi separare in eterno da un essere amato. Creature diverse, con vite diverse… non dovrebbero mai avere contatti tra loro. –Meno male che tu stessa hai contravvenuto a questa frase, o io non sarei qui– osservò lui acutamente. –Invece hai seguito il tuo cuore, e io farò lo stesso. Se questo ti fa soffrire, mi spiace. Ma ormai ho deciso. –E non deciderai di chiedere alla Redentrice il dono della lunga veglia? Presto sarà il tuo momento per il rito d’avanzamento nell’ordine. –Lo so. Altrimenti non avresti voluto questo colloquio, no? Mi chiami per farmi lo stesso discorso ogni volta che si avvicina il momento. No, non mi interessa vivere diecimila anni… o anche solo mille. Come hai detto, non è bello sopravvivere a chi si ama. –E vuoi condannare me a sopravviverti per questo? Cosa pensi che possa provare nei confronti di chi ti costringe a fare questa scelta? –Spero che sarai felice che mi renda felice. Come lo sarò io. E che non interferirai con noi. Altrimenti sarei costretto a provare rancore per te… come non sono costretto a scegliere di condividere la mia vita con lei. Non posso dirti altro. –C’è già tanta differenza tra voi. E ce ne sarà sempre di più. Tu giovane e forte, lei sul punto di sfiorire. Tu col tuo desiderio d’avventura incontenibile, lei lenta e pesante. Quanto a lungo potrai tollerarlo? –Per tutto il tempo che mi resta, madre. La voce tacque lungamente. –Ci ostacolerai?– la richiamò Sarn suscitando una lieve eco nell’aria crepuscolare. –Sai che la Redentrice non sarebbe d’accordo se lo facessi. –Lo so. Come so che distruggerei ben più di quanto tu possa pensare.– Un nuovo sospiro. –Non ho voluto parlare con te per questo. Non avrei potuto dissuaderti comunque. Ma visto che sei tanto deciso… volevo avvisarti. Faresti bene a curarti della salute di chi hai a cuore. Mentre tu indugiavi, eventi si sono messi in moto. È meglio che ti affretti alla tua destinazione. Addio, figlio mio. Sarn sussultò. –Cosa vuoi dire?…– Ma la domanda cadde nel vuoto. La sensazione della presenza che li osservava era svanita. Erano di nuovo soli con se stessi nella radura. Sarnakand il Magnifico lampeggiò uno sguardo alla sua compagna. –Bene. Pare che dovremo viaggiare di notte. Te la senti di volare tutto un tratto fino a Novalian? –Pensi ci sia da preoccuparsi?– La bambina appariva preoccupata quanto lui. –Non l’avrà detto solo per allarmarti? –Tu rischieresti? Conosco mia madre abbastanza per sapere che non dà avvertimenti a vuoto. Se è qualcosa di grave… speriamo solo di arrivare in tempo. Senz’altre obiezioni, Reja saltò giù dal suo comodo sedile. Tutto il corpo le si scosse scintillando nei pochi centimetri che la separavano da terra. Quello che si poggiò al suolo fu un ippogrifo dalle piume bianche e dorate, con sfumature rosee, a cui l’autodichiarato eroe non perse tempo a balzare in groppa senza redini né sella. –Muoviamoci, mia cherubina. Sono un idiota… Prendermela comoda, fermarmi in tutti i villaggi a chiacchierare, accettare qualsiasi incarico come se il tempo fosse infinito… Amore mio. Se ti è successo qualcosa, non me lo perdonerò mai.
  22. Aspettando che Elayne torni, propongo un'altra alternativa: l'effetto Fiamma bianca, al 4° livello, riduce il danno da fuoco e freddo normali e magici di 1 punto più 1 punto per livello del mago oltre il 4°, a tutti quelli che si trovano nell'area d'effetto (possono uscire e rientrarvi).
  23. Io ci sono, sto aspettando che Elayne risponda ai miei ultimi post.^^ Volevo proporre anche un manuale delle classi e dei kit, dopo, e magari altre cosette.
  24. Non dico di non voler ridefinire i danni (ho fatto una proposta in tal senso), ma non riesco a concordare se, in linea teorica, dici che Aria deve rimanere meno forte di Fuoco perché è così e basta. Se ricordi, in S&M furono introdotti molti nuovi incantesimi d'Aria ed Acqua proprio per bilanciare lo squilibrio tra i diversi elementi. Altrimenti perché uno dovrebbe diventare elementalista d'Aria o d'Acqua quando sa che queste scuole resteranno sempre più deboli delle altre? Non si tratta, qui, di inventare incantesimi di protezione contro gli anti-TS ecc. ecc. E' più come quando la barriera anti-vegetali e quella anti-animali sono state integrate con la anti-minerali. Secondo il tuo ragionamento, non si dovrebbero creare incantesimi forti di Legalità perché non esiste Protezione dalla legge. Ma potrebbe benissimo esistere, appunto. Non ci si dovrebbe lasciar fermare da questo. Ciò detto, Lama d'aria è stata creata prendendo spunto dalla leggenda giapponese del "Kamaitachi", il mostro che ti ferisce con un vuoto d'aria e poi ti cura. Non mi sembra più inverosimile di quanto sia ogni altra magia (perché dovrebbe essere più strana di una palla di fuoco?). Fammi sapere se la ridefinizione dei danni ti va bene. PS. Scusa, Randazzo, anzi scusate tutti e due, ma trovandomi anch'io nel medesimo pelago di Elayne impelagata, è veramente tantissimo se riesco a postare UNA volta al giorno.
  25. Comunque, non credo sia giusto giudicare una magia troppo potente perché non esiste una "Protezione dall'Aria". La cosa è accidentale. La si può sempre creare, la protezione.
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